Roberto Carifi

di Eleonora Rimolo

La madre e il suo grembo, cioè la città natale del poeta, sono i due temi sui quali si incardina tutta l’intensa attività poetica di Roberto Carifi. Pistoia è diretta emanazione del legame affettivo materno, dal quale il poeta non riuscirà mai a prescindere: la madre è musa e dopo la sua scomparsa sarà incolmabile perdita di uno stato d’infanzia e di giovinezza custodito in eterno dalla memoria e dal sogno. “Gli anni sono gocce” e dunque il tempo scorre con la sua lentezza inesorabile quanto esasperante, trascinando con sé ricordi e momenti di un’infanzia dorata “finché un raggio ferisce tutto/anche gli attimi invincibili” del “primo amore”, che è insostituibile per il poeta. La parola è il mezzo attraverso il quale Carifi indaga l’inspiegabile distanza tra corpo e interiorità, tentando ostinatamente di ricongiungerli in un “abbraccio umido,/spietato”, senza riuscirci mai pienamente ma attraversando, in questo modo, ogni categoria dell’agire e del sentire umano: se anche la “neve tardiva” non si scioglie, “gli occhi si sciolgono al perdono” e tanto basta al poeta per rimanere aggrappato alla vita.

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Bruno Galluccio, “La misura dello zero”

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di Maddalena Lotter

«Amare la verità significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte.
La verità sta dalla parte della morte.»
(Simone Weil, L’ombra e la grazia)

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A un anno dalla sua pubblicazione, mi imbatto felicemente in La misura dello zero (Einaudi, 2015) di Bruno Galluccio. Dico felicemente perché, se molto spesso nella poesia che viene scritta oggi il lettore è obbligato a contemplare le miserie e le difficoltà dell’interiorità umana, la scrittura di Galluccio invece lo invita ad uscire da se stesso, ad alzare lo sguardo verso l’alto e a confrontarsi con la presenza del mondo; un mondo che è dato nella sua interezza, un universo, una accettazione, una speranza, il cielo insomma, un cielo di cui oggi molti poeti sembrano avere paura, e infatti raramente ne parlano nei loro versi, sempre più introspettivi, personali, arrovellati sull’esistenza in quanto faccenda solo umana e talvolta prepotentemente autobiografica. Continua a leggere

Fausto Gianfreda “Parzival, il puro folle e il Graal”

 

parzival_coverINTRODUZIONE
di Fausto Gianfreda

“[…] noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite […]”.

Papa Francesco

 La mia meditazione sulla storia dell’ingenuo folle del Graal data ormai da quasi trent’anni. Si è nutrita di letture sempre più accurate, ogni volta inducendo a frequentazione più seria delle fonti. Ogni nuova interpretazione della storia mi rimandava, infatti, alla necessità di tornare ai racconti originari: primo fra tutti – in ordine cronologico ed assiologico insieme – il Perceval di Chrétien de Troyes.

La meditazione continua tuttora. Ne è prova questo ultimo tentativo di dire il mio sempre più grande interesse: attraverso una riesposizione in versi della storia. Penso che l’assimilazione diventi matura solo quando si avverte il bisogno di narrare ad altri il contenuto con parole proprie. Allora la storia ci è entrata dentro: quando colori e suoni del dire sono tessuto che noi stessi provvediamo alla tradizione della trasmissione. Continua a leggere

Fausto Gianfreda, "Il Graal di Simone Weil"

 
fausto_gianfridaDescrizione
La simbolica del Graal, con al centro la vicenda del puro Parzival/Parceval, dà immagine ai motivi fondamentali dell’ultima riflessione della Weil sulle condizioni dell’assimilazione a Dio attraverso la contemplazione del Logos Alogos. Nella leggenda del Graal, Oriente e Occidente comunicano nella salvezza nel segno della Croce del Cristo. È convinzione profonda della Weil che tale comunicazione debba realizzarsi in pienezza proprio nella nostra epoca, attraverso l’educazione alla forma più intensa di attenzione: quella di Dio che si comunica al creato nel sacrificio.
L’ermeneutica weiliana illustra indirettamente la perdurante efficacia del lascito letterario proveniente dal Medioevo.
“Il Graal di Simone Weil”, di Fausto Gianfreda, Pazzini Stampatore Editore, 2012
 

