Vivian Lamarque, “Madre d’inverno”

vivian_madredi Fabrizio Fantoni

Madre d’inverno” è stato considerato da più parti, il grande ritorno alla poesia di Vivian Lamarque. Sul punto non si può essere pienamente d’accordo, dal momento che anche la raccolta “Poesie per un gatto” (del 2007) ricopre un posto non secondario nella produzione poetica dell’autrice che non va disconosciuto.
Ma, al di là di tali considerazioni, non c’è dubbio che “Madre d’inverno” sia un’opera importante, un vero risultato, che conferma Vivian Lamarque come una delle voci più rilevanti della poesia contemporanea. Continua a leggere

Pietro Russo, “A questa vertigine”

pietro_russodi Gianluca Furnari

In principio è l’ora 00:00, «l’istante assoluto» (00:00, p. 9). Le cifre tonde che marcano in apertura la raccolta d’esordio di Pietro Russo, Italic, 2016 A questa vertigine, non sono l’alpha né l’omega, piuttosto l’uroboro che abbraccia i due estremi. Siamo di fronte a una poesia che raggiunge la coscienza dopo aver attraversato una quiete ipnotica: i quattro zeri dell’incipit lampeggiano come un ultimatum su schermo bianco, minacciando una lunga epoca di effetto neve.

Ma forse è tutto sotto controllo. Qualche anno fa un’équipe di scienziati tedeschi è riuscita a sospendere il tempo di un fascio di luce, intrappolandolo per alcuni secondi in un cristallo opaco. L’operazione alla quale Russo sembra intento, nel suo laboratorio, non è poi tanto diversa: si tratta di convogliare nel segno linguistico tutte le energie del mondo presente, passato e futuro; inchiodare i movimenti; «tenere tempo e fiato» (Eravamo splendidi, p. 14) per portarsi d’un salto al centro delle cose. Continua a leggere

Gian Mario Villalta, “Telepatia”

gianmario_villaltaANTEPRIMA EDITORIALE

Nota di Alessandro Canzian

Esce il 18 giugno in libreria Telepatia di Gian Mario Villalta (Lietocolle-Pordenonelegge 2016, collana Gialla Oro a cura di Augusto Pivanti). Un libro che l’autore stesso, in nota, confessa avrebbe voluto intitolarsi Opuscula, perché ognuno dei 19 poemetti che lo compongono ha avuto una sua autonomia creativa. Però sarebbe stato un titolo, per molti altri aspetti, fuorviante, dato che la parola porta in sé altre indicazioni non consone. […] Aspiravo all’Opera tematica, e ne veniva un Canzoniere. Lavoravo al Canzoniere, e le parole si addensavano, come la limatura di ferro alla calamita, intorno all’attrazione di un tema. Sono passati così otto anni. Quando si può dire compiuta un’opera di poesia? Sarebbe un discorso lungo, difficile e insidioso. La risposta più semplice forse è questa: quando si incomincia a scrivere altro, anche se non si sa ancora che cosa si sta scrivendo o si vuole scrivere. Continua a leggere

L’amore delicato raccontato da Andrea Gruccia

capelveneredi Daniele Campanari

Ai tempi in cui per fare una fotografia di gruppo si doveva chiedere l’aiuto a un passante, istruirlo rapidamente sui tasti da premere e fargli sapere che, nel caso servisse, esisteva il flash. Ai tempi in cui la parola “selfie” rimandava la memoria solo alla pompa del diesel perché costava di meno, alle manovre da compiere improvvisandosi benzinai per la propria automobile, ecco, a quei tempi là pochi immaginavano di fare l’amore in chat. O quantomeno non era un fatto di discussione pubblica.
Tra quei pochi, oggi, c’è Andrea Gruccia che esordisce in libreria con Capelvenere (Marco Saya Edizioni, 200 pp). Un po’ in prosa e un po’ in versi, sessanta e sessanta per non rendere torto ai conti pari della matematica. Insomma Gruccia (all’anagrafe Appendino)racconta storie come questa: “Quando in chat conosco Sabrina, mi dice subito che colleziona oggettistica anni settanta, e all’inizio non capivo che è interessata a me solo perché faccio parte di quei souvenir, e così, dopo nove anni di chatta mento, decidiamo di incontrarci”. Sarebbero gli anni settanta, appunto. Ma questa storia del virtuale e poi, eventualmente e chissà quanto tempo dopo è, come detto, discretamente attuale. Continua a leggere

Alessandro Moscè , “Galleria del millennio”

galleria_del_Millenniodi Giulia Massini

Appena edito da Raffaelli Editore, Galleria del millennio raccoglie le riflessioni letterarie e le interviste che Alessandro Moscè (Ancona 1969) ha riservato alle opere di critici, poeti e narratori concentrate nel decennio 2004-2014, inedite o pubblicate su quotidiani come “Il Corriere Adriatico” e “Il Tempo” e su periodici come “L’Azione”, “Atelier”, “Poesia” e “Prospettiva”.

