Michael Kruger, Il coro del mondo

Protagonista della scena culturale tedesca e austriaca e attento lettore di letterature straniere, fra cui l’italiana e l’israeliana, Michael Krüger è un nome di primo piano nella lirica tedesca, insignito dei più prestigiosi premi nazionali. In italiano è già apparso come poeta, saggista e narratore. Il coro del mondo (Mondadori 2010 (euro 15), tratto dall’antologia tedesca “Archine des Zweifels” (2001), dalle raccolte “Kurz vor dem Gewitter” (2003), “Unter freiem Himmel” (2007) e dalla recente “Ins Reine” (2010), è un itinerario in una poesia vicina e comprensibile, estranea alla mistica della parola ma con la grande liederistica romantica alle spalle. Kriiger è un malinconico, un “amico della morte” che tende l’orecchio al “cantico dell’inanità” ma fa parlare il visibile – la natura viva, acque, boschi e animali ora tangibili ora alieni -, gli uomini in perenne ricerca di giustificazioni e anche un suo io che dice cose che non si aspettava di dire. Inatteso per noi anche il suo ironico ma cordiale “undicesimo comandamento”: “non morire, / ti prego”. E la storia? Per l’ironico, per l’irridente non conta granché, e meno ancora conta la grandezza: “Una mucca pascola davanti alla casa / l’ultima di una fila di mucche. / Una loro antenata, bianco-marrone,/ fu presentata a Napoleone, / poco prima che incontrasse Goethe a Weimar”.

Questa raccolta, curata da una poetessa e traduttrice come Anna Maria Carpi, comprende versi pubblicati in Germania tra il 2000 e il 2010: essa presenta perciò al pubblico italiano nel modo finora più ampio e articolato la poesia di un autore che si caratterizza per l’asciutta esattezza intellettuale della sua pronuncia e per l’efficacia della sua meditazione in versi, capace di coinvolgere i temi più diversi con ironia e tensione al tempo stesso.

Come vanno le cose

E’ tutto tranquillo. Non è successo niente.
L’errore si scoprire il mondo lo rimpiangiamo da un pezzo.
Ogni colpo di vanga, ogni osso ritrovato, ogni speranza dissepolta:
la loro inefficacia è dimostrata da un pezzo. Le rovine
si edificano su progetto, anche questa una vecchia soluzione per dopo.
Sulle macerie artificiali abitano famiglie, accanite
a distribuire foto a colori: istantanee senza garanzia.
Si parlava di una piccola lista di obiezioni,
ridicolaggini, non mette conto di parlarne: non mette conto
comunque d’interrompere gli altri.

Tutto è tranquillo. Non è successo niente.
Le piccole ferite sanguinano come al solito, i ritardi
non hanno motivo. In altre parole, in altro modo,
detto altrimenti: il caso ne esce di nuovo vittorioso,
la ragione è battuta: nemmeno questo
le si vede addosso. Il suo profilo si è fatto più morbido
da quando parla solo di se stessa, i suoi occhi sono
più accademici, ogni sua uscita è facilmente scusabile.
E’ uno spasso diabolico starla a guardare: le soavi
drammatizzazioni della sua indifferenza.

E’ tutto tranquillo. Non è successo niente.
I sentimenti si sono fatti meno vistosi, era da aspettarselo, l’odio,
si è mutato in invidia. Non vi eccitate,
niente storie, niente malinconie: il finanziamento dell’apatia
è assicurato. L’export si sta riprendendo. La vita
è ora capace di miglioramento, finalmente
gli sforzi sono valsi la pena. Al museo, indifese,
le timide ambizioni dei passati:
a ognuno si fa chiaro come il sole su cosa si è infranta la storia.

Non è successo niente. E’ tutto tranquillo.
L’alfabeto è di nuovo in uso, le tabelline,
il dialogo ha congiuntura. I vecchi cappelli,
le vecchie profezie, i vecchi fenomeni: tutto
sembra nuovo. Ognuno da ieri ha la chiara sensazione
di esserci. Ognuno si presenta bene. Ognuno guarda ognuno
con interesse. Le conversazioni balbettanti
sono ammutolite, tutto scorre, fluisce, gli intimi
deragliamenti non ci sono più. L’oscuro è stato eliminato:
aforismi descrivono il mondo con mortale chiarezza.

da Il coro del mondo, Mondadori 2010

Michael Krüger, sassone, è nato a Wittgendorf nel 1943 ed è cresciuto a Berlino. Attualmente risiede a Monaco, dove dirige la casa editrice Hanser e la rivista “Akzente”.
Poeta e romanziere, in Italia ha pubblicato le raccolte Di notte tra gli alberi (2003) e Poco Prima del temporale (2005). Fra le traduzioni italiane delle sue opere ricordiamo Perchè Pechino (1987), Il ritorno di Himmelfarb (1995), La fine del romanzo (2000), La violoncellista (2002) e La commedia torinese (2007).

Giorgio Vigolo, il tempo del ritorno

 

Con il suo libro “L’eremita di Roma” Vita e opere di Giorgio Vigolo (Fermenti Edizioni 2010, euro 16) Magda Vigilante si concentra sulla scrittura creativa di Giorgio Vigolo che la porta a disegnare il tracciato del poeta e del prosatore per consegnare al lettore un ritratto assolutamente inedito dello scrittore. La Vigilante, forte della conoscenza delle carte vigoliane, traccia una prima e documentata ricostruzione della biografia dell’autore che è – soprattutto – biografia intellettuale, che colloca Vigolo sullo sfondo dell’ambiente culturale romano del primo e del secondo dopoguerra, seguendone il tartto a partire dall’infanzia fino alla piena maturità.

 

“Spesso mi capita di chiedermi perché Giorgio Vigolo tardi ad avere il seggio eminente che gli spetta nel Parnaso letterario del nostro Novecento. Avrà certo inciso, in vita, il suo carattere esigente, una consapevolezza del proprio valore che dai tanti critici militanti e dirigenti editoriali distratti o superficiali (tanti ieri, ancor più oggi) poteva scambiarsi per alterigia. Ma certo, a quasi trent’anni dalla sua morte, la causa va ricercata altrove. Innanzitutto, nella vastità della sua cultura e nella poliedricità della sua scrittura, in tempi in cui la cultura profonda è merce rara e di poliedricità si pavoneggiano giornalisti e tuttologi. Quale faccia del prisma vigoliano non basta da sé a diffondere una luce cristallina? La sua poesia, così visionaria e solitaria, così controcorrente, moderna insieme e classicamente restìa al facile avanguardismo? La sua mirabile traduzione del potente Holderlin? La sua prosa d’arte e i suoi racconti, stesi in punta di penna, ma una penna intinta di un inchiostro nero e lucente che non si trova nei minuziosi calamai di certi rondeschi? La musicale prosa del critico musicale? La sua acribìa filologica e interpretativa, nel saggio e nel commento all’opera di Giuseppe Gioacchino Belli, penetrato negli abissi della psiche come nei risvolti dello stile?” […]

dalla Prefazione, di Pietro Gibellini

Il ritorno di sera

Un silenzio m’invita
di perduti sentieri
a un alto prato ove fra i monti sola
mi sorprende la sera: e come chiudo
in me lo sguardo a contemplar intento
vedo nel buio cuor sorgere un’alba
e illuminarsi un ignorato mondo:
dentro di me nascondo un altro cielo.
E par che il sole che nei boschi cade
e brune lascia le contrade e i monti,
in me stesso rinasca ad albeggiare…
e non tramonti
Anima senza tempo in te mi perdo.
Dal profondo m’attiri
come incantato specchio
ove per quanto io miri
non vedo l’ombra del mio viso umano;
ma nei tuoi gorghi affiora
un paesaggio arcano
che di sé le cangianti acque colora.
Così veduto ho un’altra volta ancora
le foreste sul mare
piegar nell’ombra le ispirate fronti,
mentre i ghiacciai sui nuvolosi monti
ardean sospesi come organi d’oro
nell’alba d’antichissimi orizzonti.
Di memoria in memoria alle perdute
vite del cielo tornare mi sembra,
e su laghi di larghi argentei fiori,
quanto più si rimembra
l’anima di que’ suoi lontani albori.
E sento ormai che del corporeo mondo
ogni apparenza trema e si dilegua;
questa è la soglia estrema
ove il pensiero degli umani è spento;
qui d’un alto spavento io provo il gelo
e, se tornare anelo,
non so la via che riconduce in terra.
Dal nodo delle membra si disserra
lo schiavo, sciolto; e si ritrova in cielo.
Ma più grata, al riaprir gli occhi, la cara
terra che amiamo e le borgate e il fiume
che il moribondo lume
della sera d’autunno in se trattiene
e con purpuree vene
l’ultima luce per le valli sparge.
Caro viso di donna anche ritrovo
sulle fidate soglie
della casa serena;
e quasi gli occhi inumidisce il pianto
se sull’amata bocca e sulle chiome
bacio l’antica pena
e il ritrovato incanto
della vita serena.

“Sono rari gli autori italiani del Novecento che si siano interessati a svariate attività culturali come Giorgio Vigolo, il quale unì alle sue qualità di poeta e narratore anche una profonda conoscenza musicale – messa a profitto nelle cronache musicali scritte per giornalie e riviste – una notevole perizia filologica che gli permise di curare per primo, nel Novecento, l’edizione critica dei Sonetti del Belli e doti di fine traduttore che utilizzò nella traduzione di vari autori stranieri, tra cui il poeta tedesco Holderlin. Egli svolse nella sua vita un’attività instancabile, provando però sempre il rincrescimento di non vedere mai pienamente apprezzate dai contemporanei le opere prodotte in tanti anni di assiduo esercizio letterario al quale si era affiancata anche la critica musicale a partire dal secondo dopoguerra.
Non è facile, quindi, ricostruire il complesso itinerario vigoliano non solo per l’estesa produzione artistica che attraversa quasi l’intero secolo ma soprattutto per la grande varietà degli argomenti affrontati dall’autore. Per tale motivo si è deciso d’esplorare solamente l’attività creativa, compiendone un’analisi critica raffrontata anche alle vicende esistenziali di Vigolo. A tale proposito un contributo fondamentale è offerto dalla consultazione dell’esteso Archivio dell’autore conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma – L’Archivio, notevole per la sua completezza, fu acquistato nel 1989 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali dall’erede M. Berardinelli ed è stato ordinato e catalogato dalla scrivente – dove sono documentati, oltre alla genesi delle singole opere, anche gli episodi, gli incontri e le amicizie che costellarono la lunga vita di Vigolo.
L’autore, infatti, ha disseminato numerose tracce per consentire ai futuri studiosi la ricostruzione dell’intera vicenda umana e artistica. D’altra parte, nella produzione narrativa e poetica è ricorrente il tema della memoria che assume un significato quasi sacro. Egli infatti non solo ricollegava ad antiche esperienze numerosi testi poetici e narrativi, ma aveva anche conservato in modo quasi ossessivo remote testimonianze della sua infanzia, dei suoi genitori e delle loro famiglie e dell’ambiente culturale e sociale dove era cresciuto nella sua città natale, Roma, dalla quale si allontanava solo per brevi viaggi.
Per comprendere pienamente la sua arte è necessario compiere con lui il viaggio a ritroso nella sua vita fino ai più antichi ricordi che maggiormente hanno contribuito a definire la sua personalità e la sua ‘topografia poetica’.”
Magda Vigilante

Il mondo sottosopra di Marc Chagall

«Un uomo che cammina ha bisogno di rispecchiarsi in un suo simile al contrario per sottolineare il suo movimento» così come «un vaso in verticale non esiste, è necessario che cada per provare la sua stabilità». È questo il mondo “sottosopra” immaginato da Marc Chagall (1887 – 1985) raccontato in una eccezionale esposizione a venticinque anni dalla sua morte. Dopo il grande successo riscosso al Musée National Marc Chagall di Nizza, che l’ha prodotta e ospitata fino ad ottobre, l’esposizione “Chagall. Il mondo sottosopra” arriva al Museo dell’Ara Pacis di Roma dal 22 dicembre 2010 al 27 marzo 2011. In mostra circa 140 opere tra dipinti e disegni, alcuni dei quali inediti, provenienti da collezioni private, dal Musée National D’art Moderne Centre Georges Pompidou e dal Musée National Marc Chagall di Nizza.
L’evento, a cura del Direttore dei musei nazionali del XX secolo delle Alpi-Marittime Maurice Fréchuret e della Responsabile delle collezioni al Musée National Marc Chagall Elisabeth Pacoud-Rème, è promosso da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali e organizzato dal Musée National Marc Chagall in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.

Sottosopra. Il mondo capovolto di Chagall

di Maurice Fréchuret

“L’osservazione di una qualunque opera di Marc Chagall rivela immediatamente gli aspetti singolari racchiusi nel suo universo pittorico.
Personaggi provenienti da un’altra epoca che abitano spazi insondabili, animali trasfigurati in incroci di specie diverse, architetture raffazzonate, teatro di scene di vita quotidiana che costituiscono altrettanti spettacoli incantati: ogni dipinto dell’artista dà modo di contemplare un mondo a soqquadro, non necessariamente a causa di catastrofi o tragici sconquassi, bensì sulla scia dell’incanto e del piacere. Un motivo in più per accettare senza opporre resistenza di farsi rapire dalle tele di Chagall è che ognuna di esse racchiude episodi in cui anche gli esseri umani, gli animali, gli oggetti raffigurati sono stati trasposti, trascinati, traghettati, cosicché le loro immagini – messe sottosopra – si sono allontanate dal porto sicuro delle verità contingenti. I dipinti si aprono spesso e volentieri su paesaggi compositi in cui gli elementi, sfidando la legge di gravità, roteano senza meta e trasgrediscono le norme dell’ordine classico cui soggiace solitamente qualunque raffigurazione. Sono insomma il frutto di una visione unica del mondo, mondo in cui, come l’artista stesso precisa, ‘un uomo che cammina ha bisogno di un contrario contrapposto per definirne il movimento’ e ‘un vaso che sta in piedi non esiste, bisogna che cada per dare prova della sua stabilità’. È, propriamente parlando, un universo capovolto quello che Chagall illustra, un mondo in cui ‘Il tempo ha rotto ogni argine’, per riprendere il titolo di un quadro degli anni trenta, nel quale fidanzati e mariti, rabbini e musicisti, orologi a pendolo e carri, asini e galli, e il pittore stesso, così spesso autoritratto, si cimentano in audaci acrobazie, alla maniera dei circensi, i quali pure sono un soggetto che l’artista ama raffigurare.
Quando, nel 1937, Marc Chagall ottiene la nazionalità francese – mentre i suoi quadri vengono staccati dalle pareti dei musei tedeschi e tre di essi vengono proclamati ‘arte degenerata’ -, l’artista realizza un grande dipinto che intitola La Révolution (‘La rivoluzione’).

