In memoria di te, Attilio Bertolucci

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di Loretto Rafanelli

La grande poesia del Novecento soffre di una certa mancanza di considerazione (a parte Ungaretti, Montale e forse Caproni, Sereni e Saba), grandi autori sono stati cacciati nel tritacarne della dimenticanza (si pensi, solo per fare qualche esempio, a Cardarelli, Sbarbaro, Campana, Bigongiari, per giungere finanche a Luzi). Tuttavia alcuni critici non tralasciano di studiare e di porre all’attenzione generale alcuni di questi, come nel caso di Attilio Bertolucci, che è seguito con affetto da Gabriella Palli Baroni e Paolo Lagazzi che lo frequentò, specie nelle estati a Casarola, per tantissimi anni. Ma, seppure senza tale assiduità, una relazione speciale col poeta parmense la ebbe il critico Giuseppe Marchetti, un rapporto fatto di frequentazioni e confidenze e di studi continui, per giungere infine a una conoscenza completa dell’opera bertolucciana. Ciò si ricava sicuramente dalla lettura del libro che questi gli ha dedicato: Attilio Bertolucci. Storia di un poeta (Fedelo’s Editrice, 2015), un libro prezioso per chi intenda approfondire le vicende del poeta e i nessi cruciali della sua scrittura, non solo poetica.

Di tutto questo siamo riconoscenti a Marchetti, perché un autore come Bertolucci deve continuare a essere uno dei grandi riferimenti della poesia novecentesca. Marchetti esamina vari aspetti della produzione del poeta, analizzando non solo la poesia ma pure le altre sue importanti attività (prosa, giornalismo, traduzione). Ciò senza dimenticare di far conoscere alcuni passaggi della sua vita. Il primo, forse più importante, il suo trasferimento a Roma, momento assai sofferto, affrontato come un vero e proprio strazio dal poeta emiliano, con conseguenti crisi psichiche, che lo porteranno in una clinica; lasciare Parma era per lui come rinunciare (e forse rinnegare), ad una parte della sua vita, con tutto quel carico di storie e di affetti che ha poi documentato, in La camera da letto.

Appunto La camera da letto, dove Bertolucci, dice Marchetti, innanzitutto deve quasi discolparsi “contro i sospetti avanzati da alcuni maestri (Poe, Milton, Baudelaire, Mallarmé) circa la ‘tenuta alta e lunga del respiro poetico’ allorché si cimenta con la poesia che scorre nella direzione della prosa”. Ma l’esigenza di Bertolucci di proporre il romanzo in versi, è troppo forte. Lui, aperto a tutte le varie esperienze poetiche, compresa quella ermetica, dove vi era il suo amico Luzi, ha una visione poetica estremamente personale che supera qualsiasi posizione radicata, giungendo così a una soluzione originale, che si fonda su cose semplici, ma essenziali, che, come dice Marchetti, nasce: “per conservare e usare e spesso nobilitare il senso della vita, il suo misterioso destino che si riflette nel transito delle stagioni, nell’alternarsi delle albe e dei tramonti, delle nebbie e delle piogge, degli inverni e delle estati lungo filari di gaggie che sono altrettante stazioni di posta di un cammino che torna e ritorna mai sazio su se stesso”. Nel 2000, alla vigilia della sua morte, all’ennesima domanda sulla sua poesia e sulla famosa questione della poesia e della prosa, Bertolucci sintetizza mirabilmente così: “Non so se il verso lavi la prosa, o la prosa il verso. Ma questo lavarsi reciproco, come fra amanti, mi va benissimo”

Bertolucci fu un poeta “intimo e autobiografico”, si è detto, ma disse bene Luzi, quando precisò quello che invece più esattamente fu la poesia del poeta emiliano: “da poeta familiare e domestico nel paesaggio e nei sentimenti a poeta complesso che senza rinunziare a questi suoi iniziali doni era attratto dalla complessità dei tempi e dalla difficoltà di interpretarli”. E smentendo quasi quella prima possibile spiccia classificazione, lo stesso Bertolucci paventa la debolezza di una simile sintesi, a cui contrappone una prospettiva che potremmo dire universale e vitale, e che egli stesso definisce con queste parole: “La poesia antica moderna e contemporanea ogni tanto s’accende e illumina. Ma poi si stanca si richiude in se stessa, si ripiega e si autocommuove, cioè ripete e si ripete senza produrre nulla. Invece la poesia deve creare dei miti perché la civiltà ne ha bisogno.”

bertolucciE la posizione di Bertolucci sulla fede? In lunghi dialoghi avuti col poeta, Giuseppe Marchetti giunge alla conclusione che “con lui l’argomento del ‘dopo la morte’ pareva scivolare subito in una casualità quasi innocente e fuori, pertanto, sia dalle regole dell’umano spirito, sia da quelle dell’espressione poetica che più gli apparteneva… una ritrosia a confessarsi che invece affidava abbondantemente ai versi“, e ricorda quando il poeta preferiva rifarsi a una famosa frase di Proust, il quale a chi gli chiedeva perché avesse scritto la Recherche, diceva: “perché la mamma non muoia”. E Bertolucci aggiungeva: “Anch’io voglio che non muoia”. Vale a dire conclude Marchetti: “il suo atto di fede, fu un atto coraggiosamente poetico e laico a cui si affida per non morire”.

Tra le tante cose che ci hanno colpito di questo libro vorremmo dire di una intuizione estremamente interessante rispetto al famoso film Novecento diretto dal figlio Bernardo, che: “pare a noi oggi più un film di Attilio che suo. In sostanza La camera da letto prelude allo spirito di quel magmatico e amaro film e ne fiancheggia i temi o alcuni di essi”, ciò, penso, non tanto per sminuire il valore artistico di Bernardo, che con Novecento costruisce il suo capolavoro, ma per dire che senza quel mirabile racconto in versi, costellato da una epica familiare straordinaria, non poteva esserci quel clima, quel senso profondo dei cicli della vita, che nel film emergono, anche se Bernardo allarga il discorso, ma forse quella seconda parte è quella più debole, proprio perché manca la ‘guida’ del padre. In effetti da amante del cinema Attilio Bertolucci costruisce i suoi libri come fossero fotogrammi, come fossero movimento, come fossero scene filmiche, un dono che riversa nei figli, che del cinema faranno la propria arte.

Vorremmo concludere questo scritto con un passaggio di Marchetti, che ci pare una sintesi mirabile per capire l’importanza che Bertolucci ha avuto nel Novecento poetico nazionale e del perché rileggerlo è oggi un esercizio fondamentale: “La sua testimonianza umana e letteraria resta un testamento di straordinario equilibrio tra le esigenze dell’espressione e dello stile e la spasimante necessità di rincorrere continuamente lo specchio dell’esistenza… l’ampiezza e la profondità insieme poetica e prosastica di una letteratura onnicomprensiva e così sicura di sé da impersonare la tradizione e la novità con la medesima convinzione”.

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