Tra dolore e ricordo, la morte di chi resta

Luigia Sorrentino credits ph. di Gerardo Sorrentino

Su “Piazzale senza nome” di Luigia Sorrentino
di Federico Carrera

 

Il senso autentico e profondo dell’ultima raccolta di poesie di Luigia Sorrentino – Piazzale senza nome, edito da Pordenonelegge-Samuele Editore nel settembre del 2021 – è tutto racchiuso, non richiesto ma non celato, nelle prime pagine della silloge, in quello spazio in cui l’intento autoriale da astratto si fa narrabile.

Proprio in questo delicato luogo di soglia Sorrentino pone una citazione plutarchea in cui la morte dei vecchi è assomigliata a un giungere a destinazione e quella dei giovani a un naufragio (Fr. 205 Sandbach). Questa citazione trova il suo primo controcampo poche pagine dopo, in una breve prosa poetica sapientemente intitolata Morti parallele (il titolo plutarcheo delle Vite parallele viene così rovesciato).

Ed è proprio con questo testo che Sorrentino apre la pista alla lunga schiera di naufragi e di incontri con la morte di personaggi giovani, che sono insieme astratti, come simboli di una generazione, e concreti, come ricordi di persone davvero vissute e davvero smarritesi.

Sotto questo aspetto, Piazzale senza nome è senza dubbio un libro fortemente generazionale, un piccolo poema epico-narrativo sulle sventure di una generazione – gli adolescenti degli anni Ottanta – che si è trovata coinvolta in un insieme di circostanze disperate: droga, incidenti, omicidi, violenza. E i versi di Luigia Sorrentino, nella loro metrica piana e narrativa, assestata intorno all’endecasillabo, evocano con grande potenza una curiosa sensazione di malinconia, che richiama vagamente quel contorcersi di membra proprio dello spleen di baudelairiana memoria.

Le descrizioni lucide e dolenti di Sorrentino si susseguono dunque senza una rigida struttura che le inquadri, in modo che il discorso – così vivo e autentico – non si riduca a banale racconto letterario, ma mantenga la sua potenza espressiva.

Così unitario, eppure così spezzato e frammentario, il racconto di Sorrentino sembra voler raccogliere i cocci di ciò che rimane oggi di questi giovani, dopo il trascorrere di tanta memoria, in un susseguirsi di liriche brevi, ma pungenti ed esatte nell’espressione e nella lingua.

Ciò che colpisce è il fiume di parole che investe il lettore: parole esatte, cariche di ricordo, e che la stessa Sorrentino sembra aver scritto quasi senza controllo, lasciandosi trascinare dall’urgenza del dettato – tanto che i testi sono datati come composti in un biennio, tra il 2017 e il 2018.

Quando sentii per la prima volta Luigia Sorrentino parlare di questo libro, nel contesto del Poesia Festival delle Terre dei Castelli, una sua frase mi ha colpito molto: «la poesia ci parla sempre di una condizione umana precaria». Continua a leggere

La terra devastata di T.S. Eliot

RECENSIONE DI ALBERTO FRACCACRETA

 

La terra desolata? No, devastata. Quando Thomas Stearns Eliot nel 1922 pubblica il celebre poemetto, l’Europa è in effetti un luogo terribilmente solcato da macerie e distruzione, da dissesti materiali e finanziari, una terre gaste a misura dei poemi medievali, quelli del ciclo del Graal, del Re Pescatore e di Percival. Il richiamo non è dunque casuale. L’interessante proposta di una versione meno letteraria e più letterale del titolo è di Carmen Gallo che confeziona con testo introduttivo, traduzione e note d’apparato una nuova edizione per il Saggiatore.

La storia è nota: Eliot è a Losanna con la moglie, in cura per un lancinante esaurimento nervoso. Tra il dicembre del ’21 e il gennaio del ’22 compone The Waste Land e manda il plico con i fogli a Ezra Pound che opera praticamente una «Caesarean operation»: filtra, taglia, sintetizza. È lui il miglior fabbro a cui Eliot dedica i cinque ‘canti’ (La sepoltura dei morti, Una partita a scacchi, Il Sermone del Fuoco, Morte per acqua, Ciò che disse il Tuono) con cui è divisa La terra devastata. Cinque canti che sono composti secondo un preciso disegno artistico: il cosiddetto metodo mitico, ravvisato dallo stesso poeta americano nella recensione all’Ulisse di Joyce del 1923. In cosa consiste? Commenta Gallo: «Eliot chiama in causa il ‘classicismo’, che definisce come fare ciò che si può ‘con il materiale a disposizione’, secondo le possibilità di tempo e di luogo. E sostiene il ‘metodo mitico’ joyciano, inteso non come rifugio nella ‘materia mummificata’ del passato, ma come continuo parallelo tra contemporaneità e antichità: l’uso di un paradigma archetipico per controllare, dare ordine e forma ‘all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea’».

