Carlo Bordini, “Gustavo”

Carlo Bordini

INTERVISTA DI LUIGIA SORRENTINO
Roma, 5 luglio 2006

 

A distanza di due anni dalla realizzazione dell’intervista a Carlo Bordini sul suo romanzo “Gustavo, una malattia mentale” (Avagliano 2006), riprendo e pubblico nel mio blog l’intervista che era stata pubblicata a mia firma sul sito di RaiNews.it nella rubrica LIBRI a cura di Cristina Bolzani.

Una piccola cellula trotskista o il domiciliatario dell’Illusione. Questo è Gustavo di Carlo Bordini. La sua goffaggine, il suo linguaggio diretto, a tratti anche folle, è la rivalsa nei confronti del proprio vissuto, ma anche verso chi oggi rappresenta il Potere. Per Gustavo gli Altri, quelli che hanno conquistato il diritto di camminare sopra il pavimento, hanno li il Potere, il diritto di Esserci. Gustavo il mondo lo guarda dall’esterno, anzi, da un piccolo foro che gli permette di vedere il grigio del mondo, ma anche i colori…

L’intervista

 

Marco Maugeri ha detto che il suo libro è un capolavoro. Ha definito Gustavo un Trattato sull’illusione. Per Maugeri lei è uno dei più grandi scrittori surrealisti. Maugeri hja detto anche che il surrealismo di Bordini è il suo candore…

Il giorno prima della presentazione di Gustavo ho visto un lungo documentario su Federico Fellini in televisione. A un certo punto Fellini ha detto: “Io non dirigo il film. E’ il film che dirige me”. Ecco, per quanto riguarda me, posso dire qualcosa di analogo: “Io non scrivo. Io sono scritto”. Il problema è lasciarsi scrivere senza opporre ostacoli di c carattere intellettualistico, senza porre rigidità, rinunciando al dover essere, ma abbandonarsi all’essere. Forse il mio candore dipende dal fatto che quando ho scritto Gustavo, non sapevo assolutamente cosa stavo scrivendo, e soprattutto non cercavo di scriverlo bene. Lasciavo che il flusso venisse e io “fossi scritto”, scritto da qualcosa che usciva dalla mia testa senza porre difficoltà.

In Gustavo lei racconta la storia di un’ossessione amorosa con un linguaggio di confine, tra realtà e irrealtà. Ma in Gustavo lei sostiene anche, più in generale, l’impossibilità di alcuni rapporti umani.

Gustavo è un libro che smonta pessimisticamente l’idea che si possano avere rapporti fraterni con gli amici, con le donne con cui si è stati. Mostra e sostiene anche l’impossibilità di una certa educazione civile, politicamente corretta.

Flaubert, ne L’educazione sentimentale, con una ferocia veramente grande, fa a pezzi il mito dell’amore romantico e ci balla sopra. Flaubert, come tutti sappiamo, racconta la storia di due persone che non riescono a vivere un rapporto. Alla fine lei lei gli dà una ciocca dei suoi capelli, ma questi capelli sono bianchi, perché loro non sono mai riusciti a vivere questo supposto Grande Amore che apparentemente provavano l’uno per l’altro. In Gustavo non si parla del Grande Amore, bensì dell’Utopia : di incontrarsi al mare, dove le teste degli amici sono diventate delle persone, ma anche dell’utopia che si possono avere rapporti affettuosi con le donne che si è amato. Con Marina, ma pure con Olga – un personaggio di donna che appare solo all’inizio e alla fine del libro, e solo al mare, e solo in costume da bagno, dove c’è persino il Grande Vecchio che prende il sole -. Ecco, questa idea che è un’idea politicamente corretta cerco di smontarla. Nell’appendice al libro c’è una frase velenosa che dice di Gustavo che è un intellettuale collettivo.

Intellettuale collettivo in termini marxisti era il partito. Forse questo libro è un velenoso dimostrare che non solo il grande amore non ha senso, ma anche che i nostri affetti, i nostri grandi miti contemporanei, sono senza senso.il sogno di Gustavo, alla fine, è una grande metafora.nel sogno Gustavo incontra le donne che ha amato e gli uomini, i suoi amici, che non sono diventati delle teste, ma delle persone. E a quel punto si crea l’Unità. L’Unità di quello che prima era una frantumazione, del reale e della mente. Però questa Unità è un’utopia. Perché Gustavo alla fine torna nel magazzino delle scope da cui era partito e in cui c’era una scala che portava al mare e la scala non c’è più. Continua a leggere

Umberto Piersanti, il poeta della memoria

poesiafestival 13.Lezione magistrale Umberto Piersanti
photo © Serena Campanini-Elisabetta Baracchi

 

Intervista a Umberto Piersanti
di Luigia Sorrentino
Fabriano 2008

Parlare della poesia di Umberto Piersanti vuol dire, ad esempio,  ritrovare un bambino che viveva nella casa nel fosso sulla collina urbinate… parlare della sua poesia vuol dire ritrovare un mondo arcaico che non è più visibile…

“Oggi, se ci fai caso, non c‘è un solo fiordaliso nei campi di grano.
Ne ho trovati pochi sulle Cesane, in un campetto vicino a una casa e mi hanno dato il senso di un tempo antico…  Mi sono anche immaginato che la luce della stella che vediamo oggi in realtà ‘è partita’ qualche migliaio o milione di anni fa. Ecco, la luce di quella stella è come la luce dei miei bei campi, che fissa per sempre in cielo e tra gli alberi della terra, i protagonisti di questa mia antica vita.”

L’ispirazione poetica di Umberto Piersanti arriva dalla madre. E’ corretto?

Io sono un poeta ultra-tradizionale, e non mi vergogno di esserlo. Io ho solo vissuto in un mondo antico. In un mondo dove, per esempio, il mio bisnonno, mi faceva dei racconti di questo tipo: ‘Sai Umbertino cosa mi è successo oggi? Andavo giù per il fosso di Caspasso ho visto un cagnotto nero …. cin cin… mi ha fatto compassione e l’ho messo  dentro il bironcio. Santa Madonna non l’avessi mai fatto! Ogni passo diventava più nero e più grosso e dal pelo mandava illlusi lampi! Allora gli ho detto: – Ma tu sei il diavolo! – L’ho frustato, gli ho dato una frustata, allora lui ha messo le ali ed è volato dietro il monte della Conserva”.
Mi raccontava queste cose come per dire ‘Ho preso un caffè con un amico… sono andato a spasso…’.

Il mondo antico del quale lei parla viene trasformato nei versi dal ricordo…

Questa campagna dove io badavo alle pecore a otto-nove-dieci anni, con il bisnonno che morì a cent’anni, o poco gli mancava, un mese o forse più… Io vivo in questo mondo antico che il ricordo trasforma perché come dice un personaggio del mio romanzo ‘Una volta passati sogni e ricordi sono la stessa cosa’. Continua a leggere