Agnoloni, “Internet. Cronache della fine”

Giovanni Agnoloni

NOTA DI LETTURA DI GIORGIO GALLI

Rileggere le cronache della fine di internet di Giovanni Agnoloni, oggi che la vita virtuale è diventata tutta la vita, può essere un’esperienza istruttiva e perturbante. Agnoloni si interroga su ciò che accadrebbe se la Rete crollasse, ed esplora tutte le possibilità pratiche, ma anche etiche, politiche e metafisiche, di un simile evento. Quanto potere avrebbe colui che riuscisse a controllare la Rete? E che tipo di potere sarebbe quello di colui che, padrone della Rete, decidesse a un dato momento di spegnerla? Sarebbe l’umanità capace di tornare a vivere come prima? E l’orologio della Storia tornerebbe semplicemente indietro, o scopriremmo che lo spazio virtuale ha modificato in maniera sorda ma irreversibile non solo il nostro modo di percepire la realtà, ma financo la realtà stessa? È da queste domande che prende inizio il percorso di Internet. Cronache dalla fine, composto di tre romanzi – Sentieri di notte, La casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito – e dei due racconti riuniti nel dittico Partita di anime. Un’opera ponderosa, che tocca temi cari anche all’ultimo DeLillo, ma in anticipo su di lui di qualche anno, dato che l’indagine di Agnoloni è cominciata nel 2012.

Tutti i protagonisti di questi romanzi hanno perso qualcosa: chi la memoria, chi la famiglia, chi un amore sparito nel nulla… Ne La Casa degli anonimi sono spariti nel nulla, e il protagonista li cerca inutilmente, perfino i tre personaggi principali di Sentieri di notte, che esistono soltanto come nomi e ossessioni. Non è venuta a mancare solo la comunicazione fra diverse aree del globo. Anche passato e presente non dialogano più. Alcuni personaggi raccontano in prima persona la loro esistenza atemporale in una Casa – o in più Case? – simile a un limbo, a un intermundus fra la vita e la morte, desiderosi di tornare a vivere ma inconsapevoli di ciò che sono stati. La loro presenza si manifesta solo nei sogni di altri personaggi. Tutti, dunque, hanno perso il contatto con se stessi: con una parte, o con la totalità, di sé. Cosa li salva? L’incontrarsi, il ritrovarsi. Ma è difficile ritrovare se stessi in un mondo di identità incerte, ingannevoli, talvolta perfino fungibili – e qui Agnoloni sembra richiamarsi a tutta la letteratura sulla massificazione, sull’individuo come monade mondiale, alienata e scissa.

Anche la razionalità non è più sufficiente. I personaggi si muovono spinti da intuizioni irresistibili, da pure sincronicità junghiane (vale a dire da coincidenze significative solo per chi le esperisce). Il protagonista della Casa, Kasper, compie le sue azioni “ben sapendo, per motivi a me ignoti”, qual è il suo compito in questo gioco dove nulla è ciò che appare ma nulla è per caso. Le coscienze possono essere persino eterodirette, infiltrate da qualcun altro che vi prende stanza. Il socratico Gnothi seautòn, “Conosci te stesso”, diventa allora il comandamento più importante. Perché è solo ritrovando se stessi, ridiventando completi, che si può svolgere la propria funzione nel mondo. Accanto al motto socratico, c’è – con pari forza – l’esempio di Gesù, che, nel tempio, pur inveendo contro i Farisei, non si lascia distrarre da loro e continua a tracciare dei segni per terra. Cosa scrive? I Testi non lo dicono, ma ai nostri personaggi quel passo del Vangelo invia un messaggio: rintracciare i segni, decifrarli, interpretarli è il loro compito più sacro, perché i segni sono tutto, in un mondo che si è ridotto al suo proprio fossile. I segni sono ciò che sopravvive. Accogliere i segni, “abbandonarsi ai significanti” avrebbe detto Carmelo Bene, è l’unica via per ritrovare quell’unità a cui tutti aspirano, e che è sempre più lontana.