È Chagall stesso a tagliare questa tela nel 1943. Le tre parti risultanti da questo smembramento in seguito vengono rielaborate a più riprese dopo la seconda Guerra mondiale. Attualmente sono accostate in forma di trittico e conservate al Musée national Marc Chagall di Nizza . Disegni preparatori e schizzi servono a impostare una scena complessa in cui si mescolano numerosi elementi appartenenti al consueto universo poetico dell’artista, ma anche – fatto più sorprendente – figure in cui si declina una vera e propria sintassi politica. Difatti, nell’angolo superiore sinistro prende corpo una folla compatta di personaggi muniti chi di armi, chi di bandiere rosse; lo slancio che la porta dal basso verso l’alto della tela pare legittimare il titolo del quadro. Questo concentramento di individui mossi dal fervore rivoluzionario segna già un primo scarto rispetto all’abituale doxa iconografica: alcuni animali variamente ibridati e una scena che evoca l’universo circense costituiscono un tentativo di introdurre la parte destra della tela, ancora più aperta alle associazioni d’immagini arbitrarie e alle composizioni estrose. Un gruppo di musicisti circonda un disco colorato che, come fosse una pista da circo, accoglie un trombettista ribaltato e un uomo accorpato, nel senso letterale del termine, al suo violoncello. Una bandiera rossa interseca la scena. Al suo interno sono iscritti gli emblemi della rivoluzione proletaria, falce e martello, anch’essi capovolti. In basso a destra, si di un tetto-letto sono presenti numerosi personaggi, tra cui una coppia abbracciata, un neonato e vari altri soggetti. Un ebreo munito di un fagotto sembra voler raggiungere lo spazio centrale dell’opera, dove è raffigurato un tavolo, posto tanto in evidenza da occupare la scena principale della composizione.Vi è seduto, un gomito appoggiato al tavolo, un rabbino che regge la Torah tra le braccia e porta il tefillin in fronte. Sul tavolo è raffigurato anche un personaggio in equilibrio su una mano, coi piedi in aria. Un’osservazione più accurata di quest’ultimo permette di individuare i tratti caratteristici dei ritratti di Lenin: baffi, pizzetto, occhi dalle sopracciglia accentuate, cappello. La bandiera coi colori francesi, anch’essi ribaltati, sovrasta il tutto sotto lo sguardo di un asino docilmente seduto su uno sgabello.

Malgrado le apparenze, non è facile interpretare tale disposizione di personaggi, oggetti e animali, le cui rispettive cariche simboliche possono entrare in conflitto reciprocamente. Certo, le pietre tombali accanto a cui giace un uomo caduto sulla neve tinta di rosso dal suo stesso sangue sembrano rispondere alla coppia avvinghiata che, dal lato opposto, accompagna i giochi di un bambino. E certamente, il furore rivoluzionario della parte sinistra del dipinto, portatore di violenza e di morte, potrebbe dirsi contrapposto alla scena più placida sulla destra, dove l’amore, la musica e la poesia si manifestano come veri motori del cambiamento. E ancora, sicuramente, il periodo, di intenso inasprimento sociale il cui culmine è rappresentato dal fronte popolare in Francia e dalla guerra civile in Spagna, ricorda senza dubbio all’artista il suo stesso impegno durante la Rivoluzione d’Ottobre e le delusioni cui anch’egli avrebbe dovuto presto far fronte. La rivoluzione si potrebbe dunque interpretare come un’opera dicotomica la cui rigida impostazione in due sequenze distinte e contrarie, potrebbe fungere, da sola, da compendio del pensiero e dei sentimenti dell’artista. Tuttavia, l’osservazione degli schizzi e di altre variazioni sul tema a noi note, può condurci a una lettura leggermente diversa. Franz Meyer, interpretando la postura di Lenin ‘simile all’ago di una bilancia’ come il simbolo dell’ ‘equilibrio delle due metà, delle due rivoluzioni, che costituisce il sogno dell’artista’ apre a una lettura leggermente diversa. Infatti, nei diversi studi realizzati, il personaggio con la posizione acrobatica descritta non è sempre lo stesso. Talvolta assume le sembianze del leader rivoluzionario, ma in un’altra versione ha l’aspetto dell’artista stesso accostato al fianco sinistro di Cristo sulla croce e la cui immagine è di dimensioni più ridotte, come quelle dei donatori sulle predelle o nei quadri antichi. L’intento è dunque quello di interrogarsi proprio su questa successione di personaggi e, quindi, porre delle questioni sulla trilogia politica-religione-arte, cui essa rinvia.

La ‘rivoluzione’, insomma, intesa anche nella sua accezione fisica (roteazione, ribaltamento), si incarna in personaggi dall’identità mutevole posti nel fulcro stesso del dipinto, dello schizzo o dello studio preparatorio. L’immagine del leader rivoluzionario, per quanto risulti sorprendente nelle opere di Chagall, trova così una sua collocazione.
Il rovesciamento radicale di valori condivisi è la chiave di lettura del pensiero rivoluzionario, il quale, nello schema hegelianomarxista, esige il ribaltamento loro e del mondo che li ha generati.
Anche se le interpretazioni successive hanno sensibilmente ridimensionato la portata del pensiero dialettico , le sue parole-chiave conservano intatta la loro elevata carica simbolica. Svolta, bivio, cambiamento, trasformazione, ribaltamento, conversione, sovvertimento, trasmutazione sono tutte nozioni che costellano i testi delle teorie marxiste e, di conseguenza, quelli della vulgata leninista. Il pennello di Chagall le trasforma in singolari immagini dall’impatto visivo dirompente. È l’artista stesso a individuare dei collegamenti: ‘La Russia si copriva di ghiaccio. Lenin l’ha messa sottosopra, proprio come io ribalto i miei quadri’ . Ma una simile risolutezza trova anche altri terreni in cui operare. Nominato commissario delle Belle-Arti di Vitebsk, sua città natale, nel settembre 1918, Chagall organizza immediatamente una grande manifestazione artistica per commemorare il primo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre .
Le strade furono tappezzate di bandiere e numerosi artisti della città e della regione, mobilitati per l’occasione, ebbero modo di partecipare al grande evento. Furono esposte anche le opere di Chagall che rappresentavano figure insolite, che avevano suscitato l’entusiasmo del pittore, la curiosità degli operai, la commozione dei dirigenti di partito: ‘Gli imbianchini, i vecchi con la barba, e anche i loro apprendisti, tutti si sono messi a copiare le mie mucche e i miei cavalli.
E il giorno 25 ottobre, in tutta la città, le mie bestie multicolori sventolavano, gonfie di rivoluzione. Gli operai avanzavano cantando l’Internazionale. A vedere come sorridevano, sono certo che mi avevano capito. I capi, i comunisti, sembravano meno soddisfatti. Perché la mucca è verde? E perché i cavalli volano in cielo?’ .

L’ingenuità dei dirigenti di partito avrebbe presto mutato volto, trasformandosi nelle rigide disposizioni stabilite qualche anno più tardi da Andrej Aleksandrovicˇ Zˇdanov. I principi che fondavano l’estetica del realismo socialista, tra cui quelli che invitavano scrittori e artisti a produrre opere volte a omaggiare il lavoro del popolo e i benefici del Partito, non andavano affatto a genio a Chagall, il quale, pur avendo aderito all’Unione Comunista della Gioventù sin dal 1917, avrebbe persistito nel dipingere le sue mucche, i suoi amanti, i rabbini e i violoncellisti in un movimento che non faceva che travolgerli, sollevarli, rotearli,producendo evoluzioni tra cielo e terra .Una simile iconografia avrebbe trovato presto la collocazione a essa più congeniale: la scena teatrale. E quando nel 1920 Alexis Granowsly, direttore del Teatro nazionale ebraico Kamerny di Mosca, gli propone di lavorare alla scenografia della pièce dello scrittore Sholem Aleichem in programma, Chagall trova lo spazio ideale per svilupparla pienamente . L’Introduzione al Théâtre d’art juif è una delle opere più importanti del pittore. Nel pannello centrale così come nei due pannelli laterali destinati a ricoprire le mura del teatro, i personaggi navigano in uno spazio che, benché fortemente strutturato architettonicamente da linee oblique e curve molto marcate, non riesce a imbrigliarli. Sulla sinistra apre le danze una mucca verde dipinta in verticale, primo elemento di un fregio dove personaggi, animali, oggetti di vita quotidiana e architetture circolano liberamente, in ogni direzione. Un autoritratto del pittore con tavolozza, compare sulla spalla dell’amico Efross, come pure, tre anni prima, su quella della moglie Bella in Doppio ritratto con bicchiere di vino . L’Introduzione al Théâtre d’art juif è un’opera ampiamente autobiografica, non solo perché dà spazio alle persone che lo circondano, ma anche perché l’intero universo di Chagall vi figura, con l’abituale bestiario e gli oggetti che ricorrono nelle sue opere . Le dinamiche in azione nell’insieme dei pannelli raggiungono l’apice assoluto nell’Amore in scena e nel fregio detto Il pranzo di nozze, in cui gli elementi, talvolta al limite del figurativo, danno l’impressione di essere travolti da un turbine che li disperde nello spazio. Alla rinfusa, quel che si riesce a distinguere nel fregio: posate, piatti, bicchieri, coppe di frutta, caraffe e forme di pane sembrano abbandonarsi agli stessi esercizi acrobatici dei personaggi che danzano a testa in giù nella parte superiore a destra del pannello centrale. Costoro sono forse ispirati, come ha suggerito Franz Meyer, dal dinamismo e dall’entusiasmo degli antenati chassidim, la cui comunione con Dio si manifestava molto spesso con e attraverso l’allegra pratica del canto e del ballo.

La cultura religiosa di Chagall è un altro aspetto che può condurre a comprendere la forte propensione al rovesciamento e alla dispersione delle figure che anima tutta l’opera dell’artista. La Torah, anch’essa spesso rappresentata, o la Bibbia nel suo insieme, sono una fonte essenziale per comprendere la sua opera. Così, per esempio, in Genesi la prima immagine descritta è quella del caos, ovverossia l’immensa confusione degli elementi prima dell’intervento divino che li ordina mettendo in opera un processo di separazione: l’acqua e le terre emerse; la luce e l’oscurità; la folla dei viventi nelle acque e nei cieli… Tuttavia l’immagine del continuo peregrinare è quasi sempre associata al popolo ebraico. Numerosi sono gli episodi in cui i protagonisti sono chiamati ad affrontare uno spazio illimitato, propizio a spostamenti e peregrinazioni. L’Esodo racconta per esempio di come il popolo ebraico affronta il deserto per raggiungere la Terra Promessa e, prima di questo, la sua dispersione in Egitto per la raccolta della paglia. Il cammino degli emigranti nelle terre di Canaan fu, secondo i testi, unmomento difficile e faticoso ma, una volta compiuto, divenne per un certo periodo garanzia di equilibrio e stabilità. L’esodo e le numerose diaspore che questo popolo ha dovuto patire per millenni, e che lo hanno condotto ad approdare in miriadi di regioni e paesi in tutto il mondo, trovano una loro collocazione nelle pitture e negli scritti di Chagall. La folla in Mosé percuote la roccia o in Mosè riceve le Tavole della Legge – quadri esposti in permanenza nella Sala del messaggio biblico del Musée national – e quella in fuga dall’incendio in Il cavallo rosso, conservano la memoria degli allontanamenti subiti e delle fughe che la storia, nei suoi sviluppi più brutali, ha spesso reso necessarie. Nel suo libro autobiografico Marc Chagall ricorda: ‘L’esercito avanzava e, di pari passo, la popolazione ebraica retrocedeva, abbandonando le città e i sobborghi’ e conclude, conferendo alla sua arte una missione protettrice, ‘sentivo il desiderio di accoglierli nei miei quadri, per metterli al sicuro’ . Nulla è tanto convincente quanto l’immagine del vecchio ebreo, fagotto in spalla, che appare e scompare nelle opere dell’artista. Provvisto di bastone e di cappello con visiera, protetto dal suo lungo mantello, questo personaggio appare molto di frequente.

Egli solca il cielo di Sopra Vitebsk, si prepara ad attraversare il campo innevato della Rivoluzione, si fa strada nel fondo bianco del Pendolo dall’ala blu, segue il carro affollatissimo della Guerra, per poi proseguire il suo cammino a testa in giù nello spazio rosso del Cantico dei Cantici II. La sua avanzata, solitariama tenace, è una ricerca che mantiene tutto il suo mistero. A meno di individuare, nell’immagine dell’ebreo errante, tanto frequentemente raffigurato nei quadri dell’artista, lo stesso Chagall che, postosi a guardia della memoria di tutti gli esuli, attraversa lo spazio del dipinto come altri hanno attraversato territori e regioni. L’artista rivolge una supplica a Dio, interpellandolo così: ‘Rivelami il mio cammino. Non vorrei essere come gli altri; io voglio vedere un mondo nuovo’ . Colui che cammina è il creatore poiché il suo percorso è invenzione. Colui che cammina è il pittore stesso, come rivelerà Majakovskij a proposito di Chagall, sottolineando, con pertinenza, il senso dello pseudonimo adottato .
Dalla realtà alla tela, numerose sono le possibilità di vagabondare, e, così facendo, di lasciare sgorgare le immagini relative al mondo delineato dai dipinti. Descritte sulla pagina, esse si inseriscono all’istante nel quadro: ‘Accadde che, per via del bel tempo, il nonno si era arrampicato sul tetto, si era seduto sui tubi e si gustava delle carote. Niente male come quadro’ ; ‘E tu, mucchina, nuda e crocifissa nei cieli, sogni’ ; ‘Talvolta la candela sale verso la luna, talaltra la luna scende verso le nostre braccia volando. Anche la strada prega. Le case piangono’ ; ‘Estasiato, coi piedi affondati nel terreno, un maiale trasparente se ne sta qui, davanti a me’ ; ‘Stringo con più forza i corrimani, le mie mani gelano. Io volo e il treno vola con me’ . E se facciamo ricorso alle poesie scritte da Chagall, immagini simili volteggiano verso di noi: ‘Je marche par le monde comme dans une forêt / Sur les pieds, sur les mains, de-ci de-là / D’arbre en arbre les feuilles tombent / Elles me réveillent, j’ai peur’ (‘Cammino per il mondo come in una foresta / Sui piedi, sulle mani, di qui di là / Di albero in albero le foglie cadono / E mi risvegliano, ho paura’); ‘Là où se pressent des maisons courbées / Là où monte le chemin du cimetière / là où coule un fleuve élargi / Là j’ai rêvé ma vie’ (‘Laddove si accalcano case ricurve / Laddove sale il cammino al cimitero / laddove scorre un fiume e s’ingrossa / Là ho sognato la mia vita’).

Come spiega Philippe Jaccottet, che ne ha realizzato la traduzione in francese, le poesie di Chagall ‘ritrovano spontaneamente i grandi temi di cui si nutre la sua pittura’ . La città russa (Vitebsk), gli innamorati, i profeti, i rabbini, lo stesso artista e tanti altri soggetti non nominati che pure appartengono al suo universo. Un universo che, teniamo a sottolinearlo più in dettaglio in questa sede, ritrova nelle immagini del disorientamento la fonte stessa di una ricchezza che si autoalimenta. Per questi motivi l’opera di Chagall ha suscitato l’interesse dei surrealisti, le cui ricerche seppero spesso far posto alle stesse immagini di rovesciamento e capovolgimento . La parola ‘letteratura’ (littérature in francese) diventa ‘eruttaéttil’ oppure ‘lit et ratures’ (‘letto e scarabocchi’…) e i testi contenuti nelle riviste sono altrettanto ‘disordinati’ in quanto le forme del linguaggio sono, agli occhi dei membri del movimento, ancora più forti nel contrapporsi al tradizionale ordine delle parole e all’abituale sviluppo della sintassi. Presso questi artisti, la stessa propensione a sospendere il dispositivo delle rappresentazioni classiche, la stessa tendenza a creare disordine può manifestarsi nella normale percezione delle immagini. La superficie della tela, come quella della pagina, diventa un campo aperto a nuove e fruttuose sperimentazioni, grazie all’introduzione di elementi di dispersione, o alla decostruzione dei codici visivi ordinari, o ancora con l’applicazione di effettive distorsioni delle forme. Il pianeta surrealista è proprio ‘la planète affolée’ (il pianeta impazzito) i cui confini sono stati dilatati, i punti di riferimento cancellati da Max Ernst e tanti altri con lui. L’automatismo della scrittura, la pratica del collage, i dispositivi volti a sparpagliare le immagini e le tecniche di esplosione della forma (tra cui il gioco del cadavre-exquis) hanno largamente contribuito a dipingere il surrealismo come un movimento pronto ad adottare la modalità del rovesciamento per la sua sensatezza poetica. Joan Miró ha fatto ricorso, nelle sue opere pittoriche e, più tardi, nelle sue opere tridimensionali, ad accostamenti casuali di forme o di oggetti, proprio come Max Ernst, le cui composizioni ‘derealizzanti’ si basano su analoghe organizzazioni spaziali.

