Ewa Lipska, il secondo tempo

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La Polonia è una terra straordinariamente fertile per i poeti”, ebbe a ricordare una volta il poeta russo, Josif Brodskij.
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Nota di Luigia Sorrentino 

Di Ewa Lipska, una delle voci più interessanti della poesia e della letteratura polacca contemporanea, non avevo mai letto nulla, qui in Italia. Ewa Lipska, è invece, una poetessa molto tradotta in varie lingue. Sulla sua vita e sulla sua poesia, i cambiamenti politici che ci sono stati in Polonia e in Europa alla fine degli anni Ottanta, hanno avuto un’influenza determinante, anche se la sua poesia, non è catalogabile come “Poesia della Polonia”, ma come poesia che travalica il confine della terra natale.

 

Nata a Cracovia, nel 1945, Ewa Lipska esordisce come poeta nel 1961. Aderisce a Nowa Fala (Nuova Ondata) , accanto a poeti come Julia Hartwig, Adam Zagajevski e Ryszard Krynicki. Un movimento nato sulla spinta delle contestazioni studentesche che iniziarono in Europa nel 1968. Un’associazione, come è stato scritto dai critici, “un po’ forzata”, caratterizzata sempre da un certo distacco di Ewa Lipska da quella corrente in cui si ritrovarono poeti provenienti da generazioni diverse e da differenti tradizioni letterarie.
Da Nowa Fala a un certo punto la Lipska prende decisamente le distanze, per temi e per linguaggio, per entrare in un suo preciso percorso poetico che l’ha condotta a una propria dimensione poetica.

L’occhio incrinato del tempo” di Ewa Lipska, è il primo libro di prose poetiche pubblicato in Italia nel 2013 da Armando Editore. Curato e tradotto da Marina Ciccarini, il volume riunisce, due diversi libri della Lipska usciti in Polonia, a Cracovia, nel 2012 e nel 2013, “Cara Signora Schubert” e  “L’amore, cara signora Schubert”. Le prose formano un’opera unitaria che si spinge fuori dalla dimensione della poesia e si fermano su una sorta di “limite invalicabile” – tra poesia e prosa. La coerenza tematica e stilistica degli scritti, è il viaggio, che ci condurrà fuori dai confini della terra e oltre “la storia”.
 

Le città  

Cara signora Schubert, ci sono città che
potrebbero testimoniare contro di noi. Le abbiamo abbandonate
all’improvviso e senza motivo. Ci hanno inseguito in
autostrada indirizzi atterriti e letti d’albergo.
Ricorda le pupille dilatate di Venezia?

Manhattan offesa? L’ambiziosa Zurigo, parente
di Thomas Mann? Le città natali ce l’avevano con noi, ma
si sono comportate con orgoglio. Sapevano che saremmo tornati.
Come tutti I bambini di vecchiaia penitente.

 

tempo

Fin da questa prima prosa si comprende che a parlare è un io maschile. Un uomo si rivolge alla signora Schubert in forma epistolare. La lettera ci fa pensare ad un personaggio che vive in un’altra città, che scrive lettere da un “ipotetico confine”. Raramente la signora Schubert risponde al suo interlocutore. A volte si ha la sensazione che a parlare sia la stessa persona, altre volte,  sembra che gli interlocutori si trovino in universi distanti, in due diverse solitudini.

Chi entra in queste prose poetiche si troverà, quindi, su un territorio limite e non avrà vie d’uscita: resterà intrappolato nella lingua e nella tecnica geometrica dei testi.

La fonte di questi componimenti –  benché la poesia della Lipska sia stata definita dalla critica “ruvida”, antisentimentale e antimetafisica – è un atto d’amore rivolto a chi legge.  Il lettore non troverà in essi nulla di sentimentale, perché l’ io di questa prosa e di questa poesia, si è perduto, e si è anche ritrovato altrove. E’ un io che ricompone il Tempo con il suo “occhio incrinato”. E’ un io che compie un bilancio esistenziale, affrontando tematiche tipiche della poesia: vita, amore, morte, mettendo il rapporto tra i due – il maschile e il femminile – su un piano di parità. E proprio nello scambio d’amore tra questi due esseri, verbale, pieno di rimandi e analogie, troviamo la conferma del nostro esistere, dell’essere nella storia che ci viene narrata. Non è un caso che l’autrice, ne “Il labirinto”, scriva: “tutto ciò che ci ha amato non avrà più vie d’uscita”. E ognuno di noi, leggendo il libro, si sentirà amato, senza vie di fuga, si troverà in uno spazio spazio colmato soltanto dalla Memoria. E’ in questo luogo che ci troveremo raccolti, chiamati a testimoniare il passaggio di questi versi nella nostra vita.

 

Il protagonista del romanzo  

Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,
la guerra, la morte. Non sono in grado di aiutarlo.
Si tira indietro quel baule per duecentocinquanta pagine.
Non si regge più in piedi. E quando finalmente esce dal romanzo
viene derubato di tutto. Perde la madre,
le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum su Internet
gli scrivono che gli sta bene.
Forse è un ebreo o un nano? I testimoni
affermano che taceranno su questo argomento.