Il modernismo è tutto qui. In questa svolta del ‘classicismo paradossale’ (ampiamente utilizzato anche da Montale nella triade Ossi di seppia, Le occasioni e La bufera e altro) che mutua dall’antico, dal mondo classico segmenti poetici, interstizi narrativi e situazioni psicologiche capaci di ristabilire un ordine, ancorché fittivo, nell’epoca del caos della modernità. Ecco allora che la succitata tecnica espressiva possiede un deciso connotato ideologico con intenzioni euristiche: quel verso di Dante, quella menzione a Baudelaire, quel richiamo al Vangelo e alle Confessioni di Sant’Agostino che allargano a dismisura il bacino dell’intertestualità fino a far fluttuare il tessuto nel macrotesto di un ‘iperautore’, non sono soltanto opportunità per lo sfoggio di cultura di Eliot. Non si tratta di mera erudizione, insomma. Né vale la (debole) accusa di plagio che costrinse il poeta a redigere le famose note per l’edizione in volume del poemetto. Continua a leggere

La parola, il valore della testimonianza

Perché scrivere? Quale impulso muove da secoli l’uomo a narrare storie? È l’interrogativo da cui parte la riflessione di Franco Rella, facendo appello al bagaglio di letture accumulate nel corso della propria vita e interpellando gli autori che più lo hanno segnato. Da Dante a Cavalcanti, da Shakespeare a Benjamin, e poi Goethe, Kafka, Bataille, Roth, senza dimenticare i classici greci e latini, non esiste narratore che non si sia posto l’interrogativo e che non abbia cercato di spiegare – e spiegare a sé stesso – la realtà che ci circonda. L’esigenza di raccontare nasce proprio da quella realtà, e chi scrive può manipolarla, far interpretare la parte del protagonista a un personaggio di finzione, per poi rendersi conto che la protagonista assoluta della narrazione è la parola stessa, unica difesa che l’uomo abbia contro il male, unica arma capace di organizzare l’immagine del mondo e della realtà, come in un ideale inventario che raccolga tutte le esperienze vissute. Quella stessa parola che Pasolini suggeriva di usare con cautela, che per il solo fatto di portare con sé «un carico d’anima» legittima l’altrimenti insensata attività di scrivere.

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Davide Rondoni, le cinquanta poesie che accendono la vita

“Questo libro non è una antologia. Non è nemmeno un vero e proprio libro di poesie. La poesia, del resto, non è mai stata una faccenda di libri. L’hanno fatta passare per una cosa di libri solo di recente, e hanno sbagliato. Lei infatti non ci sta. Con grave scorno di editori, professori e letterati.”

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Nietzsche, “Also sprach Zarathustra”

di Lorenzo Chiuchiù

OLTREUOMO

Chi è l’ Übermensch di Nietzsche? Non è un potenziamento delle facoltà o delle capacità dell’umano: in luogo di «superuomo» sarebbe dunque da accogliere l’intuizione di Gianni Vattimo che, ne Il soggetto e la maschera, traduce Übermensch con oltreuomo.
L’uomo, scrive Nietzsche in Al di là del bene e del male, è «non ancora stabilmente determinato». Il filosofo rigetta le due antropologie alla base della tradizione filosofica e teologica occidentale: l’essenza dell’uomo non è decisa né dalla natura né da Dio. L’essenza dell’uomo non è cioè fondata sulla razionalità, sul pensiero e sul linguaggio propri e distintivi dello zoon logon echon, dell’«animale razionale» nella Politica di Aristotele.  Ma l’uomo non è nemmeno l’Adam della Genesi, nato dal respiro divino (in ebraico ruah) che anima la terra (adamah). L’uomo non è  «a immagine e somiglianza» (Genesi, I, 26) del creatore. L’uomo è per Nietzsche, un animale non stabilizzato, un «animale profondo», come rileva Giorgio Colli in Dopo Nietzsche. E proprio l’inquietudine circa la sua propria essenza lo rende un essere pericoloso. Nietzsche sembra far propria una sentenza di Sofocle in Antigone: «non esiste nulla di più inquietante dell’uomo». Continua a leggere