Proprio perché non programmatico, ma agito nel tempo, frutto di un lavoro quotidiano e corollario di una più ampia attività produttiva che ha visto Moscè attivo nel campo della narrativa e della poesia, oltre che su un lavoro critico orientato anche al progetto monografico e antologico, questo libro, aprendo una finestra sul mondo contemporaneo, ci svela anche un ritratto del suo autore, dei suoi temi privilegiati e di una poetica che orienta le varie forme del suo impegno. Continua a leggere

Cristina Annino, “Anatomie in fuga”

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di Daniele Campanari

Pensandoci, il cuore se ne va da qualsiasi posto se non ci vuole stare. Gli occhi pure, che non sanno soltanto guardare avanti ma anche dietro. Le mani, poi, le mani riescono addirittura a toccare le cose che stanno più in alto di tutte. Anatomie in fuga sembra dire ciò che può fare un corpo umano, che se non è agguantare è fuggire. Da chi, da cosa? Certamente non dalla poesia. Perché Cristina Annino (pseudonimo di Cristina Fratini) è estremamente poetica coi suoi versi raccolti in questo libretto di centoquattordici pagine Continua a leggere

Bruno Galluccio, “La misura dello zero”

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di Maddalena Lotter

«Amare la verità significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte.
La verità sta dalla parte della morte.»
(Simone Weil, L’ombra e la grazia)

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A un anno dalla sua pubblicazione, mi imbatto felicemente in La misura dello zero (Einaudi, 2015) di Bruno Galluccio. Dico felicemente perché, se molto spesso nella poesia che viene scritta oggi il lettore è obbligato a contemplare le miserie e le difficoltà dell’interiorità umana, la scrittura di Galluccio invece lo invita ad uscire da se stesso, ad alzare lo sguardo verso l’alto e a confrontarsi con la presenza del mondo; un mondo che è dato nella sua interezza, un universo, una accettazione, una speranza, il cielo insomma, un cielo di cui oggi molti poeti sembrano avere paura, e infatti raramente ne parlano nei loro versi, sempre più introspettivi, personali, arrovellati sull’esistenza in quanto faccenda solo umana e talvolta prepotentemente autobiografica. Continua a leggere

Fabrizio Bajec, “La cura”

Bajec_K-495x332di Alex Caselli

Sulla produzione poetica di Fabrizio Bajec (Tunisi, 1975) sono intervenuto criticamente più volte. C’è qualcosa che continua a interessarmi in questo autore, non soltanto relativamente ai risultati della sua officina, ma nelle ragioni stesse e nel tono dei suoi versi. Ragioni e tono molto personali, come dev’essere per un vero poeta, ma in questo caso interessanti rispetto ad un contesto spesso asfittico com’è quello della poesia italiana contemporanea. Continua a leggere

Paolo Di Paolo, “Una storia quasi solo d’amore”

Paolo Di Paolodi Guido Monti

Javier Cercas uno degli scrittori più rilevanti nel panorama europeo contemporaneo nel suo ultimo saggio dal titolo “Il punto cieco” rivendica al testo narrativo un imperativo categorico, un dovere, che poi forse è sempre stato consustanziale al suo Dna otto-novecentesco ma che poi è andato mano mano perdendo ed è quello appunto di tornare ad indagare tutto ciò che riguarda l’umano anche attraverso lo strumento essenziale dell’ironia. La scrittura se vuole avere una serietà d’intenti e di ricerca non può esser dice Cercas “solo puro intrattenimento” ma deve divenire “strumento di indagine esistenziale”. Ecco Paolo Di Paolo anche in questo suo ultimo romanzo, Una storia quasi solo d’amore (Feltrinelli, pp 171, euro 15), sembra proprio che si misuri con le idee del narratore spagnolo e cioè persegua una letteratura che ricerchi quel “punto cieco” cioè a dire quella forma di interrogazione totale, assoluta, da consegnare intatta attraverso le pagine all’intelligenza ed elaborazione del lettore. Continua a leggere

Un bestiario, di Mariagiorgia Ulbar

ulbar_libridi Maddalena Lotter

Nella sua opera per bambini “Pierino e il lupo” (Petja i volk, 1936), il compositore russo Sergej Prokofiev sceglie di affidare ad ogni strumento musicale il ruolo di uno dei personaggi della storia. Il suono allusivo del clarinetto è il gatto, la leggerezza del flauto è l’uccellino, i tre corni francesi sono il lupo, e così via. Questo perché è più semplice, nel caso di Prokofiev, per un pubblico di bambini, far comprendere il messaggio artistico attraverso la personificazione/animalizzazione della musica in figure già note agli ascoltatori per alcune caratteristiche: il gatto è sornione, l’uccellino è vivace, il lupo è forte.
Nell’universo letterario medievale, i bestiari erano testi che contenevano descrizioni di animali reali o immaginari accompagnate spesso da alcune considerazioni simboliche, moralizzanti e religiose. E’ facile comprendere come già allora la catalogazione delle bestie fungesse da descrizione e spiegazione dei caratteri umani. Continua a leggere

In memoria di te, Attilio Bertolucci

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di Loretto Rafanelli

La grande poesia del Novecento soffre di una certa mancanza di considerazione (a parte Ungaretti, Montale e forse Caproni, Sereni e Saba), grandi autori sono stati cacciati nel tritacarne della dimenticanza (si pensi, solo per fare qualche esempio, a Cardarelli, Sbarbaro, Campana, Bigongiari, per giungere finanche a Luzi). Tuttavia alcuni critici non tralasciano di studiare e di porre all’attenzione generale alcuni di questi, come nel caso di Attilio Bertolucci, che è seguito con affetto da Gabriella Palli Baroni e Paolo Lagazzi che lo frequentò, specie nelle estati a Casarola, per tantissimi anni. Ma, seppure senza tale assiduità, una relazione speciale col poeta parmense la ebbe il critico Giuseppe Marchetti, un rapporto fatto di frequentazioni e confidenze e di studi continui, per giungere infine a una conoscenza completa dell’opera bertolucciana. Ciò si ricava sicuramente dalla lettura del libro che questi gli ha dedicato: Attilio Bertolucci. Storia di un poeta (Fedelo’s Editrice, 2015), un libro prezioso per chi intenda approfondire le vicende del poeta e i nessi cruciali della sua scrittura, non solo poetica. Continua a leggere