Il principio del rovesciamento, o della conversione, è attivo anche nei celeberrimi orologi flessibili di Salvador Dalí, o negli oggetti, spesso allungati oltremisura, racchiusi negli spazi illimitati rappresentati nelle opere di questo artista. Stesso discorso per le opere di Yves Tanguy, che l’artista popola di forme minerali e rispettive ombre, che le rendono indubbiamente più concrete, ma tutt’altro che stabili. Le bizzarre creature che popolano le opere di Victor Brauner, gli oggetti aerei liberati dalla legge di gravità di René Magritte (palle metalliche, rocce, sedie, strumenti musicali che fluttuano in cielo…), le forme lisce e biomorfe che costellano i legni di Hans Arp o i dipinti di Miró, tutti questi elementi contribuiscono pienamente alla possente trasfigurazione del reale cui lavora tutto l’insieme di artisti e poeti del gruppo.
Queste posizioni sapranno presto individuare nell’opera di Marc Chagall gli elementi necessari per consolidarsi. La ‘deriva sognante’ che l’artista intende mettere in atto per sé, e nella quale trascina
tutti i soggetti della sua produzione (personaggi, bestiario, oggetti a lui familiari), è in effetti recepita molto positivamente dagli appartenenti al surrealismo, che non si stancheranno mai di sollecitare – inutilmente – l’artista a unirsi ufficialmente al gruppo . Non si sbaglia André Breton quando, nel 1941, nella sua Genèse et perspective historiques du Surréalisme, sottolinea giustamente le proposte innovatrici di Chagall e designa definitivamente il contributo dell’artista come iniziatore dello spirito surrealista: ‘La sua esplosione lirica è datata 1911. A partire da quel momento la metafora, con lui solo, segna il suo ingresso trionfale nella pittura moderna.

Per attuare il ribaltamento dei piani spaziali preparato molto tempo prima da Rimbaud e, al tempo stesso, per liberare gli oggetti dalle leggi della pesantezza e abbattere le barriere che separano gli elementi e i regni, la metafora suddetta nell’opera di Chagall si rivela improvvisamente, su un supporto plastico, nell’immagine ipnagogica e in quella eidetica (o estetica) che sarà scritta solo più tardi con tutte le caratteristiche che Chagall ha saputo conferirgli’ . Non mancano infatti le affinità, e riguardano tanto gli obiettivi quanto i mezzi per raggiungerli. Le immagini del sogno, la loro trascrizione nel quadro, la trasmutazione che implica questo tipo di attività, le metamorfosi riconosciute cui giunge quest’ultima.Tutto avvicina la ricerca surrealista alle invenzioni di Marc Chagall. E tuttavia il legame non sarà per questo più solido, non più di quanto non lo fosse qualche anno prima con altri rappresentanti dell’arte moderna (Malevic, El Lissitzky, Puni…). E questo perché, per Chagall, il lavoro stesso dell’artista deve liberarsi da qualsiasi precetto teorico troppo rigido, sempre suscettibile di limitarne la portata poetica. La sua posizione è semplice, e può essere riassunta con una semplice frase tratta dal suo scritto autobiografico. Frase che gli ha fatto da bussola per tutta la vita: ‘Mi tuffo nelle mie riflessioni e volo al di sopra del mondo’.”

Mimmo Rotella e Alda Merini, atto d’amore

Mimmo Rotella e Alda Merini uniti in un comune ricordo, nella mostra che si inaugura il 18 dicembre nel Palazzo Reale di Milano e che resterà fino al 15 febbraio.
Entrambi ttrovarono infatti, fonte di ispirazione in Marilyn Monroe, tanto che nel 2005 avevano progettato un lavoro comune in cui poesia e pittura convergessero su Marilyn,  uno dei maggiori simboli di bellezza del Novecento.
La Merini e Rotella sono tuttavia scomparsi senza che il loro progetto artistico si concretizzasse. Questa mostra riprende quell’idea, in un percorso che sottolinea come entrambi, (la Merini con alcune sue poesie e Rotella con gli strappi di manifesti cinematografici raffiguranti la Monroe), fossero stati catturati dal mito dell’attrice.
La rassegna si estende inoltre sull’ampia attività dei due protagonisti della cultura italiana ed in particolare milanese, dove entrambi hanno vissuto a lungo e sono morti. Oltre a dieci ‘decollage’ di Rotella  dedicati a Marilyn realizzati dagli anni Sessanta al 2004, ne vengono esposti anche altri venti su grandi lastre di lamiera, come quelle che nella realtà metropolitana vengono usati per incollare i manifesti pubblicitari.
Per la prima volta è anche possibile ascoltare i ‘Poemi fonetici’, composti da Rotella nel 1949.
La figura di Alda Merini è approfondita da proiezioni di sue poesie, tra le quali dieci inedite, e filmati sulla sua vita.
In primavera la mostra sarà portata a Catanzaro, dove è nato ed è sepolto Mimmo Rotella. L’iniziativa rientra in un programma di collaborazione culturale tra le Regioni di Lombardia e Calabria.

www.mostrarotellamerini.it

Le midolla del male

Nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Fondazione Toti Scialoja, costituita il 19 maggio 2000 per volontà testamentaria di Gabriella Drudi e in ottemperanza dei desideri di Toti Scialoja (Roma, 1914 – 1998) sono stati istituiti un Premio per la poesia e un Premio biennale per i linguaggi artistici.

Per la prima edizione del Premio per la poesia il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, su indicazione di Paolo Mauri, ha deciso di assegnare il premio al poeta Emilio Zucchi per il suo poemetto Le midolla del male edito da Passigli.

Giuseppe Conte, nella prefazione al volume scrive: “Emilio Zucchi non ha paura di raccontare. Di piegare una ispirazione potentemente lirica alla disciplina della narrazione. Della sintassi. Della ragione. È un momento di poesia compiuto e solenne. Di tensione etica severa e dolcissima. Di cui sono grato a Emilio Zucchi, che si conferma qui poeta di grande tempra stilistica e spirituale”.

Il premio verrà consegnato giovedì 16 dicembre alle ore 18,00 all’Accademia di San Luca a Roma (Piazza dell’Accademia di San Luca, 77). Nel corso della manifestazione, dopo una lettura dei propri versi da parte del poeta vincitore del premio, verrà ricordata l’opera poetica di Toti Scialoja.

Emilio Zucchi è nato nel 1963 a Parma, dove vive. Ha pubblicato le raccolte poetiche Il pane (Campanotto, 1994, recensito da Giovanni Giudici su l’ “l’Unità”), Il pioppo genuflesso (prefazione di Mario Luzi, Diabasis, 2001), Tra le cose che aspettano (prefazione di Maurizio Cucchi, Passigli, 2007; finalista nello stesso anno ai Premi Viaraggio-Répaci e Cetonaverde Poesia) e, nell’ottobre del 2010 edito da Passigli, il poemetto storico Le midolla del male, ambientato nel 1945-’44 a Firenze, Roma, Parma, Milano e incentrato sulle figure del torturatore fascista Pietro Koch e di Anna Maria Enriques, partigiana cattolica toscana seviziata e uccisa dagli aguzzini in camicia nera.

XXXIII
Anna Maria, Anna Maria Enriques:
questo è il mio nome, Pietro Koch, ricordalo.
Ero già morta quando tu salivi
verso Milano per aprire un’altra
Villa Trieste, peggiore della prima,
perchè è sempre peggiore il male fatto
per la seconda volta. Quando vidi
i tuoi occhi, quel giorno, nelle camere
delle torture, dove fuoriuscivano
dal mio corpo le linfe della vita,
dove per giorni e giorni fui tenuta
in piedi con le scosse
elettriche, tenuta sveglia, e il sonno
mi tormentava; quando
vidi i tuoi occhi, io vidi, come specchi
moltiplicati a mille nel riflettersi,
tutto l’inganno del possesso, tutto
l’errore che comprime il mondo, tutto
il mentecatto tempo delle cose
chiuse dentro le cose sotto un sole
smunto di sete. Arno, padre di carmi,
infuse in me silenzi lunghi e assorti,
quando i libri mi accolsero ragazza,
e mi furono amici, mi ascoltarono;
poi, molti anni più tardi,
una goccia brunita del suo scorrere
si mescolò a una goccia del mio sangue,
portata dal Mugnone suo affluente,
presso il quale la vita mi fu tolta.
Tu, Pietro Kock, non sai quanta bellezza
c’è in un fiore di campo, in un cortile
con le lenzuola stese, nel diario
di una ragazza timida, nel vento
sopra l’erba ingiallita… Tu non sai
l’immensità di un treno in lontananza
e di una latta arrugginita accanto
a due bimbi che giocano; non sai,
non sai, non sai… Io ero morta da un anno,
la sorte di Tamara Cerri, andasti
a consegnarti in questura: la cella
per te e il processo e la condanna a morte,
in cambio della sua liberazione.
Ora prego per te, perchè quel gesto
in te sia stato amore,
e non superba, vanagloria. Infame
e ripugnante ti ricordo; eppure,
io spero che alla tua interiore tenebra,
smisurata di male,
d’amore una scintilla sia sfuggita
eternamente. Pietro,
io spero quel bagliore, propagandosi
fino alla foce attonita del tempo,
lampo d’eternità, lampo, divenga,
nullificando il tuo inferno. Io ti aspetto.

da Le midolla del male di Emilio Zucchi, Passigli Edizioni
www.fondazionetotiscialoja.it

Asta record per memorabilia poeti francesi

Una collezione di quasi 200 opere, fotografie, manoscritti e stampe intorno a tre figure emblematiche della poesia francese, Arthur Rimbaud, Paul Verlaine e Stephane Mallarmé, è stata venduta all’asta per 1,5 milioni di euro da Sotheby’s a Parigi. Ad essere proposti sono stati in tutto 180 lotti provenienti dalla biblioteca di Eric e Marie-Helene B., due collezionisti anonimi, che comprendono, tra l’altro, anche i contemporanei dei tre poeti, Oscar Wilde, Tristan Corbiere, Alfred Jarry o Villiers de L’Isle-Adam. Frutto di quarant’anni di collezionismo, precisa la casa d’aste, il fondo ha offerti pezzi scelti con grande cura: rilegature d’epoca, documenti autografi, manoscritti, fotografie originali e disegni.

Il prezzo più alto è stato pagato per un manoscritto autografo di Mallarmé, battuto a 96 mila e 750 euro.

La collezione attraversa anche la mitica storia d’amore tra Rimbaud e Verlaine con lettere e documenti che testimoniano le loro relazioni affettive. Venduta all’asta per 39 mila e 150 euro anche la lettera che  Oscar Wilde scrisse all’amante Alfred Douglas, lettera che il padre del giovane presentò al processo contro lo scrittore.

Tra i protagonisti della vendita ci sono anche pittori e musicisti con libri illustrati da Gustav Klimt, Edouard Manet, Maurice Denis, Pierre Bonnard o Paul Signac. Senza dimenticare l’unica lettera d’amore che il Doganiere Rousseau invierà alla futura moglie, accompagnata da una foto con dedica del pittore nel suo studio, stimata tra i 15 mila e i 20 mila euro. Gli amatori potranno anche scoprire un raro ritratto fotografico di Richard Wagner, scattato a Parigi prima di una sua rappresentazione.

Paola F. Febbraro, ‘Al giusto verso’

“Quando Brunella Antomarini mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul rapporto tra la poesia e i sensi, le ho risposto proponendole di fare degli incontri che avrei registrato e poi trascritto.
Quello che Brunella Antomarini mi diceva a riguardo mi interessava e mi stimolava molto. Anch’io, come lei, volevo saperne di più. Per questo alla fine, dopo aver tentennato per un anno intero attorno a diverse soluzioni su come utilizzare il materiale, ‘illuminata’ da un ultimatum tipografico, ho deciso di trascrivere integralmente (o quasi) questi ‘dialoghi’, avvenuti in tre incontri: dal dicembre del 1999 al febbraio del 2000. Ho lavorato al testo per rendere scorrevole ‘la lingua parlata’ togliendo o aggiungendo, ma sempre rimanendo fedele al modo in cui i dialoghi si erano sviluppati, i ‘contenuti’ dei nostri dialoghi. Ho voluto lasciare anche quelle che ho titolato come ‘Appendici a registratore spento’ dove, ritrovata una certa forma di intimità, mi sono lasciata andare a sintesi più ‘libere da orecchie indiscrete’. Le Appendici sono state possibili grazie agli appunti presi da Brunella Antomarini. Nota: nel terzo e ultimo incontro mi fu offerta una Tequila. Incautamente. Forse.”
Paola F. Febbraro

Dicembre, primo incontro
Brunella Antomarini
La teoria dello Ione di Platone dice che i poeti sono anelli di una catena. Ognuno si attacca al precedente e si trasmettono le poesie, uno con l’altro fino ad arrivare allo ‘spettatore’.
Una poetessa americana, Susan Stewart, ne dà un’interpretazione più psicoanalitica. In un suo saggio riporta la ricerca di uno psicoanalista che racconta come certi pazienti, per esempio, facciano delle azioni del tutto inutili e si chiede come mai; sono come compulsioni che si scoprono legate a quelle che un antenato compiva con un motivo preciso; c’è n’è uno che vuole fare il geologo e vuole spaccare le pietre, però sente che in quest’azione c’è qualcosa che lo riguarda profondamente e scopre che suo padre o suo nonno spaccava le pietre, nel senso che era stato mandato ai lavori forzati e poi morto nei campi di concentramento; per cui questo spaccare le pietre era connettersi all’azione di qualcun altro. L’azione di qualcun altro penetra dentro di lui e lei dice che allo stesso modo nella voce del poeta c’è quella del poeta precedente, come dice Platone. La voce è come un magnete. Ecco perchè questa voce del poeta prende – lei usa un’espressione bellissima – ‘una traiettoria difficile’. La traiettoria difficile consisterebbe nel ritmo, nel verso o anche in questa voce, che, come dici tu, non è mai una voce qualsiasi, ed è una voce che viene dal corpo, è somatica. Tu ascolti il poeta e poi questa voce viene dentro di te e tu la ripeti a qualcun altro e un altro e così via; questa voce che deve essere solenne, ritmica perchè fa parte di altre regole che non sono solo quelle della semplice comunicazione, una voce che deve essere assimilata dal corpo e non dall’apparato simbolico. C’è allora una specie di domanda: perchè noi dovremmo avere bisogno di questa voce? Perchè gli esseri umani si sono costruiti questo grande abito di parlarsi per queste voci, come se non ci bastasse un solo tipo di comunicazione, quella ordinaria.

Paola F. Febbraro Per bisogno di conoscersi. Tutti.  Ma adesso qualsiasi risposta mi sembra insufficiente, in altre parole più complicata del necessario. Potrei dirti che il linguaggio poetico è il linguaggio capace di far compartecipare emozione e memoria. Ed è attraverso l’emozione che il ricordo può diventare nutrimento e strumento per qualsiasi presente.

Brunella Antomarini Ma tu usi dei versi, non parli così… tu hai bisogno del verso giusto per dare un inizio e una fine al flusso di parole. Questa ritmicità allora è solo uno strumento? E’ strumentale solo al fatto che io l’assimilo meglio?

Paola F. Febbraro Il ritmo, la lunghezza del verso deve tentare di riprodurre la mia energia, il mio fiato, direi quasi il tempo di ricezione dell’emozione. Stendo la misura del mio respiro. Ho un pensiero limpido e poi ho bisogno di fermare il senso… perchè c’è anche il senso. Le parole hanno un significato e il significato più avanti si va più ‘pesa’, perchè una parola se ne porta appresso tanti, è carica di significati di altri ‘sistemi’: politici, storici, giuridici, anche letterari e quindi quella parola potrebbe significare qualcosa di diverso da quello che io vorrei liberare. Vorrei che la parola portasse soltanto quello che nomina oppure soltanto se stessa. Quella parola allora potrà anche sorprendermi.

Brunella Antomarini Deve essere sorprendente la parola del poeta?