Juan Arabia, alla ricerca di un esilio

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Juan Arabia

di Antonio Nazzaro

Negli anni 70 il Sud America ha vissuto la tragedia delle dittature. Dittature che hanno portato il tema dell’esilio come uno degli elementi più forti, dittature che hanno inevitabilmente fatto nascere una nuova corrente di pensiero: la letteratura dell’esilio.

La generazione dei letterati nata a cavallo di quegli anni oscuri ha al centro dei suoi testi il conflitto tra il non aver voluto vedere o l’essere stati complici del regime, il confronto tra i padri e i figli e la speranza di un paese nuovo.

La poesia di Juan Arabia mette al centro dei suoi scritti un nuovo *destierro senza esilio. Come si fa evidente nel suo ultimo libro, già pubblicato in diversi paesi dell’America Latina, Il nemico dei Thirties e si spera di pronta pubblicazione in Italia. Continua a leggere

Lorenzo Chiuchiù

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Lorenzo Chiuchiù è nato a Perugia, dove risiede, nel 1973. Ha pubblicato studi su Hoffmann, Hölderlin, Baudelaire e Char in «Estetica» (Il Melangolo) e «Davar» (Diabasis), e un saggio in Sergio Quinzio, il messia povero (Diabasis, 2004). Continua a leggere

Bonnefoy, il soprassalto poetico delle percezioni e delle analogie

yves_bonnefoy_libroDalla postfazione di Flavio Ermini

Nel XIX secolo nasce la poesia della modernità e Yves Bonnefoy ne traccia in questo libro il profilo. Lo delinea dialogando con i testi poetici di alcuni tra gli autori più significativi dell’Ottocento: da Poe a Baudelaire, da Mallarmé a Rimbaud, da Laforgue a Valéry, fino a Hofmannsthal.

La grande innovazione di questi poeti consiste nell’aver compreso che la scomparsa del divino dai significati e dalle figure della struttura linguistica non può determinare che vada anche perduto il senso della trascendenza. Ecco perché nei loro testi mantengono vivi entrambi questi aspetti conferendo alla poesia una natura completamente nuova, assolutamente inedita: una natura in grado di connettere l’infinitezza all’esistenza ordinaria. Continua a leggere

In memoria di te, Attilio Bertolucci

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di Loretto Rafanelli

La grande poesia del Novecento soffre di una certa mancanza di considerazione (a parte Ungaretti, Montale e forse Caproni, Sereni e Saba), grandi autori sono stati cacciati nel tritacarne della dimenticanza (si pensi, solo per fare qualche esempio, a Cardarelli, Sbarbaro, Campana, Bigongiari, per giungere finanche a Luzi). Tuttavia alcuni critici non tralasciano di studiare e di porre all’attenzione generale alcuni di questi, come nel caso di Attilio Bertolucci, che è seguito con affetto da Gabriella Palli Baroni e Paolo Lagazzi che lo frequentò, specie nelle estati a Casarola, per tantissimi anni. Ma, seppure senza tale assiduità, una relazione speciale col poeta parmense la ebbe il critico Giuseppe Marchetti, un rapporto fatto di frequentazioni e confidenze e di studi continui, per giungere infine a una conoscenza completa dell’opera bertolucciana. Ciò si ricava sicuramente dalla lettura del libro che questi gli ha dedicato: Attilio Bertolucci. Storia di un poeta (Fedelo’s Editrice, 2015), un libro prezioso per chi intenda approfondire le vicende del poeta e i nessi cruciali della sua scrittura, non solo poetica. Continua a leggere

