Paolo Lagazzi, “Light stone”

brullo.lagazzidi Davide Brullo

Non è mai troppo tardi per scrivere un buon romanzo. Paolo Lagazzi ha compiuto 66 anni a marzo 2015  e quatto quatto se ne esce con l’ennesimo colpo da illusionista, «questa piccola storia forse un po’ folle» (parole sue), che ha un titolo in inglese (Light Stone, Passigli, pp.224, 18,50 euro), è stampata da un piccolo, nobile editore fiorentino (Passigli, per cui il geniale Mario Luzi curava la collana poetica), ma si svolge, perfino, in Giappone. Lagazzi, tuttavia, che pure mantiene un cuore naif, non è esattamente un novellino: un passato inquieto da rocker e da prestigiatore di provincia, incassa la tesi con Luciano Anceschi e diventa il custode dell’opera lirica di Attilio Bertolucci, di cui cura tutto il possibile, dal “Meridiano” Mondadori ai fasci di inediti (usciti una manciata di mesi fa per Diabasis comeIl fuoco e la cenere).

Critico totale ma totalmente eccentrico rispetto ai ducati e alle baronie della critica italica, Lagazzi alterna i duri lavori da prof (la curatela dei “Meridiani” dedicati a Pietro Citati e a Maria Luisa Spaziani) allo scouting estremo e militante negli abissi della lirica italica; sa passare, voluttuoso Nureyev della critica, dalla riscoperta di Fernanda Romagnoli a un saggio su Keats, dalla recensione a Eraldo Affinati a un saggio su Gaston Bachelard (ad esempio, in Forme della leggerezza, 2010). Tuttavia, il suo lavoro più conosciuto è l’antologia di poesia giapponese Il muschio e la rugiada, pubblicata dalla Bur nel 1996 e costantemente ristampata. Il libro più bello ed enigmatico, invece, è Per un ritratto dello scrittore da mago, testo di culto (edito da Diabasis nel 1994, ripubblicato da Moretti & Vitali nel 2006) in cui Lagazzi ci spiega che compito della critica non è «voler trovare a ogni costo i doppifondi del testo», uccidendone «la magia», ma «avvicinare allo specifico dell’arte: l’incanto». Il libro, con sfilza di disegni di fachiri, cartomanti e illusionisti, è l’abbecedario della prestidigitazione critica, ricorda un altro testo mistico e necessario, le Meditazioni sullo Scorpione di Sergio Solmi.

Propendere per il romanzo è perciò per Lagazzi una resa, una sconfitta della critica letteraria che ormai per sé non basta e di cui non frega a nessuno? Non proprio. Il romanzo, che è poi una storia d’amore sinistro, pecca dove il critico incorpora i vezzi dello scrittore, è clamoroso nelle stoccate filosofiche («Il coltello con cui un uomo naufragato in un’isola perduta scava nel terreno per cercare qualche radice commestibile, non è più aguzzo delle gengive di un neonato di fronte al bisogno di afferrare e mordere i capezzoli della mamma»). Il finale, poi, condensato in una pagina, lascia senza fiato. L’illusione continua.

RECENSIONE USCITA QUI

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Paolo Lagazzi, “Light Stone”, Passigli, 2014

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