Giulia Napoleone, “Il corpo della parola”

La Richard Saltoun Gallery ospita dal 12 settembre la mostra dedicata all’artista italiana Giulia Napoleone. L’esposizione segue la grande retrospettiva “Realtà in equilibrio” che si è svolta nel 2018 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (GNAM). Focus: il colore blu. Come ha detto l’artista stessa, «L’azzurro è denso di storia […], è il colore dell’intelligenza, del pensiero, della poesia francese». In mostra opere su carta e dipinti, dagli anni Sessanta ai più recenti, caratterizzati per l’appunto dall’ampio uso del colore blu. Per l’artista, l’uso di tale colore non è semplicemente legato a elementi naturalistici come il mare o il cielo, ma costituisce, con le sue innumerevoli sfumature, l’astrazione di molteplici pensieri.

Il lavoro di Giulia Napoleone è strettamente legato al suo vissuto, alle cose da lei amate e percepite. L’intento del suo processo artistico è quello di restituire l’immediatezza della percezione, la quale non viene intesa unicamente come atto sensoriale, bensì comporta l’interpretazione che consolida il rapporto che noi stessi instauriamo con l’esterno. L’oeuvre di Napoleone è stata coinvolta nel fenomeno della percezione sin dagli anni ’60, seconda decade della sua carriera artistica, reduce dallo studio condotto, al riguardo, dall’artista futurista Giacomo Balla.

La sua pratica comprende tecniche e medium differenti, che spaziano da incisioni a tempere, da acquarelli a disegni, ed è sempre stata guidata dall’interesse di creare un’esperienza estetica elevata, attraverso un approccio sobrio e metodico. Il suo studio varia dall’esplorazione della composizione con opere monocromatiche degli anni ’50 e ’60, all’uso del colore, emerso a metà degli anni ’70; in particolare il colore blu, che descrive come “versatile” per tutte le sue diverse tonalità. Nonostante sia caratterizzato da una grande varietà, il suo corpus di opere è accomunato da una natura mutevole, in continua metamorfosi, in grado di svelare significati sempre nuovi che variano in base alla connessione creata fra l’opera e i suoi “lettori”. Continua a leggere

Alessandro Ceni in mostra a Pescia

L’esposizione rimarrà aperta al pubblico fino al 3 settembre 2023.

Il ciclo delle mostre ospitate nel 2023 dalla Fondazione POMA Liberatutti di Pescia (Pistoia) continua con Alessandro Ceni, artista fiorentino classe 1957 che presenta ventidue opere, di cui diciassette inedite.

Le ventidue opere sono state realizzate tra il 2014 ed il 2023 e fanno parte di due collezioni: figure e natura. Il trait d’union di tutte le opere di Ceni è l’utilizzo della tavola come base di applicazione e l’impiego di spago o filo in plastica e talvolta cavo elettrico.

Nella recentissima collezione figure, oltre all’utilizzo di ossa animali, Ceni introduce un nuovo elemento strettamente legato all’uomo e al suo ambiente: l’indumento.

La prima opera della collezione figure, Uomo in piedi e fantasmi (2019-2022), rappresenta il simbolo dell’intera esposizione. Le sue dimensioni e il colore viola scuro sullo sfondo fanno del quadro un unicum rispetto agli altri.

«La mostra è un’occasione per valorizzare i lavori di Ceni in relazione agli spazi di Poma. Un dialogo tra le opere e gli ambienti circostanti, alla ricerca di letture inedite», commenta la curatrice Marta Convalle.

Il catalogo bilingue (italiano/inglese) di 64 pagine è pubblicato da Edizioni Fondazione POMA Liberatutti nella collana PomArte. Curato da Marta Convalle con la prefazione di Paolo Trinci, contiene un’intervista all’artista del professor Andrea Pellegrini e dispone di un ricco apparato iconografico. Sarà disponibile in Fondazione oppure contattando la segreteria al numero +39 0572 1770011. Le opere sono in vendita.

Mimmo Paladino alla Galleria Mazzoli

Mimmo Paladino a partire dal 3 dicembre 2022 torna a esporre alla Galleria Mazzoli di Modena dopo la mostra EN DE RE del 1980, la personale del 1992, Dieci arazzi con Alighiero Boetti del 1993, Vasi Ermetici del 1994 e le mostre personali del 2012 e del 2014, proponendo Il tema dei fiori, un ciclo di opere inedite in cui sono protagonisti i fiori, soggetto ricorrente in tutta la storia dell’arte, dall’antichità fino ai nostri giorni.

Paladino realizza per questa mostra sia opere di grandi dimensioni che piccoli dipinti in cui convivono pittura, scultura, incisione e disegno e in cui campeggiano le sue teste, la figura umana e le sue classiche figure geometriche delineate con segni primordiali, opere in cui si percepisce il dialogo tra l’uomo e la natura attraverso le stratificazioni materiche e gli elementi floreali immersi nell’immaginario poetico dell’artista.

Nel testo del catalogo della mostra Lorenzo Madaro ci parla di “Fiori che germogliano, fiori che si amalgamano a corpi antropomorfi arcani, fiori che persistono e fiori che si dissolvono; fiori che lievitano verticalmente e altri che compiono viaggi imperscrutabili e che svelano in maniera ancor più precisa che per Paladino questo del fiore non è un tema fine a sé stesso, perché d’altronde nella sua ricerca non esistono tematiche, quanto piuttosto un presupposto che gli consente una maggiore disinvoltura e una libertà di segno, anche al di là del segno stesso.[…] La forma di questi fiori è totemica, arcaica, appartiene a un lessico visuale che nella ricerca del maestro è parte integrante di un alfabeto ermetico ma al contempo ormai famigliare. A guardarle queste tele sono singole sezioni di un discorso più ampio e aperto, sono elementi di un grande giardino, che è un tema che appartiene da tempo a Paladino.” Continua a leggere

Al Mig “Cangiante” di Giuseppe Capitano

Gino Severini “Composizione futurista”, 1938 Xilografia

Sabato 8 ottobre 2022, dalle ore 17.00 alle ore 20.00, il Polo Musale di Castronuovo Sant’Andrea apre i propri spazi (MIG. Museo Internazionale della Grafica, Biblioteca Comunale “Alessandro Appella”, Atelier “Guido Strazza” per la calcografia, Museo Internazionale del Presepio “Vanni Scheiwiller”, Museo della Vita e delle Opere di Sant’Andrea Avellino) per la XVIII Giornata del Contemporaneo AMACI.

Il MIG accoglie due mostre: La storia dell’“École de Paris” – la “Scuola di Parigi” raccontata attraverso una selezione della grafica del Novecento europeo (Picasso, Braque, Matisse, Bernard, Chagall, Severini, Magnelli, Legér, Zadkine, Archipenko, Bazaine, Zao Wou-Ki, Arp, Sonia Delaunay, Mirò, Poliakoff, Bazaine, Beaudin, Music, Le Moal, Manessier, Pignon, Singier, Tal-Coat, Villon, Hartung, Bram Van Velde, Man Ray, Dominquez, Matta, Bellmer, Lepatre, Masson, Vuillard, Marquet, Lurçat, Ernst, Dorotea Tanning, Dunoyer de Segonzac, Ubac, Soulages, Vieira da Silva, Gromaire, Goetz, Christine Boumeester, Bryen, Bissier, Bissière, Labisse, Lam, Charchoune, Fautrier, Dubuffet, De Chirico, Rebeyrolle, Mathieu, Messagier, Friedlaender, Campigli, Vasarely, Hayter, Herold) e “Cangiante” con un gruppo di opere su carta realizzate con le erbe da Giuseppe Capitano durante la residenza a Castronuovo dal 16 al 21 agosto 2022.

La prima mostra mette in evidenza come e perché Parigi, nella prima metà del secolo XX, fu lo spazio della pluralità, della creatività senza confini, dell’incubazione dell’arte moderna: un polo d’attrazione e di riferimento ineludibile che stimola oltre cinquecento artisti di trenta diversi paesi a risiedere nella città, a studiare nelle sue accademie, a formare sodalizi e reti di amicizie con letterati, critici, editori, galleristi, mercanti, stampatori, assegnando alla grafica un ruolo determinante per la diffusione, in tutto il mondo, dei sentimenti di un’epoca.

Giuseppe Capitano in una foto di Silvano Di Leo

La mostra di Capitano invece, fa parte di una ricerca perseguita da molti anni  dall’artista sull’utilizzo del colore.  La  volontà di Capitano è quella di combattere la finta cromia industriale che pigmenta di plastica il mondo.

Giuseppe Capitano – “Disegno con erbe”, 2022

I disegni di Capitano sono eseguiti strofinando foglie (a volte fiori, a volte frutti) su una carta non acida così da accogliere la materia organica della pianta che muta di colore nel corso del tempo virando da verde a giallo a marrone sino a volte a rimanere solo come un’impronta.

Questo divenire mette in contatto il tempo biologico dello spettatore con quello dell’opera su uno stesso piano di mutamento. Da ciò la decisione di Capitano di vivere in campagna che, per quanto antropizzata, può correggere questa finzione.

Roberto Linzalone in una foto di Antonello Di Gennaro

Come da tradizione (ogni anno, per la giornata del contemporaneo, un artista, un critico o un poeta sono ospiti del Polo Museale), l’incontro con il poeta Roberto Linzalone metterà in luce caratteri e prospettive delle due mostre e di quanto si fa a Castronuovo per l’arte contemporanea.

Per l’occasione, leggerà testi dei vari poeti (Apollinaire, Breton, Prevert, Valèry, Aragon, Butor, Char, Cocteau, Eluard, Larbaud, Queneau, Reverdy, Tzara) che hanno collaborato con gli artisti della “Scuola di Parigi”, costruendo, nel corso del ‘900, una serie di fondamentali libri d’artista. Continua a leggere

Innocenzo Odescalchi, “Il battesimo di Lucifero”

Nota introduttiva di Fabrizio Fantoni

 

Con la sua ultima mostra – intitolata “Oltre” – realizzata nei locali dell’antica fornace di Antonio Canova Innocenzo Odescalchi ci consegna un’opera di grande impatto visivo.

In uno spazio circolare – voltato da cupola come i templi dell’antica religiosa – ecco palesarsi allo sguardo del visitatore la  figura di Lucifero che si cala dall’alto legato ad una catena infissa alla volta. Sotto di lui – sul pavimento al centro della sala -uno specchio d’acqua a simboleggiare il rito del battesimo. La catena che lo serra impedisce al demone l’immersione purificatrice nell’acqua.

Con questa opera, spiazzante e totalizzante, Innocenzo Odescalchi condensa le contraddizioni insite nella nostra contemporaneità in cui l’essere umano appare teso tra perdizione  e desiderio di redenzione.

Intervista a Innocenzo Odescalchi
di Fabrizio Fantoni
Roma, 10 luglio 2022

 

L’opera esposta sembra affrontare l’idea del sacro. Puoi raccontare la genesi del lavoro?

 

L’origine del mio lavoro “il battesimo di Lucifero” è nato dall’esigenza di poter descrivere uno “spettacolo visionario” che ti trascina fuori da questo tempo e ti conduce in un “mondo altro”.

Canova22, luogo dell’esposizione, è la Fornace dove Antonio Canova ideava e modellava la prima forma in creta per poi forgiarla col fuoco, elemento primario. Ho cercato di dare forma a una rivelazione, un’esperienza estatica che scuote e trasforma il trauma spirituale dettato dall’Arte per ricostruire una pratica trascendente, Friedrich Nietzsche diceva: “l’Arte alza la testa dove le religioni scompaiono”. La statua che rappresenta un demone in cerca di salvezza. Lui, il mistificatore che viene ingannato esso stesso, impossibilitato a purificarsi, scambia una pozza di petrolio per una fonte d’acqua destinata al fuoco perenne. Continua a leggere

Luigi Auriemma, l’arte in versi

Luigi Auriemm


di Marco Amore

Arte e parola condividono lo stesso passato: non a caso, le prime forme di scrittura erano simboli – e non parlo dei geroglifici egiziani o del sistema di scrittura cuneiforme sumera – ma delle pitture rupestri nelle grotte di Lascaux, risalenti al Paleolitico superiore, o dei successivi petroglifi della Val Camonica.

Partendo da Leonardo da Vinci e da Michelangelo Buonarroti, il primo con la sua scrittura speculare e il secondo con la sua lirica amorosa e tormentata, fino ai giochi di parole e alle frasi omofone di Marcel Duchamp, questo legame non si è mai incrinato, anzi, è andato via via rafforzandosi, malgrado il processo di settorializzazione della cultura occidentale, esasperato da convinzioni ormai superate sulla nozione di divisione del lavoro (ricordate Adam Smith e la celebre “fabbrica di spilli”?) e da teorie che non incontrano le attuali esigenze del mercato del lavoro in una società liquida che si affaccia alla quarta rivoluzione industriale – digitalizzazione dei processi, smaterializzazione delle filiere produttive, rottura dei confini settoriali.

In questo frangente, non possiamo tacere del lavoro antioggettualista di artisti visivi come Lawrence Weiner (1842-2021), tra i precursori (è corretto usare questo termine, se teniamo conto del passato che accomuna arte e parola?) della smaterializzazione dell’oggetto artistico in favore del linguaggio.

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Ascanio Celestini, “Museo Pasolini”

Ascanio Celestini

Ascanio Celestini attore, regista, scrittore e drammaturgo italiano è uno dei rappresentanti più interessanti del teatro di narrazione in Italia.

