
Forrest Gander
RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA
«La politica inizia nell’intimità»: è il tagliente esergo con cui si apre Essere con (Be With), la silloge di Forrest Gander vincitrice del Premio Pulitzer per la poesia nel 2019. Essere con, dunque. Vuol forse dire che la fine di ogni dominio politico parte dalla soggettività e, dunque, da ognuno di noi nel contatto con l’alterità? Può darsi. Come scrive il curatore Alessandro De Francesco, il poeta californiano classe ’56 «riesce in effetti a creare un legame senza soluzione di continuità tra il dramma individuale e la storia collettiva, ma anche con il mondo non umano, organico e inorganico. È tipica dell’opera di Gander, anche geologo, questa risonanza tra il corporeo dell’umano e il corpo della natura, a cui fa eco la coabitazione tra un lessico quotidiano, talvolta brutale, e un uso estremamente raffinato del vocabolario scientifico». Riconoscere nell’interiorità un’istituzione politica e affrontare la complessità dell’essere con — attraverso un evidente procedimento induttivo, dal particolare al generale — significa dare spazio, com-prendere (spostando decisamente l’occhio sul prefisso), fare attenzione (secondo il significato attribuito al sostantivo da Simone Weil), con-tenere, con-vincersi, con-vivere. È proprio per tale ragione che i termini posti nella stessa pagina da Gander (Be with——–The political begins in intimacy) sono correlati, interconnessi, persino inscindibili fra loro: non c’è vero essere con senza la dura deposizione dell’io quale fonte di potere personale, di sopraffazione, di iniquità. Anzi, non esiste essere senza essere con, il cui corrispettivo inverso è essere senza, essere io solo, nulla. L’essere è sempre un essere con: proprio nella contingenza e nell’impetuosa erranza del «con» si rivela l’heideggeriano «con-essere» come origine della cura («l’aver cura si fonda nella costituzione di essere dell’Esserci in quanto con-essere»).
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Con queste premesse filosofiche percorse da un’intuizione fulminante, l’autore statunitense affronta l’atroce sofferenza per la scomparsa di sua moglie Caroly D. Wright (poetessa premiata con il Griffin Poetry Prize e il National Book Award), la difficoltà nello spiegare il lutto al loro figlio, la malattia della madre Ruth, i disastri ambientali. Assenza e presenza, sottrazione e addizione si intrecciano nel profondo compenetrarsi di io-tu («Scrivere Tu/ mi hai esistito/ non sarebbe soltanto/ una sorda traduzione», Epitaffio), nella pierfrancescana unità-disunità del noi con il mondo («E poi odorarlo,/ sentirlo ancora prima/ che il suono lo/ raggiunga, si inginocchia al/ margine della scogliera», Madonna del Parto). Lo stile di Gander è tecnico, altamente specializzato mentre la struttura formale dei testi varia da versi brevi e a versi lunghi, da gabbie strofiche a pezzi in prosa, da sequenze gnomiche a puntuali riflessioni di ecopoetry (si pensi a Zona litoranea). Gander — legato ad autori come Robert Hass e alla scuola poetica ispanica — presenta un impaginato in schegge, graficamente dislocato, con zigrinature, segmentazioni, spazi bianchi gravidi di senso. La iunctura acris di certi accostamenti rende generalmente aspro il timbro delle sue poesie: filosofemi mistici (un componimento è dedicato a Giovanni della Croce) e sintassi ecologica, linguaggio della scienza e teorie dell’ego servono a segnalare il preciso schieramento della lirica di Gander, il pensiero poetante.