Gianluca Furnari & Pietro Cagni

funaridi Tommaso Di Dio

La poesia continua; non può non continuare: sembra che continuare sia il suo più essenziale e forte e profondo messaggio. Ogni qual volta che se ne senta più scorata la presenza, più perdute sembrino tutte le ragioni perché continui, ecco che, dalla crepa più arida dell’interruzione, sopraggiunge, all’istante, la poesia a dire di noi, a dire qualcosa che continua sottotraccia, che si credeva smarrito e obnubilato da infinite soglie di stupide deviazioni.

È con questa impressione sulle labbra che mi accingo a parlare di due giovani libri di due altrettanto giovani autori che emergono, negli ultimi mesi del 2015, con il loro esordio nel campo aperto della poesia italiana. Sto parlando di Vangelo Elementare (Raffaelli, Rimini 2015) di Gianluca Furnari (nato nel 1993) e di Adesso è tornare sempre (Le farfalle, Catania 2015) di Pietro Cagni (nato nel 1990): due libri completamente diversi eppure complementari, due libri che, pur nati entrambi alle pendici dell’Etna, sembrano aver percorso all’ombra di un diverso lutto fondativo distanze siderali, l’uno lontano dall’altro, per incontrarsi, infine insieme, in una pozza vibrante d’entusiasmo e presenza. Continua a leggere

Una poesia di Emily Dickinson

AMHERST, MA - SEPTEMBER 4: A daguerrotype of Emily Dickinson at age 16, is displayed at the Emily Dickinson Museum in Amherst, Wednesday, Sept. 4, 2013. (Photo by Wendy Maeda/The Boston Globe via Getty Images)

(Photo by Wendy Maeda/The Boston Globe via Getty Images)

Nota di Luigia Sorrentino

Rileggendo a distanza di molti anni “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani, mi sono trovata di fronte a una poesia di Emily Dickinson “Morii per la Bellezza” ( “I died for Beauty”) inserita nel romanzo.

Il personaggio di Micòl traduce la poesia in italiano e poi la consegna al suo amico d’infanzia anticipando, attraverso i versi della poetessa statunitense, il destino tragico che attende la sua famiglia dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste del 1938. A parlarsi sono due persone già morte. Entrambe sono state tradite dalla morte della Bellezza e della Verità.

 

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Renzo Favaron, “Balada incivie, tartufi e Arlechini”

baladaincivieNota di Arnaldo Ederle

Renzo Favaron ricompare in libreria con un suo nuovo libro intitolato Balada incivie, Tartufi e Arlechini (L’arcolaio, pagine 109, 12 euro) una raccolta che comprende, oltre ad una lunga diatriba che riguarda la sua vita e il suo lavoro, una serie di poesie lunghe che ricordano la struttura del poemetto, un genere poetico finora comparso raramente nelle sue composizioni. Favaron ha sempre preferito la lirica di misura tradizionale, cioè breve folgorante anche se talvolta questa misura si è presentata più complessa e spesso frammentata in strofe, fin dalla sua prima raccolta, cioè da Presenze e conparse del 1991. Mi sembra questo cambiamento di struttura una novità interessante perché affianca una tendenza abbastanza comune tra le scritture dei vari poeti italiani di questi ultimi anni.

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William Cliff, “Poesie scelte”

 

 

william_cliff6Nota di Paolo Guzzi

Queste Poesie scelte di William Cliff, pseudonimo del poeta belgafrancofono André Imberechts, antologia curata da Fabrizio Bajec,  è presentata con traduzione italiana a fronte per la collana Percorsi della poesia contemporanea ( Fermenti edizioni, con il contributo della Fondazione Piazzolla) .

Fabrizio Bajec, che è anche prefatore dell’opera, ci illumina sul lavoro di Cliff,  nato nel 1940, ben noto in area francofona. Cliff ha iniziato il suo percorso con l’avallo di Queneau che ne individuò immediatamente  le qualità, riconosciute anche dal poeta catalano Gabriel Ferrater di cui Cliff divenne amico e a cui dedicò una poesia ,Tramonto eccessivo, in occasione della morte. Linguaggio crudo, immagini ardite, metrica disinvolta, rime occasionali. Continua a leggere

Maurizio Cucchi, “Prypiat”

Maurizio CucchiNota di Luigia Sorrentino

Nel giorno del suo 70esimo compleanno, Maurizio Cucchi, maestro della poesia contemporanea,  offre, a questo blog, “Prypiat”, una prosa poetica inedita. In questo testo l’autore sembra ricondurci a quella che potremmo definire, la seconda fase della sua produzione poetica, che ha avuto inizio con la pubblicazione della raccolta “Vite pulviscolari” (Mondadori, 2009).