Nuccio Ordine, “L’utilità dell’inutile”

utilita_inutileNon è vero – neanche in tempo di crisi – che è utile solo ciò che produce profitto. Esistono, nelle democrazie mercantili, saperi ritenuti “inutili” che invece si rivelano di una straordinaria utilità. In questo brillante e originale saggio, Nuccio Ordine attira la nostra attenzione sull’utilità dell’inutile e sull’inutilità dell’utile. Attraverso le riflessioni di grandi filosofi (Platone, Aristotele, Zhuang-zi, Pico della Mirandola, Montaigne, Bruno, Campanella, Bacone, Kant, Tocqueville, Newman, Poincaré, Heidegger, Bataille) e di grandi scrittori (Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Alberti, Ariosto, Moro, Shakespeare, Cervantes, Milton, Lessing, Leopardi, Hugo, Gautier, Dickens, Herzen, Baudelaire, Stevenson, Kakuzo Okakura, García Lorca, García Márquez, Ionesco, Calvino, Foster Wallace), Nuccio Ordine mostra come l’ossessione del possesso e il culto dell’utilità finiscano per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori fondamentali come la dignitas hominis, l’amore e la verità. Continua a leggere

William Cliff, “Poesie scelte”

 

 

william_cliff6Nota di Paolo Guzzi

Queste Poesie scelte di William Cliff, pseudonimo del poeta belgafrancofono André Imberechts, antologia curata da Fabrizio Bajec,  è presentata con traduzione italiana a fronte per la collana Percorsi della poesia contemporanea ( Fermenti edizioni, con il contributo della Fondazione Piazzolla) .

Fabrizio Bajec, che è anche prefatore dell’opera, ci illumina sul lavoro di Cliff,  nato nel 1940, ben noto in area francofona. Cliff ha iniziato il suo percorso con l’avallo di Queneau che ne individuò immediatamente  le qualità, riconosciute anche dal poeta catalano Gabriel Ferrater di cui Cliff divenne amico e a cui dedicò una poesia ,Tramonto eccessivo, in occasione della morte. Linguaggio crudo, immagini ardite, metrica disinvolta, rime occasionali. Continua a leggere

Pier Paolo Pasolini, “Carne e cielo”

 

pasolini_salaniLa casa editrice Salani (Gruppo editoriale Mauri Spagnol) pubblica Carne e cielo, una selezione di poesie di Pier Paolo Pasolini per giovani con un’introduzione di Valerio Magrelli.

Per questa speciale occasione, l’immagine della collana economica di poesia per giovani di Salani viene rinnovata utilizzando il tratto particolare e di immediato impatto dell’illustratrice Olimpia Zagnoli.

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Dall’ Introduzione di Valerio Magrelli

PPP: POLITICA, PELLICOLA, POESIA

“Uno scaffale. Se dovessi riassumere la lenta e inarrestabile crescita dell’eredità lasciata da Pasolini forse non potrei farlo meglio che con questa semplice immagine. Infatti i contributi critici sul suo lavoro (versi, narrativa, saggistica, teatro cinema) occupano un metro lineare della mia libreria – la libreria di un lettore che non è né un italianista né un ‘pasolinologo’. Mentre scrittori forse altrettanto grandi sono fatti oggetto di pochi, magari ottimi ma sporadici studi (da Moravia a Parise, dalla Ortese alla Morante, per non parlare dei nostri poeti), Pasolini, insieme al suo fraello rivale Calvino, conosce ormai un successo planetario. Con un particolare non indifferente: se l’autore di “Marcovaldo” esiste solo in forza della sua scrittura, PPP si è andato trasformando in profeta, martire, corsaro, visionario, politico e credente. Quanto all’estero, poi, si pensi che paesi distanti fra loro come la Francia e l’India tributano alla sua memoria un vero e proprio culto. Continua a leggere

Giovanni Raboni, Tutte le poesie

 
raboni_coverCon il Porta comincia, nella poesia italiana, quella linea lombarda, potentemente realistico-narrativa e, per cosí dire, antipetrarchesca, che si ritrova anche all’interno della poesia del Novecento e che è l’unica della quale io aspiri a far parte, nonostante i molti debiti che so di avere nei confronti di altri poeti, da Baudelaire (che considero il piú grande poeta moderno) a Pound (che considero il piú grande inventore di possibilità poetiche del nostro secolo), – e poi, per venire a nomi piú vicini o addirittura vicinissimi, quasi fraterni, a Rebora, a Montale, a Saba, a Sereni.
 