Nell’anno delle celebrazioni per il centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, Ascanio Celestini porta in scena “Museo Pasolini”. Un museo “immateriale” del quale lui è “il custode”.

“Museo Pasolini” è quindi, un museo immaginato attraverso le testimonianze di uno storico, uno psicoanalista, uno scrittore, un lettore, un criminologo, un testimone che l’hanno conosciuto.

Lo spettacolo prende vita da una dichiarazione di Vincenzo Cerami: “Se noi prendiamo tutta l’opera di Pasolini dalla prima poesia che scrisse quando aveva 7 anni fino al film Salò, l’ultima sua opera, noi avremo il ritratto della storia italiana dalla fine degli anni del fascismo fino alla metà degni anni ’70. Pasolini ci ha raccontato cosa è successo nel nostro paese in tutti questi anni”.

“Il pezzo forte di Museo Pasolini” è il corpo di Pasolini, racconta Ascanio Celestini nella mia intervista realizzata per la TGRCampania il 29 giugno 2022 nell’ambito delle Celebrazioni delle Giornate leopardiane a Torre del Greco, a Villa delle Ginestre, e rivela verità molto importanti sui veri responsabili di quella morte.

Pier Paolo Pasolini e sua madre

Alla fine dell’intervista ho notato che Ascanio porta un braccialetto giallo con una scritta: “Verità per Giulio Regeni”. Per poterlo leggere ho dovuto toccargli la mano,  e far girare il braccialetto sul suo polso. Un gesto intimo, di solidarietà e di vicinanza che mi ha fatto sentire la grande forza del suo impegno umano e civile.

Gli ho chiesto se ci fosse per lui una qualche relazione fra Pasolini e Giulio Regeni.

Lui ha risposto così: “Prima cosa sono tutti e due legati al Friuli. Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna però poi viene sepolto a Casarsa della delizia perché la mamma è di Casarsa è friulana e Giulio Regeni vive vicino, a Fiumicello… però tutti e due sono esposti, lanciati nel mondo, ma proprio esposti, liberi e anche indifesi nei confronti del mondo. Continua a leggere

Rinviata la conferenza stampa di martedì 21 giugno nel Salone delle Feste di Capodimonte per annunciare il dono della Collezione Lia e Marcello Rumma al Museo

COMUNICATO STAMPA

Gentilissimi,
Vi comunichiamo che a causa di forza maggiore, la conferenza stampa di martedì 21 giugno alle ore 11 nel Salone delle Feste del Museo e Real Bosco di Capodimonte, per annunciare la donazione della Collezione Lia e Marcello Rumma allo Stato Italiano, è RINVIATA. L’avevamo annunciato QUI. 

Sarà nostra cura comunicarvi, appena possibile, la nuova data che sarà riprogrammata al più presto.

I nostri più cordiali saluti,

Galleria Lia Rumma

Lia Rumma dona la sua collezione al Museo di Capodimonte

Lia e Marcello Rumma, 1961

Lia Rumma, la più importante gallerista italiana, dona al Museo di Capodimonte  una parte consistente della sua collezione: una selezione di oltre 70 opere di artisti italiani, dagli anni Sessanta, con un focus sull’Arte Povera.

Tra gli artisti in collezione: Vincenzo Agnetti, Giovanni Anselmo, Carlo Alfano, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Mario Ceroli, Dadamaino, Gino De Dominicis, Giuseppe Desiato, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Paolo Icaro, Mimmo Jodice, Jannis Kounellis, Maria Lai, Carmine Limatola, Pietro Lista, Francesco Matarrese, Mario Merz, Marisa Merz, Aldo Mondino, Ugo Mulas, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Pino Pascali, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Gianni Ruffi, Ettore Spalletti, Giulio Turcato, Gilberto Zorio.

La collezione “Lia e Marcello Rumma” sarà allestita come raccolta permanente nella Palazzina dei Principi, elegante edificio nel Real Bosco di Capodimonte, fondato dai Carmignano marchesi di Acquaviva prima del Palazzo reale, situato davanti alla facciata principale della Reggia.

La raccolta si aggiunge alla sezione d’arte contemporanea con oltre 160 opere già musealizzate,  che rende il Museo di Capodimonte l’unico in Italia a conservare e esporre l’arte dal XIII secolo a oggi, con raccolte eccezionali tra le quali quella Farnese.

L’annuncio verrò dato martedì 21 giugno 2022 alle 11:00 presso la Stufa dei Fiori – Tisaneria annessa alla Palazzina dei Principi, dal Ministro della Cultura Dario Franceschini, da Lia Rumma e dal Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger.

La collezione Lia e Marcello Rumma

La donazione comprende oltre 70 opere, tra dipinti, sculture, fotografie e lavori su carta e documenta la pratica di una trentina di artisti italiani, la cui ricerca ha avuto un riscontro internazionale.

Un focus è inoltre dedicato all’Arte Povera – definizione coniata nel 1967 dal critico Germano Celant – e di altri artisti riferiti alla medesima scena, la cui ricerca individuale si è sviluppata accanto ai movimenti radicali di quegli stessi anni.

L’insieme copre un arco di tempo che va dal 1965 agli anni Duemila. Continua a leggere

Al museo Bilotti, “Cosmogonia”

COMUNICATO STAMPA

Al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese la mostra
COSMOGONIA

Sonia Gentili Daniela Monaci

A cura di Lorenzo Canova

Poesia visiva, fotografia, installazioni, video

La mostra Cosmogonia presenta opere di Daniela Monaci e poesie di Sonia Gentili trasformate in installazione visiva (sette Fogli e un Libro con testo dinamico) dal collettivo L’uomo che non guarda (Sonia Gentili e Ambrogio Palmisano).

Le personalità degli artisti sono legate dall’intento di superare i limiti della percezione ottica per trovare uno sguardo profetico calato nel nucleo incerto della realtà, alla ricerca di un disvelamento “apocalittico” posto sul fragile crinale che divide l’apparire e l’accadere delle cose, nel “punto d’intersezione del senza tempo col tempo” evocato nei Quattro quartetti di T. S. Eliot.

La mostra, a cura di Lorenzo Canova, è ospitata al Museo Carlo Bilotti dal 16 giugno al 4 settembre 2022 ed è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi culturali di Zètema Progetto Cultura.

Nella mostra le trame e le geometrie della natura entrano in un rapporto di corrispondenze col dipanarsi dei versi sulle pagine elettroniche, in un perenne andamento di emersione e di inabissamento della parola e delle forme innestate agli intrecci metamorfici di un mondo in bilico fra la sua trasformazione e la sua immutabile matrice originaria.

Le opere sono armonizzate agli spazi del museo Bilotti per accompagnarci in viaggio i cui punti di partenza e di approdo restano però sospesi nell’incertezza di una strada realizzabile solo attraverso la personale immersione nella profondità della mostra.
Daniela Monaci traccia le rotte di una navigazione pensata per Smarrirsi (titolo di un suo ciclo di opere) e ritrovarsi nelle riapparizioni figurali di esseri umani che affiorano da un mare di nebbia, da una caligine simbolica che avvolge i corpi e li restituisce come alla fine di un naufragio, nella ri-creazione cosmogonica di un mondo in cui nuove terre sorgono dalle acque del nulla, evocate dallo sguardo accecato di occhi chiusi ma immersi nelle tenebre annunciatrici della profezia.

I Fogli e il Libro del collettivo L’uomo che non guarda trasformano i testi di Sonia Gentili in poesia visiva in cui il testo, dinamizzato in modo da emergere gradualmente, è in cammino verso la sua forma. Le parole affiorano pian piano come fioriture di nero nel candore della carta digitale, visione imperfetta per speculum in aenigmate di un mondo terreno a cui il mistero dell’esistere nega e concede arbitrariamente la speranza di un mondo superiore.

In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo da Ensemble Edizioni, Roma, con testi di Lorenzo Canova, Giovanna dalla Chiesa, Giorgio Patrizi con un contributo del Collettivo L’uomo che non guarda. Continua a leggere

I “Depositi piovani” di Luccioli

Massimo Luccioli

In mostra le opere visionarie di Massimo Luccioli

Nota di Fabrizio Fantoni

 

La prima impressione che offrono le opere di Massimo Luccioli è di condensare con rinnovata energia le lezione della più importante produzione artistica del novecento.

Le sue superfici ci restituiscono la matericità di Alberto Burri, la forza evocativa di Leoncillo e la poesia visionaria di Lucio Fontana.

Le opere di Luccioli ponendosi al confine tra scultura e pittura ci portano a contatto con l’inconscio, con la materia archetipica, a volte magmatica, che si muove al di sotto o al di là del visibile.

Il gesto artistico che sorregge le creazioni di Luccioli, seppur animato da un’ irriducibile istintualità, risulta sempre contraddistinto da un controllo e da una raffinata sostenutezza formale assai desueta nel panorama artistico contemporaneo.

Un artista da scoprire ed apprezzare in questa inedita mostra.

Volto di uomo

MASSIMO LUCCIOLI
Depositi piovani
A cura di Mario Finazzi

9 giugno opening
Aleandri Arte Moderna
Roma

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Il virtuosismo tecnico di Antonio Finelli

Antonio Finelli

 “Oltre la realtà”.

Il mondo artistico di  Antonio Finelli

Intervista di

Fabrizio Fantoni

 

Artista tra i più valenti della sua generazione, Antonio Finelli (classe 1985) si contraddistingue per la sbalorditiva perizia tecnica con cui esegue i suoi disegni.

Le sue figure, che si stagliano nette sulla carta, portano con loro la caducità e la fragile bellezza delle farfalle: volti segnati dalla vecchiaia ritratti con lenticolare precisione, immagini che sembrano emergere dal fondo della memoria per mostrarsi  ai nostri occhi un’ultima volta prima di scomparire definitivamente.

Il virtuosismo di Antonio Finelli non è fine a se stesso ma, al contrario, è il mezzo per andare oltre il visibile ed indagare le nascoste armonie che sorreggono i rapporti tra gli uomini.

 

Disegno di Antonio Finelli

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Teresa Maresca. “Il kimono d’oro dell’imperatore”

Testo presentazione mostra

Le cose sono andate esattamente così.
Avevo lavorato a un gruppo di opere diverse dalle mie solite: sono un pittore che usa pennelli e colori sulle tele, e  di solito prediligo le grandi dimensioni. Ma da tempo guardavo con più assiduità i libri sull’ Ukiyo-e, l’arte fluttuante dei maestri incisori del periodo Edo ,  Hiroshige, Utamaro, Okusai, fino a quando ho avuto la tentazione di provare a tradurre i loro temi con il mio modo.

Prima di me avevano intrapreso quella strada molti pittori come Monet, Whistler, o Gauguin, ma io sono innamorata di un piccolo olio di Van Gogh che copia fedelmente un’incisione di Hiroshige, un ramo di pruno fiorito.

Mi sono chiesta come sarebbe stato dipingere fiori di loto galleggianti,  alberi in fiore, aceri, templi buddisti immersi nei giardini; come sarebbe diventata la mia pittura declinata tra quei soggetti.

Prima di tutto è cambiata la dimensione, le opere si sono rimpicciolite, un solo fiore  ha riassunto interi stagni. Poi sono cambiate le tecniche, non ho dipinto su tela ma su fogli di rame sottilissimi,  lastre di ferro,   tavole di legno, e addirittura su seta.  Inoltre ho realizzato un libro d’artista, una copia unica, legata a mano, disegnata interamente da me, che inoltre ho inventato la storia del kimono d’oro.

Il rapporto con l’arte orientale da cui ero partita c’era sempre, ma dovevo verificarlo.

Quando sono entrata nella galleria di Renzo Freschi con il libro e qualche altra opera sotto il braccio, non sapevo che cosa sarebbe successo.  Avrebbero retto al confronto con quegli oggetti bellissimi che raccontano di una cultura antica?

Renzo Freschi è stato molto accogliente. Mi ha lasciato sistemare le mie opere tra i suoi Buddha di pietra e gli Specchi di bronzo, e ha ascoltato paziente la storia vera da cui è nato il  libro sul kimono d’oro. Non ci eravamo mai incontrati, anche se ero spesso entrata in galleria.  “Facciamo una mostra”, mi dice,  “dove il libro è il punto di partenza.” Continua a leggere

Segni e poesia nelle opere di Giulia Napoleone

Giulia Napoleone


di
Fabrizio Fantoni

 

Giulia Napoleone torna a rinsaldare il suo antico sodalizio con la poesia presentando una mostra di rara eleganza, intitolata Giulia Napoleone per Mantova Poesia ospitata  presso la casa del Rigoletto.

Sedici opere su carta (dedicate ad altrettanti poeti scelti dall’artista: Annelisa Alleva, Maria Clelia Cardona, Milo De Angelis, Roberto Deidier, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Alberto Nessi, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Roberto Rossi Precerutti, Leonardo Sinisgalli, Luigia Sorrentino, Marco Vitale) in cui la parola poetica si fa segno verticale che scava gli strati più profondi della nostra interiorità.

Le pitture di Giulia Napoleone pongono l’osservatore sulla soglia di un universo che si forma di fronte ai suoi occhi: le geometrie delle sue opere evocano l’immagine di una sostanza primordiale, originata e consumata dalla sua stessa storia in cui le forme, fisse e mobili al tempo stesso, vibrano come le orbite dei pianeti o i nuclei delle cellule.

È il perenne vorticare della polvere che compone il mondo, il mistero dell’incommensurabile che si riversa nell’infinito e i segreti movimenti dell’inconscio ad essere oggetto della ricerca artistica di Giulia Napoleone attraverso un’invisibile rete di corrispondenze con i versi dei poeti da lei amati.