Paola F. Febbraro La parola nella poesia non deve essere sorprendente, casomai deve essere capace di suscitare ‘meraviglia’ che vuol dire vedere il mondo e se stessi da un punto di vista ‘diverso’, mai esplorato prima. Quando scrivi una poesia quello che scrivi è come se fosse lì per la ‘prima volta’. […]

Appendice a registratore spentoLa parola sia come suono che come segno era parola magica.

 

Il linguaggio è potente, capace di violenza. Una parola di guerra è di per sè violenta. La pubblicità della lotta al cancro, per esempio, è scritta in un tono così violento… Cioè dice che c’è una guerra contro il cancro ed è questa guerra che fa venire il cancro. L’anima interiorizza le parole, per questo la lingua poetica non è solo questione di tecnica e di tradizione. Il poeta ha anche una responsabilità, perchè una poesia è un organismo, è un ‘oggetto particolare’ riproduce un percorso di esplorazione e conoscenza. Con una certa parola io continuo da una parte e non da un’altra. Se decido di non usare il tu e di scegliere l’io è perchè in quel punto è un tu così generico, direi così neutro, che confonde. La poesia è sciamanica, capace di ‘guarire’. Perchè una poesia guida a un’esperienza d’entrata e di uscita che tu stesso hai fatto, tu fai entrare al primo verso e fai uscire all’ultimo. E’ testimonianza di un’esperienza che può essere rivissuta. Per questo il poeta ha la responsabilità di non confondere se stesso e il lettore. La poesia manda al giusto verso il sentire. Il verso è il giusto verso, se confonde manda al verso sbagliato il sentire. Qui il verso sta ad indicare anche una direzione, un orientamento. Il ritmo, la versificazione, la tradizione, evitano che si vada in una direzione qualunque.

Gennaio, secondo incontro

Brunella Antomarini C’è una differenza tra scrittura e oralità? Noi ormai apprendiamo attraverso la poesia scritta e la riproduciamo per iscritto. Mi sembra che le due cose possano anche essere due cose diverse, o no? Se non sono diverse dobbiamo ridurle a qualche cosa che hanno in comune? Oppure l’una è soltanto quella che viene dopo l’altra, la scrittura viene dopo l’oralità? Comunque noi ci riferiamo anche solo inconsciamente alla sonorità, anche se usiamo la scrittura, oppure c’è una sinestesia per cui noi usiamo tanto l’una quanto l’altra, tanto l’orecchio quanto l’occhio?

Paola F. Febbraro La parola scritta fa sempre riferimento al Canto ma ne è privata proprio perché è scritta. Oggi dopo Rilke, che è stato l’ultimo che ha toccato il Canto, scrivere poesia è aver perduto il Canto. Il Canto è la cosa perduta della poesia, perché se tu scrivi non canti. Questo estremizzando e l’estremizzazione serve in quanto spinta etica alla ricerca, alla chiarezza, all’essere sempre presenti al proprio lavoro. Bisogna essere più tranquillamente chiari: la perdita del canto non è una cosa che distrugge la poesia ma è una cosa che io quando scrivo debbo sapere. […]

Appendice a registratore spento

Essere poeta vuol dire essere visibile e invisibile insieme: il poeta, essendo esso stesso strumento della propria arte, si porta appresso se stesso dovunque vada. Croce e delizia.

Bisogna avere così cura del proprio essere strumento che l’autodichiarazione pubblica di essere poeta provoca l’identificazione con qualche cosa che non gli appartiene. Il lavoro è più interiore. Mi sento poeta perché mi sento in amicizia con altri poeti prima di me. E questa amicizia reclama una forte ‘intimità’, una forma di segretezza.

I campi semantici della parola. Per esempio ‘serena disperazione’. Io ho riconosciuto la mia genealogia poetica, seguendo questa parola in quel campo ed escludendone altri. Con ogni parola puoi fare un percorso oppure un altro. Per esempio ape. Ape, così presente nelle poesie di Emily Dickinson. Quando scrivo ‘ape’ evolvo quel ronzio e non un altro. Ape ora per me è diventata intelligenza femminile così piena di passione anche fisica, anzi, di desiderio. Così come me l’ha trasmessa Emily Dickinson, e poi anche Amelia Rosselli. La uso come ponte per viaggiare, come vero e proprio strumento di ricerca. Se l’ape attraversa certi significati, attraversa certi ponti, mi porterà in altri campi. Mi prendo la responsabilità di usare ape in modo da continuare l’esperienza di quel poeta. Per fare questo devo prima di tutto essere capace di riconoscenza verso Emily Dickinson. E in un certo senso essere riconoscenti significa anche andare avanti, non ripetere lei. La riconoscenza passa anche attraverso una certa commozione. Mi commuove chi per la prima volta porta una parola in un altro campo o la dà così: nuda e cruda. Mi spinge a curare me stessa come strumento della poesia. Mi commuovo perché so quanto è costato scrivere in quel modo. Nella commozione apprendo. Cerco di avere cura di questa mia commozione, non me ne lascio annebbiare ma ne assimilo l’insegnamento che è: sii libera di continuare a lavorare.

Un ringraziamento particolare a Brunella Antomarini, Franca Rovigatti e Maria Teresa Carbone per aver ‘portato in luce’ nel corso degli incontri di PoEtiche 2010 questo discorso sulla poesia di Paola F. Febbraro, pubblicato da Il Cannocchiale, N.1, gennaio/aprile 2002 qui riportato solo in un piccolo frammento.
Luigia Sorrentino

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=ggpt4BI8sVA[/youtube]

Franco Buffoni, “Laico alfabeto in salsa gay piccante”

“Laico alfabeto in salsa gay piccante. L’ordine del creato e le creature disordinate” di Franco Buffoni (Transeuropa Edizioni, 14,00).
Si tratta di 56 voci, due per ogni lettera dell’alfabeto, con cinque inserti saggistici di più ampio respiro a fare da collante a una tesi di fondo: perché non possiamo parlare di omosessualità senza chiamare in causa ateismo e scienza? L’obiettivo è liberarsi dal retaggio biblico, in virtù del quale si ritiene che un “creatore” abbia voluto generi e specie così come sono, immutabilmente: l’ordine del “creato”. Da lì nasce il pregiudizio anti-omosessuale (assente nel mondo greco-latino) che descrive gli omosessuali come coloro che ostacolano la “volontà divina”.

«Quali sono le cause dell’omosessualità? Questa è la domanda che – almeno dal 1973 – non dovremmo più porci. Nel 1973, infatti, l’associazione americana di psichiatria cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie. Da allora le cose cominciarono lentamente a cambiare per le nuove generazioni. Se è una malattia deve avere una causa. Se non lo è, smette di doverla avere. E se si ammette che un individuo su dieci è omosessuale o bisessuale, ad ogni nascita si dovrebbe sempre ritenere di avere 10 probabilità su 100 che il nuovo nato sia sessualmente orientato verso il proprio sesso. Dunque, smettiamola di chiederci che cosa sia l’omosessualità e cominciamo a porci solo domande conoscitive, culturali, descrittive: come si manifestava nei tempi bui l’omosessualità? Come si manifesta oggi?» […]

«Per secoli si pensò che la condizione dei mancini fosse “innaturale” e si cercò di correggerla, di “guarirla”. Furono oggetto di grandissima ostilità. E anche per loro – poi – si fece l’elenco dei grandi uomini, artisti o condottieri, che lo erano o lo erano stati. Anche per loro si sfoderarono percentuali: si dice che fossero (e che siano) attorno al quindici per cento, mentre gli omosessuali sono quotati al dieci. Oltre cinque milioni di italiani, secondo le stime Eurispes. L’analogia potrebbe proseguire con la categoria dell’ambidestro, che varrebbe il bisessuale. Mi domando: in Italia siamo ancora a questo punto? Chi decide che cosa è naturale e che cosa non lo è? Gli scienziati, i deputati dell’Udc, il comune buon senso? Padre Georg?»
Franco Buffoni

Domenica 5 dicembre alla 18,00 al Circolo Mario Mieli, in via Efeso 2/A  di Roma (Metro B San Paolo Basilica) presentazione di “Laico alfabeto in salsa gay piccante. L’ordine del creato e le creature disordinate” nella collana “marginiafuoco” ideata da Marco Revelli e Marco Rovelli. 

Ne parleranno con l’autore Tommaso Giartosio, Gianfranco Goretti, Francesco Paolo Del Re, Andrea Maccarrone.

Franco Buffoni ha pubblicato importanti raccolte poetiche per Guanda, Mondadori e Donzelli. Dirige il semestrale “Testo a fronte” ed è autore dei romanzi Più luce, padre (Sossella 2006), Reperto 74 (Zona 2008) e Zamel (Marcos y Marcos 2009).

“Più libri più liberi”

 “Piu’ libri più liberi”, la Fiera nazionale della piccola e media editoria giunta alla nona edizione al Palazzo dei Congressi di Roma si svolge quest’anno dal 4 all’8 dicembre. Sono 430 le case editrici indipendenti che espongono 16 mila titoli esposti nel corso di un programma che prevede oltre 300 eventi e 700 ospiti. www.piulibripiuliberi.it

 Come è ormai tradizione, in Fiera avviene la premiazione dei vincitori del Premio nazionale di poesia “Quaderni di Linfera” e la presentazione dell'”Antologia 2010″, presenti alcuni membri della giuria, da Maria Luisa Spaziani a Elio Pecora, da Dante Maffia a Angelo Sannelli (Mercoledì 8, ore 11 – Caffè letterario). Torna anche il Diario Almanacco “Il segreto delle fragole 2011”, viatico per il nuovo anno attraverso i versi di tanti poeti, molti presenti in Fiera, da Francesco Artuso a Marzia Spinelli (Domenica 5, ore 19 – sala Diamante) e anche la “Agenda 2011” della poesia (Mercoledì 8, ore 14 – sala Turchese). Tra i poeti presenti in fiera anche Michele Ferrara Degli Uberti, con i versi di “Epifania dell’ombra” con Giuseppe di Costanzo, Mimmo Liguoro e Giuliano Montaldo (Lunedì 6, ore 19 – sala Rubino). Paolo Di Paolo e Elio Pecora parleranno invece di “Attorno a questo mio corpo”, titolo che è un celebre verso di Amelia Rosselli, poetessa divenuta, a 14 anni dalla sua morte, ormai quasi un classico (Domenica 5, ore 19 – sala Ametista).

Il rubino del martedì

 

 

 

 

 

 

 

 “Il Rubino del martedì”, di Francesca Serragnoli (Raffaelli Editore, 10,00 euro)

Offrire del pane a una statua
(dal film “Marcellino pane e vino”)

Ci vorrebbe proprio tutto
il tempo di cucire un bottone.
Quel fermarsi
in quel punto della camicia
su e giù con l’ago
e il filo lungo che va in alto e scende.
Quell’andare al di là e tornare, basterà?

Il viaggio di una madre
il puntino luminoso della sua mano
che dal cielo scende
e sale un filo tra le dita
sembra attraversare niente.

Io ti avevo stretto la mano
nella panca della chiesa dei Servi
sentivo che piangevi
non sapevo come ricucire
il fiore sdraiato del tuo respiro
con tutte quelle radici al vento.

Io ti aspetto sotto la pioggia
con l’ombrello azzurro
e la gonna di capodanno
aspetto l’auto nera, l’inseguimento
la prima parola che dirai.

Io ti aspetto sotto la pioggia
e non ho nemmeno freddo.
Ogni tanto mi sembra
che muovi la porta a soffietto della cucina.
Lo so che ci sei,
sono quella con l’ombrello azzurro
con la riga dei cani sotto gli occhi
simile ai fiumi della terra
nel volto guardato dalla luna.

Francesca Serragnoli è nata a Bologna nel 1972, dove si è laureata in Lettere Moderne. E’ membro direttivo del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna ed è redattrice di ClanDestino.

La sua prima raccolta di poesie, Il fianco dove appoggiare un figlio è uscita nel 2003 (Poeti di ClanDestino).
Suoi testi sono apparsi nelle antologie I cercatori d’oro, a cura di Davide Rondoni (Forlì La Nuova Agape, 2000), Novissima poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi (Mondadori, 2004), La stella polare a cura di Davide Brullo (Città nuova, 2008), Jardines secretos, Joven Poesia Italiana, a cura di E. Coco (Sial, Madrid, 2008).

www.raffaellieditore.com

Tu lasciami essere uno stelo

La diagonale / libreria di Roma di Luca Bellocchi nell’ambito della mostra di Giosetta Fioroni Fogli in forma di libri ed altre carte per Paul Celan presenta Tu lasciami essere uno stelocinque incontri di poesia a cura del critico Fabrizio Fantoni, con Luigia Sorrentino, Valentino Zeichen, Elio Pecora, Emilio Zucchi e Jacopo Ricciardi. Ogni serata porta il titolo di un testo di Celan e di un’opera della Fioroni esposta in libreria.

Scrive Giosetta Fioroni: “Per queste mie esili opere (fogli piegati in forma di libro) ispirati volta a volta a un solo verso, a più versi, o al titolo di una raccolta, ho adoperato una serie di elementi tutti riconoscibili nella loro fisicità, legno, specchio, piume, sassi, capelli (veri), aghi di porcospino, ecc. ecc. Un approccio, oltre l’idea di leggere, di decifrare, nel tentativo di avvicinarsi, di…”andare”, toccare, stabilire un intimo contatto.”

La mostra, Fogli in forma di libri ed altre carte per Paul Celan , inaugurata mercoledì 24 novembre alla diagonale/Libreria, sarà allestita sino al 15 gennaio 2011.


Programma
mercoledi 1 dicembre ore 18:30
“La rosa di Nessuno” con Luigia Sorrentino

mercoledi 8 dicembre ore 18:30
“Marchio di Fuoco” con Valentino Zeichen

mercoledi I5 dicembre ore I8:30
“Filamenti di sole” con Elio Pecora

venerdi 17 dicembre ore 20:00
“Pavavero e memoria” con Emilio Zucchi

mercoledi 22 dicembre ore 18:30
Microliti” con Jacopo Ricciardi

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=xaPV7DQBNqY[/youtube]

Elio Pecora

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=7QAgWA1HRDM[/youtube]

Luigia Sorrentino 

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=zFrcQ2ai2jg[/youtube]

Valentino Zeichen

Emilio Zucchi
 
 
 

 



Jacopo Ricciardi

 

 

 

 

 

 

 

la diagonale / libreria
Via dei Chiavari 75
00186 Roma
tel. 0645432226 – 3334559125

info@ladiagonale

www.ladiagonale.it

Valentino Zeichen, Aforismi d’autunno

Con il suo nuovo libro “Aforismi d’autunno” (Fazi Editore, 2010) Valentino Zeichen sperimenta un genere nuovo, interamente formato da sostanza e pensiero, e da lui stesso definito “intelligente”. Un libro composto pensando ai cambi di colore della natura in autunno, come metafora di una condizione esistenziale. Zeichen unisce alla profondità di un Karl Kraus l’eleganza di un Oscar Wilde nonché la raffinata leggerezza di Ennio Flaiano. Sono infatti questi i principali modelli di riferimento per la raccolta nonché maestri nell’arte di scrivere aforismi, forma per eccellenza di “intelligenza organizzata”. 

Zeichen ragionando unicamente di ciò in cui crede e di ciò che pensa, arriva a un concentrato di parole che appaiono rimescolate in base a una chimica sofisticata che coinvolge prima di tutto la lingua: icastica, spesso oscura, talvolta più limpida, che ogni volta si esprime lasciando fuori i sentimenti. Il risultato è una sorta di ‘autoritratto intellettuale’ in cui è esplicitato il punto di vista dell’autore su temi quali il tempo come inganno, la letteratura come ispirazione, l’inevitabile passaggio delle stagioni. Tante le citazioni presenti fra le pagine e tanta l’autoironia per un’opera caratterizzata da uno stile improntato alla concisione e all’arguzia. Con questo libro, Valentino Zeichen dà prova di grande eclettismo: accanto a testi brevi, composti in un periodo precedente, ci sono testi più lunghi, altri persino narrativi per un piccolo compendio di poetica saggezza.