Ne L’ultimo angolo di mondo finito il cosiddetto mondo reale ha perso consistenza: vi si aggirano droni che controllano l’umanità dall’alto, ologrammi in forma umana che rimandano a ciascuno i propri pensieri e a cui ciascuno si rapporta come se fossero reali, senza accorgersi di starsi avviluppando in una spaventosa solitudine. Il paesaggio de La casa degli anonimi era popolato di esseri esausti e arrabbiati, che avevano ceduto agli avatar parte della loro umanità e col crollo di Internet erano rimasti privi di se stessi, privi di una ragione di sé. L’ultimo angolo di mondo finito  fa emergere un panorama in cui il reale e l’irreale convivono al punto tale che i vivi hanno l’aspetto di fantasmi e i morti, col loro essere pure anime, hanno su di loro un vantaggio esistenziale e ontologico. Tutto ciò che appare può capovolgersi nel suo rovescio: gli eroi possono essere falsi, i benefici venir percepiti come minacce e gli eroi veri apparire come traditori e venduti. Continua a leggere

Giovanni Agnoloni, “Berretti Erasmus”

Giovanni Agnoloni

NOTA DI LETTURA DI GIORGIO GALLI 

 

Una delle cose più difficili al mondo è arrivare a coincidere con la propria vocazione. Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta Editore, 2020) è il racconto di come Giovanni Agnoloni ci sia riuscito.

Bisogna per prima cosa chiarire che il titolo è fuorviante: il libro non ha a che fare – se non in parte – con il noto programma di scambio tra le università europee: è piuttosto il racconto di come si forma la mentalità del viaggiatore e di come questa venga a fondersi con la vocazione di scrittore. Un racconto che non esclude – anzi, include a piene mani – momenti di leggerezza in spirito studentesco, ma che guarda a qualcosa di più. Lo percepiamo fin dalle prime pagine, con l’attenzione che lo scrittore rivolge alle periferie delle città che visita. Quest’attenzione però non ha nulla di sociologico: sembra piuttosto un dato esistenziale, e mano a mano che si procede nel libro – che lo scrittore diventa sempre più centrato in sé – la distinzione fra centro e periferia viene a sparire. D’altra parte, il soggiorno in Polonia non ispira ad Agnoloni riflessioni sul sovranismo nascente, né l’Irlanda appare ai suoi occhi quella delle case Magdalene. E non è cecità da parte di Agnoloni, ma il volersi concentrare sulla dimensione esistenziale del viaggio, sull’essere europeo e cittadino del mondo nell’esperienza specifica di un individuo.

È il primo libro in cui Agnoloni si presenta col suo nome. Un memoir, se proprio dobbiamo classificarlo in un genere. Scritto con una prosa da commedia diversissima rispetto alla precedente produzione dell’autore, e che tuttavia incrocia la tragedia: quella di un incidente stradale che si porta via la donna destinata a diventare sua moglie. Un fatto che contribuisce a rafforzare in lui la vocazione solitaria del viaggiatore e dello scrittore. Un fatto raccontato quasi di sfuggita, con discrezione. Sembra che egli abbia voluto usare toni leggeri per girare attorno a questa grande e determinante tragedia, per esorcizzarla aggirandone l’orrore. Il lettore non può che provare gratitudine per tanta discrezione, per la scelta di un simile pudore. Ci si sente grati ad Agnoloni anche per la franchezza con cui si mette in gioco, con le sue debolezze umane, la sua quotidianità eccezionale ma anche molto normale, la sua empatia con lo spirito dei luoghi che visita.

Continua a leggere

Giovanni Agnoloni, “Viale dei silenzi”