Si veda, ad esempio, l’opera dedicata alla poesia di Giancarlo Pontiggia intitolata “ Una linea infinita di tempo” in cui la circolarità dell’esistere viene resa dal contrasto di una linea bianca su un fondo di colore nero uniforme – ma differenziato nella stesura – che trasmette un senso di spazio continuo ed infinito.

La percezione delle pitture di Giulia Napoleone risulta in un primo momento frammentaria: l’occhio si sposta continuamente da un punto all’altro, seguendo relazioni di intensità, tono, forma e direzione. Il punto focale della composizione, con un ritmo musicale simile ad una composizione jazz, si contrae e si espande in un equilibrio cromatico e di forme che si fa specchio delle nascoste armonie del mondo reale.

Giulia Napoleone per Giancarlo Pontiggia

Il senso di straniamento che ne deriva trova corrispondenza nei versi di Giancarlo Pontiggia.

Una linea infinita di tempo
ci precede; un’altra
ci segue: attonite le contempliamo,
sospesi fra due mondi
indifferenti, lontani. Eppure, niente li separa

se non te, che guardi.

I segni che erano prima di noi e che restano, immortali, dopo di noi: ecco il punto di congiunzione dell’opera pittorica di Giulia Napoleone con la poesia degli autori da lei scelti.

Giulia Napoleone per Luigia Sorrentino

Su questo limite estremo fra due universi – quello del contingente e quello arcaico ed immersivo creato dall’opera d’arte – l’osservatore non può far altro che interrogare l’ombra.

Lo spazio nero che campeggia al centro della carta intitolata “Piazzale senza nome” – ispirata all’omonima raccolta poetica di Luigia Sorrentino – è  l’immagine della notte da cui proveniamo e in cui torneremo e, al tempo stesso, la rappresentazione grafica del nostro trasalire di fronte al compiersi dell’esperienza umana.

In questo non luogo oscuro e solenne come una cattedrale, delimitato da un pulviscolo che stempera il colore nero del nucleo – come la notte lascia il posto ad un’alba senza incubi – ecco riecheggiare i versi di Luigia Sorrentino

– e voi siete ancora santuario
oscura innocenza
infestati dal morso della capra
sacre gemme
reliquie di sonno
cadute nei dirupi –

La geometria del cerchio più volte utilizzata da Giulia Napoleone nei suoi dipinti, evoca il tema del ritorno.

Giulia Napoleone per Milo De Angelis

Scrive Milo De Angelis in una recente pubblicazione: “ C’è un posto in fondo al nostro essere e noi, scendendo a picco, liberandoci dai passatempi della vita quotidiana, concentrandoci interamente sull’essenziale, possiamo indirizzare il cammino verso questo porto, che è la méta ultima della nostra vita. Ma perché ciò avvenga, dobbiamo capire dove siamo. E per capirlo dobbiamo ritornare. Per questo il viaggio in avanti verso il nostro porto è nel medesimo tempo un viaggio all’indietro verso ciò che siamo stati, verso i luoghi che abbiamo amato” (Milo De Angelis, Ritorno, edizione critica, Vallecchi 2022). Continua a leggere

La divina Abramović al San Carlo

“7 Deaths of Maria Callas”

di Luigia Sorrentino

Si è tenuta il 13 maggio alle 17:00 a Napoli la prima italiana di “7 Deaths of Maria Callas” con Marina Abramović in scena al Teatro San Carlo  fino a domenica 15 maggio.

Lo spettatore che ha seguito il lavoro svolto da quarant’anni dalla celebre artista serba si troverà di fronte a un’opera profondamente diversa da quelle a cui aveva assistito in passato.

Il desiderio di mettere in scena la Callas era qualcosa che covava da molto tempo nella mente di Marina. Nella sua autobiografia, la Abramović ha scritto di sentire la necessità di voler creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas.

Nello spettacolo l’artista ricostruisce scene di donne morte in sette opere liriche. “Perché lei, la Callas, è morta come molte delle sue interpreti, per amore, di crepacuore, per amore di Aristotele Onassis. La Callas è morta come le donne che cantava”.

Tutto fa pensare che Abramović presti il suo corpo sacrificale anche a tutte le donne  che nella contemporaneità hanno sofferto per amore, che sono state picchiate, abusate, che hanno subito violenza, presta il suo corpo a quelle donne che sono sopravvissute e a quelle che non ci sono più. 

Ma il motivo che spinge la Abramović a mettere in scena la Callas è anche un altro.

C’è qualcosa in comune fra loro. Una somiglianza. Un sentire comune.

Forse è l ’amore per l’arte e l’essenza profondamente spirituale il punto di contatto fra Marina Abramović e Maria Callas. Un’aderenza nata quando Marina aveva quattordici anni: “Sedevo nella cucina di mia nonna che aveva sempre la radio accesa. A un certo punto ascolto una voce: ricordo di essermi alzata in piedi ed essermi messa a piangere. Non avevo idea di chi fosse quella voce, era una voce di donna e lo speaker disse che era la voce di Maria Callas.”

Senza dubbio nelle sette morti di Maria Callas vi è un pensiero cosmico che mette su un piano analogo la vita e l’espressione artistica di Marina Abramović, con la vita e l’espressione artistica di Maria Callas.

Fra le due donne vi è un pensiero unico che travolge e unisce le due dive apparentemente diverse, ma in realtà molto simili. L’una è il corpo tragico dell’altra: quell’andare vacillante del corpo nella vita.

Entrambe sono eroine tragiche: l’una, Marina, regina della Performance art, l’altra, la Callas, regina mondiale dell’opera lirica.

A unire le vite delle due artiste c’è dunque un comune sentire: “essere possedute dall’arte e dall’amore”, qualcosa che coinvolge la vita di Marina e Maria: il donare la propria anima e il proprio corpo, il donarsi strenuamente.

Lo spettacolo inizia con un prologo musicale di grande intensità scritto dal compositore serbo Marko Nicodijević. Un grande talento, se si pensa che è nato nel 1980.

Sulla destra del palcoscenico si intravede la sagoma di una donna distesa su un letto, una donna che sembra ammalata o in punto di morte. É la figura della Callas che sta lì, deposta come qualcosa che dimora da sempre nel cuore di Marina. Sta lì immobile,  è come se chiedesse di non essere abbandonata da tutti quelli che aveva incontrato nella sua grande carriera di artista: “Luchino, Pier Paolo, Zeffirelli, dove siete adesso?” chiederà la Callas-Abramović nell’ultima scena. E ancora: “Elvira, Franco, Giancarlo, Aristotele, Bruna? Bruna?”

Ma quante volte è morta Maria Callas?

Marina ci mostra sette morti scelte tra le più importanti opere liriche interpretate da lei e le circoscrive in  sette quadri – sette cieli -. Dal chiarissimo e azzurro colmo di nuvole, al cielo scuro, a quello nerissimo, e infine,  al cielo rosso che è il rogo in cui morirà Norma.  L’’opera cinematografica diretta da Nabil Elderkin è immersiva, siamo tutti coinvolti, nelle immagini forti, drammatiche alle quali assisteremo. I protagonisti della carneficina sono Marina Abramović e Willem Dafoe.

A morire di malattia nel corpo della Abramović è Violetta de La Traviata, poi Tosca che si lancia da un grattacielo di New York guardando davanti a sé l’Empire State Building. Commovente e tragica approda sul cofano di un’auto nel centro della metropoli. Poi la Abramović è Desdemona strozzata da un serpente stretto attorno al collo dalle mani cruente di Willem Dafoe (Otello). E ancora: Carmen, imprigionata in una corda da don José e poi accoltellata.

Nel sesto quadro Abramović è Lucia di Lammermoor: tutto l’ universo congiura contro di lei. E allora colpisce violentemente la sua immagine nello specchio, spacca tutti gli specchi, fino a ferirsi a morte. Lo spargimento di sangue copre totalmente il volto della Abramović, c’è sangue sulle mani, lei stessa piange sangue. Ebbene, tutto questo sangue sparso ha qualcosa di universale. Esprime un’innocenza fondativa e un’emergenza, un pericolo che incombe come una minaccia su tutte le donne.

Marina in “7 Deaths of Maria Callas” esprime gradualmente un mondo desertificato e sterile come quando interpreta la morte di Madame Butterlfly sedotta, abbandonata e suicida e infine, quella di Norma, la casta diva senza più alcuna forza vitale che avanza tragicamente verso il fuoco tenendo per mano il suo uomo.

Poi cala il buio in sala.

Prima dell’ultima scena, attesa. La musica avvolge lo spazio. È forte, roboante, riempie tutto il teatro.

Poi lo spettatore si trova nella stanza della Callas a Parigi, nel 1977, l’anno in cui la cantante muore.

Ha 53 anni. È distesa sul letto. Il corpo è già troppo pesante. La retina percepisce una luce, un profumo di lavanda. Riesce a malapena a alzarsi dal letto, a compiere qualche movimento. Abbagliata dalla luce attraverserà una porta dalla quale non tornerà mai più.

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Giulia Napoleone alla conquista di Mantova Poesia

Giulia Napoleone

Nota critica 
di
Alessandra Leone

C’è un nesso tra arte e poesia? Forse il non detto, ciò che rimane sospeso, il sottinteso, ciò che dipende da chi guarda o legge l’opera in base alla propria esperienza personale, pur avendo entrambi un linguaggio universale senza ieri, oggi e domani, ma che varrà per l’eternità?

Sono domande che sorgono spontanee vedendo la mostra di Giulia Napoleone, inaugurata sabato 7 maggio 2022 a Mantova alla Casa di Rigoletto, edificio storico raffigurato nella scenografia originale della prima dell’opera omonima di Giuseppe Verdi.

Curata dallo scrittore Stefano Iori e organizzata dall’associazione La Corte dei Poeti, “Segni e poesia” è inserita all’interno dell’ottava edizione del “Festival Mantova Poesia”, con i patrocini di Regione Lombardia, Comune e Provincia di Mantova e potrà essere visitata tutti i giorni dalle 9 alle 18 fino al 5 giugno prossimo (ingresso libero).

Il testo in catalogo, a cura di Rosa Pierno, ci inserisce nel magico mondo della Napoleone, fatto di amore, eleganza, sensibilità, bellezza, curiosità e indiscusso talento. Un mondo fatto di grandissima cultura e tecnica, come si può notare dai sedici disegni a inchiostro di china su carta a mano (courtesy Galleria Il Ponte di Andrea Alibrandi, Firenze), con cui l’artista rende omaggio a dei versi di alcuni dei suoi poeti preferiti. Da un’attenta lettura, da un attento ascolto e ascolto di sé, nasce la scintilla, l’ispirazione e l’ideazione delle sue opere.

I poeti ai quali la Napoleone ha dedicato i suoi disegni sono: Annelisa Alleva, Maria Clelia Cardona, Milo De Angelis, Roberto Deidier, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Alberto Nessi, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Leonardo Sinisgalli, Luigia Sorrentino e Marco Vitale.

Il verso Ma non ha regole, mai, la via del dolore, contenuto in Tutte le poesie di Milo De Angelis lascia intravedere il percorso tortuoso, i percorsi del dolore che non sono mai lineari e regolari. Le spine vegetali rappresentate come segni difensivi propri dell’uomo e dell’esistere. Luce come metafora di verità; luce come purezza e possibilità di chiarezza, che porta con sé i due aspetti del vedere e dell’essere abbagliati da tale luce, da tale forza e profondità.

Nel disegno Piazzale senza nome tratto dall’omonimo titolo del libro di poesia di Luigia Sorrentino c’è “un luogo rarefatto, quasi privo di elementi compositivi, nel quale il nesso tra spazio e vuoto resta nella dialogica di un esito, pur se esso è difficilmente determinabile. Lo spazio contiene il vuoto o viceversa?”, continua la Pierno.

“È con la percezione e l’intuito, la ragione e l’emozione, che la scoperta dell’arte ammanta di tesori i riguardanti. L’opera dà modo di osservare i passaggi infinitesimali che a stento l’occhio riconosce nella straordinaria, ponderatissima distribuzione dei brevissimi tratti d’inchiostro, i quali delineano la prima ordinata aureola di stelle/pianeti e la seconda, disordinata come la nube di Oort”.

Oltre alle interpretazioni attraverso i disegni dei poeti su detti, è presente anche il libro Nell’aria del mattino (frammenti di un prologo), firmato da Elio Pecora e con pastelli di Giulia Napoleone, i cui testi sono stampati a mano sui torchi della Stamperia d’arte il Bulino a Roma (2020). Continua a leggere

Le sette morti di Marina Abramović

Marina Abramović

Marina Abramović

Il 18 maggio 2022 la Galleria Lia Rumma di Napoli subito dopo la prima italiana di 7 Deaths of Maria Callas che andrà in scena in anteprima italiana al Teatro di San Carlo di Napoli (13-15 maggio 2022), inaugura la nuova mostra personale di Marina Abramović che segna il ritorno dell’artista in città.

La mostra coincide con il tour della prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba.

Abramović sarà la protagonista della prima italiana dell’opera 7 Deaths of Maria Callas, dedicata all’ indimenticabile soprano greco che ancora oggi affascina il pubblico di tutto il mondo.

Lo spettacolo di cui la Abramović è interprete e autrice, si concentra su ciascuna delle morti “sul palco” della Callas che di volta in volta è protagonista in Carmen, Tosca, Otello, Lucia di Lammermoor, Norma, Madama Butterfly e La traviata.