Valentino Zeichen
è nato a Fiume ma vive a Roma. Dal 1974, anno della prima raccolta di poesie, ha pubblicato diversi libri fra cui Ricreazione (1979), Tana per tutti (1983), Museo interiore (1987), Gibilterra (1991), Metafisica tascabile (1997) e Neomarziale (2006). Un’antologia di tutte le poesie è apparsa negli Oscar Mondadori. Per la Fazi, nel 2000, ha pubblicato Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, raccolta completa di DVD.

da “Aforismi d’autunno” di Valentino Zeichen

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Sono vissuto nei secoli
di due differenti millenni
eppure sono morto.

21
Gli anni sono come docili
cavalli al pascolo
la cui indolenza ci rassicura,
quando partono all’improvviso
al galoppo numerico.

22
Il tempo è un soggetto senza “oggetto”,
perciò la gioventù non lo considera
essendogli, al momento, creditrice.

www.fazieditore.it

L’estrema funzione, di Walter Pedullà

Mercoledì 24 novembre alle 18.00 alla Casa delle Letterature di Roma presentazione del libro “L’estrema funzione. La letteratura degli anni settanta svela i propri segreti” di Walter Pedullà (Edizioni Le Lettere € 35.00).

Interventi di: Franco Cordelli, Andrea Cortellessa e Raffaele Manica.

Sarà presente l’autore.

Casa delle letterature, piazza dell’Orologio, 3 – Roma

www.casadelleletterature.it

www.lelettere.it

“Rito sonoro”, Mariangela Gualtieri

‘Bestia di gioia’ è il titolo dell’ultima raccolta di versi di Mariangela Gualtieri, pubblicata da Einaudi, ed è dalle poesie di questo libro che prende il via quello che la Gualtieri chiama un “rito sonoro”.
La tessitura si basa su un filo lirico, nel quale la natura e le potenze arcaiche della natura sono in primo piano.
“Ciò che non muta/ io canto/ la nuvola, la cima, il gambo/…il coraggio dell’animale nella tana/ quando gli esce il nato fra le zampe…”, senza paura vengono cantate le cose più semplici, con l’intento di riportarle alla loro misteriosa, antica potenza.
Accanto a questo lirismo si osa a tratti un noi accorato, straziato, rotto o severo, esortativo, secondo lo spirito epico delle più vive opere da lei scritte per il Teatro Valdoca.

 

E’ venuto un sonno benedetto
e mi ha stretto nel suo respiro
mollato. Mi ha condotto
insieme a tutti i dormienti
nel posto di buio immacolato.
Come dormivo bene
questa notte! come ristorato
il corpo ride al normale mattino
che a me pare un tale paradiso.
Per questa gioia
è valso non dormire.

Da “Sponde degli insonni” di Mariangela Gualtieri

Programma di Mariangela Gualtieri

4 dicembre 2010
Rassegna “Poesia in città”
presso Teatrino Santuccio -Varese
ingresso gratuito

Bestia di Gioia
lettura di Mariangela Gualtieri

21 dicembre 2010
presso Circolo dei Lettori – Torino (TO)
ingresso gratuito

Verso Caino
incontro con Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri

Lettura di versi e riflessioni intorno al “Caino” scritto da Mariangela Gualtieri per il Teatro Valdoca: i molti temi incontrati, il mistero intuito, il lavoro con gli attori, i vacillamenti, le attese, le guide.
Da tutto questo ha preso vita lo spettacolo omonimo diretto da Cesare Ronconi, al debutto in prima assoluta dal 13 al 16 gennaio 2011 alle Fonderie Limone di Moncalieri – Torino. Il testo – di cui lo spettacolo- è l’ultima opera di Mariangela Gualtieri, in libreria dal 18 gennaio 2011 nella Collana di teatro Einaudi.

Giosetta Fioroni, per Paul Celan


Alla diagonale / libreria in Roma, Fogli in forma di libri e altre Carte dedicate a Paul Celan, una mostra di Giosetta Fioroni dedicata al grande poeta nato in Romania nel 1920 e morto a Parigi nel 1970, forse il maggior poeta in lingua tedesca del XX° secolo. Le opere esposte sono sette libri d’artista e 4 tavole su Carta realizzate a mano.

Per queste mie esili opere (fogli piegati in forma di libro) ispirati volta a volta a un solo verso, a più versi, o al titolo di una raccolta, ho adoperato, dunque, una serie di elementi tutti riconoscibili nella loro fisicità, legno, specchio, piume, sassi, capelli (veri), aghi di porcospino, ecc. ecc. Un approccio, oltre l’idea di leggere, di decifrare, nel tentativo di avvicinarsi, di…”andare”, toccare, stabilire un intimo contatto.”
Giosetta Fioroni

 

Alternando la chiave
tu schiudi la casa dove
la neve volteggia le cose taciute.
A seconda del sangue che ti sgorga
dall’ occhio, bocca ed orecchio
diversa è la tua chiave.

Diversa è la tua chiave, diversa la parola
cui è concesso volteggiare con i fiocchi.
A seconda del vento che ti spinge via
s’aggruma attorno alla parola la neve.

Da “Di soglia in soglia” di Paul Celan

Mit wechselndem Schlüssel
schließt du das Haus auf, darin
der Schnee des Verschwiegenen treibt.
Je nach dem Blut, das dir quillt
aus Aug oder Mund oder Ohr,
wechselt dein Schlüssel.

Wechselt dein Schlüssel, wechselt das Wort,
das treiben darf mit den Flocken.
Je nach dem Wind, der dich fortstößt,
ballt um das Wort sich der Schnee.

 

 
“Paul Celan (nato a Czernowitz, Bucovina, Romania nel 1920 e morto a Parigi suicida nel 1970) è stato forse il maggior poeta in lingua tedesca del XX secolo.
L’amica Ilana Shmueli, incontrata e prediletta negli ultimi tempi della vita a Gerusalemme, ha ben definita la lingua poetica di Celan: “…il suo tedesco incantato, arbitrario, che infrange ogni limite…”.
Figlio unico di una famiglia ebrea, trascorse la giovinezza sotto l’influenza della madre che parla tedesco e lo introduce a poeti come Hölderlin e Rilke. Nel ’42 i genitori furono deportati e uccisi dai nazisti.
Celan si rifugia a Vienna nel ’47, fuggendo dalla Romania; lì il 16 maggio del ’48 incontra Ingeborg Bachmann con la quale ebbe un travagliato amore…poi trasformato in sodalizio. Sempre nel ’48 si trasferisce a Parigi e conosce Gisele Lestrange, che si dedica all’incisione e appartiene ad una antica famiglia francese, nobile e cattolica. Si sposeranno nel dicembre del ’52. Avranno un primo figlio François, morto prematuramente e, nel ’55, Eric. Conosce poeti e scrittori francesi tra i quali Yves Bonnefoy, Henry Michaux, Jacques Dupin, André du Bouchet ma, gli amici più importanti rimangono Ingeborg Bachmann, Nelly Sachs, Franz Wurm, Jenn Bollack, Klaus Demus e Peter Szondi…suoi interlocutori nel discorso sulla poesia.
Negli anni francesci, la totale dedizione alla lingua tedesca, che non abbandonerà mai, lentamente promuove un suo costante patologico isolamento.
Alla fine del ’62 ha un primo ricovero in una clinica psichiatrica. Un secondo, nel ’65, dopo uno scontro violento con la moglie seguito da un ricovero coatto in diverse cliniche. E, ancora nel ’67, aggressione alla moglie e tentato suicidio; Gisele Lestrange chiede, nello stesso anno, la separazione.
Nell’ottobre del ’69 fa un viaggio in Israele, dove incontra Ilana Shmueli, un’amica dell’adolescenza a Czernowitz. Si rinnova un’amicizia e nasce un legame amoroso che durerà fino alla fine-prossima della sua vita.
Vent’anni dopo, Ilana scrive la storia di quei 17 giorni a Gerusalemme insieme a Paul Celan in un bellissimo libro ora tradotto in italiano (Quodlibet, Ilana Shmueli, “Di’ che Gerusalemme è. Su Paul Celan: ottobre 1969-aprile 1970″). Durante questo soggiorno, Celan intravede la possibilità di un cambiamento di vita ma, il ritorno a Parigi, lo immerge di nuovo nella dolorosa Malattia.
Sembra che solo…scrivere poesia, lo tenga ancora in vita.
Il 12 aprile del ’70 scrive un’ultima lettera con una poesia a Ilana Shmueli, la quale percependo…”…l’intensità e insieme la non usuale formalità della lettera…” parte, troppo tardi, per Parigi.
Circa il 20 aprile Paul Celan si getta dal ponte Mirabeau nell’acqua della Senna.
Il fiume restituisce il suo corpo il 1° maggio.”

(di Giosetta Fioroni)

Opere di Paul Celan
Mohn und Gedächtnis Papavero e memoria 1952
Von Schwelle zu Schwelle Di soglia in soglia 1955
Sprachgitter Grata di parole 1959
Die Niemandsrose La rosa di nessuno 1963
Atemwende Svolta del respiro 1967
Fadensonnen Filamenti di sole 1968
Lichtzwang Luce coatta 1970 postumo
Schneepart Parte di neve 1971 postumo
Zeitgehöft Dimora del tempo 1976 postumo

Le fonti che hanno accompagnato Giosetta Fioroni, nel tempo e durante l’estensione delle tavole dedicate a Paul Celan nel 2010, sono:
• 2008, “Paul Celan, Poesie”, Meridiano Mondadori, cura e con un saggio di Giuseppe Bevilacqua (Questa introduzione, come pure le traduzioni delle poesie, rimangono fondamentali per la conoscenza dell’opera e della vita del poeta. L’insieme ha andamento critico…ma anche narrativo, tanto che sembra di leggere un meraviglioso romanzo).
• 2002, “Di’ che Gerusalemme è. Su Paul Celan: ottobre 1969-aprile 1970”, Quodlibet, di Ilana Shmueli (Un racconto appassionante dei giorni passati da Paul Celan in Israele).
• 2005, “Vita a Fronte”, Quodlibet Studio, saggio su Paul Celan di Camilla Miglio (Un importante saggio di grande introspezione del poeta).
• 1976, “Paul Celan POESIE”, Lo specchio di Mondadori, a cura di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco.
• 2010, “Ingeborg Bachmann, Paul Celan. Troviamo le parole. Lettere 1948-1973”, Nottetempo (Edizione italiana a cura di Francesco Maione).
• 2010, “Oscurato”, Einaudi, a cura di Dario Borso, con un saggio di Giorgio Orelli.
• 2001, “Letture Celaniane”, Le Lettere, di Giuseppe Bevilacqua.

Giosetta Fioroni nasce a Roma, dove vive e lavora attualmente, da una famiglia di artisti. Allieva di Toti Scialoja all’Accademia di Belle Arti della capitale, è l’unica donna a far parte della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo, insieme ad artisti come Tano Festa, Mario Schifano e Franco Angeli. Nel 1956 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Ha collaborato inoltre con numerosi scrittori italiani, illustrandone i libri, pubblicato poesie, memorie, fiabe e raccolte di immagini. Le sue opere sono nei principali musei italiani.

La mostra si inaugura mercoledì 24 novembre (ore 18.30) presso la diagonale/Libreria dove sarà allestita sino al 15 gennaio 2011.

la diagonale / libreria
Via dei Chiavari 75
00186 Roma
tel. 0645432226 – 3334559125
info@ladiagonale
www.ladiagonale.it

Orari: martedì – sabato 11-13 15-20

Napoli, Tradurre (in) Europa

Da sempre, materia preziosa di Napoli, è stata la sua posizione geografica. Un territorio dove i confini più sottili s’intrecciano ora nella tragedia, ora nell’incanto. Il festival della traduzione, Tradurre (in) Europa, si svolgerà dal 22 al 29 novembre 2010 nei luoghi più rappresentativi di Napoli: castelli, piazze, librerie, vicoli, palazzi, navi e banchine di una città nuova. Sarà un’occasione per riflettere su questa Napoli che nei secoli si è eretta in uno spazio di commistione, e che oggi si fa simbolo di un incontro proiettato su diverse direzioni, a metà strada tra Oriente, Europa e Mediterraneo.
Intendiamo la traduzione in un senso molto ampio, cercando di dare corpo a molte idee e teorie che dal Romanticismo in poi, ma in maniera più intensa negli ultimi 30 anni, hanno dato corpo a una idea di traduzione come aspetto fondamentale dello sviluppo delle culture. Una traduzione intesa in senso molto ampio: passaggio e metamorfosi di codici che non sono le lingue diverse, ma i linguaggi dei media, dell’espressione artistica, che accolgono e riscrivono temi, miti, figure. Non sono solo le lingue maggioritarie, a livello nazionale e internazionale, ma appunto i dialetti e le lingue minoritarie con le loro ricchissime letterature, culture, visioni etiche. L’Europa storicamente si pone, nel bene e nel male, come luogo collettore e ricreatore di lingue, linguaggi, culture altre. La forza dell’Europa è il suo lavorare spesso ‘di seconda mano’. Il messaggio, anche politico, di una comunità multiforme e multilingue che si ponga non come centro irradiante ma come luogo di passaggi e mediazioni è il punto di riferimento del nostro festival.
In questa ottica L’Unione Europea ha deciso di sostenere e patrocinare il festival, inserendolo nella ricchissima agenda del Programma Cultura 2007-2013, e permettendo all’Università “L’Orientale”, promotrice del progetto, in collaborazione dell’Università di Vienna e dell’Università Paris VIII, di destinare risorse umane e scientifiche alla promozione di saperi che varcheranno il perimetro accademico per interagire con il fervore culturale della città.
La realtà culturale napoletana è di fatto una porta d’accesso a un pensiero d’Europa come luogo accoglienza e sviluppo dell’alterità, soprattutto mediterranea e orientale. Tradurre (in) Europa sarà quindi non soltanto un evento di rilievo internazionale, ma anche un modo per proporre la traduzione (nel suo senso più generale, tra musica, teatro, cinema, fumetto, letteratura colta e popolare) come strumento di lettura della complessa e stratificata identità napoletana.

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Retrospettiva, Marta Jovanovic

Marta Jovanovic, artista internazionale di arte contemporanea, è ad Orvieto Arte con Retroprospettiva a cura di Jovana Stokic dal 14 novembre al 14 dicembre 2010. L’artista ha inserito l’evento nella sua programmazione annuale aderendo, con grande disponibilità ed entusiasmo, ad una proposta fatta da Orvieto Arte recentemente.
Retroprospettiva nasce all’interno del Dance Rehearsal Project, un progetto in corso dal 2008 che è stato realizzato in una serie di mostre e performance nel mondo. Appena rientrata dagli Usa, dove è stata protagonista di un evento artistico negli studios di Marina Abramovic a New York e nella sede dell’Ambasciata Serba a Washington, la Jovanovic espone ad Orvieto i flash fotografici nati dalle improvvisazioni di Shoot Me. In un piccolo palco improvvisato vengono messi a disposizione tutù che vengono indossati da soggetti anonimi che si trasformano in quell’occasione in veri e propri protagonisti della scena. Normali individui dalle sembianze più varie sono, come veri professionisti della danza, al centro delle emozioni dell’artista che spara flash in un contesto quanto mai libero e decanonizzato. Non esiste una storia, non esiste un canovaccio, solo e unicamente la irriproducibilità di un momento da fermare. Anche nei video che accompagnano le fotografie si ripropone l’idea di realizzare e trasmettere un concetto di bellezza assoluto, totalmente svincolato dai dogmi della classicità, laddove il senso estetico del termine trascende la norma determinata e si presenta come poesia artistica. Al contempo non deve sfuggire che, nell’espressione artistica di Marta, la classicità è fonte di partenza in quanto il Dance Rehearsal Project è nato dalle sensazioni suscitatele dalle immagini del sacrificio di una giovane vergine nell’opera di Igor Stravinsky La Sagra di Primavera del 1913. Il carattere del lavoro di Stravinsky risale oltre la civiltà dell’uomo moderno distruggendo l’ordine delle forme tradizionali ed è da questo che Marta inizia a riflettere e a comporre.