Cucchi recupera qui, ancora una volta, l’elemento temporale dell’infanzia: “Il cortile delle mamme” che abbiamo trovato in “Malaspina” (Mondadori, 2013)  diventa il cortile del collegio dei padri Salesiani, con un rimando alle vacanze trascorse dal protagonista con la famiglia, al Miramare di Rimini, (l’autore ce ne parla nel romanzo “La maschera ritratto”, Mondadori, 2011). Continua a leggere

Elena Salibra su “Olimpia”

olimpiaOLIMPIA_FRANCESE

 

Olimpia: un viaggio tra l’infinito e il mortale

Intervista a Luigia Sorrentino a cura di Elena Salibra

Luigia Sorrentino è autrice del poema Olimpia (Interlinea, Novara, 2013, Prefazione di Milo De Angelis, Postfazione di Mario Benedetti)http://www.interlinea.com/schedenovita/Sorrentino_Olimpia.htm),  pubblicata in francese con Recours au Pòeme éditeurs nel maggio 2015 nella traduzione di Angèle Paoli, (http://www.recoursaupoemeediteurs.com/ailleurs/olimpia).
Il libro è diviso in 8 canti intervallati da 7 prose poetiche:  L’antro, La città, L’atrio, Il giardino, Il lago, Il contrasto tra il divino e il tempo, La discendenza, Iperione, la caduta, Il confine, La permanenza, la distanza dal limite, La deformazione, Il sonno, L’ingresso alla montagna, Giovane monte in mezzo all’ignoto, La città nuova.   Continua a leggere

Roberto Maggiani, “La bellezza non si somma”

 

la_bellezza_non_si_sommadi Maurizio Soldini 

La bellezza, o almeno la possibilità di coglierla e di fruirne, ha a che fare prima che con l’universale, con il particolare. E siccome gli esseri umani sono immersi con la loro spiritualità nella materia, il dato sensibile è prioritario, almeno al primo passaggio. Come dire che non c’è bellezza che non passi per il mondo dei sensi, nel momento orizzontale, per poi elevarsi al trascendente attraverso il trascendentale nel momento verticale. O quantomeno va detto che l’uomo non può afferrare la bellezza se non attraverso il suo sistema sensoriale e nervoso, e in questo se ne connota la razionalità, nonché la cognitività della bellezza, per poi farla ascendere a dimensione del sentimento dell’anima, alla sua spiritualità. In tutta questa dinamica va da sé che tra i sensi che colgono la bellezza la fa da padrona la vista. E lo sguardo con tutta la sua fenomenologia ha molto a che fare con la realtà della bellezza, ma ha a che fare anche col concetto del bello. Infatti per la bellezza l’apprensione sensoriale è fondamentale, e in particolare è centrale lo sguardo. Siccome vediamo quello che guardiamo, ne consegue che la bellezza non può essere relegata e lasciata in balia al puro intuito e all’emotivismo, ma per coglierla è necessaria anche la ragione; c’è bisogno allora di educare lo sguardo nell’alveo del sentimento. Continua a leggere

Paolo Di Paolo, “Tutte le speranze”

Pdp2Di Guido Monti

L’ultimo saggio di Paolo Di Paolo “Tutte le speranze Montanelli raccontato da chi non c’era” edito da Rizzoli, è un affresco nitido sulla vita del grande giornalista di Fucecchio firma di punta prima del Corriere della Sera, poi direttore de il Giornale infine della Voce; Di Paolo infatti, da cartografo davvero esperto, tenta di leggere le mappe della vicenda umana e professionale del giornalista con l’occhio di chi quelle mappe le ha conosciute ictu oculi e non soltanto lette dal di fuori. Ecco allora un libro agile, vivo, mai appesantito da certa vuota biografia di genere; il saggio ha una struttura originale, i capitoli, anziché seguire un ordine cronologico, si ravvolgono come in una pellicola. Si inizia dal 2001, anno della morte di Montanelli ed anche momento di eventi fondativi e tragici per il nuovo millennio, sino alla sua nascita datata 1909. Quello che davvero sorprende, è che Di Paolo riesce a fotografare la vicenda di Montanelli con le lenti particolari dell’amicizia capaci di dare una profondità aggiunta al libro. Continua a leggere

Matteo Bianchi, “La metà del letto”

 

cover_bianchi[1]Recensione di Chiara De Luca

Leggendo il titolo della nuova raccolta poetica di Matteo Bianchi, La metà del letto, (Barbera, 2015) ho pensato, nella fretta che spesso abbiamo di farci un’idea cui sostenerci nell’affrontare le cose, che mi sarei trovata davanti a un canzoniere d’amore nel senso tradizionale del termine. In realtà questa nuova raccolta poetica di Bianchi è piuttosto un Bildungsroman in versi, un romanzo di formazione, che – tra viaggi in treno e viaggi di pensiero, incontri, avvenuti e mancati, stagioni atmosferiche e stagioni dell’anima – ritraccia il percorso esistenziale dell’autore alla ricerca di se stesso e della propria identità, della propria femminilità, come scrive Bianchi stesso nella nota finale, oppure in senso lato, della propria maturità e interezza in quanto individuo. Continua a leggere

In memoria di te, Alessandro Ricci

 

alessandro_ricci«Un dilettante che racconta storie veramente accadute». Si definiva così Alessandro Ricci, nella nota che chiude I cavalli del nemico. L’understatement gli era abituale, ma ben sapeva che il suo “dilettantismo” era di una forma tutta speciale, era un modo distaccato e, insieme, sommamente aperto all’esperienza (e ai suoi rischi), di trattare la materia della poesia e della conoscenza.