Sette eroine tragiche della lirica, rese immortali grazie alle interpretazioni della divina Maria Callas, rivivono nel corpo e nei movimenti di Marina Abramović.

La regina della performance indossa l’abito della regina della lirica in un’opera totale divenendo un faccia a faccia tra due grandi artiste.

«Da 25 anni – racconta Marina Abramović – desideravo creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas. Ho letto tutte le biografie su di lei, ascoltato la sua voce straordinaria e guardato le registrazioni delle sue esibizioni. Come me era un Sagittario, sono sempre stata affascinata dalla sua personalità, dalla sua vita e dalla sua morte. Come tanti dei personaggi che ha interpretato sul palco, è morta per amore. È morta di crepacuore» (Marina Abramović, 7 Deaths of Maria Callas, Damiani Editore).

Negli spazi della Galleria Lia Rumma, come in un coro di dolore, si rivive il dramma delle sette morti, attraverso la videoinstallazione Seven Deaths, tratta dall’omonima opera teatrale.

«Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto “emozionale”, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte», continua la Abramović. Ed è su questo fil rouge che s’inseriscono le altre opere fotografiche presenti in mostra: Artist Portrait with a Candle (B), 2012; Holding the Skeleton, 2008/2016; il dittico Portrait with Skull (EyesClosed), 2019; e per finire la più recente The Jump, 2022, in cui Abramovic impersona Tosca nel gesto finale dell’opera, ambientata qui in un contesto urbano contemporaneo.

A più riprese l’artista ha utilizzato lo scheletro come suo compagno di viaggio, o elementi come il teschio e la candela, per esorcizzare anche la propria mortalità, dando vita a tanti “memento mori” che sembrano evocare vanitas seicentesche arricchite da un crudele gioco tra Eros e Thanatos.

Una stanza della galleria accoglie l’installazione Black Dragon (1990) composta da cristalli di quarzo montati a parete che invitano chi si avvicina a interagire con loro per sentire l’energia che emanano.

Sono gli “oggetti transitori” della Abramović, che non sono semplici sculture da guardare, ma oggetti “performativi” in grado di innescare uno scambio di energia tra l’opera, l’artista e il pubblico, che viene così invitato a prendere parte attiva alla mostra non più come solo spettatore. Continua a leggere

Giulia Napoleone per Mantova Poesia

Giulia Napoleone

L’associazione Corte dei Poeti di Mantova presenta Giulia Napoleone per Mantova Poesia. A cura di Stefano Iori. Casa di Rigoletto, Mantova. 7 maggio – 5 giugno 2022. Inaugurazione il 7 Maggio alle ore 18:00. Testo in catalogo di Rosa Pierno. Giulia Napoleone per Mantova Poesia

Mostra curata dall’associazione La Corte dei Poeti nell’ambito dell’ottava edizione del Festival Mantova Poesia.

Giulia Napoleone per Roberto Rossi Precerutti

 Casa di Rigoletto, Mantova
7 maggio – 5 giugno 2022

Inaugurazione sabato 7 maggio alle ore 18

Una testimonianza a favore della poesia, oltre che dell’arte, è la mostra che Giulia  Napoleone ha voluto realizzare a Mantova.

Il progetto diviene realtà nell’ambito dell’ottava edizione del Festival Mantova Poesia organizzato dall’Associazione La Corte dei Poeti.

Con la realizzazione di sedici disegni a inchiostro di china su carta a mano (courtesy Galleria Il Ponte di Andrea Alibrandi, Firenze), Giulia Napoleone, da sempre appassionata di poesia, ha inteso rendere omaggio ai versi di alcuni dei suoi poeti preferiti, traendone linfa per l’ideazione delle sue opere. La mostra sarà allestita nelle sale della Casa di Rigoletto nel cuore di Mantova. L’inaugurazione avrà luogo sabato 7 maggio alle ore 18.

La mostra è curata dallo scrittore Stefano Iori e gode dei patrocini di Regione Lombardia, Comune e Provincia di Mantova. Possibilità di visita fino al 5 giugno prossimo, tutti i giorni dalle 9 alle 18 (ingresso libero). Testo in catalogo di Rosa Pierno.

Giulia Napoleone per Leonardo Sinisgalli

Le opere di Giulia Napoleone aprono a una considerazione sul rapporto trasversale che l’artista ha inteso instaurare con la parola poetica.

Le immagini non sono mai un naturale prolungamento delle parole, né la loro traduzione, e non possono essere sostituite da un testo.

È possibile tuttavia mettere a coltura la relazione tra la poesia e l’arte per ottenere campi semantici condivisi. In ogni caso, un loro fondo comune può trovarsi solo a monte, nel desiderio, nell’ideazione e nell’emozione; non a valle, luogo delle realizzate specificità delle forme espressive. Ed è quanto la mostra intende offrire all’attenzione dei visitatori.

I poeti, ai quali Giulia ha dedicato i suoi disegni sono: Annelisa Alleva, Maria Clelia Cardona, Milo De Angelis, Roberto Deidier, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Alberto Nessi, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Leonardo Sinisgalli, Luigia Sorrentino, Marco Vitale.

Giulia Napoleone Per Annelisa Alleva

All’interno delle sale espositive della Casa di Rigoletto sarà presente anche il libro, firmato da Elio Pecora e Giulia Napoleone, Nell’aria del mattino (frammenti di un prologo), i cui testi sono stampati sui torchi della Stamperia d’arte il Bulino in Roma (2020).

Il libro è tirato in trentacinque esemplari, tutti dotati di pastelli originali di Giulia Napoleone.

Sia nelle copertine sia nei disegni, tutti diversi in ciascun libro, i pastelli, di tonalità generalmente blu e viola, si integrano attraverso una sfumatura magistrale. Le poesie di Pecora, giocate su opposizioni lessicali e sulle loro illusive coincidenze, in una trama in cui esse si illuminano o si oscurano ritmicamente, affiancano i disegni interni al volume, registranti il passaggio tra densità e rarefazione.

La consistenza serrata del colore trasmette la gradualità dell’intensificazione, mentre i passaggi da una cromìa all’altra procurano la sensazione di tridimensionalità. L’immagine, in questi meravigliosi libri, sembra raggiungere un sidereo silenzio, l’effetto di uno svolgimento eterno.

Giulia Napoleone per Luigia Sorrentino, “Piazzale senza nome”

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Per la prima volta in mostra i capolavori simbolisti di Marie–Charles Dulac

Marie-Charles Dulac, pregare con il paesaggio

di Fabrizio Fantoni

  

È in corso a Roma presso la galleria Aleandri Arte Moderna (piazza Costaguti 12), la mostra “Marie-Charles Dulac, pregare con il paesaggio”.

L’esposizione, curata da Federico De Melis, si propone di rileggere l’opera del grande pittore simbolista Dulac collocandola nel panorama culturale europeo di fine du siècle. Artista visionario ed innovatore Dulac ebbe – a seguito di una conversione religiosa che lo portò a divenire  terziario francescano  – innumerevoli contatti con l’Italia, dove soggiornò a più riprese tra il 1895 ed il 1898 durante i suoi pellegrinaggi sulle orme del Santo di Assisi. Morì a Montmartre ad appena 32 anni, lasciando un corpusridotto di opere in cui spiccano i piccoli paesaggi mistici dell’ultimo periodo e due suites litografiche più una incompiuta.

Nella mostra presso la Galleria Aleandri sono esposte, per la prima volta in Italia, tutte le litografie che compongono la suite intitolata Le Cantique des Créatures: capolavori della grafica del tardo Ottocento in cui il paesaggio si interiorizza e si fa materia spirituale attraverso un uso innovativo del colore e della tecnica litografica, arte in cui Dulac fu indiscusso maestro.

Le nove litografie de Le Cantique sono accompagnate da un nutrito gruppo di opere di artisti che ebbero rapporti di amicizia e di stima con Dulac e che illustra la vivacità del contesto culturale in cui egli operò.

 

Intervista a Simone Aleandri
Fondatore della galleria Aleandri Arte Moderna

di Fabrizio Fantoni

 

Come è nata l’idea di una mostra su un artista così poco conosciuto dal pubblico italiano?

 

La genesi della mostra è certamente la comune passione per Marie-Charles Dulac che alcuni anni fa ho scoperto di condividere con il curatore Federico De Melis, appassionato ed esperto studioso di arte francese fin du siecle.

Dulac è un artista molto raro che incontrai per la prima volta sul catalogo della mostra “Il luogo ideale” a cura di Jean-David Jameau-Lafond tenutasi presso il Museo d’Arte di Nuoro nel 2007 (la rassegna giunse a Nuoro da Pamplona, inaugurata nel 2006 con titolo Un Páis ideal: el paisaje simboliste en France) e dedicata alla pittura “brumosa” e simbolista francese che si contrappose a quella impressionista nella Parigi  della seconda metà del XIX secolo.

La Galleria che porta il mio nome è storicamente molto legata al Simbolismo europeo ed italiano a cui, nei passati quindici anni, sono state dedicate molte mostre personali e di ambiente.

Rimasi fortemente colpito dalla qualità visionaria, poetica e tecnica delle opere di  Marie-Charles Dulac, così maturai il desiderio di dedicare una mostra al pittore francescano.

De Melis invece incrociò l’artista in una galleria parigina che esponeva un suo “Paesaggio spirituale” e intraprese un personale percorso di riscoperta e di indagine che culminò in un bellissimo articolo a lui dedicato e pubblicato sulle pagine di  Alias  (Il Manifesto).

Da quel momento cominciò un lavoro sistematico di ricerca di opere che si rivelò molto difficoltoso per via della rarità dell’artista dovuta alla sua prematura scomparsa a soli 32 anni e ad un approccio del pittore con l’arte sobrio e non ossessionato da una ricerca di produzione massiccia.

Dopo circa un anno intercettammo a Parigi il portfolio Le Cantique des Creatures collazionato da un raffinato raccoglitore che riunì quindici esemplari facendo dialogare le Planche litografiche stampate ad un colore (edite in sessanta copie, 1894) con quelle arricchite da un secondo tono (venti esemplari, 1894) e permettendo di instaurare un confronto diretto fra le tavole.

Da questo nucleo iniziale abbiamo poi costruito un contesto storico arricchendo l’esposizione di opere di altri artisti legati alle temperie umane e culturali di Marie-Charles  Dulac.

Come ho già anticipato precedentemente, fatta eccezione per la mostra itinerante che sbarcò a Nuoro nel 2007  in cui Dulac era rappresentato da un nucleo significativo di opere, questa è la prima occasione in cui si può ammirare la produzione litografica del visionario francescano in Italia.

Certamente è la sua prima mostra personale ed è accompagnata da un esaustivo catalogo che introduce la rassegna delle opere attraverso una lettura critica e biografica a cura di Federico De Melis che entra nel merito delle vicende umane ed artistiche del pittore con una scrittura ispirata e molto documentata.

Abbiamo inoltre approfondito la tecnica litografica come Dulac la praticò nell’ultimo decennio dell’ottocento e fatta un po’ di chiarezza nella celebre cartella evocante il Cantico, in merito ai diversi toni di stampa e ai criteri adottati per la tiratura, nell’intento di fornire un contributo reale e significativo agli studi sull’artista.

Il volume si chiude con una sezione in cui sono state tradotte, per la prima volte nella nostra lingua, alcune lettere che Dulac scrisse dai suoi pellegrinaggi in Italia, congiuntamente ad un toccante testo di commiato dell’amico Joris-Karl Huysmans (lo scrittore fece di Dulac un vero punto di riferimento e nel suo romanzo La Cathédrale, 1898, entrò nel merito della suite litografica con toni entusiastici) con cui l’intellettuale ricordò Marie-Charles  dopo la sua morte.

Qual è ruolo che Marie-Charles Dulac rivestì nella cultura figurativa della sua epoca?

 

Dulac fu un artista molto amato dalla sua cerchia, oggetto di un piccolo culto, e considerato un vero innovatore della tecnica in cui si espresse con più forza, la litografia. Le sue opere dovettero circolare molto nei colti ambienti parigini e destarono grande ammirazione negli ultimi anni della sua vita (Marie-Charles si spense nel dicembre del 1898) ed in quelli successivi.

Odilon Redon di lui disse: «Era unico fra tutti coloro che plasmano il proprio spirito nella tela». Dagli studi sono emerse delle interessanti e suggestive correlazioni con opere, di artisti anche molto importanti, che sembrano derivare dai fogli di Dulac, fra i quali L’idol noire (1900-1903) di František Kupka. Il capolavoro del praghese, francese di adozione, sembra infatti ricalcare la visione prospettica ed atmosferica della planche IV del portfolio francescano (1894) sostituendo la silhouette nera dell’albero su cui tutti gli elementi della composizione convergono con quella della sfinge che ne occupa i medesimi ingombri.