Giovanni Agnoloni


Nota di lettura di Giorgio Galli

Recentissima uscita della collana “Senza rotta” di Arkadia, Viale dei silenzi è il primo romanzo non fantastico di Giovanni Agnoloni. Un romanzo breve, di 131 pagine, ma denso. Nella prima parte sembra senza direzione, ancorato al monologo interiore di un protagonista bloccato in se stesso. Il protagonista è uno scrittore, è di Firenze e gira per le residenze letterarie di mezzo mondo proprio come Agnoloni. Ma non è Agnoloni. E’, invece, un personaggio ricorrente della sua narrativa: il giovane segnato dalla scomparsa di una persona importante e che per tutta risposta si è chiuso in se stesso. E’ sprofondato nel proprio mondo interiore come in un luogo sicuro rispetto a un mondo che fa apparire e scomparire suo padre in modo misterioso. Ma, dopo quattro anni da quel trauma, anche il mondo interiore si è fatto scivoloso, infido, per nulla rassicurante. Egli avverte la necessità di indagare in modo attivo quella scomparsa. Non gli basta più parlare col padre nel proprio monologo interiore. E la prima identità altra con cui si incontra è quella di una persona che cerca, proprio come lui. Da quell’incontro prende le mosse un romanzo che da un Io egotistico muove verso il Noi, dalla dimensione individuale verso una desiderata coralità.
Agnoloni si conferma scrittore capace di costruire trame avvincenti con pochi elementi basilari. Elementi che ricorrono in tutta la sua narrativa come vere e proprie ossessioni: il viaggio, l’incontro fra un uomo e una donna che cercano, la casa “alla fine del mondo” in cui i protagonisti si ritrovano. Questi topoi narrativi che avevamo già conosciuto nella tetralogia “della fine di Internet”, tornano qui in un universo apparentemente privo di contatto col precedente. Dico apparentemente perché l’indagine dello scrittore insiste, in entrambi i casi, sullo stesso tema di fondo: le trasformazioni antropologiche che hanno accompagnato il passaggio dal mondo dell’analogico al mondo del digitale, dal Secolo breve a questo torbido Duemila. Le vite dei protagonisti si intrecciano a quest’epoca di passaggio quasi controvoglia. Sembra che a nessuno di loro piaccia il periodo storico in cui sono stati gettati, ma non si decide di venire al mondo in un dato momento: essere contemporanei non è una scelta, è un obbligo che per qualcuno si trasforma addirittura in un dramma. Così, dalla scomparsa di un individuo-padre lo sguardo si allarga alla scomparsa di tutta una serie di mondi, da quello della Firenze bottegaia alle sottoculture dei primi anni ottanta, dalla Polonia comunista all’Inghilterra del periodo pre-Brexit. Sembra che nessuna conciliazione sia possibile con se stessi e con gli altri se non prendendo le distanze da questa modernità e dai suoi simboli. La pacificazione può avvenire solo ricongiungendosi alle origini, a una natura selvaggia e perfino riottosa. Continua a leggere

Anna Frajlich, “Un oceano tra di noi”

Anna Frajlich / Credits photo Aleksander Rotner

Anna Frajlich Un oceano tra di noi

di Giovanni Agnoloni

Straziante, densa e visionaria, questa silloge della poetessa polacca Anna Frajlich, figlia di una generazione di emigrati vittime della campagna antisemita del regime comunista del 1968, che costrinse quindicimila ebrei a lasciare la Polonia. Stabilitasi a New York e divenuta docente presso la Columbia University, nel corso degli anni ha composto moltissime liriche, gran parte delle quali il suo traduttore, Marcin Wyrembelski, ha trasposto mirabilmente in italiano, suddividendole in diverse sezioni che non seguono un filo cronologico, ma concettuale ed emozionale. È qui che si annida il crocevia di motivi che attraversano tutte queste poesie: esilio, distacco, memoria, assenza.

Il filo che le collega tutte è quello di un’invincibile nostalgia, che però non è solo una forma di tensione verso ciò che manca, ma anche lo specchio nel quale si riflette la possibilità di un’alternativa storica vista da una prospettiva personale: l’occasione di una vita diversa, che non c’è stata e che, pur tuttavia, di là da quel confine immateriale continua a irradiare immagini quasi olografiche, dense di senso perché cariche di un intenso portato percettivo.