Da: Giovanni Raboni, Autoritratto 1977
 
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“Satura, da Montale alla lirica contemporanea”

Novità editoriale

Il volume che vi proponiamo oggi per un’attenta e più completa lettura di Eugenio Montale è la monografia di Maria Borio dal titolo Satura, Da Montale alla lirica contemporanea, Biblioteca di Studi Novecenteschi, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, MMXIII.
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Introduzione
di Maria Borio

Tra i libri più significativi della storia della poesia si riconoscono alcune raccolte rivoluzionarie per le intuizioni e il messaggio che contengono e per il valore di classico che hanno assunto nel tempo. Queste raccolte sono i testimoni di una storia di forme che senza la loro presenza spesso non potrebbe svilupparsi. Non rappresentano solo chiavi di Continua a leggere

Giorgio Galli, Charles Baudelaire (seconda rilettura)

Riletture, di Giorgio Galli
a cura di Luigia Sorrentino

Baudelaire, Moesta et errabunda

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Poesia fascinosa, potente, eppure stranamente bifronte. E’ come se fossero due poesie incompiute -una fino a “nel mare della pura voluttà” e l’altra da “Come lontano sei” fino alla fine- saldate insieme in un modo che però non risolve la loro incompiutezza, e che crea fra loro dei problemi di convivenza. L’impressione d’una bipartizione si deve al fatto che la poesia sembra avere due anime, l’una tematizzata attorno all’idea di evasione e alla figura del mare (a cui si mescola, qua e là, quella Continua a leggere

Julia Kristeva, “Storie d’amore”

In uscita: Julia Kristeva STORIE D’AMORE (Donzelli, 2012) con un nuova introduzione dell’autrice  all’edizione italiana.

«Essere una psicoanalista significa sapere che tutte le storie finiscono per parlare d’amore». Julia Kristeva, una delle grandi intellettuali del nostro tempo – capace di muoversi al confine tra filosofia, letteratura, religione, linguistica, radicando sempre l’esperienza del pensiero nella pratica del suo lavoro di analista freudiana -, spiega così l’origine di questo libro, ormai divenuto un classico. Il dolore che i pazienti confessano è sempre generato da una mancanza d’amore, sia essa presente o passata, reale oppure immaginaria. E se una possibilità c’è, per chi si pone all’ascolto, di intercettare e intendere questa sofferenza, essa è legata solo alla scelta di condividere quel senso di smarrimento che l’amore sempre mette in scena, dando così Continua a leggere

Leopardi tra i libri più interessanti del New York Time

Il New York Times sceglie i 100 migliori libri del 2011 e al sesto posto, in ordine alfabetico,  mette la nuova traduzione annotata dei Canti di Giacomo Leopardi di Jonathan Galassi, già traduttore in America di Eugenio Montale, edita da Farrar Straus Giroux.

I canti di Leopardi nella traduzione di Galassi sono stati indicati dai redattori del New York Times tra i 100 libri più interessanti (notable) del 2011.

Nella foto qui accanto il manoscritto autografo de ‘L’infinito’ di Giacomo Leopardi custodito alla Biblioteca Nazionale di Napoli.

La notizia spicca nella homepage del sito di recensioni letterarie Wuz.it sotto il titolo “I canti di Leopardi che affascinano l’America”.

“Con questa traduzione, Leopardi può finalmente diventare importante per la letteratura americana quanto Rilke o Baudelaire” il giudizio del quotidiano statunitense. Wuz.it commenta sottolineando che “ciò che rende la nuova traduzione di Galassi così eccezionale sta nel fatto che egli capisce, e riesce a rendere, quel delicato movimento di pensiero e di sentimento caratteristico della poesia leopardiana.

New York Time

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Ciaran Carson, “Prima lingua”

Prima Lingua, Ciaran Carson, Del Vecchio Editore 2011, (euro 13), collana poesia, traduzione di Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi.

In Prima Lingua, vincitore del T.S.Eliot Poetry Prize nel 1993, Carson compone uno spartito per suoni e visioni, trascrivendo il formarsi di un linguaggio poetico che diventi “prima lingua”.

Il suo inglese è dunque “eseguito”, lasciato intravedere e ascoltare nello stato meravigliato e infantile di una lingua appresa, naturale solo nei tecnicismi del gergo marinaro, a tratti paludosa e ribollente (i blop, blub, blah e bobbled che costellano il testo per comporsi in una ballad). […] Questo inglese con le interferenze, sfarfallante, sminuzzato in monosillabi e fonemi che si rincorrono, che sciamano da un’immagine a un’altra, dalla Frigia a Babilonia, incontrando ai posti di blocco della frontiera nordirlandese soldati che si profilano come mummie egiziane dal volto pitturato, è la “prima lingua” che dà il titolo alla raccolta.