La mostra Retroprospettiva propone opere che costituiscono la metafora della figura classica del brutto anatroccolo in cui i protagonisti, danzando ciascuno sul proprio palcoscenico, gioiscono senza dover sottostare ai rigidi canoni delle discipline artistiche.
Il Dance Rehearsal Project da cui nasce Retroprospettiva è un tema classico, quello trattato nella Sagra della primavera di Igor Stravinsky, dove “non c’è nessuna tradizione e nessuna teoria” nella passionalità di svolgimento di un rito pagano. Il progetto vuole rivelare la vanità di ogni aspirazione umana alla perfezione. In tal senso si addice ad una città come quella di Orvieto che, culla di civiltà universali ed antiche, è proiettata verso una modernità ricca di contenuti.

È a queste tematiche che sono ispirati gli scatti fotografici che l’artista Marta Jovanovic ha effettuato tra il 2008 e il 2010, e che sono stati ricompresi nel titolo più ampio di “Fuck art let’s dance”.

La mostra con il patrocinio del Comune di Orvieto e dell’Ambasciata di Serbia a Roma è promossa da Bosi Artes e Orvieto Arte i cui locali sono stati totalmente ristrutturati con un progetto architettonico in linea con la performance artistica.Orvieto Arte Via Monte Cimino 21, 14 nov-14 dic ore 9.00 -19.00 feriali 16.00-19.00 festivi

Entrata gratuita

P.zza della Repubblica proiezione video site-specific 13-14 nov ore 18.00 – 24.00.

Organizzazione e Uff. Stampa Antonella Raparelli
Allestimento Tiziana Barcaroli

Notizia
Marta Jovanovic, artista multimediale nata a Belgrado, si e laureata presso la “Tulane University” negli Stati Uniti. L’impatto più significativo nel suo percorso artistico l’ha avuto negli anni dello studio delle belle arti nel cuore del Rinascimento, a Firenze, dove è stato possibile comprendere i canoni della bellezza e la loro relatività: proprio da questa riflessione nasce il soggetto sul quale basa la sua opera.
Il lavoro di Marta è stato esposto in Europa e negli Stati Uniti, in collaborazione con importanti curatori, come Jovana Stokic, Umberto Scrocca e Achille Bonito Oliva, Simone Verde, che le hanno permesso di esporre le sue opere provocatorie anche in spazi museali molto tradizionali.
Al momento sono in corso eventi dell’artista presso Location One (studio Marina Abramovic) a New York City e presso l’Ambasciata della Repubblica di Serbia a Washington DC. A dicembre l’artista presenterà Shoot me! a Napoli nei quartieri spagnoli in collaborazione con lo spazio Largo Baracche.

Traduzione letteraria e multiculturalità

Il Centro Europeo di studi rossettiani di Vasto (Chieti), in collaborazione con l’Università “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara, promuove l’edizione 2010 del Corso di Alta Formazione in “Traduzione Letteraria e Multiculturalità”.
Nel segno dei Rossetti e della ‘doppia’ matrice culturale – italiana e inglese – in cui loro crebbero e si imposero, il Centro propone un Corso intensivo incentrato sulla metodologia e sulla tecnica della traduzione letteraria.
Il Corso, sotto la direzione di Anthony Molino, pluripremiato traduttore di Letteratura Italiana negli U.S.A., nasce dall’esperienza di gente del mestiere – poeti, scrittori, filosofi e docenti universitari – che attraverso la mediazione interlinguistica ridonano la vita alle parole, dall’espressione più naturale a quella più complessa, che avvicina e permette di esplorare mondi paralleli altrimenti sconosciuti e impenetrabili.
Lezioni a carattere seminariale e laboratori didattici di traduttori di chiara fama consentiranno ai partecipanti l’approccio propedeutico alla ‘lettura’ di un autore, offrendo gli strumenti necessari per la comprensione e riproposizione di un testo nella propria lingua madre. […]

Inserito nel progetto dell’Amministrazione Comunale di Vasto di qualificazione della città come centro culturale della Traduzione e dell’Interpretariato, il Centro rinnova un’esperienza del passato, prefiggendosi per questo come per gli anni a venire di essere punto di riferimento negli studi in materia.

Giovedì 11 Novembre
ore 17:30
Introduzione e Presentazione del Corso
Prof. Gianni Oliva
Università “G. D’Annunzio” – Chieti
Relazione introduttiva
Multiculturalità e Poesia
Lucio Mariani
Poeta e traduttore
Tavola rotonda
Prof. Franco Nasi
Dott. Anthony Molino
Prof.ssa Brunella Antomarini

Venerdì 12 Novembre
ore 9:30
Two Bees or not Two Bees:
tradurre la parodia
Prof. Franco Nasi
Università di Modena e Reggio Emilia
La distanza di Dante:
fortune delle traduzioni dantesche
Prof. Anthony Oldcorn
Brown University – U.S.A.

ore 15:00
Laboratori didattici
Tradurre l’umorismo verbale
nella letteratura per l’infanzia
(laboratorio lingua inglese)
Prof. Riccardo Duranti
Università “La Sapienza” Roma
Affabulazioni:
giochi della traduzione
(laboratorio lingua francese)
Prof.ssa Laura Franco
Università di Roma Tre

ore 19:00
Reading di poesia bilingue
Farfalla e segno
Lucio Mariani – Anthony Molino

Sabato 13 Novembre
ore 9:30
“Tradurre i Rossetti”
Christina Rossetti e i “frutti”
della traduzione
Prof. Francesco Marroni
Università “G.D’Annunzio” – Pescara
Maria Francesca Rossetti
traduttrice e tradotta
Prof. Paolo De Ventura
Università di Birmingham, U.K.
Parlare con Dante Gabriel.
Dal tradurre tenerezza
alla tenerezza del tradurre
Dott. Marco Alessandrini
Psichiatra, psicoterapeuta
Università “G. D’Annunzio” – Chieti

ore 15:00
Laboratori rossettiani
Tradurre “The Germ”:
Dante Gabriel, Christina,
William Michael
Prof.ssa Elisa Bizzotto
Università IUAV – Venezia
Dante Gabriel interprete e traduttore
della lirica italiana antica
Dott.ssa Silvia Ceccarelli
Università “La Sapienza” Roma

ore 18:00
Concerto di Chiusura
Trio di Chitarre “KV”
Vincenzo Tano, Davide Giancristofaro,
Antonello Carusi


Corso Alta Formazione 2010
Traduzione Letteraria e Multiculturalità
Palazzo D’Avalos – Vasto
11-13 Novembre 2010

Paolo Ruffilli, ‘un’altra vita’

Paolo Ruffilli in ‘un’altra vita’ (Fazi, 2010) euro 18,50, sfida la vita e torna a raccontarci la forza delle storie che vorremmo vivere, o che non vorremmo vivere mai.  Storie che non arretrano di fronte a nulla, storie che entrano in altre storie… in brevi frammenti, come avviene nella sua poesia.

Quelli raccontati da Ruffilli sono “amori dentro altri amori”, in una sorprendente costruzione a incastri in cui la rivelazione che sovverte a un tratto il mondo in cui avevamo pensato di entrare ne racchiude, ne prepara a sua volta un’altra, a sua volta inattesa, forse definitiva.

c’è sempre l’attesa e la rivelazione nei venti racconti, che per ognuno si ispira, a un autore prediletto, citato in chiusura. 

Vi proponiamo il primo capitolo del racconto ‘La passione delle idee’ ispirato a Elsa Morante.

I
“Il sole declinava e sopra i prati si andavano allungando le onde della sera. Due file di abeti stretti l’uno all’altro si alzavano come muraglie a formare il viale. Scavalcata la siepe, vi entrarono planando sugli aghi che ricoprivano la terra del fitto strato cedevole al premere dei passi.
“Il giorno che fugge via è un amico che sta partendo, è proprio vero”, mormorava.
Intorno era tranquillo e scuro. Soltanto sulle cime più alte degli abeti tremolava di luce fusa d’oro. Aleggiava, intorno, l’odore di conifere che i passi mescolavano al sapore del muschio e delle felci.
Dove il viale terminava, si dividevano due strade bianche. La più torta e larga fiancheggiava le vecchie piante del frutteto, passando accanto alla casa in pietra con la terrazza e il mezzanino in legno.
Oltre il cortile padronale si vedeva il lago. E, sulla riva opposta, il piccolo villaggio con il suo aguzzo campanile sul quale fiammeggiava una croce accesa dal riverbero del sole del sole che stava tramondando.
“E disperdendosi nei cieli, fuggita via, cacciandosi nell’ombra moriva la giornata”, guardandola, cantava una canzone che gli evocava la visione.
Dietro la casa sotto il tiglio stava il cumulo del fieno, l’ultimo taglio di stagione, già biondo e pieno di gonfiori. L’aroma che se ne andava sprigionando fondeva insieme l’amaro e il dolce di fiori ed erbe lasciati lì per giorni a fermentare.”

da: ‘un’altra vita’, di Paolo Ruffilli (Fazi, 2010)

Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Ha pubblicato alcune raccolte di poesie, tra le quali Piccola colazione (1987), che ha ottenuto l’American Poetry Prize, Diario di Normandia (1990), Camera oscura (1992), Camera oscura (1992), Nuvole (1995), La gioia e il lutto (2001), Le stanze del cielo (2008) e i racconti di Preparativi per la partenza (2003).

Michael Cunningham, ‘Al limite della notte’

E’ in libreria dal 20 ottobre l’ultimo romanzo di Michael Cunningham ‘Al limite della notte’ (traduzione di Andrea Silvestri, Collana Narratori Stranieri, Pagine 280, Prezzo € 17,50).

Il romanzo inizia con un sacrificio paradossale: i newyorkesi nel traffico di Broadway si trovano davanti al corpo sanguinante di un cavallo investito da una macchina. Quasi un opera d’arte alla Damien Hirst.

‘Al limite della notte’ racconta la storia di due ricchi quarantenni, Peter e Rebecca Harris, nati e cresciuti a New York, al culmine delle loro carriere – gallerista lui, editor lei – con una figlia universitaria a Boston, pieni di amici, ammirati e invidiati da tutti: sembrano felici. Quando però va a stare da loro il fratello di Rebecca, Ethan (detto in famiglia Erry, “l’errore”), qualcosa si muove in questo mondo dorato. Il ragazzo è un bellissimo ventitreenne, con una storia di droga alle spalle, in cerca di una strada. Accanto a lui, Peter inizia a interrogarsi sull’arte, la passione, gli artisti, il lavoro, il successo – il suo mondo, insomma, che tanto faticosamente si è costruito – e, mentre la confusione aumenta, inizia a sentirsi sempre più attratto da lui. Al limite della notte è un romanzo classico, come ha sottolineato in una bella recensione Jeanette Winterson sul New York Times, dove detta legge quella tipica confusione shakespeariana intorno al ‘genere’ , dove ‘un ragazzo che è una ragazza è un ragazzo che è una ragazza’. Così Ethan, che è la bellezza allo stato sorgivo, sembra agli occhi di Peter, Rebecca da giovanissima, che però sembrava già Ethan oggi. Ma Ethan sembra anche una scultura di Rodin, che ci insegna che la bellezza, scrive Cunningham è ‘ in realtà la normale condizione umana, e non la più rara tra le sue mutazioni’. Il premio Pulitzer, autore di Le ore, torna con un romanzo che è un viaggio nei bisogni e nei desideri più profondi dell’uomo: qual è il posto dell’amore e della bellezza nelle nostre vite? Il romanzo esce in contemporanea con gli Stati Uniti.

MICHAEL CUNNINGHAM è cresciuto a Los Angeles e vive a New York. Per Bompiani sono usciti: Le ore (1999), tradotto in ventisette lingue e vincitore del Premio Pulitzer per la Narrativa, del Pen/Faulkner Award e del Premio Grinzane Cavour 2000 per la Sezione Narrativa Straniera, Carne e sangue (2000), per il quale ha ricevuto il Whiting Writer’s Award, Una casa alla fine del mondo (2001), Mr Brother (2002), Dove la terra finisce (2003) e Giorni memorabili (2007). Dal romanzo Le ore è stato tratto il celebre film interpretato da Meryl Streep, Nicole Kidman e Julianne Moore, mentre da Una casa alla fine del mondo è stata realizzata una versione cinematografica diretta da Michael Meyers.

Amara Lakhous

Amara Lakhous presenta al pubblico le due versioni, in italiano e in arabo, del suo nuovo romanzo ‘Divorzio all’islamica a viale Marconi’ (edizioni E/O).
L’appuntamento è per mercoledi 27 ottobre alle 18:00 alla Biblioteca Guglielmo Marconi, via G. Cardano, 135 di Roma.  Intervengono: Ihab Hashem, giornalista, direttore del mensile di lingua araba ‘Nur’, Zouhir Louassini, scrittore e giornalista Rai, Francesco Leggio, docente di Lingua e traduzione araba – Università San Pio V di Roma. Coordina Gabriella Sanna, del Servizio Intercultura Biblioteche di Roma.

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Amara Lakhous è nato ad Algeri nel 1970 e vive a Roma dal 1995. Laureato in filosofia all’Università di Algeri e in antropologia culturale alla Sapienza di Roma, in questa stessa università ha conseguito il suo dottorato di ricerca con una tesi dal titolo “Vivere l’Islam in condizione di minoranza. Il caso della prima generazione degli immigrati musulmani arabi in Italia”. Nel 1999 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Le cimici e il pirata” (Arlem editore) in versione bilingue arabo/italiano, e nel 2003 ha pubblicato in Algeria il secondo romanzo in arabo, “Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda,” successivamente riscritto in italiano con il titolo “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio” (Edizioni E/O 2006). Con questo romanzo, tradotto in varie lingue, ha vinto, nel 2006, il premio Flaiano per la narrativa e il premio Racalmare – Leonardo Sciascia. Nel maggio 2010 è uscito l’omonimo film, diretto da Isotta Toso.

Inedito Mario Schifano al Macro di Roma

Con l’esposizione ‘Laboratorio Schifano’, il Macro di Roma presenta una vera e propria immersione nel cuore della creatività di una delle figure più innovative del panorama artistico internazionale della seconda metà del XX secolo.

Per la prima volta e grazie alla collaborazione fra il Museo e l’Archivio dedicato a Mario Schifano, più di duemila immagini, esposte secondo uno speciale allestimento, coinvolgeranno il pubblico, da domani fino al 6 febbraio, nell’inarrestabile flusso creativo dell’artista: un grande labirinto trasparente e percorribile, nel
quale si susseguiranno sospese inedite polaroid, fotografie e fotocopie a colori, insieme a immagini manipolate tratte da giornali e riviste e fogli di appunti, nonchè filmati inediti realizzati con materiali audiovisivi originali.

Per Schifano la fotografia fu strumento e fine di esplorazione dei nuovi linguaggi e statuti dell’informazione e della comunicazione, secondo la straordinaria attualità e contemporaneità della sua visione, espressa dalle immagini manipolate attraverso la pittura e il loro intrecciarsi e ripetersi variando.

In occasione della mostra, sarà pubblicato da Electa Mondadori un catalogo bilingue (italiano e inglese), con un testo di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola, un’intervista a Achille Bonito Oliva e un contributo dell’Archivio Mario Schifano.