 

 

La città

 

Una luce forte da ovest
colpisce le palpebre
era diversa la vista dalle finestre
della mia infanzia
da un lato i giardini
a perdita d’occhio
dall’altro l’imboccatura di una strada
fiancheggiata dai tigli così folti
che le loro corone creavano un baldacchino
s’intravedeva in fondo come in un tunnel
una luce rotonda
e promettente
la città non era nostra
ma tolta agli altri
che nella furia bellica
ne fuggirono lasciando tutto
o seppellito nei giardini
oppure sotto le macerie
o proprio sul tavolo
i bicchieri di cristallo
con del vino rosso
ancora rimasto dentro
con macchie sul vetro
la città non era nostra
ma fioriva per noi
con i lillà a i meli
nei mille giardini
con le viole e i mughetti
all’ombra delle siepi
fioriva la città sul fiume
che scorreva sul confine
e si sentivano in città
diverse lingue
che sembravano arbusti
trapiantati da est a ovest
qualcuno aveva la parlata di Vilnius
un altro faceva il baciamano come a Leopoli
qualcuno sottovoce
parlava ancora il tedesco
e si udiva per le strade lo yiddish
dei pochi sopravvissuti
e sulle rive del fiume
il gergo portuale
spuntava come l’erba
da sotto i sassi
ed è questa l’immagine che
permane nel mio ricordo
a volte buia
a volte piena di afa estiva
ricordo della primavera e dell’autunno
in mezzo ai fumi delle frasche bruciate
la città della mia infanzia
tolta a qualcuno
per far passare l’infanzia a un altro
da un’altra parte.

(pp. 57-59) Continua a leggere

Nei territori dell’insonnia

Cindy Lynn Brown, foto d’archivio

di Giovanni Agnoloni

Cindy Lynn Brown è una poetessa bilingue danese-americana, oltre che un’autrice di romanzi e una traduttrice. È laureata in Letteratura e Scrittura creativa. È stata tradotta in numerose lingue e ha partecipato a festival letterari in tutto il mondo. Personalmente, ho avuto il piacere di conoscerla e di iniziare ad apprezzare il suo lavoro durante l’edizione del 2015 del festival di poesia “Lyrik”, da lei organizzato a Odense (Danimarca). Le sue poesie che oggi vi propongo in una mia traduzione dall’inglese sono tratte dalla silloge Dealbreaker (Forlaget Spring, 2017), imperniata sul tema dell’insonnia, di cui lei purtroppo soffre da anni. Com’è stato giustamente osservato, si tratta di testi caratterizzati da una musicalità intima e raccolta, capace di condurre negli stati mentali legati all’assenza del sonno e di suggerire – anche attraverso giochi intertestuali e rimandi letterari di vario tipo – percorsi volti alla ricerca della chiave d’accesso a questa dimensione segreta ed essenziale della vita, scrigno del riposo e del sogno. La notte, così, emerge come territorio del paradosso e della (sia pur forzata) meditazione, nonché teatro di un ribaltamento dell’ordine naturale delle cose: ovvero, rifacendoci letteralmente al titolo, si manifesta come il terreno della violazione di un “patto” di normalità – quello per cui, appunto, di notte “si dorme” – con un costo da pagare, certo, ma anche con l’opportunità di cogliere significati, sfumature e sollecitazioni emotive che solo quei momenti di buio domestico sanno regalare.

Il sito di Cindy Lynn Brown è cindylynnbrown.com. Continua a leggere

Billy Ramsell, “credo che uno scrittore possa imparare molto dalla musica”

Articolo e interviste di Giovanni Agnoloni

Billy Ramsell, Il sogno d’inverno dell’architetto, ed. L’Arcolaio 2017

La poesia di Billy Ramsell, in quest’ottima silloge tradotta egregiamente da Lorenzo Mari (che è anche il curatore della collana “L’altra lingua”), viaggia su un territorio di confine composto di tante schegge di mondo contemporaneo, che si riflettono tanto sul livello stilistico quanto, e soprattutto, su quello dei contenuti. È canto frammentato e sincopato di una modernità satura di tecnologia, riflesso di un mondo scomposto in innumerevoli sfaccettature, ma anche frutto della rielaborazione dell’eredità dei grandi maestri della poesia irlandese del Novecento (su tutti, William Butler Yeats). Il loro spirito contemplativo vi respira, filtrato dalla sensibilità dell’autore, attraverso gli squarci aperti su solitudini metropolitane impregnate di note jazz o di movenze di giocatori di hurling, con i loro solfeggi sciolti e il loro sbattere di bastoni a segnare il tempo di una metrica tutta interiore.