Già Francesco Parisi nel suo volume dedicato alla produzione giovanile e preraffaelita di Giovanni Guerrini (artista noto per aver disegnato negli anni trenta il profilo della Palazzo della Civiltà di Roma, E 42) riscontrò la derivazione di una litografia dell’artista italiano da alcuni paesaggi del francese. La riscoperta di Dulac e la sua ricollocazione in un posto d’onore dell’arte europea è già in corso da alcuni anni, grazie all’impegno di Jumeau-Lafond che, fra le altre fatiche, sta lavorando ad un catalogo ragionato dell’opera. Il nostro obiettivo è di sensibilizzare la sua conoscenza sul territorio italiano, così caro e amato da Dulac, e porre il nostro paese in un ruolo primario all’interno di tale riscoperta attraverso un lavoro di ricerca che ci ha condotti ad inaugurare, presso i nostri spazi, la prima mostra personale retrospettiva del pittore su scala mondiale. Continua a leggere

Lia Rumma, la vestale dell’arte contemporanea

Lia e Alberto Rumma

Lia e Marcello Rumma, 1968

Intervista a Lia Rumma
di Luigia Sorrentino
Napoli, Palazzo Donn’Anna
9 marzo 2022

Lia Rumma è tra le più importanti galleriste del mondo dell’arte italiana e non solo. Con il marito Marcello Rumma ha promosso il movimento dell’Arte Povera. Oggi, nella sua scuderia, lavorano i maggiori protagonisti internazionali del contemporaneo.

Lia Rumma vive a Palazzo Donn’Anna, in uno dei più celebri palazzi di Napoli, luogo simbolo della città. Il palazzo fu costruito nella metà del mille e seicento, per volontà di Donn’Anna Caràfa e realizzato dal più importante architetto della città, Cosimo Fanzago. Fu costruito secondo i canoni del barocco napoletano. E proprio qui Lia Rumma ha realizzato la sua casa-museo.

Palazzo Donn'Anna, Napoli

Palazzo Donn’Anna, Napoli

Che relazione c’è tra questo luogo antico proiettato nel passato e l’opera d’arte contemporanea che guarda verso il futuro?

Penso che l’arte corra su un filo infinito nella relazione tra passato e presente. Non c’è interruzione, ma c’è un dialogo. Io sono affascinata dall’architettura barocca, dalla grande architettura del passato. Questi ambienti ampi, questi volumi straordinari, dialogano benissimo con opere contemporanee. A me piace molto riferirmi alla storia e alla nostra contemporaneità. Ho cercato di avvicinare questi due momenti. Mi piace molto vedere vivere queste opere in questi ambienti meravigliosi dell’architettura di Palazzo Donn’Anna. Non dimentichiamo poi che palazzo Donn’Anna è circondato dal mare. Quindi il mare entra in questa stanze, la luce fa un gioco di ombra e di luce, di spazio, di aria. Queste opere possono vivere in maniera totalmente autonoma laddove l’architettura non viene uccisa dall’invasione di grandi opere contemporanee e nello stesso momento lascia spazio all’opera.

Lia e Marcello Rumma – Mostra ai Cantieri di Amalfi 1968

La storia di Lia e Marcello Rumma si afferma nel 1968. Quando, con Germano Celant prende vita la grande mostra ai cantieri di Amalfi.

La mostra del maggio del Sessantotto conferma un momento importante, storico. Ma la nostra curiosità di giovanissimi collezionisti interessanti all’arte, alla cultura, perché non solo ci siamo occupati di arte, perché mio marito fondava poi una casa editrice molto importante di arte, estetica e filosofia, inizia molto prima, già dai primi anni Sessanta. Eravamo ancora due ragazzini ed eravamo incuriositi da quello che stava accadendo nel nostro tempo. E quindi incontrare gli artisti, i galleristi, quelli che poi sarebbero stati i protagonisti del grande momento dell’arte contemporanea era per noi una curiosità immensa. Per quanto giovani, ci muovevamo, viaggiavamo, contattavamo storici dell’arte, critici, galleristi, artisti… era un viaggio verso la conoscenza. C’era anche una passione fortissima … eravamo proprio appassionati, innamorati di ciò che stava accadendo nel nostro mondo. Volevamo conoscerlo, volevamo starci, volevamo viverlo con gli artisti e vivere in questo mondo dell’arte così affascinante. Continua a leggere

Enzo Cucchi, “Excercices on Ezra”

Enzo Cucchi, per gentile concessione

Excercises on Ezra

Nota di

Fabrizio Fantoni

 

Tra il dominio del caos e l’ordine decorativo, si estende una nuova zona e una chiave per cogliere questa mobilità è la disposizione a formare ammassi: di storia, di sentimenti, di espressioni artistiche; vivendo simultaneamente ad attimi di sogno, allora non più storia ma ammassi di storia.”
(Enzo Cucchi)

 

Le parole di Enzo Cucchi qui riportate costituiscono un valido punto di partenza per accostarsi al nuovo libro, intitolato “Excercises on Ezra”, che l’artista ha pubblicato in questi giorni con la COLLI publishing platform e Viaindustriae publishing.

Visionario e sorprendente come tutte le opere di Enzo Cucchi, il libro si presenta a prima vista come un conglomerato di materiali fra loro eterogenei – disegni, fotografie, grafiche – che entrano in dialogo con le parole tratte dal testo “Il grano” scritto da Giuseppe Cucchi (padre dell’artista) e Brunella Antomarini, in cui viene evocata la vita dei contadini a Morro d’Alba.

Nucleo centrale dell’opera è costituito da una sequenza di 35 disegni inediti, tutti dedicati al poeta Ezra Pound. Continua a leggere

I graffiti su tela di Cy Twombly

Cy Tombly

La seducente “spontaneità pensata” di Cy Twombly

di Marco Amore

Cy Twombly non ha bisogno di presentazioni. L’astrattismo delle sue opere dal sapore apparentemente infantile ha affascinato intere schiere di appassionati di arte contemporanea, rendendolo un artista dallo stile immediatamente riconoscibile tanto dagli operatori di settore che dal grande pubblico del circuito mainstream. Graffiti su tela grezza e lino, vivide sfumature e screziature, fioriture estatiche che si alternano e si amalgamano a grafemi illeggibili e grondanti macchie di colore, dando origine a stratificazioni di senso che coniugano il piacere estetico all’intellettualità del classicismo, senza tuttavia scadere in inutili complessità concettuali. L’opera di Twombly ricorda la produzione di un bambino alle prime armi con il disegno: campionature della prima infanzia che urlano un forte cromatismo, tocchi di colore che sporcano la superficie, colano dove parole asemiche, segni graffiati, tornano alla genesi dell’elemento grafico anche quando pretendono di svelare l’indicibile impulso primordiale attraverso l’impiego di scarabocchi espressionisti.

Un lavoro di una complessità inaudita, perché costringe a spogliarsi degli schemi mentali acquisiti, a disimparare le regole del figurativo apprese in anni di istruzione obbligatoria, per tacere della preparazione accademica, avvenuta in lunghi e prolifici anni in cui Twombly viene in contatto, tra gli altri, con un maestro dell’informale come Franz Kline (1910-1962), per abbandonarsi a una spontaneità pensata, profondamente meditata, eppure non per questo meno spontanea, quella che a suo tempo il critico d’arte Gillo Dorfles definì «precisione dell’impreciso». Ammirando le opere di Twombly, come la tela esposta alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, Roma (Il muro) [1962, olio, smalti, graffiti e carboncino su tela], non a caso posizionata di fronte a una seduta atta alla contemplazione per i visitatori, non può sfuggire il parallelo con il testo del fanciullino pascoliano: quella natura irrazionale e intuitiva che si nasconde dentro di noi per condurci alle verità basilari del vivere, che è impossibile imbrigliare in schemi mentali rigidi, assetti di pensiero acquisiti che condizionano i nostri processi cognitivi, impedendo una vera libertà di espressione che né Twombly né il poeta decadente avevano tentato di spezzare attraverso modalità di pensiero divergenti, quanto piuttosto nell’unico modo funzionale e possibile, ovvero ricorrendo a una sorta di kènosis laica, una totale spoliazione dell’Io dall’esperienza esistenziale.

Cy Tombly

«Ogni linea», dice Twombly, «è la sensazione della sua stessa realizzazione», e seguendo le variopinte tracce indelebili che si rincorrono sul bianco/nero di una mente libera tanto da convinzioni che da convenzioni, appare chiaro che non sbocciano da un profondo ripensamento del vissuto, né da una sua interpretazione; che l’interiorità di chi le ha abbozzate ha un’importanza solo marginale, tanto quanto la sua personalità: sono l’espressione del loro stesso apparire, senza orpelli né virtuosismi egotistici, con tutta l’energia che riescono involontariamente a trasmettere indefessamente a chi le guarda. Eppure con l’informalità processuale di questo modus operandi, figlio di una tradizione tipicamente americana, intravista nell’iterazione simbolica di elementi propri dell’espressionismo astratto, convive il desiderio di ispirarsi all’area mediterranea e alla sua storia, all’origine del mito greco e latino, oltre a un incessante bisogno di liricità. Stupendi i richiami al simbolico di Mallarmé su sfondi chiari o in alcuni titoli scultorei, il bisogno di solitudine ricercata per abbandonarsi alla creazione, che necessita di uno stato di flusso e di estasi creativa. Continua a leggere

Mariella Mehr, “L’ultimo miglio di tempo”

Mariella Mehr – traduzione di Anna Ruchat – immagini di Teresa Iaria

 

 

 

Zugeschmerzt
meine letzte Meile Zeit,
sinnlos, ihr lesbare Vergebung
anzubieten.

Etwas wie Blut schmückt meine Hand,
als hätte ich gestern noch
in Fleisch gewühlt mit meinem
Verrat am wispernden Mond.

Die Trauer zwängt sich aus den Ketten,
forscht nach der Farbe, die ich nicht trage.

Nur die Füsse, eine untrügliche Spur,
hinterlassen sich angemessen im Schnee.
Er wird zum lasterhaften Rot beim Betreten,
unbegehbar für andere.

Abgesonnen ist jedes deiner Liebesworte,
unnütz geworden Geste und Blick.

Und doch, und doch
verspinnt mich bei
Niedrigwasser der Foenna
eine Fee zu Kummer,

als wäre da einer der hat,
was mir bisweilen nachts zu
sein gelingt.

Chiuso nel dolore
il mio ultimo miglio di tempo
non ha senso offrirgli una remissione
leggibile.

Qualcosa che somiglia al sangue ingioiella la mia mano
come se ancora ieri avessi
frugato nella carne col mio
tradimento alla luna sussurrante.

Il lutto si libera dalle catene
cerca il colore che io non porto.

Solo i piedi, una traccia inconfondibile,
lasciano la misura di sé nella neve.
Di un rosso vizioso diventa quando la calpesti
impercorribile per altri.

Di senso inverso è ognuna delle tue parole d’amore
il gesto, lo sguardo ormai inutili.

Eppure, eppure,
una fata,
nei giorni di secca della Foenna
mi porta dolore

come se ci fosse qualcuno che ha
quello che ogni tanto di notte
mi riesce di essere.

 

© Mariella Mehr e per le immagini Teresa Iaria

 

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“Nell’aria del mattino”, Giulia Napoleone e Elio Pecora

C O M U N I C A T O     S T A M P A

Mercoledì 10 novembre 2021, alle ore 17.30, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea presentazione del libro d’artista Nell’aria del mattino (frammenti di un prologo), poesie di Elio Pecora e pastelli originali di Giulia Napoleone, nuova pubblicazione in trentacinque esemplari delle Edizioni del Bulino, corrispondenti ad altrettanti pezzi unici.

In uno scritto dello scorso anno Elio Pecora ha fatto una vera e propria dichiarazione di poetica: “Può la poesia sgominare ogni regola, ogni attesa. La vorresti altera, sommessa e ti si mostra accesa, eccessiva. La pratico e la frequento dalla prima adolescenza, anzi dalle scuole elementari quando andavo alla cattedra e ripetevo a memoria rime avvolgenti e versetti che chiamavano Dio e l’universo. M’è accaduto di trovarla nei primi poemi e dentro libretti consunti. L’ho vista sontuosa e lacera, spietata e tenera. E sempre al di là delle frasi, dei suoni, delle parole in cui pareva rinchiusa: invece ne usciva per dire altro, per accennare a un mistero, per valicare il niente e provarsi viva e presente. Ho imparato, ma con così poca consapevolezza, che poteva apparire laddove il buio era più fitto e fosse cancellata ogni ragione. Di quanti lacci e pretese e attese bisognava liberarsi anche solo per scorgerla?”

Giulia Napoleone, a sua volta, ha scritto: “Un aspetto non occasionale del mio lavoro è da sempre l’esecuzione di libri. Ne ho realizzati con incisioni, a tiratura limitata, con linguaggio ridotto al dialogo fra due estremi, bianco- nero, luce-ombra. Ma la mia vera passione è stata da sempre l’esecuzione materiale di libri manoscritti, con varietà di formato e soggetti, di cui curo testi, immagini, frontespizio, colophon e copertine e a cui dedico un tempo considerevole.

La predilezione dell’esemplare unico scandisce i miei tempi di lavoro e l’esecuzione di tanti manoscritti, quelli stessi che oggi sono all’Istituto Centrale della Grafica di Roma o alla Biblioteca Cantonale di Lugano, mi ha consentito di progredire e ha permesso al pensiero di prendere forma, perché ha messo a posto dentro di me desideri e sentimenti”. Continua a leggere

L’ultima creazione dei Ceccobelli

Sala 1 prosegue sulla scia della presentazioni di progetti innovativi legati a giovani artisti, con La Pitturatrice e il Pitturatore dei gemelli Auro&Celso Ceccobelli.

Auro e Celso sono partiti dal riutilizzo di utensili, arnesi, manufatti e materiali provenienti da autorimesse, officine meccaniche, modificandoli e riadattandoli per creare “l’opera installativa” che da il nome alla mostra. Non è un’installazione fine a se stessa, ma affinché la magia dell’arte abbia luogo è necessario che il fruitore interagisca con l’opera, un evidente omaggio alla ricerca artistica di Jean Tinguely. Una volta che La Pitturatrice e il Pitturatore avranno dato vita alla propria creazione, l’opera entrerà in possesso gratuitamente della persona che l’ha azionata.