In altre parole, Ricci era uno di quei poeti di grande valore e originalità che, decidendo di vivere ai margini della ribalta letteraria, si aspettano di essere letti solo dai pochi di cui stimano il giudizio. Pubblicò in vita appena due raccolte di versi, e per insistenza di amici. La prima, Le segnalazioni mediante i fuochi, con prefazione di Roberto Pazzi, uscì nel 1985. Libro vigoroso e vitale, ebbe qualche lusinghiera recensione, ma nessuno ne colse la novità e profondità. Il secondo, Indagini sul crollo (sempre con prefazione di Pazzi), forse più diseguale e composito, ma che accoglieva alcune delle sue poesie più belle, apparve nel 1989, e passò in silenzio, immeritevole perfino di quegli “agrodolci gesti di tolleranza”, come li chiamava Fortini, che s’era guadagnato il primo. Continua a leggere

Claudio Damiani, “Ode al Monte Soratte”

Ode_al_monte_Soratte_cover[1]Una lettura di Ode al Monte Soratte di Claudio Damiani

di Chiara De Luca

 

Il nuovo libro di Claudio Damiani, Ode al Monte Soratte (fuorilinea, 2015), è suddiviso in tre capitoli, – Ode al Monte Soratte, Quadrara delle aquile, Caro libro di vetta – tre movimenti d’andamento distinto e tematica complementare, che costituiscono altrettante tappe di un viaggio di conoscenza di  sé, alla ricerca di una identità con la natura e di una profonda comunione con tutti i suoi elementi. Questo monte, “basso e spelacchiato” che è al contempo “miniera di natura e storia” e “ponte tra culture antichissime”, con i suoi eremi e le sue chiese, che hanno rimpiazzato i templi pagani, diviene per Damiani la sede di un ovunque al di fuori dello spazio e del tempo, pura materia di poesia e simbolo stesso del viaggio della creazione, che presuppone la capacità di ascoltare il silenzio delle cose, per tradurre il mondo e tramutarlo in verso. I luoghi sono per Damiani come persone “con un loro carattere, un loro modo di pensare”; il monte stesso ha spalle, è circondato da colori come vestiti  (p. 23). Di conseguenza, ogni elemento del mondo naturale e animale per il poeta ha voce, una sua voce peculiare, da trascrivere per celebrarlo, piuttosto che semplicemente nominarlo, per rivelarlo, piuttosto che semplicemente osservarlo con l’occhio distratto che posiamo quotidianamente sulle cose. Se le ascoltiamo fondo, infatti, sono le cose stesse a pronunciare il proprio vero nome, a raccontarci di sé e di noi, svelandoci i loro e i nostri segreti, tutto ciò che nei secoli hanno visto, o subito, o superato, ripercorrendo tutte le metamorfosi attraversate.

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“Olimpia”, di Luigia Sorrentino

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Luigia Sorrentino legge da Olimpia, “Giovane monte in mezzo all’ignoto”


Nota di Diego Caiazzo

Colpisce molto la lettura di Olimpia, di Luigia Sorrentino (Interlinea, 2013). Si tratta di un testo d’impatto molto forte, non facile, come dice Mario Benedetti nella postfazione e lontano dal tipo di poesia che si può leggere nella contemporaneità. Continua a leggere

La ricostruzione intellettuale di Erich Auerbach

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L’Europa vista da Istanbul. “Mimesis” (1946) e la ricostruzione intellettuale di Erich Auerbach,  a cura di Luciano Curreri, Luca Sossella Editore, 2014,  € 10

La necessità del realismo
di Gandolfo Cascio

Per un po’ – cioè dagli anni Ottanta fino all’inizio del millennio – del realismo abbiamo potuto fare a meno. Però da quando è iniziata la crisi culturale che minaccia la nostra identità, pare che ci sia un ritorno, sentito appunto come identitario, al realismo. L’attenzione, ad esempio, rivolta a DeLillo o Roth ne è testimone.

Anche il rapporto con la tradizione teoretica inerente a questa categoria sembra più gagliardo. Un esempio è il libro che qui segnalo e che per oggetto ha l’opera più nota di Erich Auerbach (Berlino, 1892 – Wallingford, 1957). Mimemis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946) può considerarsi come la lettura accurata della civiltà europea che nella letteratura ha saputo manifestarsi ma magari prendere forma. Continua a leggere

Umberto Piersanti, “Nel folto dei sentieri”

Nel-folto-dei-sentieri_prima-300x480UMBERTO PIERSANTI E LE SELVATICHE VISIONI
di Alessandro Moscè

 

“Tra i sassi bianchi / corrono i folletti, / solo chi è destinato / li può vedere / e poi li trova sempre / nella sua strada”. Sono questi alcuni versi contenuti nella raccolta poetica Nel folto dei sentieri (Marcos y Marcos 2015) di Umberto Piersanti. Un viaggio terreno, esistenziale, con punte di magia e visionarietà, contraddistingue l’ultima fatica editoriale dell’urbinate: oggi il maggior poeta naturalistico italiano. Piersanti ci ha abituati ad una dimensione immaginativa che richiama una matrice di colline e monti appenninici, una terra ben delimitata, un po’ fatata, sulla scia della migliore tradizione novecentesca dove tra ombre di ricordi, paesaggio e natura, si intravede ciò che Franco Loi definisce “la tradizione dell’Italia che è all’origine della nostra parlata nazionale”.