TUESDAY River Lane

In the raw dawnlike survival blankets
we cling to one another.
We wake to mutual crankiness,
drizzle, a trebly soloing hangover

that just goes on and on,
and on like a trombone or November,
the street-sweepers out, the jazz-men gone
and all the bank machines empty.

MARTEDÌ River Lane

Nelle fredde coperte di salvezza dell’alba
ci aggrappiamo l’uno all’altro.
Ci svegliamo per la reciproca debolezza,
per la pioggerellina, triplici postumi in assolo

che vanno avanti e avanti,
e avanti come un trombone o come novembre,
gli spazzini in strada, i jazzisti partiti
e gli sportelli automatici delle banche tutti vuoti. Continua a leggere

Jyrki Vainonen

20140518 Tampere, kirjailija Jyrki Vainonen. Kuva: Marjaana Malkamäki

Testo introduttivo e traduzione di Giovanni Agnoloni

Ho avuto il piacere di conoscere Jyrki Vainonen, scrittore e traduttore finlandese, in occasione di un breve soggiorno a Helsinki, circa un anno fa. La sua scrittura, che ho apprezzato leggendo la traduzione inglese di una sua raccolta di racconti, The Explorer & Other Stories, mi ha fin da subito colpito per la capacità di fondere realismo ed elementi immaginativi e surreali, il che lo pone un passo oltre il comune errore di dividere la letteratura in generi. Vainonen esalta, al contrario, la grande efficacia della fusione di elementi ascrivibili al “fantastico” con la descrizione della vita nella sua nuda oggettività, e utilizza questi stilemi per condurre un’analisi onesta della natura umana e dei suoi archetipi. Le sue storie toccano i grandi temi dell’esistenza, dall’amore alla morte, dalla solitudine alla crescita e altri ancora. Ma, soprattutto, la sua è una narrazione seducente, densa di suggestioni sensoriali e capace di mantenere la suspense giusto quanto necessario per rendere la lettura profondamente coinvolgente, ma senza mai scadere nell’effetto. Anche gli elementi surreali scivolano all’interno delle trame con naturalezza, quasi fossero “cose normali”. Le difese razionali del lettore vengono così colte impreparate, e la valenza archetipica ha maggior facilità a emergere. Del resto, la formazione di questo scrittore (destinatario di diversi premi e tradotto in varie lingue) è altamente letteraria, anche in relazione alle sue traduzioni di autori del calibro di William Shakespeare, Jonathan Swift e Seamus Heaney.

Ne Il giardino, queste sue qualità vengono evidenziate da una storia in apparenza semplicissima, ma che in realtà affonda quanto mai nel profondo dell’emotività umana, ritraendo un passaggio doloroso e cruciale nella vita di un bambino. Continua a leggere

Marino Magliani, “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi” e “La ricerca del legname”

 di Giovanni Agnoloni

L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exorma, 2017) è un romanzo che viaggia su molteplici piani spaziali, temporali e di identità. Marino Magliani, fedele a un tema – la lontananza e il perdersi in un incessante viaggiare – che è il Leitmotiv di gran parte della sua produzione letteraria, fluttua qui tra il pretesto narrativo di un traduttore immerso nelle asettiche strade della sua cittadina di residenza, IJmuiden, in Olanda (e in particolare di Zeewijk, il suo quartiere, già al centro di Soggiorno a Zeewijk, Amos Edizioni 2014), le vicine dune della spiaggia sul Mare del Nord e dettagli della sua vita reale, nella Liguria dov’è nato e nei tanti posti del mondo che ha toccato nel corso della sua esistenza.

L’Italia e i Paesi Bassi sono i due poli estremi, ideali e al contempo concreti, tra i quali si articolano tappe e fotogrammi attinti al passato dello scrittore, rifiltrati nel vissuto del suo alter ego letterario, sovrapposti e miscelati fino all’indistinguibilità. La nascita in un paese dell’entroterra di Imperia, nella paradossale sede di un ricovero per anziani, l’infanzia segnata dalle mosche in cucina, dalla presenza materna e dall’assenza del padre, cameriere stagionale in Costa Azzurra, e poi il militare, con le sue irragionevoli regole, che gli impediscono di andare a trovare il genitore morente – proprio lui che, col suo lavoro di lunghe trasferte, aveva introdotto nella mente del figlio, fin dalla più tenera età, l’idea della distanza. E ancora, crescendo, i viaggi verso una molteplicità di mondi indeterminati – un angolo remoto di Argentina, la Costa Brava di plastica e l’Olanda piatta e anestetica, con quei moscerini giunti dal Giappone su un cargo un numero imprecisato di anni prima e ambientatisi sulle rive del freddo mare nordico – portatori di un’idea molto speciale di esilio. Continua a leggere