 

In questo componimento la Lipska entra nella storia di un uomo a cui è stata strappata l’identità, un uomo che trascina la propria vita in un baule. Un uomo che la donna non è in grado di aiutare, lo può soltanto osservare mentre si trascina quel baule per duecentocinquanta pagine, entrando e uscendo dal romanzo. E, quando esce dalla storia, l’uomo che la poetessa osserva, viene derubato di tutto, la madre, le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. Nel finale della prosa poetica la Lipska ci svela in una domanda che contiene già la risposta, l’identità di questo uomo:  “Forse è un ebreo o un nano? In un forum su internet dicono che gli sta bene.” E qui la poetessa mette nel lampo di un solo verso, lo strisciante antisemitismo che ancora alberga fra noi.

Da questa prosa poetica si comprende, quindi, che l’atto d’amore che compie la poetessa, motivo di fondo che anima tutta l’opera, è il trasferimento della Memoria, in particolare, della ShoahUno spostamento-spaesamento che ci condurrà in territori sconosciuti e impervi, profondissimi, e ci costringerà a porci sempre  “nuove domande”.
Come si entra nella storia, cara signora Schubert?” chiede il protagonista, “All’assalto, come i tiranni? Timidamente come i poeti? Sono soltanto alcune domande che la Lipska pone, ne “La storia”.  Se non si domanda si perde la vita, aggiungerebbe Wislawa Szimborska. E la Lipska risponde, consapevole che il sapere scaturisce sempre “da nuove domande”. E, grazie alle nuove domande che ci porremo, il nostro corpo acquisterà temperatura, calore, vita. “Chi erediterà questo mondo?” si chiede la poetessa nella prosa poetica che ha per titolo “La domanda”. E risponde così: “la Storia tace su questo argomento. Per motivi/ oscuri da un uccello messaggero in volo/ è stata strappata l’ultima pagina.” L’ultima pagina, è la pagina di un libro che continuerà a scriversi, e a “strapparsi”  quando arriverà in quel preciso punto, nel Trauma, nel quale si può trovare la risposta.

Dal punto di vista formale, ciò che caratterizza questi testi, è la brevità, il breve lasso di tempo in cui il discorso si apre e si chiude. Tutti i componimenti hanno un titolo, un’ indicazione tematica, ma, spesso, il titolo è in realtà il rovesciamento di un significato in un altro. Tutte le prose hanno, quindi,  significati reversibili, proprio come avviene in psicanalisi, dove il refuso è come un virus, contagia ogni senso. E proprio ne “Il refuso” la Lipska ci presenta una donna che sostiene di essere “una data”, sebbene intorno a lei non ci sia alcun luogo e alcun tempo. E allora viene da ewa-lipska-zdjc499ciechiedersi: “E’ possibile che una persona sia soltanto una data, un numero?” La riposta: “Si”. Perché la poesia può rendere in una data, il breve significato, ma anche il mimimo valore dato alla nostra esistenza, dai nazisti che nei campi di sterminio trascinarono gli ebrei, imprimendo loro col fuoco, un numero sulla pelle, un numero a cui era collegata l’intera esistenza della persona: data di nascita – data di morte.  Non è un caso che la Ciccarini scriva nella nota: “E’ questo un libro in cui il reale subisce delle antropizzazioni”, quindi, Il Tempo “è distratto”, gli indirizzi delle città sono “atterriti, l’incendio “è esperto”, la Paura “perde l’udito”, il Destino è un “proprietario terriero”, e persino, si può sognare la guerra “dalla testa ai piedi”. Personaggi in carne e ossa esseri viventi, che hanno un cuore, un cervello, un apparato respiratorio. La poesia della Lipska con queste personificazioni, delinea una realtà e uno spazio “modificato” per raccontare la condizione umana, per poterla analizzare da vicino e da diverse angolature.


CONCLUSIONI

Leggendo Ewa Lipska mi sono posta diverse domande.

La prima: “Qual è il rapporto tra la Lipska e Wislawa Szimborska, premio Nobel per la Letteratura?” La risposta: entrambe hanno uno stile asciutto, compatto e compiuto della lingua. In ogni loro singolo componimento si avverte la compostezza e l’arte di un pensiero laico, che monitora ogni singola avvenimento, ogni micro- realtà. Ma la la vicinanza tra le due poetesse è anche determinata dalla “migrazione” che compie la lingua della poesia, andando in ogni possibile direzione e travalicando il limite della Patria, o della propria condizione. 

La seconda domanda che mi sono posta: “Perché nella poesia della Lipska c’è un costante riferimento alla musica? Qual è la relazione fra Schubert e Wagner?”  
Franz Schubert  è colui che “migra” fuori dalla Patria, mentre Richard Wagner è quello che “rientra” nella Patria e si avvicina alla Catastrofe.  (La Lipska dirà esplicitamente in una delle sue prose poetiche: “non voglio conoscere personalmente Richard Wagner,/ la prego di farmi incontrare solo con la sua musica.”)  Appare, dunque, chiara la risposta: in queste prose la Lipska desidera “far pace” con il dolore della storia del popolo ebraico salvando solo la musica di Wagner, non la persona, travalicando, ancora una volta, il confine di un’esperienza tragica. La poesia cioè,  racconta la storia del popolo ebraico – mai raccontata abbastanza – attraverso la voce di un uomo, tutta d’un fiato, una storia in cui “il dissolversi in polvere” è vissuto come testimonianza.