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Anna Maria Curci, “Nuove nomenclature e altre poesie”

 

curciRecensione di Nadia Agustoni

L’ultima raccolta poetica di Anna Maria CurciNuove nomenclature e altre poesie” L’Arcolaio, 2015, ci pone già dal titolo in una posizione non facile; ci chiede di essere attenti lettori e di scrutare nel linguaggio dell’autrice per capire come non ci viene dato un ordine in stile soviet su cui riflettere, ma vi è un più vivo richiamo al significato latino di nome nomen e chiamare calare. In primo piano abbiamo così la voce che nomina e sa affrontare la storia, la politica e la città, la letteratura e un ordine mondiale assurdo, tanto da richiedere certo una buona dose di ironia per poter dire le secche a cui ci trascina. L’ironia non è qui un gioco tra giochi verbali, il libro è ben lontano dal divertimento, ma ci dà una delle cifre dell’autrice, quel non lasciarsi sedurre dall’assordante tam tam dell’attuale e insieme non rimanere distante. Anna Maria Curci è con chi è stato sconfitto e dimenticato, anche perché di tragedia in tragedia, sembra imprimersi nella coscienza di tutti solo l’ultimo evento e sempre per poco. Continua a leggere

“luce spalancata sulla febbre che siamo”

tribunale_menteSu Tribunale della mente di Corrado Benigni

Nota di Chiara De Luca

Nella sua scientifica esattezza, nella sua apparente freddezza, che adombra qualcosa d’inesorabile, fisso, immutabile, il linguaggio giuridico potrebbe sembrare quanto di più distante c’è dalla poesia, che fa della stratificazione semantica, della fluidità del dettato, dell’inesausta traduzione e riscrittura del reale il suo strumento per sovvertire le norme della comunicazione comune, rinominando di volta in volta le cose. In Tribunale della mente (Interlinea, 2012), Benigni riesce nell’impervia impresa d’impossessarsi del linguaggio giuridico, di farne poesia, piegandolo alle norme non-norme del linguaggio poetico, svelandone le debolezze, le crepe, le intrinseche contraddizioni, insite nel fatto stesso di essere linguaggio. Continua a leggere

Tommaso Di Dio, “Tua e di tutti”


Tommaso-Di-Dio (1)Recensione di Giorgio Meledandri

Che la poesia debba ripartire dai giovani è fin troppo facile da sostenere oggi, in un momento storico in cui impera la retorica della novità e della gioventù. Ma è chiaro che essere giovani di per sé non garantisce nulla. Una garanzia per il futuro può venire semmai da quegli autori che, nonostante la giovane età, sanno situarsi in un determinato spazio letterario e contribuire a trasformarlo.

Tra questi c’è senza ombra di dubbio Tommaso Di Dio (1982), e lo testimonia il suo recente lavoro Tua e di tutti (LietoColle, 2014), che segue di cinque anni  l’esordio avvenuto con l’esile ma potentissima plaquette Favole (Transeuropa, 2009) e che è inoltre il primo titolo di una nuova, interessante collana nata dalla collaborazione tra l’editore e Pordenonelegge. Continua a leggere

Paolo Lagazzi, “Light stone”

brullo.lagazzidi Davide Brullo

Non è mai troppo tardi per scrivere un buon romanzo. Paolo Lagazzi ha compiuto 66 anni a marzo 2015  e quatto quatto se ne esce con l’ennesimo colpo da illusionista, «questa piccola storia forse un po’ folle» (parole sue), che ha un titolo in inglese (Light Stone, Passigli, pp.224, 18,50 euro), è stampata da un piccolo, nobile editore fiorentino (Passigli, per cui il geniale Mario Luzi curava la collana poetica), ma si svolge, perfino, in Giappone. Lagazzi, tuttavia, che pure mantiene un cuore naif, non è esattamente un novellino: un passato inquieto da rocker e da prestigiatore di provincia, incassa la tesi con Luciano Anceschi e diventa il custode dell’opera lirica di Attilio Bertolucci, di cui cura tutto il possibile, dal “Meridiano” Mondadori ai fasci di inediti (usciti una manciata di mesi fa per Diabasis comeIl fuoco e la cenere). Continua a leggere

Ewa Lipska, il secondo tempo

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La Polonia è una terra straordinariamente fertile per i poeti”, ebbe a ricordare una volta il poeta russo, Josif Brodskij.
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Nota di Luigia Sorrentino 

Di Ewa Lipska, una delle voci più interessanti della poesia e della letteratura polacca contemporanea, non avevo mai letto nulla, qui in Italia. Ewa Lipska, è invece, una poetessa molto tradotta in varie lingue. Sulla sua vita e sulla sua poesia, i cambiamenti politici che ci sono stati in Polonia e in Europa alla fine degli anni Ottanta, hanno avuto un’influenza determinante, anche se la sua poesia, non è catalogabile come “Poesia della Polonia”, ma come poesia che travalica il confine della terra natale.