A “Notti d’autore” Nadia Fusini

Nadia Fusini, una delle più autorevoli studiose e scrittrici italiane è ospite di NOTTI D’AUTORE giovedì 2 maggio 2013 alle 0:30 su Rai Radio 1. Docente di letteratura inglese e critica shakespeariana all’università La Sapienza di Roma, allieva di Agostino Lombardo e di Giorgio Melchiori, i più importanti traduttori di Shakespeare in Italia, ha poi approfondito gli studi sulla letteratura americana all’Università di Harvard e successivamente sul teatro elisabettiano e Shakespeare presso lo Shakespeare Institute di Birmingham. Nadia Fusini è anche Docente presso l’istituto di Scienze Umane che ha sede a Firenze.
Nell’intervista di Luigia Sorrentino Nadia Fusini parla in anteprima del suo nuovo romanzo appena uscito con Einaudi: “Hannah e le altre”. Hannah Arendt, Simone Weil e Rachel Bespaloff. Tre donne diverse e lontane ma dotate dello stesso intuito, “dello stesso sguardo” rispetto alla violenza, al potere, alla guerra… Tutte e tre commenteranno i vantaggi e gli svantaggi del “potere”, nel senso che esse vedono con chiarezza come “per il potere” si possa rischiare di perdere qualcosa di molto prezioso : la libertà di pensare.

L’AUDIO DELL’INTERVISTA A NADIA FUSINI di Luigia Sorrentino


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Sergio Baratto, “Diario di un’insurrezione”

Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino
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Sergio Baratto. Diario di un’insurrezione
Effigie – collana i Fiammiferi – 2012

di Nadia Agustoni

E’ il settimo volume della collana “i Fiammiferi” Effigie edizioni ed è un diario di riflessioni puntuali, attente e decisamente partigiane, nel senso migliore del termine, sopratutto per come l’autore riesce a spiegarci le sue ragioni e la sua scelta di essere controcorrente nell’impegno politico e sociale anche rispetto a chi si crede depositario di verità alternative. Sergio Baratto è uno scrittore che vive in provincia di Milano, scrive sul blog “Il primo amore”, ha una vasta esperienza di scrittura in rete e qui pubblica il suo primo libro. Continua a leggere

Cristina Campo, “Il mio pensiero non vi lascia”

Ci sono prosatori che proprio nelle lettere raggiungono una sorta di perfezione assoluta: riuscendo, nel breve volgere di una frase, a toccare vertici di bellezza e di intensità. Che la Campo sia uno di essi lo hanno dimostrato le Lettere a Mita e Caro Bul: e questo terzo pannello dell’episto­lario, che raccoglie le lettere scritte agli amici del periodo fiorentino, ne è una conferma. Nel 1956 Cristina è costretta ad abbandonare Firenze per Roma; e gli anni romani saranno costantemente pervasi dal ricordo struggente di quel giardino incantato che era la cerchia degli «amici d’infanzia»: Piero Draghi, Mario Luzi, Anna Bonetti, Venturino Ven­turi, Giorgio Orelli. A tutti loro scrive dal suo «esilio» parole di nostalgico affetto («C’è con voi­altri, nell’aria, gusto di latte»); ma il più rimpianto è senza dubbio Gianfranco Draghi, quel Gian che guarda ai suoi stessi «fari» (i più luminosi: Hofmannsthal e Simone Weil), lo scrittore e poeta di cui ammira la personalità e l’opera, l’amico che «conosce sempre, sottilmente, il disegno del tempo, e trova la parola magica da incidervi». Continua a leggere