La terza domanda che mi sono posta leggendo il libro, riguarda il nome della donna: “La signora Schubert. Perché signora?” Perché il nome di questa donna vi è proprio un secondo tempo, il tempo della riappacificazione con un passato terribile, determinato dal “maschile”.  Nel nome, “Schubert” al femminile,  vi è, quindi, il secondo tempo della Lipska, ma anche l’Austria, e la sua capitale, Vienna, la città dove nacque Schubert e la città nella quale la Lipska ha vissuto diversi anni. Inoltre, dandosi quel “nome”, “Signora Schubert”, la Lipska ci rivela quanto ha revelato in un’intervista a Monika Wozniak, “nella vita avrebbe voluto essere un uomo e un pianista”. “Per cambiare la storia?” E’ un’altra domanda che pongo, e che lascio in sospeso, perché forse la risposta è chiara. Certo è che l’autrice fa risuonare in noi la musica di versi stupefacenti. Bellissima la prosa poetica in cui l’autrice paragona la nostalgia a un negozio di ferramenta dove la Memoria è rinchiusa in un kit di viti per il montaggio.

Nessuna cronaca giornalistica, intesa come quotidiano, è presente nel libro,anche se la Lipska mette al centro dellascrittura un “lucido realismo” che però non scivola mai nell’invettiva o in sperimentalismi sonori,  in sentimentalismi, neppure quando a parlare è l’Amore. Straordinaria l’intelligenza emotiva e la delicatezza dell’autrice che disegna, nei singoli episodi del libro,  piccoli quadri o scene di un film.   Un mondo tratteggiato dal dialogo, a volte malinconico, a volte divertito, introspettivo e consapevole, in un labirinto di analogie, metafore, riti, paradossi, e attraverso una voce che non dice mai “io”, ma che scivola, si mescola e si confonde, ad altre voci.

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La confessione

Cara Signora Schubert, ho sognato
di confessarmi. Come sa non sono
credente ed il sogno mi ha sopreso.
Nel confessionale c’era una donna e proprio a lei,
tutto d’un fiato, ho raccontato la storia dei Nibelunghi.
Ho parlato dell’odio, dell’amore, della vendetta.
La donna è scoppiata a ridere e si è dissolta in polvere.
Siccome tempo il coraggio, mi sono svegliato
all’istante.

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Il protagonista del romanzo

Cara signora Schubert, il protagonista del mio romanzo
trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia,
la guerra, la morte. Non sono in grado di aiutarlo.
Si tira indietro quel baule per duecentocinquanta pagine.
Non si regge più in piedi. E quando finalmente esce dal romanzo
viene derubato di tutto. Perde la madre,
le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum su Internet
gli scrivono che gli sta bene.
Forse è un ebreo o un nano? I testimoni
affermano che taceranno su questo argomento.

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Lo specchio

Cara signora Schubert, mi capita di vedere
nello specchio Greta Garbo. E’ sempre più simile
a Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro.
L’occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella
che sbraita nel vaudeville locale.
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La nostalgia

La nostalgia, cara signora Schubert, è un negozio di ferramenta. Dadi, viti, chiodi. Alla parete un attestato di ore interminabili. Aste su eBay. Inoltre, la memoria che si avvita senza sosta. Nel gesso. Nel legno. Nel cemento. Lancetta d’acciaio dell’orologio, che cade dall’occhio. E una lunga notte inossidabile, un kit per il montaggio.

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L’oscurità

Cara signora Schubert, l’onda d’urto dell’Oscurità è sei volte più rapida della pallottola sparata da una pistola. Si muove alla velocità di alcune migliaia di metri al secondo e mi assale sempre alla stessa ora del mondo.

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Il destino

Cara Signora Schubert, non incalzi il Destino; perché deve, perché solo ora, perché dietro la svolta a destra… non lo inciti, non lo invogli, non lo alletti. E’ un proprietario terriero. Accumula amore, beni, fuoco e morti.. Non conti sul fatto che andrà fuori corso, come una moneta inutile. E non perderà mai. Vincerà ogni sconfitta, avvicinando all’occhio le domande per il futuro.

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di Ewa Lipska
Traduzione di Marina Ciccarini

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EWA LIPSKA (Cracovia, 1945). Poetessa, è stata Primo Segretario (1991 -1995) e poi Consigliere (1995 – 1997) dell’Ambasciata Polacca a Vienna. È membro del PEN Club polacco e austriaco. Ha vinto numerosi premi letterari, tra cui il premio Koscielski (1979), il premio della Fondazione Jurzykowski – New York (1993). È autrice di oltre 30 volumi di poesia.

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