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Alessandro Pancotti, “Le iniziali”

Alessandro-Pancotti-Le-iniziali-copertinapiatta-194x280Nota di Alberto Pellegatta

«Ma noi tutti siamo senz’altro vuoti. Siamo vuoti nel momento stesso in cui ci troviamo in società oppure ci dedichiamo alla cultura. Sì, perché la cultura stessa non è certo nient’altro che l’incarnazione della vanità. La cultura deve essere vacua. E chi rinuncia in tutto e per tutto alla vanità è perduto, oppure sacrifica se stesso», con questa citazione da Robert Walser inizia il libro d’esordio di Alessandro Pancotti, trentenne milanese vincitore del Premio Maconi e del Premio Camaiore. Una raccolta, Le iniziali, che si incentra sul tema dell’identità, indagando a fondo «il rincuorato lui». La poesia di Pancotti colpisce per la sua freschezza e per la capacità di scavo sul linguaggio. Le sue immagini sanno creare attrito: parola e soggetto si fondono e provano, rischiando, a costituire un’unità. Continua a leggere

Le storie di Guido Monti

                                                          
                                                          
Nota di Alberto Pellegatta
Il titolo del nuovo libro di Guido Monti, Fa freddo nella storia (Stampa, Varese 2014) proviene da un testo di Giorgio Caproni che continua così: «Voglio andarmene. Dove / anch’io, col mio fucile scarico, / possa gridare: Viktoria!». È con questa premessa che l’autore ci porta davanti al grande«fondale della storia». Il discorso si apre su una realtà inquieta, in disfacimento, per «grattare quel vuoto» e raggiungere una «fina liberazione», una fine «sempre più vocativa».
Sono i paesaggi di Rosai e Morandi, della grande pittura «nostrana»: una «stradina ingoiata / dalla festa», la «furia del malore», i «platani a cornice». Continua a leggere

Mario De Santis, La polvere nell'acqua

 
de_santis_coverE nascere di nuovo ragnatela o pioggia
di Chiara De Luca
Su La polvere nell’acqua di Mario De Santis (Crocetti 2012)
L’acqua è uno dei soggetti più affascinanti da osservare, ma è anche uno dei più sfuggenti e sorprendenti. Ritrarla fedelmente per come appare, o per come il nostro sguardo interiore la vede e vorrebbe rappresentarla, è una delle sfide più ardue. L’acqua non sta ferma un secondo, muta da un istante all’altro, si trasforma. Nell’acqua, sulla sua superficie, così come nei suoi abissi, avviene sempre qualcosa, qualcosa muore, qualcosa nasce, qualcosa si metamorfosa e origina altra vita o agonizza in un ibrido di vita eternamente quiescente. La polvere che si deposita sull’acqua non resta ferma, si sparpaglia e ricompone in nuove forme, traccia nuovi disegni. Perfino l’acqua stagnante non è mai ferma come sembra, ma accoglie un mondo brulicante, un movimento incessante. Anche il fango sul fondo forgia e disfa di continuo l’informe. Continua a leggere

La realtà nella poesia di Mario Benedetti

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Nota di Luigia Sorrentino 
Perché credo fermamente che l’opera di Mario Benedetti sia di un valore unico nel panorama della poesia contemporanea? Perché leggendo la sua poesia ci troviamo di fronte a un nuovo modo di vedere la realtà, necessario a chi intenda raggiungere una definizione compiuta della nostra condizione nella nostra epoca.
Il mondo reale che questo poeta ci mostra fin da “Umana Gloria” (Mondadori, 2004) – un’opera che riassume e condensa tutto il suo lavoro precedente pubblicato in plaquettes – trova la sua peculiarità e la sua forza nello sperimentare, attraverso la parola, il limite della realtà, una realtà che il poeta stesso definisce “ammalata”. Questa caratteristica la ritroviamo in tutti i suoi lavori di poesia, “Pitture nere su carta” (Mondadori, 2008), “Materiali di un’identità”, (Transeuropa, 2010), e anche nell’ultimo, “Tersa morte”, (Mondadori, 2013). Continua a leggere

Paolo Ruffilli, Variazioni sul tema

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Nota di lettura di Franco Dionesalvi
Con questo libro in forma antologica Variazioni sul tema (Aragno Editore, pp. 360, € 12) Paolo Ruffilli ci consegna un’opera ampia, articolata, generosa; che contiene composizioni sue già note e ne aggiunge di nuove, venendo a costituire un insieme organico e foriero di stimolanti accostamenti, smistamenti polisenso, ulteriori ramificazioni e significazioni.
Nella sezione “La notte bianca” colpisce la riflessione su temi e sollecitazioni impegnativi e talvolta inquietanti, eppure svolta con semplicità, con una franca immediatezza qualche volta addirittura disarmante (ancorché ingannevole, perché il doppio senso, il rimando, il consapevole inganno è sempre in agguato). Del resto “la memoria cede / annaspa e caracolla”.  Si noti l’uso delle rime: “un sentimento/…/ perduto prima di averlo conquistato/ e delirato”: quel che nella tradizione poetica era combaciamento, allineamento, consolazione, qui invece è spiazzamento, depistamento, ulteriore sollecitazione della mente e dei sensi. Continua a leggere

Elena Salibra, "Nordiche"

 
 
JOB02414SALIBRA_COVERRecensione di Luigia Sorrentino
“Indugiano i sogni sulla soglia del sonno” scrive Elena Salibra in una delle poesie contenute nella sezione eponima del suo nuovo libro, “Nordiche” (Stampa, 2014), con prefazione di Maurizio Cucchi.
Questo libro, forte ed elegante,  esprime il segno di una vitalità estrema, talvolta anche giocosa, ironica, e, al tempo stesso, traccia con il sangue, un dolore estremo e incancellabile. Due opposti coesistono nell’opera della maturità di Elena Salibra e trovano compatibilità in un perenne contraddittorio.  “Nordiche” sono le città, dove “una notte di intensa luce rischiara”. Terre sulle quali si vorrebbe sostare, nel maggio inoltrato,  ma non si può, non è dato, il viaggio deve proseguire, è necessario avanzare, raggiungere il confine,  dove quasi sempre è buio e vi è solo il chiarore del ghiaccio a illuminare il cammino. Stiamo per raggiungere una terra lontanissima, dove non c’è più alcuna forma di vita apparente: gli enormi ghiacciai del mare glaciale Artico, sono attraversati dal riverbero di una solitaria e pallida traccia di sole. Lì tutto si trasforma in un cristallo, compatto e muto, e  la memoria – ciò che eravamo – si iberna, paralizzata nel tempo.
Con una  lingua leggera e lirica che ha perduto la gravità dell’esistere, l’autrice dèvia, abbandona, frantuma più volte, la linearità del “discorso” di ogni singolo componimento, per scivolare sempre più sul terreno instabile e precario della condizione umana che preme nel costato. Continua a leggere