Herta Muller, ‘attraverso la poesia’

Sellerio editore Palermo torna a pubblicare il premio Nobel per la Letteratura del 2009 Herta Muller, 57 anni, emigrata nel 1987 a Berlino dal Banato svevo. Questa volta nel libro ‘In trappola’, (Sellerio editore Palermo, 92 pagg., 9 euro), vengono pubblicati tre scritti di Herta Muller, che possono essere definiti incontri con una poesia intesa come vita, come pane quotidiano, come unico mezzo per sopravvivere. L’autrice riflette infatti su tre poeti e racconta del loro esprimersi in poesia, cercando nella loro esperienza la “immagine dell’essere umano”.

Attraverso la poesia, l’autrice scava stati dell’animo come emergono dalle parole clandestine di tre menti vietate, deportate, dimenticate o suicide. Riflette anche sulla condizione di chi è costretto a dover scegliere sempre tra tre categorie di appartenenza: chi collabora volontariamente, chi puo’ essere chiamato a collaborare e chi rifiuterà di collaborare lasciandosi come unica possibilità la poesia, detta o taciuta, emersa o sepolta per sempre.

La traduzione della nuova opera di Herta Muller è di Federica Venier che firma anche la Prefazione ‘E niente letteratura’, in cui scrive: “Quando tradussi il primo dei tre saggi, Herta Muller era praticamente sconosciuta in Italia. Il caso mi aveva portata a incontrarla: una piovosa domenica invernale del 1996 in Germania” e il
Premio Nobel lesse proprio ‘In der Falle’. La traduttrice ne venne subito colpita. E la stessa Venier a spiegare che nei tre brani in cui si snoda ‘In trappola’ “e’ piu’ evidente che negli altri la durezza di questa guerra.

Vesna Parun, tra lacrime e desiderio

La scrittrice croata Vesna Parun, considerata una delle maggiori poetesse dell’ex Jugoslavia, è morta oggi in una clinica di Stubicke Toplice, nel nord della Croazia, all’eta’ di 88 anni.

Nata nel 1922 a Zlarin, una piccola isola della Dalmazia, vicino a Sibenik, Vesna Parun fu costretta a interrompere l’Università a Zagabria per via della guerra. Nel 1941 si schierò con i partigiani di Tito e abbandonò definitivamente gli studi per la scrittura. I suoi “Tre canti per la Repubblica”, apparsi nel 1945,
resero Parun immediatamente celebre nella neonata Jugoslavia comunista. Alla prima raccolta poetica, “Albe e tempeste” (1947), sono seguiti una trentina di altri testi poetici, opere per bambini ed opere teatrali. Tradotta in molte lingue, nel 1995 Vesna Parun è stata candidata al Premio Nobel per la letteratura.

La decana della poesia serbo-croata è stata tradotta per la prima volta in lingua italiana nel 1998 da Jacqueline Spaccini dell’Università della Sorbona di Parigi, curatrice di “Nè sogno, nè cigno”, pubblicato dalle edizioni Spring. Il libro, che riporta la prefazione dello scrittore Predrag Matvejevic, offre una poesia-documento di violenze e di guerra in un paese amato, ma al tempo stesso da rifuggire, alla ricerca di un luogo più illuminato dal sole. E’ il messaggio storico-politico di una poetessa inquieta che ha prediletto vivere ai margini della civiltà, indecisa tra lacrime e desiderio.

Giorgio Bassani

Dieci anni fa, il 13 aprile del 2000, moriva Giorgio Bassani. Per chiudere le celebrazioni, la Fondazione Camillo Caetani ha deciso di commemorarne la figura. attraverso la sua particolare attività di critico letterario, di editore e di redattore di riviste, con due giornate di studi, 28 e 29 ottobre, che si terranno nella sua sede di via Botteghe Oscure a Roma.

Nel pomeriggio di giovedì 28, Gian Carlo Ferretti, Stefano Guerriero e Giulia Iannuzzi discuteranno dell’esperienza di Bassani presso Feltrinelli, e della sua collana di letteratura (in cui, tra l’altro, ebbe il merito di pubblicare ‘Il gattopardo’), attraverso la quale lo scrittore ferrarese tentò un rinnovamento del panorama letterario italiano.

Molto attiva, e se ne parlerà la mattina del 29, è stata anche la collaborazione di Bassani con le riviste letterarie: sin dagli anni trenta, quando fu redattore del ‘Corriere Padano’ (ne renderà conto Cristiano Spila), e quaranta, quando partecipò ad ‘Aretusa’ e altri periodici napoletani (Domenico Scarpa), e poi più tardi, nel secondo dopoguerra, quando diresse insieme a Marguerite Caetani ‘Botteghe Oscure’ (Massimiliano Tortora), e prese parte a ‘Paragone’ di Longhi (Paola Italia).

Il venerdì pomeriggio concluderanno i lavori del convegno Antonello Perli, Francesco Bausi e Alessio Milani, che indagheranno la figura di Bassani critico, e le sue interpretazioni della letteratura italiana ed europea.

Nato a Bologna nel 1916, Bassani trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Ferrara e nonostante le leggi razziali si laureò nel 1939 con una tesi su Niccolò Tommaseo all’Università di Bologna. Le sue prime opere uscirono sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Trasferitosi a Roma, fu attivo nella Resistenza, e poi, oltre alla sua attività editoriale e nelle riviste, fu sceneggiatore di film e, tra l’altro, vicepresidente della Rai negli anni Cinquanta.

Dopo alcune raccolte di versi (‘In rima e senza’ raccoglie nel 1982 tutte le sue poesie) e la pubblicazione in un unico volume delle ‘Cinque storie ferraresi’ nel 1956 con cui vinse il Premio Strega, Bassani raggiunse il grande successo di pubblicò con ‘Il giardino dei Finzi Contini’ del 1962, che nel 1970 avrà una fortunata trasposizione cinematografica firmata da De Sica.

Le principali opere successive dello scrittore, sviluppate tutte intorno al grande tema geografico-sentimentale di Ferrara, sono ‘Dietro la porta’ (1964); ‘L’Airone’ (1968); ‘L’odore del fieno’ (1973), riunite nel 1974 in un unico volume, insieme con il romanzo breve ‘Gli occhiali d’oro’, (1958), dall’emblematico titolo ‘Il romanzo di Ferrara’.

Emanuele Trevi, ‘Il libro della gioia perpetua’

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“Ho coltivato da sempre, sin dall’infanzia due immensi poteri: il potere di mentire e il potere di assentarmi”. Emanuele Trevi

                                  Il Libro della gioia perpetua di Emanuele Trevi (Rizzoli, 2010) euro 19,50
                                                            Premio Napoli 2010    www.premionapoli.it

C’era una volta il favoloso mondo di Lossiniere, un paese dove non suonano i telefoni e si viaggia in carrozza. Napoli, invece, è un inferno vero di traffico e spazzatura. Uno scrittore, appena arrivato da Roma, scopre che l’evento a cui doveva partecipare è stato annullato all’ultimo minuto. Il viaggio, in apparenza inutile, gli fa conoscere una enigmatica maestra e lo porta all’incontro fortuito con un manoscritto ambientato nel paese di Lossiniere, Il libro di Clara e Riki, e con il mistero della sua autrice: una bambina di otto anni. Nel Libro regnano la calma interiore, la concentrazione imperturbabile, la forza d’animo necessaria a essere nient’altro che se stessi. Bambini simili a dèi, Clara e Riki sembrano conoscere il segreto della gioia perpetua. Il sovrano istinto dell’attimo libera infatti la loro esistenza dall’obbligo di significare qualcosa agli occhi del prossimo. Ma qual è il potere di queste pagine capaci di riscuotere il protagonista dal torpore e dalla rassegnazione in cui era sprofondato? E chi è la bambina che le ha scritte, come fosse un oracolo in miniatura, un maestro zen di otto anni? Emanuele Trevi conferma in queste pagine la sua capacità di fondere le seduzioni del racconto con l’indagine appassionata e imprevedibile sulle meraviglie e i terrori dell’infanzia, e sulle radici più profonde dell’arte e della creatività. Un romanzo dal coraggio sfrontato, capace di avvolgerci in una spirale che, complice una prosa perfetta, porta dritti dritti al nucleo del nostro vivere.

Canio Loguercio, “Le canzoni sussurrate”

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                              Nel video di YouTube: Canio Loguercio, Peppe Servillo e Maria Pia De Vito

Canio Loguercio menestrello del terzo millennio che fa risuonare parole e musica in appassionate performances da palco… poeta-musicista-performer reinventa antichi linguaggi per mettere in scena un personalissimo sound poetico-musicale… alla sua corte poeti, musicisti, artisti e innamorati… sollecitano il pubblico ad attivare percezioni plurisensoriali, che riposizionino e allertino tutti i cinque sensi… con le composizioni e gli arrangiamenti intimi e raffinati del pianista Rocco De Rosa, che si snodano fra minimalismo, jazz e musica popolare… la voce di Silvana Matarazzo che declina in absentia i testi dei poeti e… a viva voce

Canio Loguercio (nella foto) venerdì 26 e sabato 27 novembre 2010 alle 19.00 sarà a La Habana, Cuba, al Patio del Centro de Arte Contemporaneo Wilfredo Lam, Calle San Ignacio 22, Esquina Empedrado, Plaza della Catedral, per partecipare alla “XIII semana de la cultura italiana en Cuba”.
Le “canzoni sussurrate” di Canio Loguercio si incontreranno con la poesia di alcuni dei più importanti poeti della scena contemporanea italiana:pasiones è infatti un concerto, ma anche un recital poetico.

Partecipano: Canio Loguercio, Rocco De Rosa, Tommaso Ottonieri, Silvana Matarazzo.

Testi: Canio Loguercio, Tommaso Ottonieri, Mariano Bàino, Gabriele Frasca, Rosaria Lo Russo, Valerio Magrelli, Lello Voce.

Musiche: Canio Loguercio, Rocco De Rosa.

Video: Antonello Matarazzo, Rita R. Florit, Enrico Frattaroli.

Direzione artistica a cura di Nietta Caridei (Edizioni d’If) e Angelo Melpignano (Melange).

Coordinamento e produzione di Alives Magaly e Dayara Bernal Roque (Cacwl-La Habana)

Arte e Poesia, Tano Festa 18 ritratti di Mao

Tano Festa 18 ritratti di Mao

I 18 ritratti inediti furono realizzati da Tano Festa nel 1980 da “Mastino”, stabilimento balneare di Fregene, vicino Roma, dove l’artista usava passare l’estate. I lavori, tutti realizzati a pennarello su un blocco da disegno, prodotto dalla Cartotecnica Industriale del Tirreno (cm 24×34), provengono dalla collezione privata di Francesco Soligo, storico gallerista e archivio legale di Tano Festa, nonché autore del primo tomo del Catalogo Ragionato del lavoro del maestro.

 

La vicinanza di Tano Festa a Andy Warhol in questo caso appare evidente sia per il soggetto ritratto (ricordiamo i celebri Mao dell’artista americano), sia per la ripetizione quasi ossessiva dell’oggetto che diviene mezzo e messaggio della rappresentazione artistica.

Tano Festa è stato uno dei protagonisti della scena romana degli anni Sessanta. Insieme a Mario Schifano e Franco Angeli (tra gli altri), appartenenva alla così detta Scuola di Piazza del Popolo, gruppo oramai storico dello scenario artistico contemporaneo.
I temi prediletti dall’artista sono tratti dall’iconografia dei mass media e della storia dell’arte.

999Gallery
da mercoledì 20 ottobre 2010 al 9 novembre
Vicolo Sugarelli, 5 – 00186 Roma
Lun-Sab 10.00-20.00
Tel/Fax: 0696845976
info: info@999gallery.com – www.999gallery.com

Gabriela Adamestanu e Mauriusz Szczygiel

Mariusz Szczygiel e Gabriela Adamesteanu ospiti al Salone dell’editoria sociale di Roma: 22 e 24 ottobre (spazio ex-Gil, Largo Ascianghi, 5)


venerdì 22 ottobre, ore 18.30

Presentazione del romanzo di Gabriela Adamesteanu, L’incontro intervengono l’autrice e Goffredo Fofi.

Gabriela Adamesteanu è una delle maggiori scrittrici romene, di cui nottetempo pubblica giovedì 21 ottobre L’incontro, suo primo romanzo tradotto in italiano. Figura di spicco della cultura romena, alla fine degli anni ’80 ha fondato insieme a un gruppo di intellettuali dissidenti la rivista “22” e dal 2004 è caporedattore del periodico cultuarale “Bucurestiul Cultural”. Nel 2002 le è stato conferito il Premio Human Rights Watch, per l’attività a difesa dei diritti umani e della democrazia condotta dopo il 1989 come redattore capo di “22”, nonostante gli attacchi e le minacce subiti dai partiti nazionalisti ed ex-comunisti.

domenica 24 ottobre, ore 16.30
Sopravvivere nella storia – Dittature di ieri, democrazie di oggi. Ne discutono Goffredo Fofi e Mariusz Szczygiel

Mariusz Szczygiel è l’autore dell’ acclamata raccolta di reportages sulla storia della Cecoslovacchia, Gottland che ha vinto lo European Book prize come miglior libro del 2009. Nella narrazione “cubista” di Szczygiel, degno erede di Kapuscinski ma soprattutto di Erwin Kisch, il geniale reporter influenzato dagli scrittori delle avanguardie, si incontrano le vicende dei protagonisti secondari della storia cecoslovacca: quella della famiglia Bata che fondò l’impero delle scarpe, dell’attrice Lida Bàarova, che fece innamorare Goebbels e prese il té con Hitler, di Karel Gott, il Pavarotti cecoslovacco o dell’architetto che costruì la più grande statua di Stalin al mondo e poi si suicidò. Un affresco fatto di racconti assolutamente veri che hanno il sapore del romanzesco e che illustrano perfettamente la storia e la particolare Resistenza del popolo cecoslovacco.

Michele Melotta, il mondo interiore

“De Forma” è il titolo della personale di Michele Melotta, a cura di Fabrizio D’Amico. A Roma dal 20 ottobre 2010 alla “Diagonale”, la Galleria di Luca Bellocchi. In esposizione 25 sculture in bronzo e 13 sculture in gesso dell’artista.

La densa memoria
“È un mondo segreto e ansioso, quello che Michele Melotta mette in figura: da anni, da decenni chiuso in un suo bozzolo, ripiegato in sé, geloso del proprio silenzio, della propria appartatezza. Non sono valse, a spezzare quel silenzio – tranne che in casi rari e distanti – le episodiche sollecitazioni che ha ricevuto a mostrare il suo lavoro: sollecitazioni che egli ha di volta in volta ricevuto a Roma, dove vive e lavora. Né è venuta per caso questa solitudine a tutto tetragona: che inerisce nel profondo non solo al suo animo, ma alla forma della sua scultura, com’essa oggi finalmente si svela in questa mostra sorprendente. Ha memorie dense, Melotta. Troppe, forse, per poter reggere sulle sue spalle quel carico senza tremarne. Giacometti, e Leoncillo: ma anche più in là, ricorda: fino a Matisse, fino a Medardo, fino a Rodin, cui sembra aver rubato la digitazione veloce ed eccitata sul gesso, sul bronzo. “Non posso simultaneamente vedere gli occhi, le mani, i piedi della persona che sta a due o tre metri da me, ma quell’unica parte che guardo trascina con sé la sensazione dell’esistenza del tutto”, ha scritto Giacometti nel 1960. La “parte per il tutto” era stato per lui un limen di verità – non semplicemente un divertissement surrealista – almeno dal ’47 (La main), e a quella soglia era sovente tornato: ne La jambe, bronzo fuso nel ’58, ad esempio. Melotta ricorda quell’ansia di verità di Giacometti, nei suoi torsi mutili, nei suoi corpi acefali, nelle sue gambe appoggiate in precario equilibrio, come stessero per spiccare il balzo da un trampolino. Assieme, ascolta la lezione di Leoncillo, il suo ostinato prendere distanza dal demone tentante dell’ “astratto”, il suo voler cercare sempre la “figura”, il suo intendere la materia non come nume intoccabile, ma come ansa dove lasciare una nuda impronta di sé (“voglio la tua orma, quella dei tuoi anni, dei tuoi patimenti, della tua storia, di quello che ti è accaduto e che senti oggi”, annotava Leoncillo nel 1958 nel suo Piccolo diario, rammentando un incontro di pochi giorni avanti con Toti Scialoja, e un dialogo accaldato con l’amico, denso di pensiero e di conflitti). Credo che le radici di Melotta siano in quegli anni oggi lontani e densi di esiti straordinari; che egli cerchi ancora adesso in quel clima che vedeva spegnersi l’orgoglio della matericità informel, e dell’espressionismo astratto, e a tentoni scavava in una coltre di cenere per trovare nella materia un luogo, soltanto, per lasciar traccia di sé, testimonianza delle proprie speranze, della propria esistenza.