Auro e Celso Ceccobelli

Un colorato ringraziamento a Flaminia e Beatrice Bulla, per il sostegno tecnico nell’offerta della carta, che proseguendo la tradizione di famiglia presso la storica Litografia Bulla, oggi sostengono i giovani artisti nei loro progetti legati alla grafica d’arte! Continua a leggere

La poetica di Roberto Almagno

Levità impercettibile e sublime
di Marco Amore

Con una selezione di disegni inediti

La poetica di Roberto Almagno (Aquino, 1954) è caratterizzata da un’apparente semplicità formale che si esprime attraverso l’impiego di materie prime povere come il legno reperito durante lunghe passeggiate nei boschi (in cui sovente gli capita anche di trascorrere la notte all’addiaccio), il carbone vegetale e la cenere, o addirittura gesso e polvere di fuliggine, questi ultimi adoperati per la produzione su carta.

Roberto Almagno – Copyright © Poesia, di Luigia Sorrentino (rainews.it ) – Tutti i diritti riservati.

Le sculture, facilmente riconoscibili per l’eccezionale fluidità con cui si elevano nel vuoto, a volte ricordano caratteri pittografici orientali (mi riferisco a Sineda, 2016; Talari, 2016; Tremula, 2004, ecc.), altre rievocano ghirigori tracciati nell’aria (Nodale, 1999; Col guinzaglio tra le dita, 2015, ecc.), altre ancora apparizioni sarmentose (Vertigine, 1996; Scadaglio, 1996; Varco, 2000; ecc.) ed elementi in equilibrio tra loro (Alata, 2000; Ulimosa, 2003; Elata, 2003; Pura 2001; ecc.). Si tratta di una similarità epidermica, che scompare quando si guarda con sufficiente attenzione ai dettagli. Accade infatti che, come pittogrammi, queste rappresentino astrazioni fedeli di fenomeni naturali quali il vento, il fuoco, l’abscissione delle foglie in autunno; le primitive geometriche di quel dinamismo invisibile che guida il radicarsi di una pianta – tigmotropismo. Un ispirarsi più volte dichiarato dallo stesso Almagno, abituato alla contemplazione estatica propria della meditazione taoista:

«Rami spinti dal vento;
ma il pensiero è fragile, ingenuo.
Così infine quei segni, che mi sono
sembrati tanto forti, svaniscono:
come fossero solo anime mute.»

Roberto Almagno – Copyright © Poesia, di Luigia Sorrentino (rainews.it ) – Tutti i diritti riservati.

Evidente il legame con la poesia, che per Almagno sta nel modo di osservare le cose, nella capacità o meno di vibrare a una frequenza che appartiene alla sfera spirituale, più che all’individualità della persona, e che solo chi è veramente sensibile riesce a captare e interpretare attraverso l’empatia affettiva. Nel guardare i suoi «segni erranti, senza meta» non può sfuggire quel desiderio di ascesi, talmente assoluto da essere una costante nell’opera dell’artista romano: elevazione e rarefazione lirica, evidente nell’affusolarsi delle forme durante il passare degli anni, dalla mostra che segna il suo approdo a una scultura non più giovanile e figurativa, vissuta ancora come un’eco degli insegnamenti di grandi maestri come Giuseppe Mazzullo, incontrato all’Istituto Statala d’Arte di Roma, e Pericle Fazzini, suo insegnate all’Accademia di Belle Arti, fino al vernissage della sua personale tenuta presso la galleria L’Isola nel 1992, dove appare per la prima volta l’archetipo dell’odierna scultura più lieve, minimale quasi all’inverosimile. È come se il superfluo fosse sempre in agguato, impedendo alle mistiche elevazioni scultoree di prendere il volo verso l’ignoto. Continua a leggere

Arte contemporanea e spiritualità, Benedetta Tagliabue e Enzo Cucchi

A  N  T  E  P  R  I  M  A

L’EDIFICAZIONE DELLA CHIESA DI SAN GIACOMO IN FERRARA 

Sono durati dieci anni i lavori per l’edificazione del complesso monumentale di San Giacomo Apostolo in Ferrara. Ci troviamo di fronte a un lavoro straordinario: un’opera di architettura e di arte contemporanea, frutto dell’incontro fra un grande architetto, Benedetta Tagliabue  e un artista internazionale, Enzo Cucchi.

Un umile capanna di pescatori fatta di canne e cemento grezzo. Così appare a prima vista la Chiesa di San Giacomo che verrà inaugurata a Ferrara il 16 ottobre 2021. Uno spazio circolare, avvolgente e solenne che ci riporta a un origine, a una forma archetipica e spirituale. Questa opera d’arte nata dalla sinergia dell’architettura di Benedetta Tagliabue con l’arte figurativa di Enzo Cucchi, plasma le superfici ruvide delle pareti del tempio con croci e ceramiche che evocano un’idea di creazione, di rinnovamento dell’essere umano che parte dallo spirito.

In Anteprima vi mostriamo le immagini della riflessione architettonica di Benedetta Tagliabue e alcune opere di Enzo Cucchi in essa contenute.

Prendendo le mosse dall’osservazione delle opere di Cucchi che si fondono nelle strutture architettoniche di Benedetta Tagliabue, don Roberto Tagliaferri, liturgista della chiesa, consegna a questo blog, un’intensa riflessione sul legame tra arte contemporanea e spiritualità.

La Dedicazione della chiesa da parte dell’Arcivescovo Monsignor Gian Carlo Perego, avrà luogo il prossimo 16 ottobre alle ore 15.00. Da quel momento la chiesa sarà aperta al culto e liberamente alle visite. La diretta streaming dell’evento verrà trasmessa sul sito dell’arcidiocesi di Ferrara.

(Fabrizio FantoniLuigia Sorrentino)

LA CHIESA DI SAN GIACOMO A FERRARA

DI ROBERTO TAGLIAFERRI

 

L’inaugurazione della nuova chiesa di S. Giacomo a Ferrara offre l’occasione per fare il punto sul rapporto tra religione e linguaggi estetici, nella fattispecie con il progetto di Benedetta Tagliabue e di Enzo Cucchi.

Da quando le neuroscienze hanno corroborato la riflessione fenomenologica sul valore della percezione nella conoscenza a scapito dello “errore di Cartesio”, tutto concentrato sulla ragione concettuale, si è registrato un grande interesse sull’estetica, sull’epistemologia delle emozioni, che ha coinvolto anche la teologia e la pastorale della Chiesa. Specialmente nelle discipline come la scienza liturgica, si è affermato un approccio pragmatico, meno interessato alla semantica dei testi e delle dottrine e più attento alla performance rituale dei sacramenti della fede. L’efficacia performativa dei riti riguarda sia Dio sia l’uomo, cosicché risulta sorpassata una visione quasi miracolistica e si fa strada un’interpretazione attenta ai molteplici codici simbolici del rito. Tra questi vi sono l’architettura dello spazio sacro e il programma iconografico che l’accompagna. Essi non sono linguaggi indipendenti, ma devono risultare sinergici con la multiformità dell’azione liturgica e questo comporta un’enorme attenzione alla complessità sinestesica. Come nel teatro, a maggior ragione in un rito, spazi, tempi, attori, musiche, canti, danze, profumi, travestimenti, immagini, parole proclamate, assemblea, devono trovare sintesi in una regia con competenze plurime per ottenere il massimo di performatività.

La chiesa di S. Giacomo ha comportato questo sforzo empatico di tante competenze per rendere efficace il progetto architettonico. Mi limiterò ad offrire alcuni spunti su spazio architettonico e programma iconografico, perché solo la celebrazione liturgica in atto potrà verificare la bontà degli intendimenti dei progettisti.

L’idea dell’architetto Benedetta Tagliabue era di creare un luogo di sogno, come una mongolfiera che dal cielo plana sulla terra. Subito si è sentita l’esigenza di trovare gli elementi simbolici per una chiesa. Innanzitutto un vettore longitudinale ed iniziatico dal punto zero della soglia d’ingresso doveva produrre un cambiamento nei fedeli in un cammino verso l’eschaton, ovvero verso il futuro, il definitivo nello sfondamento spaziale dell’abside, segnata da una grande croce gemmata, simbolo di morte e risurrezione. Il percorso, guidato da una grande croce lignea sospesa al soffitto, dall’ingresso accompagna i fedeli fino al presbiterio e all’abside. Nell’intersezione dei due bracci un vettore verticale virtuale congiunge l’altare con lo sfondamento del tetto con la cupola come un “axis mundi”, che congiunge cielo e terra.

Su questi spunti architettonici sono intervenuti il teologo e l’artista, che hanno assecondato l’idea iniziale immettendo sulle pareti di cemento armato, lasciato crudo, grandi croci di pietra su cui si appoggiano ceramiche nere come fazzoletti con scene della storia della salvezza. Le grandi croci segnalano e ritmano il pellegrinaggio del cristiano, ricordando che “solo passando attraverso la passione si giunge alla gloria della risurrezione”. I riquadri, opera di E. Cucchi, da un lato rievocano gli eventi dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo il metodo tipologico antico di promessa e adempimento. Sulla destra, entrando, sono evocati gli articoli della fede d’ Israele: creazione, patriarchi, esodo dall’Egitto, pellegrinaggio nel deserto, dono della Legge, dono della terra, promessa di un Messia. Sul lato sinistro il compimento della promessa con il mistero dell’Incarnazione del Messia e con le leggi per il cristiano in cammino nel tempo: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” e “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non produce frutto”. Sull’ultima parte attigua al presbiterio il passaggio dalla missione di Gesù alla missione della Chiesa, con il simbolo antico della nave-Chiesa sballottata dai flutti e tenuta a galla dall’albero della croce. Da ultimo, va segnalato all’ingresso lo spazio battesimale con l’invito iniziatico a passare per la porta stretta e con scene battesimali dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Se dal punto di vista contenutistico non vi sono novità nell’ideazione della chiesa di S. Giacomo, invece dal punto di vista iconografico le innovazioni sono profonde, perché non hanno riscontro nella storia dell’arte ecclesiale. I soggetti di Cucchi, infatti, si staccano dai modelli tradizionali e tendono non a descrivere, a rappresentare, ma ad alludere, attraverso indizi che costringono a pensare. Lo spettatore poco rassicurato nelle sue credenze sapute, è costretto a riflettere e ad attivare l’immaginazione simbolica.

 

L’organicità di arte e architettura si avverte nel dialogo tra cemento armato delle pareti con il marmo delle grandi croci e dell’altare, un grande masso cubico estratto da una cava in Puglia. Il tutto ha l’aspetto del non finito, ma è un effetto voluto per percepire nella potenza della materia l’afflato dello Spirito. L’inevitabile fastidio dei fedeli è un rischio calcolato dall’arte contemporanea, che intende produrre uno shock nello spettatore per creare emozioni ed esperienze profonde, non solo rappresentazioni legate alle credenze ricevute per “epidemiologia” sull’autorità di chi ce le ha trasmesse. Luogo architettonico e icone, insomma, intendono attivare insieme un’esperienza religiosa genetica e innovativa.

Su questo fronte si apre un capitolo inedito del rapporto tra religione e linguaggi estetici. È risaputo che da molto tempo si è rotto il patto che legava arte e fede per tanti motivi che non si possono qui rievocare. Tuttavia la nuova sensibilità epistemologica sulla fondamentale dimensione estetica della conoscenza, corroborata dalla fine delle credenze per contagio di idee, hanno riavvicinato Chiesa e arte. L’arte stessa, infatti, lamenta un impoverimento della sua ispirazione, lasciata troppo spesso in balia delle trovate estemporanee e accetta volentieri le nuove sfide della committenza ecclesiastica. D. Freedberg sostiene con vigore la fine della potenza dell’arte, che nel mondo antico creava presenze soprannaturali e che oggi è solo comunicativa e frivola. L’antropologo Carlo Severi descrive la “mnemotecnica” della “Bibbia dakota”, che con i suoi pittogrammi mette relazione percezione e memoria per tramandare il modello culturale.

La chiesa di San Giacomo a Ferrara è un esempio da tenere in considerazione per le ragioni più profonde attivate nella progettazione, che ha inteso riattivare il “genius loci” dove non ci sono solo uomini, ma si respira la presenza del Sacro nello stormire delle fronde dei grandi alberi che circondano la chiesa all’Arginone di Ferrara.

Salsomaggiore Terme, 11 ottobre 2021

LE OPERE DI ENZO CUCCHI

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Enzo Cucchi, “Antifragile”

Enzo Cucchi, “Antifragile”, Credits ph.  Roberto Apa

La poesia e la pittura sono identiche; il problema è stranamente lo stesso: è una questione di iconografia, di immagine del mondo. Si tratta di fermare l’immagine e di farne istantaneamente la sintesi, in qualunque maniera”.

Enzo Cucchi

La mostra Antifragile è un progetto specifico di Enzo Cucchi per Colli che si sviluppa attorno al dittico “senza titolo (Pound)”, fatto di tarsie ceramiche su cemento.

Questo lavoro antimemoriale sul grande poeta Ezra Pound è il fuoco spaziale e di ricerca della mostra. “L’artista non ha bisogno che si descriva il suo lavoro, ha bisogno di aria…” di poesia seppur si muove a disegnare forme solide e antifragili.