Il “realismo arricchito” nella ricerca letteraria di Giovanni Agnoloni

Giovanni Agnoloni, scrittore

Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976) è scrittore, traduttore e blogger. È autore dei romanzi Sentieri di notte (Galaad Edizioni, 2012; pubblicato anche in spagnolo come Senderos de noche, El Barco Ebrio 2014, e in polacco come Ścieżki nocy, Serenissima 2016), Partita di anime (Galaad, 2014) e La casa degli anonimi (Galaad, 2014) e L’ultimo angolo di mondo finito (Galaad, 2017), che fanno parte della serie distopico-letteraria “della fine di internet”. Continua a leggere

Giovanni Agnoloni, “L’ultimo angolo di mondo finito”

Lo scrittore Giovanni Agnoloni

di Giorgio Galli

2029. Sono passati quattro anni dalla sera in cui Kristine Klemens, in Sentieri di notte, scopriva d’improvviso che Internet era venuto a mancare, e con esso la rete telefonica. E ne son passati due da quando il professor Kasper van der Maart, teorico dei guasti antropologici della Rete, ha iniziato a cercare Kristine incalzato da un impulso vago e irresistibile. Continua a leggere

Diego Caiazzo, “La Via Lattea”

Diego Caiazzo

Prefazione di Franz Krauspenhaar

La chiarezza e l’altitudine

La poesia di Diego Caiazzo è qualcosa che rimanda a cose estere, alla poesia anglosassone o tedesca. Sia chiaro che un certo filone di poesia narrativa, quella più pacata e sintomatica di un disagio che però non è mai invettiva – raro in Italia, comunque – ha influito sul poeta. Caiazzo, napoletano, è di quella genia di indigeni della metropoli, ideale capitale del Sud, che sta sottotraccia o alto nei cieli. La sua poesia, come potrete notare fin da subito, si sposta su frequenze che sembrano vicine fra loro, e invece compiono tutto il largo giro delle emozioni e delle pulsioni umane. E queste frequenze l’autore le fa diventare suono a volte sibilante, a volte rombante ma mai oltre le righe. C’è la nobile compostezza di una certa Napoli, che un amico giornalista del luogo purtroppo scomparso, Ciro Paglia, mi raccontava come discendente degli Hohenzollern, tra il serio e il faceto di quel suo bel modo di dire e di vivere. Dunque questo esordio davvero tardivo Diego Caiazzo lo fa con questo poemetto, La via lattea, che ebbi modo di leggere già alcuni anni fa. Un vero viaggio tra Paradiso e Inferno, nella coniugazione di un verbo che si fa dolore e passioni piane ma chiare. Ecco quello che può piacere e piace di questo poetare: la sua chiarezza, come se ogni volta sciogliesse il nodo gordiano delle cose ma non facendo un riassunto, bensì facendone una pura sintesi poetica. Ѐ questo che riceviamo da questo libro. Una sintesi di uno spazio vastissimo che diventa anche piccolissimo. Non c’è più limite nell’universo, l’Uomo è sempre lo stesso ma muta sempre, nel cielo della vita e della poesia. Continua a leggere

Presentazione a Roma alla libreria “L’orto dei libri”

Anteprima nazionale a Roma del romanzo “L’ultimo angolo di mondo finito” (Galaad Edizioni) di Giovanni Agnoloni, con Sonia Caporossi e Sandro Battisti all’Orto dei Libri di Giorgio Galli (Via dei Lincei, 31), alle ore 18,00.