(Dall’introduzione Babele/Belfast di M. Federici Solari e L. Flabbi) Continua a leggere

I miti greci, ‘Inesauribili segreti’

Venerdì 12 e Sabato 13 agosto alle ore 21.00, al Museo Canoviano di Possagno si svolge il tradizionale spettacolo di teatro e musica arrivato nel 2011 alla dodicesima edizione.

Gli “inesauribili segreti” citati nel titolo sono quella sublime miniera di idee e riti, di immagini e miti che noi moderni riconosciamo nelle antiche letterature occidentali: in quest’ottica la serata sarà una piacevole occasione di riscoperta o di primo contatto con alcuni autori moderni che a quel patrimonio attingono in modo manifesto o implicito. Continua a leggere

Davide Rondoni, ‘Avere addosso Baudelaire’

“Ancora lui, come uno che si mette in mezzo alla strada con le braccia spalancate. O che per quanto resti di lato, appoggiato al muro, ha uno sguardo metallico e di fuoco, che ti inchioda passando.
Ancora Baudelaire da leggere e rileggere, cioè tradurre. E soprattutto da avere addosso come un lupo, come ali di farfalla grandiosa e tremenda che si chiudono o che si aprono sul petto.
Da avere addosso come la peste o come un ‘bacio’ sogg. di ‘cosa vuole’. Un nemico che bacia e morde forsennato. E svela il tuo volto, lettore ‘fratello’, in questa lotta. Il tuo, più che il suo volto che resta velato nel prodigio di malinconia e di furia dei versi di questo libro dall’architettura profonda e incompiuta.
Molti versi portano via, rapimenti improvvisi ancora dopo centocinquantanni. E sono come il mare che ci viene a riprendere. E anche se non ci ricordavamo di lui, del mare, ecco che ci parla urlando e sussurrando in un uomo che girava con gesti un poco rigidi e che parevano misurati, ma erano cauti perchè vestiva abiti troppo logori, che potevano sdrucirsi.”

Con queste parole Davide Rondoni introduce un’opera letteraria di rara bellezza, che ha rivoluzionato la letteratura poetica mondiale: I fiori del male (euro 18,00) di Charles Baudelaire da lui interamente tradotta per la Salerno Editrice. Questa edizione (con  testo originale a fronte) presenta un libro minuscolo, quello che in gergo si definisce ‘un tascabile’, da portare sempre con sè, come una piccola Bibbia o un Corano. Difficile misurarsi con un grande come Baudelaire, ma la nuova traduzione che ne fa Rondoni (che aveva già tradotto Baudelaire nel 1995 per la casa editrice Guaraldi) è al tempo stesso, inedita ed esemplare. Un coraggiosissimo gesto d’amore

“Persino Giorgio Caproni” scrive Rondoni nella nota al libro “ch’ebbe la pazienza di leggermi tra i primi e la ventura di incoraggiarmi a scrivere poesie, di fronte al verso di Baudelaire indietreggiò. Lui che sapeva bene cosa sia la traduzione e quali rischi comporti, si riparò in parte dietro una versione in prosa, esponendosi ad una traduzione in versi solo per alcune parti, come mostra la bella recente di quel suo lavoro travagliato (Venezia, Marsilio, 2008). ”

L’opera. Un viaggio immaginario, tragico e commovente, nell’animo umano, tra slanci amorosi e cadute nella noia e nell’angoscia. Baudelaire trova infine nell’arte – in questi versi intensi e appassionati – la bellezza che, sola, salva dal degrado del mondo.
 

Davide Rondoni ha fondato e dirige il «Centro di poesia contemporanea» dell’Università di Bologna, è poeta e traduttore, direttore della rivista di poesia «clanDestino», editorialista dell’«Avvenire» e «Il Tempo». Tra le recenti pubblicazioni: Ballo lentamente con le tue ombre (Pescara 2009); Vorticosa dipinta (Torino 2006). Ha inoltre curato, insieme a Franco Loi, l’antologia di poesia italiana Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000 (Milano 2001).

 

 

www.salernoeditrice.it