La costante dello spazio definito da Cucchi è segnata da “Radura”, scultura a terra in ceramica, protubescente e bulbosa, pezzo “paleolitico” di natura vegetale e animale, di forma antitetica.

L’instabile percezione delle linee ed il loro continuo sfuggire da possibili anatomie e morfologie alimenta la soglia e l’attesa di questo tipo di opere in cui convivono plastica, segno e stesura.

COLLI independent art gallery, Credits ph. Roberto Apa

L‘anticamera che Enzo Cucchi infatti instaura è lo spazio dell’opera radiante, riposata in orizzontale ma non grave che si nutre di più discipline: pittura, scultura, disegno, ambiente.
La mostra è la ragione di una ricerca libro che Cucchi sta costruendo attorno al lavoro “senza titolo (Pound)” con un nucleo importante di disegni iterativi e “posturali” sul ritratto di Ezra Pound.

Una raccolta di disegni, frammenti e annotazioni per un libro d’artista edito da Viaindustriae con Colli publishing platform e che verrà presentato nell’arco temporale della mostra.

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ENZO CUCCHI Antifragile
02.10 – 31.12.2021

COLLI independent art gallery
Via di Monserrato, 103
Roma

 

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Alla Biblioteca cantonale di Lugano i libri d’artista di Giulia Napoleone

Giulia Napoleone

IL SEGNO E LA POESIA NELLE OPERE DI GIULIA NAPOLEONE

di Fabrizio Fantoni

”Di tutte le arti, la pittura astratta è la più difficile. Richiede che tu sappia disegnare bene, che tu abbia una maggiore sensibilità per la composizione e i colori e che tu sia un vero poeta.”
Queste parole di Vasilji Kandinsky costituiscono il migliore commento all’opera artistica di Giulia Napoleone.
L’occasione di sondare, ancora una volta, la produzione pittorica della Napoleone ci viene fornita dalla mostra intitolata “Il segno e la poesia, 25 libri di artista” che si sta svolgendo presso la Biblioteca Cantonale di Lugano.
Venticinque libri unici creati da Giulia Napoleone con la meticolosa perizia di un antico amanuense in cui i testi poetici di alcuni fra i più importanti interpreti della poesia contemporanea  – tra cui Adonis, Milo De Angelis, Fabio Pusterla, Luigia Sorrentino, Antonella Anedda, Giancarlo Pontiggia – trascritti a mano dall’artista sono accompagnati e messi in dialogo con disegni e pastelli realizzati dalla stessa.
L’oggetto della ricerca artistica di Giulia Napoleone è da rintracciare nell’idea di “sconfinamento” che si attua nella ricerca dell’inafferrabile, nella volontà di trovare il cambiamento in ciò che in apparenza non muta.
Gli universi pulviscolari che l’artista incide sulla matrice o delinea con la china o con il pastello sono animati da un’impercettibile pulsazione – quasi un fremito di vita – che pare annunciare un’imminente scomposizione e ricomposizione in altre innumerevoli forme; “sconfinamento”, dunque, dell’idea di segno, dell’idea di forma, spostamento dei loro livelli di percezione.

Gli sconfinamenti di Luigi Cipriano

IL LIBRO FOTOGRAFICO DI LUIGI CIPRIANO
“OLTRE – Viaggio onirico di evasione dalla pandemia Covid 19”

“OLTRE – Viaggio onirico di evasione dalla pandemia Covid 19” (Blurb, 2021), è l’ultimo lavoro di Luigi Cipriano, fotografo nato a Guardia Lombardi, che ha all’attivo la partecipazione a diverse collettive e alcune personali, oltre ad aver pubblicato diversi libri fotografici come autore e collaborato a progetti artistici.

Tra i suoi lavori, si ricorda la pubblicazione “Vertical City Extended”, realizzata nel 2020, che è stata selezionata all’Urban Book Award 2020 – Festival Internazionale di fotografia Urbana – Trieste Photo Days.

 

OLTRE, non è un reportage fotografico, non è un libro di street fotography, né un libro sul paesaggio. Tanto meno è un diario sulla quarantena, ma è un lavoro che partendo da una serie d’immagini realizzate in tempi e luoghi diversi vogliono comunicare sensazioni e riflessioni su questo periodo pandemico, in particolare tra marzo e giugno, con il lockdown nazionale.
A differenza di lavori realizzati in questo periodo, che partono dalla pandemia come soggetto principale, questo libro parte dall’inconscio ed esprime con le immagini quelle sensazioni emotive, miste di paure, attese o sogni affiorati nell’autore, e in gran parte di noi, durante il periodo di lockdown e ancora presenti oggi per effetto della pandemia che dilaga.

 

Il libro è composto da 46 fotografie, suddivise in 9 sezioni, dove vengono scanditi i tempi del lockdown dello scorso anno che, in un crescendo di immagini ed emozioni, descrivono il graduale passaggio dalla chiusura alla riapertura, per riprendere a guardare il mondo oltre le finestre di casa.

Le foto, pubblicate nel libro, cercano di visualizzare la percezione dei sentimenti che sono stati provati, indirizzandoli verso una dimensione onirica. Per farlo è stato dato alle foto un mood che vuole alludere al sogno. Le immagini sono state generate in post produzione, con un effetto flou e cromie calde, virate su colori beige e verde pastello.

La forza del lavoro è amplificata da una serie di poesie che alcuni noti poeti italiani, alcuni dei quali vivono negli Stati Uniti, hanno scritto partendo dagli stessi stati d’animo del fotografo, contribuendo a questo originale lavoro, e che introducono le varie sezioni di scatti, amplificando il significato delle immagini. Alcune poesie sono tradotte in più lingue.

La prefazione del libro e stata scritta dal Prof. Fulvio Bortolozzo, Professore dell’Istituto Europeo di Design di Torino ed esperto curatore per la fotografia d’autore, con particolare orientamento all’osservazione del paesaggio urbano e dell’architettura. I poeti che hanno contribuito con i loro scritto sono: Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Alessandro Carrera, Domenico Cipriano, Maurizio Cucchi, Plinio Perilli, Luigia Sorrentino, Luigi Fontanella e Gian Mario Villalta.

DALLA QUARTA DI COPERTINA

Il 9 marzo 2020, a seguito dell’epidemia globale da Covid-19, l’Italia decretava il lockdown della nazione. In assenza di cure, l’unico modo conosciuto per difendersi dalla pandemia era quello del distanziamento sociale.

Ciò ha procurato un senso generale di costrizione che torna anche nei sogni dell’autore. Immagini che, ricorda, aveva fermato in scatti precedenti alla pandemia e conservava nel proprio archivio fotografico. Foto che nascondevano un OLTRE e ritraevano mura, finestre, recinzioni, sbarramenti, confini, steccati, orizzonti infiniti e qualche persona che li fissava da una panchina…

A quelle immagini si legano i testi di 9 poeti, che amplificano le sensazioni generate dal lockdown.

Le foto, pubblicate nel libro, cercano di visualizzare la percezione dei sentimenti che sono stati provati, indirizzandoli verso una dimensione onirica. Per farlo è stato dato alle foto un mood che vuole alludere al sogno. Le immagini sono state generate in post produzione, con un effetto flou e cromie calde, virate su colori beige e verde pastello.

LINK DEL LIBRO PRESSO L’EDITORE BLURB


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Nasce l’archivio di Enzo Cucchi. Creato come un videogame è una straordinaria invettiva contro il sistema dell’arte

E S C L U S I V A

DI FABRIZIO FANTONI

 

Spiazzante e imprevedibile in ogni sua manifestazione Enzo Cucchi si conferma, ancora una volta, come il più “fuori legge” fra tutti gli artisti contemporanei.

La sua creatività scontrosa, che non si sottomette ad alcun canone predefinito si manifesta anche nella costituzione dell’archivio digitale che raccoglie l’intera sua produzione artistica.

Enzo Cucchi rompe le regole accademiche dell’archiviazione creando un vero e proprio videogame che consente di giocare con le opere dell’artista: un nuovo e più democratico criterio di consultazione e fruizione del materiale che sia accessibile a tutti ,anche alle giovani generazioni.

Al di là delle apparenze il nuovo progetto di Enzo Cucchi si rivela come un gesto di sfida (prima ancore che un gesto artistico) contro la insopportabile commercializzazione dell’arte contemporanea.

Questo aspetto è messo in luce molto bene da Alessandro Cucchi che nel suo articolo compie un’invettiva impietosa e lucidissima dello stato attuale dell’arte contemporanea, denunciando apertamente la falsità e l’opportunismo di molti personaggi che tessono le fila dell’arte contemporanea

 

ARCHIVE GAMIFICATION

DI ALESSANDRO CUCCHI

Enzo Cucchi

…”era troppo fico giocare all’archivio!”
“Hai visto quel mostro al sesto quadro? E’ spuntato da dietro l’albero, mi ha fatto saltare in aria!”
Vorrei fossero queste le prime impressioni di chi si approccia al mio archivio.
Entusiasmo & Aspirazione.
Invece oggi l’archiviazione è intesa come una pratica noiosa, passiva, vecchia.
La fruizione di un archivio tramite un metodo nuovo.

Osservando il movimento dell’Arte contemporanea, la sensazione più piacevole che si può provare credo sia il vomito.
Un sistema che dovrebbe essere all’apice di un’ideale piramide culturale (l’Arte è il termometro più sensibile che la società ha per misurare il proprio andamento estetico quindi etico), oggi è preda della peggior specie di persone che esistano.
Sei un fotografo non bravo a fare le fotografie? Troverai lavoro sicuramente nel sistema dell’arte.

Enzo Cucchi

Sei un falegname che non è in grado di tirar su mobili e sedie? Il tuo futuro è allestire mostre.
Hai studiato giurisprudenza per diventare notaio ed entrare nel secolare ufficio di tuo padre, possibile erede di atti notarili e mafie istituzionali, ma per poca voglia o perspicacia non riesci proprio a concludere gli esami? Fatti crescere una bella barba, mettiti dello smalto alle unghie, e presentati come artista. Le mostre personali fioccheranno.
Sei una ragazza dell’alta borghesia (forse addirittura nobile), ti annoi tra i tuoi privilegi e non vuoi fare la fine di quell’alcolizzata di tua madre? Proponiti come performer impegnata socialmente, una body-art post-concettuale presentata come fosse un panino di McDonald, Kassel sarà una tua meta certa.
Hai tre cliniche private in dote ma fare lo psichiatra ti sta stretto? Proponiti come artista, e alla prima offerta di ruolo istituzionale, accettala, diverrai il direttore di uno dei poli dell’arte contemporanea più importanti del paese. Continua a leggere

Il segno e la poesia. 25 libri d’artista di Giulia Napoleone

Giulia Napoleone, Biblioteca cantonale di Lugano, 27 maggio 2021, in occasione della mostra “Il segno e la poesia. 25 libri d’artista”

A Lugano, nella Biblioteca cantonale da giovedì 27 maggio 2021 è in corso la mostra
Il segno e la poesia. 25 libri d’artista di Giulia Napoleone.

Il legame di un’antica amicizia lega la Biblioteca cantonale di Lugano a Giulia
Napoleone. L’artista è già stata infatti ospitata in passato in questi spazi con alcune
opere. Del resto, col suo lavoro di meditazione sulla pagina scritta e sulla parola, si
pone in linea perfetta con le scelte espositive dell’istituto che, negli ultimi anni,
mirano a indagare questo particolare aspetto della creatività.

Da queste considerazioni è nato il desiderio di collaborare in vista della realizzazione
di una mostra. Giulia Napoleone ha così appositamente creato per la Biblioteca
cantonale di Lugano 25 libri d’artista.

Giulia ha scelto una serie di poeti, inserendo in queste nuove meditazioni molti dei suoi consueti compagni di viaggio e numerosi altri amici, tra cui diversi ticinesi: Adonis, Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Marco Caporali, Maria Clelia Cardona, Massimo Daviddi, Roberto Deidier, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Pietro Montorfani, Alberto Nessi, Elio Pecora, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Rocco Scotellaro, Luigia Sorrentino, Brunello Tirozzi, Maria Rosaria Valentini, Marco Vitale, Simone Zafferani.

Sono nati così gli splendidi libri d’artista, una collezione di opere che si distinguono per varietà di formato e soggetti, la cui unicità risiede principalmente nel fatto che Giulia Napoleone non ha soltanto realizzato le immagini, ma ha anche composto le pagine, individuato e trascritto i versi, scelto con cura gli elementi fisici – carta, matite, inchiostri… – che dovevano accompagnarla in questo lavoro. Questi elementi influiscono infatti in modo determinate sul risultato finale, non soltanto negli aspetti più evidenti, ma anche nei flussi più impercettibili che chiedono di essere riconosciuti da una osservazione più attenta.

Giulia Napoleone, manoscritto con tre disegni con poesie di Luigia Sorrentino tratte dall’edizione francese di Inizio e fine, (2016) Début et Fin, traduzione di Joelle Gardes, (Al Manar, 2018)

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Il rinnovamento radicale, la performing art

Stellario Di Blasi

La Biennale di Venezia /
49. Festival Internazionale del Teatro (2 > 11 luglio) /
Stellario Di Blasi e il collettivo -ness (Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian)
vincitori del bando performance site specific di Biennale College /
le performance saranno presentate al 49. Festival

 

Sono Stellario Di Blasi e il collettivo -ness, composto da Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian, i vincitori della prima edizione di Biennale College dedicato alla performance site specific.