«NOOSFERA – MUSEUM»

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Fotografie di Ilaria Scarpa
Terza tappa per il progetto «Noosfera» di Fortebraccio Teatro, la formazione composta da Roberto Latini, Gianluca Misiti e Max Mugnai, che proprio in questo formato trova la sua espressione più distillata, ovvero nella cifra dei monologhi di Latini – uno dei migliori attori della nostra scena – che restano tuttavia “quadri viventi” costruiti a tre sguardi.
«Museum» è il quadro più allucinato dei tre, e forse quello che mette in scena il paesaggio più desolato. Parlo di “paesaggio” perché l’ambizione di Noosfera sembrerebbe essere quella di tracciare un panorama della condizione umana odierna, dove pure quando i riferimenti sono legati alla letteratura, al cinema, ai classici del teatro, è facile leggere in controluce l’Italia di oggi e la sua geografia di macerie umane e morali. Se «Lucignolo» è un chiaro riferimento al paese dei balocchi, un orizzonte di disimpegno che luccica ma nasconde un destino di schiavitù, «Titanic» porta con sé la metafora del viaggio verso il nulla dove ancora e nonostante tutto si continua a ballare. Il punto di contatto tra i due è la voglia di fuga, quella radicale in Lucignolo – che è forse la sua pulsione più positiva – e la direzione del Titanic verso un’America ipotetica e irraggiungibile. Continua a leggere

Giovanni Agnoloni, "Partita di anime"

 
partita-di-anime-di-giovanni-agnoloni-0Nota di Marino Magliani
Non sapevo cosa significasse spin-off – tanto bene non l’ho capito ancora adesso -, ma durante una presentazione di Partita di anime (Galaad, 2014) [LINK: http://www.galaadedizioni.com/partita-di-anime/], alla libreria Bonardi di Amsterdam mi hanno insegnato che spin-off significa “costola di“… E, nel nostro caso, Partita di anime lo è di Sentieri di notte (Galaad, 2012) (LINK: http://www.galaadedizioni.com/sentieri-di-notte/].
Il libro è composto da due racconti, ambientati in due luoghi diversi, ma le cui atmosfere sembrano nascere dalla stessa sorgente. Una specie di introduzione fa da cerniera e lega le due storie. Un’altra cosa, che avverrà in un futuro neanche troppo lontano, lega a sua volta i racconti: la fine del sistema, ossia la fine dell’era internet. Continua a leggere

Gandolfo Cascio, su "Olimpia"

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Il compito del poeta è quello di darci la mano
di Gandolfo Cascio
Ολυμπία è la città che organzizzava e dove si svolgevano i giochi olimpici. Olimpia era, però, anche sede di templi e teatri, fatto che testimonia che fu anche luogo di culto e di una certa importanza culturale. Il locus è, cioè, allo stesso tempo un luogo chiuso, conclusus, ma anche aperto ad accogliere chi arriva da fuori – purché con uno scopo bene preciso –. Certo che Luigia Sorrentino è consapevole di questa realtà e pare che vi si sia avvicinata con determinazione e senza insolenza. Già da una prima lettura si nota come l’approccio sia cauto e rappresentato in forma di ‘progresso’, dell’avanzamento verso, e attraverso, degli spazi reali: ‘L’antro’; ‘L’atrio’; ‘Il giardino’; ‘Il lago’. Questi luoghi si attraversano in modo, diciamo, orizzontale, per poi superarne i confini per poi scendere (‘La discendenza’). Continua a leggere

Alessandra Frison, "Le ore della dispersione"

 
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Letture

Nota di Tommaso Di Dio
Un fermo resoconto della vita, di una vita a bassa voce è quello che ci propone il libro di esordio di Alessandra Frison. Nelle sue due ante – Gli assaggi generali e Le ore della dispersione – si raccoglie quanto questa giovane poetessa ha scritto nei suoi primi anni di maturità; ne possiamo saggiare l’avanzamento, la progressione, l’approfondimento in una scrittura che davvero poco lascia all’impensato e nulla concede a chi cerchi nella poesia un ozioso leggere. Di tempo c’è n’è poco; e la scrittura della Frison chiede che il lettore si situi nella parola al punto nevralgico dell’esistenza: ciò che vive è ciò che muore. Sensim sine sensu, gradatamente e senza che ce ne avvediamo, siamo tutti immersi in un alone di dissipamento costante, rallentato; una dilapidazione minima e continua si inscena dietro le quinte di ogni nostra azione, di ogni nostro credere, di ogni nostro sentire. Come il calore dai corpi, le ore del giorno ci lasciano attraverso un procedere sinuoso, di cui noi siamo spettatori a volte protagonisti, a volte lasciati ai margini delle nostre stesse azioni: siamo “la più incerta finestra sul mondo”, oppure “un lascito magro alla curva di un bancone”. Continua a leggere