Del corpo, nel suo lavoro, Melotta ha fatto misura per ogni suo gesto formatore: somigliano a corpi infatti i gessi riuniti oggi in una magica sala della “Diagonale”. Corpi esili, diafani, sussurrati nell’aria, quasi. Non so se Melotta li costruisca con la spatola, o lasci soltanto gocciare, con la mano, il gesso su altro gesso, appena rappreso: certo che essi sfiorano l’imponderabilità, la trasparenza. Si allungano filiformi accanto al muro, quei corpi snudati di peso, da cui poi appena divaricano, flettendosi in inchini; sorridono allora, forse, alla luce che qua e là li svela, esaltando il loro biancore. Si confessano innocenti, nonostante la vita che hanno alle spalle; anche se poi, quando qualcuno d’essi sarà trasposto in bronzo, il grumo di materia da cui nascono e dal quale non vorranno separarsi li trascinerà a significare altro, e opposto, dolore: come intrisi adesso, nel nuovo materiale, di una vita gremita e pesante, non più di un sogno leggero, impalpabile. Nel nero di cui ricopre sovente i suoi bronzi, Melotta figura l’esistenza: dal grumo d’essa originario e indifferenziato – quasi un’oscura nascenza – degli Studi per zampa d’elefante, alle immagini forti, simboliche e drammatiche, delle Menadi, alla teoria delle Figure: torsi acefali e privi degli arti superiori che si dispongono adesso in sequenza ottusa, paratattica, alterna solo all’ombra di sé che proiettano sul muro retrostante. Rigorosamente frontali, aliene dall’intento di testimoniare la ‘bravura’ della mano che ne ha alzato le sagome trepide (e del pari lontanissime – ovviamente – da ogni ambizione monumentale), queste Figure – spoglie, immote, silenti – attestano solo la vita che è trascorsa: impronte sulla rena dell’esistenza; impronte – come voleva Scialoja – che serbano, nel loro breve e lento mutare, memoria di quanto è stato pensato, sofferto, vissuto.”
di Fabrizio D’Amico
.

Michele Melotta è nato a Cerreto Sannita (Benevento).
Si è formato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Vive e lavora a Roma. 

 

DIAGONALE GALLERIA
Via in Caterina 83/c (angolo via Giulia)
00186 Roma
tel. +390668300482 – 3334559125
ladiagonale@ladiagonale.it
www.ladiagonale.it
Orari: martedì – sabato 16 – 20

PoEtiche, sul confine

Settima e ultima giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, domenica 17 ottobre alla Libreria Griot di Via di Santa Cecilia 1/a, dalle 11 alle 13.30 lettura ‘Sul confine’ con Cristina Ali Farah, Edith Bruck, Antonella Bukovaz, Moira Egan, Sonia Gentili, Mia Lecomte, Brenda Porster, Jonida Prifti, Jacqueline Risset, Ribka Sibhatu.
Nel pomeriggio all’ ESC di Via dei Volsci 159, dalle 18 alle 24: ‘lettura / musica / video microfono aperto Poetesse & Poete’ Annelisa Alleva, Cristina Annino, Daniela Attanasio, Tomaso Binga, Elisa Davoglio, Francesca Farina, Annamaria Giancarli, Gaia Gubbini, Fiorenza Mormile, Rossella Or, Cetta Petrollo, Gilda Policastro, Marilena Renda, Annamaria Robustelli, Luigia Sorrentino, Sara Ventroni, Sara Zanghì. Musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project. Spazio video: Genealogie, presentazione di ‘Lo spazio tra le colonne’ (video-intervista di Bianca Tarozzi a Giulia Niccolai, realizzazione Giannina Longobardi, 2008) e di altri video.

(Nella foto Cristina Ali Farah)

I libri delle autrici del festival sono reperibili presso la libreria Tuba di Via del Pigneto 21.

Il festival poEtiche, realizzato grazie al sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione di Roma Capitale, è a cura di Maria Teresa Carbone e Franca Rovigatti.

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Poetesse e Poete

Sesta giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, sabato 16 ottobre ottobre al Salone degli Affreschi, DSM Monteverde, via Colautti 28
dalle 11 alle 13, lettura di Maria Grazia Calandrone, Francesca Genti, Vivian Lamarque, Ida Travi, Maria Valente.
Nel pomeriggio alla Libreria Tuba, via del Pigneto 21 dalle 18 alle 20: ‘aperipoesia’ con Antonella Bukovaz, Elena Chiesa, Annamaria Giancarli, Giovanna Marmo, Rossella Or, Laura Pugno.
In serata all’ESC di via dei Volsci 159, dalle 20.30 ‘lettura / musica / video Poetesse & Poete’, Maria Clelia Cardona, Geraldina Colotti, Vilma Costantini, Sara Davidovics, Gemma Gaetani, Sonia Gentili, Jolanda Insana, Anna Lamberti Bocconi, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti, Laura Pugno, Maria Pia Quintavalla, Lidia Riviello, Silvia Salvagnini, Paola Sansone, Lisabetta Serra, Ribka Sibhatu. Musica e contaminazioni [donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project. Spazio video: ‘Genealogie’ presentazione di Videopoesie (Elena Chiesa, 2006-2009) e di altri video.

(Nella foto, Vivian Lamarque)

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PoEtiche, biografia e memoria

Quinta giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, venerdì 15 ottobre all’ Istituto Statale di G. Caetani di Viale Mazzini 36, dalle 10 alle 12, Florinda Fusco, Giovanna Marmo, Marilena Renda, Silvia Salvagnini incontrano gli studenti.
Dalle 11 alle 13 alla Libreria Empiria di via Baccina 79 si terrà il laboratorio di lettura di poesia ad alta voce / 2. La vocazione poetica con Rosaria Lo Russo. Dalle 15 alle17 laboratorio di scrittura poetica / 2. Buongiorno Poesia con Anna Lamberti Bocconi.
Nel pomeriggio, alla Biblioteca Vaccheria Nardi, di via Grotta di Gregna 27, dalle 18 alle 20: lettura / dibattito ‘Poesia/biografia/memoria’ con Gabriella Musetti, Maria Pia Quintavalla, Lisabetta Serra, Luigia Sorrentino.
In serata, all’ESC di via dei Volsci 159, dalle 20.30 ‘lettura / musica / video’Poetesse & Poete’ con Cristina Ali Farah, Silvia Bre, Antonella Bukovaz, Maria Grazia Calandrone, Elena Chiesa, Tiziana Colusso (con il soprano Carmen Petrocelli), Biancamaria Frabotta, Florinda Fusco, Francesca Genti, Vivian Lamarque, Mia Lecomte, Rosaria Lo Russo, Giovanna Marmo, Francesca Matteoni, Brenda Porster, Jonida Prifti, Ida Travi, Maria Valente. Musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project. Spazio video: Genealogie presentazione di Fragili guerriere (video di Daniela Rossi per romapoesia 2010) e di altri video.

(Nella foto Biancamaria Frabotta)

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PoEtiche, la traduzione di poesia

Quarta giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, giovedì 14 ottobre l’appuntamento è al Liceo Majorana di via Carlo Avolio 111. Dalle 10 alle 12 Cristina Annino, Maria Grazia Calandrone, Maria Clelia Cardona, Francesca Matteoni incontrano gli studenti. Dalle 11 alle 13 alla Libreria Empiria di via Baccina 79, si terrà il laboratorio di lettura di poesia ad alta voce / 1. ‘La vocazione poetica’ con Rosaria Lo Russo. Dalle 15 alle 17 laboratorio di scrittura poetica / 1. Buongiorno Poesia con Anna Lamberti Bocconi.
Nel pomeriggio, dalle 17 alle 20 alla Biblioteca Europea di via Savoia 13/15, dalle 17 alle 20, tavola rotonda. ‘Passaggi: la traduzione di poesia’ con Elena Clementelli, Tiziana Colusso, Vilma Costantini, Rosaria Lo Russo, Loredana Magazzeni, Jacqueline Risset, Annamaria Robustelli, Maria Luisa Spaziani. In serata, alle 21 al Circolo delle Quinte di Viale 30 aprile 4, lettura con Milli Graffi, Jolanda Insana, Anna Lamberti Bocconi, Giulia Niccolai, Bianca Tarozzi, Carla Vasio.

(Nella foto Jolanda Insana)

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La voce poEtica

Terza giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, mercoledì 13 ottobre l’appuntamento è alla Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19. Dalle 10 alle 19, giornata di convegno ‘La voce poEtica’ con Edda Billi: haiku di benvenuto.
Introduzione: questa memoria insomma divina (Claudia Ruggeri) Giulia Niccolai/Gilda Policastro, è fusa la donna alla sua ombra (Patrizia Vicinelli) Manuela Fraire/Bianca Tarozzi, dibattito.
Lettura di Mariella Bettarini, Tomaso Binga, Milli Graffi.
penserò / che mi importa di me più di quanto pensassi (Anna Malfaiera) Cecilia Bello Minciacchi/Annamaria Crispino caddero muri / con tutti i loro interni carichi e caldi (Rossana Ombres) Biancamaria Frabotta/Dacia Maraini qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire (Piera Oppezzo) Mariella Bettarini/Sara Ventroni, dibattito. Lettura di Maria Clelia Cardona, Gaia Gubbini, Sara Zanghì. (Nella foto di Alberto Grifi, Patrizia Vicinelli).

Alle 20.30 alla John Cabot University, via della Lungara 233 in collaborazione con InVerse, Lettura di  Silvia Bre, Edith Bruck, Moira Egan, Anna Cascella Luciani, Dacia Maraini, Maria Luisa Spaziani. Introduce Brunella Antomarini. (Nelle foto, di Luigia Sorrentino, un momento della lettura alla John Cabot University).

Anna Cascella Luciani

 

 

 

 

 

 

 

 

Dacia Maraini 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maria Luisa Spaziani 

 

 

 

 

 

 

Silvia Bre

 

 

 

 

 

 

 

 

Moira Egan 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante la serata è stata ricordata la poetessa, Paola F. Febbraro, in un’inedita intervista-colloquio sulla poesia realizzata da Brunella Antomarini.

 SETTIMANA
dettata dal respiro

Bisogna imparare di nuovo
dove poggiare le cose dentro e fuori di noi
e bisogna imparare ad allontanare e ad avvicinare
sia cosa ci fa bene sia cosa ci fa male
e bisogna imparare ancora
ad avvicinare e ad allontanare
sia chi ci dà del bene che chi ci dà del male
di Paola F. Febbraro

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L’erba più verde. Omaggio a Luciano Erba

Giovedi 21 ottobre alla Casa della Poesia di Milano, ‘L’erba più verde. Omaggio a Luciano Erba’, a cura di Maurizio Cucchi. 
Una tavola rotonda per ricordare l’opera di un protagonista della nostra poesia del Novecento, un autore che ha saputo trattare con impeccabile limpidezza di voce anche i dettagli in ombra del reale, del quotidiano.
Un poeta esemplare per la sua eleganza e leggerezza, per la trasparenza profonda della sua opera, per la capacità magistrale che ha avuto nel rendere lievi e luminosi anche i momenti in apparenza più grevi e opachi dell’esistenza.

Intervengono: Maurizio Cucchi, Amos Mattio, Guido Oldani, Vincenzo Pezzella, Mario Santagostini.

Palazzina Liberty, Largo marinai d’Italia 1 – Milano – ingresso libero

http://www.lacasadellapoesia.com

PoEtiche, ‘Lo haiku, regole e senso’

Seconda giornata della quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, martedi 12 ottobre dalle 10 alle 12 incontro con gli studenti del Liceo Morgagni di via Fonteiana 125 con Cristina Ali Farah, Geraldina Colotti, Mia Lecomte, Paola Sansone. Nel pomeriggio dalle 17 alle 19 l’appuntamento è alla Libreria Empiria di via Baccina 79 per il laboratorio ‘Lo haiku, regole e senso’, con Carla Vasio. Dalle 18 alle 22, invece, presso la Libreria Koob di via Luigi Poletti 2 maratona di presentazioni ‘Multipla’, i libri dell’anno.

http://romapoesia.blogspot.com

Antonella Anedda

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Lunedi 18 ottobre Reading di poesia di Antonella Anedda alla John Cabot University di Roma, alle 18.30.

Vedo dal buio
come dal più radioso dei balconi.
Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
fino al varco più nudo -al nero
di un tempo che compone
nello spazio battuto dai miei piedi
una terra lentissima
– promessa

(da: Il balcone del corpo” Mondadori, 2007)

Luogo: John Cabot University
Via della Lungara, 233
Roma, Italy
.
The Institute for Creative Writing and Literary Translation presents
The Women Reading Series:
Antonella Anedda

Monday, October 18, 2010
6:30 p.m. Aula Magna Regina
Guarini Campus

JOHN CABOT UNIVERSITY
Via della Lungara, 233 – Rome
telephone: +39.06.681.91.223

John Cabot University is pleased to present welcome Italian poet Antonella Anedda, as part of “Women Reading: A Series of Bi-lingual Presentations of Poetry and Prose” sponsored by the Institute for Creative Writing and Literary Translation.

Un momento della serata alla John Cabot University, con Antonella Anedda e Moira Egan. (Foto di Luigia Sorrentino)

PoEtiche, ‘Influssi: tra una lingua e l’altra’

Al via la quattordicesima edizione del festival romapoesia poEtiche, dedicata alla poesia delle donne. Oggi, lunedì 11 ottobre al Liceo Virgilio, di via Giulia 38 dalle 10 alle 12 gli studenti incontrano Elisa Biagini, Elisa Davoglio, Lidia Riviello e Sara Ventroni. Nel pomeriggio, alla Biblioteca Marconi di via Gerolamo Cardano 135 dalle 18-20, lettura / dibattito “Influssi: tra una lingua e l’altra” con Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Elisa Biagini e Fiorenza Mormile. In serata, alle 21, l’appuntamento è al Lavatoio Contumaciale di piazza Perin del Vaga 4 con Elisa Biagini, Tomaso Binga, Elena Clementelli, Tiziana Colusso, Vilma Costantini, Sara Davidovics, Francesca Farina e Cetta Petrollo. A seguire, la mostra di fotografie “Corpo poEtico” di Teresa Bianchi, Maristella Campolunghi, Stefania Errore, Irene Iorno, Nadine Hetner, Francesca Manzini, Letizia Marabottini, Grazia Menna, Claudia Padoan, Vincenza Salvatore, Rivka Spizzichino, Sara Spizzichino, a cura del Lavatoio Contumaciale e de “La Magnolia”, nello Spazio Espositivo Area Cultura della Casa Internazionale delle Donne.

Non (solo) un reading, ma il racconto degli incontri – forse qualche volta anche degli scontri – fra quattro autrici e le poesie che hanno tradotto nel corso degli anni. Leggendo i loro testi e quelli delle poetesse di cui sono state la voce italiana (tra le altre Anne Sexton, Anne Carson, Sylvia Plath, Dorothy Molloy), Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Elisa Biagini e Fiorenza Mormile provano a decifrare i motivi che sono stati alla base delle loro scelte e si interrogano da un lato sulla traduzione come territorio mobile di confronto fra due lingue, dall’altro sugli effetti visibili e sotterranei che questa pratica ha avuto sui loro stessi versi.

http://romapoesia.blogspot.com