Scelti fra le oltre 100 domande pervenute da 18 Paesi del mondo, i vincitori parteciperanno alla fase di realizzazione dei loro progetti performativi inediti – AB IMIS presentato da Stellario Di Blasi e On a solitary Beach da Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian – sotto la guida dei Direttori del settore Teatro Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte). Le due performance site specific, pensate e realizzate per gli spazi aperti di Venezia, verranno infine presentate nell’ambito del 49. Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia dal 6 al 9 luglio.

Con un percorso nelle arti visivo-performative e nella danza contemporanea, sia come interprete che come coreografo, Stellario Di Blasi ha presentato un frammento di studio sul progetto AB IMIS.

MOTIVAZIONE

“In una distesa modulare che vive degli echi dell’arte di Pino Pascali – richiamandone i perimetri della relazione tra natura e produzione industriale – Stellario Di Blasi indaga attraverso il corpo parlante del perforare.  Mediante il recupero di una dignità morale e di nuove coordinate di ascolto, Di Blasi costruisce un itinerario nel quale i linguaggi della poesia e del corpo agito edificano un’ indagine che, frantumando gli steccati tra le differenti discipline artistiche, restituisce un nuovo turbine teatrale che pur traendo frutto dalle orme performative di questo secolo getta un nuovo ponte, fiammeggiante di contenuti, verso possibilità di esplorazione più ampie di significato.
AB IMIS, dunque e letteralmente, non riguarda soltanto un’analisi del momento sociale contingente, ma quell’esperimento linguistico espressivo su un alfabeto da rifondare che Stellario Di Blasi – senza nulla dare per scontato – sembra perseguire senza timori”.

Il collettivo -ness, ovvero Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian, fondato a Venezia nel 2019, vede premiato il progetto On a solitary Beach, personalissima indagine dei nuovi linguaggi nel campo delle arti visivo-performative.

Giulia Zulian e Charlie Lana

MOTIVAZIONE

On a solitary Beach  è una performance espansa estemporanea. Attraversando come turisti, a piedi o in gondola, un museo/scena site-specific come Venezia, agendo in tutti quei luoghi della cultura che per un anno e mezzo ci sono stati negati, i Transghost Rooy Charlie Lana e Giulia Zulian – utilizzando come codice estetico lo zentai (la tuta aderente integrale che nasconde completamente i tratti fisionomici distintivi del corpo, ricoperto con accessori appartenenti alla pratiche BDSM) per spingere ai limiti la percezione, stabilire nuove grammature di sensibilità, riposizionare di continuo in modi sorprendenti il focus nell’organizzazione dello sguardo degli altri spettatori- visitatori della città – lasciano impronte, depositano tracce lanciando un silenzioso poetico grido d’allarme contro la discriminazione e potenziando invece, rispetto a un sistema normativo, i molteplici poteri delle derive che emettono da sempre una fluorescenza che non accennerà mai a spegnersi. Ci invitano inoltre a non opporci e farci placidi collaboratori della creazione, portandoci a riflettere sull’identità in attraversamento, sul passaggio visibile e/o invisibile da uno stato del corpo a un altro, su cosa significhi l’essere e/o il non essere contemporaneamente a sé stessi con differenti orizzonti simbolici”. Continua a leggere

Giulia Napoleone, “Il segno e la poesia”

Giulia Napoleone. Galleria IL PONTE, anteprima mostra “nero di china”, Firenze, 18 gennaio 2020. Credits photo, Fabrizio Fantoni

COMUNICATO STAMPA
Biblioteca cantonale di Lugano
Giovedì 27 maggio 2021
Ore 18.00
Inaugurazione della mostra:
Il segno e la poesia.
25 libri d’artista di Giulia Napoleone
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Da tempo un legame di amicizia lega la Biblioteca cantonale di Lugano a Giulia Napoleone. L’artista è già stata infatti ospitata in passato in questi spazi con alcune opere. Del resto, col suo lavoro di meditazione sulla pagina scritta e sulla parola, si pone in linea perfetta con le scelte espositive dell’istituto che, negli ultimi anni, mirano a indagare questo particolare aspetto della creatività.

Da queste considerazioni è nato il desiderio di collaborare in vista della realizzazione di una mostra.

Giulia Napoleone ha così appositamente creato per la Biblioteca
cantonale di Lugano 25 libri d’artista.

Giulia ha scelto una serie di poeti, inserendo in queste nuove meditazioni molti dei suoi consueti compagni di viaggio e numerosi altri amici, tra cui diversi ticinesi: Adonis, Annelisa Alleva, Antonella Anedda, Marco Caporali, Maria Clelia Cardona, Massimo Daviddi, Roberto Deidier, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Gilberto Isella, Maria Gabriela Llansol, Fabio Merlini, Pietro Montorfani, Alberto Nessi, Elio Pecora, Yves Peyré, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Roberto Rossi Precerutti, Rocco Scotellaro, Luigia Sorrentino, Brunello Tirozzi, Maria Rosaria Valentini, Marco Vitale, Simone Zafferani.

Sono nati così gli splendidi libri d’artista esposti a Lugano per la prima volta, una collezione di opere che si distinguono per varietà di formato e soggetti, la cui unicità risiede principalmente nel fatto che Giulia Napoleone non ha soltanto realizzato le immagini, ma ha anche composto le pagine, individuato e trascritto i versi, scelto con cura gli elementi fisici – carta, matite, inchiostri… – che dovevano accompagnarla in questo lavoro. Continua a leggere

“Les Fleurs du Mal” di Giulia Napoleone

OMAGGIO A BAUDELAIRE

di Lorenzo Ghelardini

 

Le Gallerie degli Uffizi celebrano il bicentenario della nascita del grande poeta simbolista Charles Baudelaire con un raffinato omaggio: le illustrazioni di Giulia NapoleoneLe Fleurs du mal conservate al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.

La raccolta di versitra i capisaldi della poesia di tutte le epoche, fu pubblicata per la prima volta nel 1857 suscitando scandalo e censure per l’arditezza, l’aspetto dissacrante oltre che sensuale, gli accenti torbidi e celestiali insieme: il poeta fu costretto a eliminare alcuni componimenti e a riorganizzare la struttura d’insieme approdando a una nuova pubblicazione nel 1861, per giungere all’assetto definitivo solo nel 1868.

L’istituto livornese Nuovo Archivio dei Macchiaioli nel 1996 ne ha proposto un’edizione curata dallo storico dell’arte Dario Durbé, cui si deve anche una nuova traduzione.

L’elegante volume, stampato su carta pregiata e in tiratura limitata (600 copie), si caratterizza per un corposo impianto illustrativo realizzato da Giulia Napoleone, artista apprezzata dallo stesso Durbé e già familiare con l’interpretazione visiva del linguaggio poetico, come nel caso del volume Non vedo quasi nulla del 1978, con sue incisioni e brani di André du Bouchet. Continua a leggere

Biennale Venezia/Leoni per il Teatro

Krzysztof Warlikowski (FOTO M. STANKIEWICZ)

 

Krzysztof Warlikowski Leone d’oro alla carriera

Kae Tempest Leone d’argento

E’ il regista polacco Krzysztof Warlikowski, figura emblematica del teatro post comunista che ha marcato la scena internazionale creando visioni memorabili, il Leone d’oro alla carriera per il Teatro 2021.

Il Leone d’argento è tributato all’inglese Kae Tempest, insieme poeta, autore per il teatro e di testi narrativi, rapper e performer di travolgenti e affollatissimi reading.

Lo ha deliberato il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia accogliendo la proposta di ricci/forte (Stefano Ricci e Gianni Forte), direttori del settore Teatro.

La premiazione avrà luogo nel corso del 49. Festival Internazionale del Teatro (2 > 11 luglio).

“Da più di vent’anni Krzysztof Warlikowski – secondo la motivazione – è fautore di un profondo rinnovamento del linguaggio teatrale europeo. Utilizzando anche riferimenti cinematografici, un uso originale del video e inventando nuove forme di spettacolo atte a ristabilire il legame tra l’opera teatrale e il pubblico, Warlikowski sprona quest’ultimo a strappare il fondale di carta della propria vita e scoprire cosa nasconde realmente”.

Presente con le sue regie teatrali nei maggiori festival di tutto il mondo – dall’Europa alle Americhe – e con i suoi allestimenti lirici nei più importanti teatri d’opera – da Parigi a Londra e Salisburgo – Krzysztof Warlikowski è “un artista libero – scrivono ricci/forte – che apre brecce poetiche illuminando con un fascio di luce cruda il rovescio della  medaglia;  che  rompe  la  crosta  delle  cose  toccando le coscienze; che scende nelle viscere del dolore e mette in discussione con ironia le ambiguità sia della Storia con la “s” maiuscola sia quelle della nostra esistenza individuale, offrendoci la visione di una società minacciata da cambiamenti radicali e sempre più assediata da una tentacolare classe dirigente di predatori famelici, evidenziando la violenza nei rapporti sociali e familiari e il bisogno urgente che l’emozione di un puro e semplice desiderio d’amore ci può donare”.

Kae Tempest (FOTO JULIAN BROAD)

Kae Tempest è “la voce poetica più potente e innovativa emersa nella Spoken Word Poetry degli ultimi anni – recita la motivazione – capace di scalare le classifiche editoriali inglesi e raccogliere consensi al di fuori dei confini nazionali per il coraggio ardimentoso nel dissezionare e raccontare con sguardo lucido angosce, solitudine, paure e precarietà di vivere, i più invisibili eppure concreti compagni di vita della nostra epoca – tra identità, ipocrisie e marginalità vissute anche sulla sua pelle – scaraventandosi contro l’odierna morale imperante e opprimente.
Kae Tempest, con una candidatura ai Brit Awards 2018 e riconoscimenti intitolati a Ted Hughes e T. S. Eliot, è ora attribuito il Leone d’argento per il Teatro 2021 – scrivono ricci/forte – “per l’audacia luminosa nel posizionare deflagranti inneschi riflessivi e per voler ancora sperimentare in un genere definito di nicchia, come la poesia, mescolando l’aulico con il basso, la rabbia con la dolcezza degli affetti – tra versi e rime taglienti di shakespeariana memoria e dal forte contenuto sociale, miti classici e ibridazioni hip hop – arrivando a parlare col cuore a un pubblico sempre più vasto, entrandoti fin dentro le ossa, costringendoti a specchiarti nella tua dolorosa intimità”.

The Book of Traps & Lessons è l’ultimo dei leggendari reading di Kae Tempest che verrà presentato in prima per l’Italia al 49. Festival Internazionale del Teatro. Continua a leggere

Alla Biennale di Venezia, il debutto di Jacopo Gassman

Mercoledì 23 settembre spicca il debutto alla Biennale Teatro di Jacopo Gassmann con la novità di Arne Lygre, “Niente di me”,  in scena al Teatro Piccolo Arsenale (ore 17.00). Con lo sguardo rivolto al futuro gli altri due titoli, che coinvolgono tutti giovani artisti. Si tratta dei registi, degli attori e dei drammaturghi della Scuola d’Arte Drammatica Silvio D’Amico guidati daFrancesco Manetti alle Sale d’Armi (ore 20.00) con Non dire/Non fare/Non baciare e di noi wish, la performance che conclude la masterclass di Alessio Maria Romano al Teatro alle Tese (ore 11.00 e 15.00), complici gli attori, i danzatori, i performer di Biennale College – Teatro.

E’ presentato per la prima volta in Italia alla Biennale ArneLygre, uno dei più importanti autori scandinavi, Premio Ibsen 2013, con “Niente di me”, messo in scena in forma di studio da Jacopo Gassmann, regista teatrale e cinematografico dalla formazione internazionale, attento osservatore della drammaturgia contemporanea (è lui che ha fatto conoscere Juan Mayorga in Italia). Dopo il debutto in prima assoluta il 23 settembre al Teatro Piccolo Arsenale, lo spettacolo sarà in scena al Teatro Astra di Torino dal 25 al 27 settembre aprendo la stagione del TPE (Teatro Piemonte Europa).

Niente di me rappresenta forse l’estremo tentativo della letteratura teatrale di andare oltre i confini del non-detto all’interno di un rapporto di coppia; ma non censurare le verità nascoste dell’amore è davvero un atto di libertà? si chiede il regista Jacopo Gassmann che così racconta l’opera: La scena si apre nel pieno di una relazione erotica fra una donna e un uomo più giovane di lei. Siamo in un appartamento spoglio: uno spazio vuoto, tutto da riempire. Non sappiamo molto, se non quello che i due personaggi decidono di dirci. Presto capiamo che si conoscono da poco. Entrambi hanno scelto di isolarsi dal mondo e di mettere un punto a quella che è stata, fin lì, la loro esistenza. Sospesi in un limbo fra passato e futuro, provano a costruire la loro storia d’amore. Non è semplice distinguere fra ciò che avviene realmente e ciò che è pura affabulazione. Come nei processi onirici, la parola lascia delle tracce in scena per poi cancellarle. Continua a leggere

Addio a Philippe Daverio

Philippe Daverio

Grave lutto per il mondo della cultura. E’ morto questa notte all’istituto dei Tumori di Milano lo storico dell’arte Philippe Daverio. Lo ha reso noto la regista e direttrice del Franco Parenti Andree Ruth Shammah. Docente e saggista, ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, aveva 71 anni. “Mi ha scritto suo fratello stamattina per dirmi che Philippe è mancato stanotte”.

Lo storico e critico d’arte Philippe Daverio, era nato a Mulhouse, in Alsazia, il 17 ottobre 1949 da padre italiano, Napoleone Daverio, costruttore, e da madre alsaziana. Continua a leggere