Si tratta del volume conclusivo della serie della fine internet, composta dai romanzi Sentieri di notte, Partita di anime e La casa degli anonimi. Continua a leggere

La poetica di Kenneth Krabat

Rosso.Niente. (cover)

È appena uscito Rosso.Niente (VEDI QUI), raccolta di versi del poeta danese Kenneth Krabat edita da Kipple Officina Libraria, tradotta dalla versione inglese (l’autore è bilingue) da Giovanni Agnoloni per la collana “Versi Guasti”, curata da Alex Tonelli.

Vita, Amore e Morte, alla ricerca di una consolazione

“Non smettere mai la propagazione del mondo dietro il velo/ Con rassegnazione la vita e i mondi giungono a conclusione/ Nel sangue e nell’ignoranza o in entrambi.”

Kenneth Krabat – Note per una poesia sul valore di una vita risolta

Le poesie che compongono questa nuova uscita di “Versi Guasti” appaiono a una prima lettura fra loro molto eterogenee; diversi gli stili e le metriche con cui il poeta, Kenneth Krabat, ha composto questi suoi testi. Poliedrico poeta danese, che scrive in lingua madre e contemporaneamente in inglese, Krabat è una figura viva dell’underground di Copenaghen – o, come direbbe lui stesso, di København – un performer e un paroliere. Abbiamo scelto di dedicare un volume di “Versi Guasti” a quest’ autore, perché Krabat s’inserisce perfettamente nella ricerca poetica che questa collana sta portando avanti, scovando là fuori tutti quei poeti che prendono la poesia, la strappano dai banchi del Liceo, la scuotono violentemente e la trasformano, quasi magicamente, in un prodotto della contemporaneità. Parole da leggere e attraverso cui comprendere un po’ di più il reale che ci circonda, questo reale, questo “qui e ora” di un 2016 che volge al termine. Continua a leggere

Presentazione, Partita di anime

 
giovanni-agnoloni-partita-di-animeGiovedì 2 ottobre, alle ore 18,30, a Roma, presso la Libreria “Fahrenheit 451” (Campo de’ Fiori 44) verrà presentato il romanzo Partita di anime di Giovanni Agnoloni (Galaad Edizioni), spin-off del romanzo d’esordio dell’autore (Sentieri di notte, pubblicato anche in lingua spagnola). Partita di anime è il secondo atto della saga “della fine di internet”, che ipotizza, in un futuro ormai prossimo, il crollo della Rete e l’impossibilità di un ritorno al prima.
L’autore sarà presentato da Sandro Battisti, scrittore e co-fondatore del movimento connettivista.
Partita di anime è formato da due racconti a sé stanti, eppure legati da un filo sottile, sullo sfondo di un’Europa ormai priva della Rete. Nel primo, un giornalista indaga sull’omicidio di un assicuratore italiano nel cuore di Amsterdam. Sulle tracce dell’assassino, scoprirà di essere al centro di una partita di anime impegnate a ricucire il tessuto strappato delle proprie vite. Nel secondo seguiamo le peregrinazioni notturne di uno scrittore per le vie di una Firenze segreta, alla ricerca del suo amore perduto. Una lettera ci introduce nell’avvincente spin off di Sentieri di notte, in attesa degli eventi che animeranno il suo sequel, in prossima uscita. Continua a leggere

Giovanni Agnoloni, "Partita di anime"

 
partita-di-anime-di-giovanni-agnoloni-0Nota di Marino Magliani
Non sapevo cosa significasse spin-off – tanto bene non l’ho capito ancora adesso -, ma durante una presentazione di Partita di anime (Galaad, 2014) [LINK: http://www.galaadedizioni.com/partita-di-anime/], alla libreria Bonardi di Amsterdam mi hanno insegnato che spin-off significa “costola di“… E, nel nostro caso, Partita di anime lo è di Sentieri di notte (Galaad, 2012) (LINK: http://www.galaadedizioni.com/sentieri-di-notte/].
Il libro è composto da due racconti, ambientati in due luoghi diversi, ma le cui atmosfere sembrano nascere dalla stessa sorgente. Una specie di introduzione fa da cerniera e lega le due storie. Un’altra cosa, che avverrà in un futuro neanche troppo lontano, lega a sua volta i racconti: la fine del sistema, ossia la fine dell’era internet. Continua a leggere