Gian Mario Villalta, “Bestia da latte”

A undici anni, in pochi mesi può finire l’infanzia. E i tradimenti che ci sembra di subire a volte li cerchiamo, oppure li inventiamo, per consentire a un’altra età di avere inizio.”

Gian Mario Villalta

Vengono da un mondo lontano i ricordi che si sprigionano nella mente del protagonista di questo romanzo nel momento in cui apprende della morte di uno zio un tempo molto amato e poi altrettanto detestato. Per la precisione – se poi davvero precisi possono essere i ricordi dell’infanzia – vengono da un piccolo paese del Nordest, durante gli anni Sessanta, quando la coda del boom economico inizia a cambiare le abitudini e i comportamenti. È l’epoca in cui «le stalle hanno cominciato a puzzare» e «gli animali – così come la terra – sono diventati materia per la produzione industriale». Ma a tornare alla mente del protagonista sono soprattutto i momenti vissuti insieme al cugino Giuseppe. Perché è proprio il complesso rapporto fra i due a segnare, forse più di ogni altra cosa, la sua infanzia. Un rapporto fatto di grande complicità ma anche di violenza e di paura: sentimenti, questi, che non lo hanno più abbandonato, né mai è riuscito a sciogliere nella loro aggrovigliata natura. Oggi, il bambino di allora, arrivato alla soglia dei sessant’anni, si chiede le ragioni di quella violenza sorda, cupa, marcio frutto di altra violenza. E si chiede se la sua vita, senza quelle vicende ormai lontane, sarebbe stata diversa. Gian Mario Villalta, narratore, saggista, poeta tra i più significativi della nostra letteratura, con Bestia da latte scrive un romanzo intenso e potente, una storia di famiglia e insieme di formazione. Continua a leggere

Maurizio Cucchi, “Prypiat”

Maurizio CucchiNota di Luigia Sorrentino

Nel giorno del suo 70esimo compleanno, Maurizio Cucchi, maestro della poesia contemporanea,  offre, a questo blog, “Prypiat”, una prosa poetica inedita. In questo testo l’autore sembra ricondurci a quella che potremmo definire, la seconda fase della sua produzione poetica, che ha avuto inizio con la pubblicazione della raccolta “Vite pulviscolari” (Mondadori, 2009).

Cucchi recupera qui, ancora una volta, l’elemento temporale dell’infanzia: “Il cortile delle mamme” che abbiamo trovato in “Malaspina” (Mondadori, 2013)  diventa il cortile del collegio dei padri Salesiani, con un rimando alle vacanze trascorse dal protagonista con la famiglia, al Miramare di Rimini, (l’autore ce ne parla nel romanzo “La maschera ritratto”, Mondadori, 2011). Continua a leggere

Tamara Kamenszain, L'eco di mia madre

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“E il cuore quando d’un ultimo battito / avrà fatto cadere il muro d’ombra / per condurmi, Madre, sino al Signore, / come una volta mi darai la mano […]” scrive Giuseppe Ungaretti nella sua indimenticabile poesia alla Madre. Ed è all’Ungaretti del Taccuino del vecchio che Tamara Kamenszain chiede aiuto per cantare lo sconfinato dolore derivato dal taglio delle radici, della definitiva separazione che la lascia orfana dell’alterità che l’ha generata e la contiene.
L’eco di mia madre sembra nascere dalla confluenza di una polifonia di echi, che ne fanno canto corale, come spesso avviene nella poesia della Kamenszain. Il fiume in piena della voce della poetessa scorre verso la foce del silenzio, accogliendo in sé le voci d’altri poeti – amici e sodali, sconosciuti e distanti – condividendo il viaggio oscuro del tentativo di contenere in parole ciò che ne esonda, per pronunciare la sottrazione, la presente assenza esperita dalla figlia desmadrada dalla malattia, che l’ha privata della madre prima ancora che quest’ultima morisse.
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Antonella Anedda, “Salva con nome”

Nello scaffale “Salva con nome”, di Antonella Anedda
a cura (e di) Luigia Sorrentino
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Le poesie contenute nella nuova raccolta di versi di Antonella Anedda “Salva con nome” Mondadori 2012, (euro 16,00) provocano un’abrasione, una scottatura che brucia sulla pelle viva. Una materia umana – troppo umana – è contenuta nello spazio di questo libro, uno dei più intensi e maturi della sua produzione poetica.
Se qualcuno chiedesse a chi scrive di dare una definizione lapidaria a “Salva con nome” direi “questo è un libro sulla morte”, ma sarebbe una definizione sommaria, sbrigativa, detta per spaventare e togliermi di torno l’interlocutore e per rimanere sola con il segreto di questo libro. Perché quando la poesia raggiunge un livello di consapevolezza così alto, diventa materia pericolosa da gestire per i non addetti ai lavori. E allora provocherei volontariamente l’allontanamento del lettore comune dalla poesia di Antonella Anedda. Continua a leggere