Luigia Sorrentino. La pietà dello sguardo

Luigia Sorrentino (foto d’archivio)

Recensione di
Giancarlo Pontiggia

Inizia con una citazione plutarchea il nuovo libro di Luigia Sorrentino: «La morte dei vecchi è come un approdare al porto, ma la morte dei giovani è una perdita, un naufragio». E «naufragio» è forse la parole-chiave per interpretare questo libro doloroso e tragico, che parla di giovani vite perdute in spirali di violenza e di degrado. Lo sfondo è una Campania infera, riconoscibile da qualche minimo tratto, ma che sembra precipitare ad ogni verso in un tempo arcaico, scuro, sacrificale. E «antico» è epiteto che si ripete spesso, nel libro, quasi a indicare un fatale avvicendarsi di storie e di destini: antico è il silenzio (p. 22), antico l’adolescente (p. 27) che si avvia alla sua fine; e antichi sono anche «amore» (p. 38) e «cuore» (p. 93).

Luigia Sorrentino, Piazzale senza nome, Pordenonelegge-Samuele editore, Pordenone, 2021, pp. 102.

Si sarebbe tentati, leggendo, di assegnare alle zone in prosa, che si alternano ai versi, gli aspetti più realistici e crudi della rappresentazione: ma si capisce subito fin dalla prima di queste prose, come la morte dei due ragazzi venga descritta sullo sfondo di un rituale cosmico (presenze costanti della raccolta sono i nomi della «notte», del «cielo» e dell’«oceano») dai motivi dionisiaci (lo sgozzamento della capra, il ritmo frastornante della musica, lo smembramento, l’ebbrezza), motivi destinati a propagarsi per l’intera raccolta: «– È nel dolore totale –. Non oppone resistenza alle braccia che lo sollevano per distenderlo nudo sul tavolo. L’urlo irrompe nella stanza come quello di una capra sgozzata. Porta automaticamente le mani sui genitali per difendersi da gesti che offendono. Nelle sorsate d’alba il midazolam somministrato con l’ago esala nella vena. Poi il respiro sprofonda nella gola carsica risucchiando via, a uno a uno, i nostri volti prima di approdare alla riva, ai cupi occhi della grande notte. // Sotto la notturna volta della scala comunale è scomparso il ragazzo che infilzava lucertole trapassandole da parte a parte con il fil di ferro. Da poco si è accasciato sul terreno, in mezzo al groviglio di arbusti spinosi e rami secchi. Una striscia di cielo lo guarda. Nella testa della capra suona il ritmo assordante di una musica persecutoria. All’alba spalancherà gli occhi senza alcun ricordo. La morte dei giovani arriva all’improvviso, carica di violenza. Lo smembramento è totale. Su tutto domina l’ebbrezza gridata da un cuore felice e maledetto» (p. 13).

La tensione realistica dei quadri e il ritmo franto della descrizione sono soggetti a una forma di drammatizzazione scenica, segnata dalle pennellate espressionistiche delle scelte lessicali. La notte, qui come in numerosi altri passi del libro, sembra allearsi con le presenze scure e ctonie della vita, con il sangue che nutre la terra e l’asfalto. Realistico è il dato iniziale, che viene però subito investito di un simbolismo acceso e traumatico, spesso esaltato dai contrasti cromatici («neve»-«sangue»), come già nella poesia d’esordio: «su tutto il giardino neve / dilatata / silenzio armato nelle pupille / neve, tutta nel sangue / narici oltraggiate / bianco e nero // l’incedere violento / del battito cardiaco / si chiude su di sé // nella luminosa potenza / avviene l’incontro» (p. 11). Il tema della solitudine, su cui si chiudono tutte queste vite, si scontra nondimeno con una dimensione di coralità diffusa, spesso sottintesa.

La ripetizione a distanza di tratti e termini, spesso legati al corpo e in particolare al volto (pupille, narici, occhi, cranio, bocca, capelli, nuca, denti, orecchio, gola, labbra, voce, orbite, iride), risponde a un’esigenza di ritualità, più che di formularità: siamo nel territorio del tragico, non dell’epos, cioè nel territorio in cui tutto si è ormai consumato. Un tempo assoluto che può richiamare per analogia quello del mito, entro il quale la dimensione del quotidiano e del reale acquista un suo significato nuovo. Il dramma si ripete, perché solo in questo ripetersi – in questo poter essere rappresentato – trova una sua verità e una sua cadenza espressiva. Anche per questo la raccolta si distende in un unico movimento, privo di divisioni e di sezioni interne: non c’è, in queste storie, un prima e un dopo, ma un unico, circolare fluire in cui la cronaca sprofonda subito in evento, in qualcosa che era già accaduto.

Lo stile costeggia – anche per l’espansione orizzontale del verso – la nudità del referto, ma un referto che si dà in una lingua di alta densità metaforica, e che sembra ogni volta precipitare, nella concitazione delle immagini, verso una chiusa necessariamente sentenziosa: «poi scendeva la tenebra / il silenzio di tutte le parole» (p. 53); «morivano gli occhi / nel soffio della vita» (p. 58); «nella decomposizione / tutto il nostro destino» (p. 60); «deborda, cola sul pavimento / la tenebra» (p. 67); «sei entrata dal fondo, sei tornata / in un paese morto» (p. 69).

“Piazzale senza nome”, disegno di Giulia Napoleone, maggio 2022

Libro ossessivo, martellante nel ritmo delle immagini e dei pensieri, dominato dalla presenza della morte e del male, Piazzale senza nome è un libro senza ristoro e senza conforto («una storia cruda senza atti di grazia», p. 47), ma anche un libro fondato sulla pietà dello sguardo e dei gesti, come nella poesia intitolata Quando hai smesso di respirare: «l’amore è un tuffo sul corpo / il nome chiamato / non risponde / dita sorreggono la testa / da dietro, la tengono dritta // ti chiudono gli occhi / la bocca estrema / ha bevuto l’oceano» (p. 88). Continua a leggere

RaiPoesia2022. Uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea

La reciprocità degli sguardi

Nell’immagine, un frame della sigla che introduce a partire da oggi, venerdì 16 dicembre 2022 alle 16.30 un ciclo di incontri con i poeti italiani contemporanei sul nuovo sito web della Rai: RaiNews&TGRCampania con il progetto Raipoesia2022 ideato e condotto da Luigia Sorrentino.

Raipoesia2022 è uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea, uno sguardo nel quale ci si perde o ci si ritrova.

Raipoesia2022 è accoglienza, è la risposta a una chiamata che predispone un luogo e uno sguardo che viene in superficie.

Raipoesia2022 è un progetto pensato soprattutto per le giovani voci della poesia italiana contemporanea, ma non solo. Ai volti e alle voci dei più giovani, si affiancheranno poeti già noti ai lettori della poesia contemporanea italiana, perché se non fossero presenti ne sentiremmo l’assenza.

Raipoesia2022 mette in evidenza i volti, gli occhi pieni di fascino e d’inquietudine dei poeti, custodi dell’attenzione, della profondità e della verità della parola della poesia.

Ascolteremo frammenti di parole che tassello su tassello andranno a comporre un’unica grande opera.

(Luigia Sorrentino)

Postilla

Il titolo, Raipoesia2022, porta con sé l’anno in cui è nato il progetto.

 

Raipoesia2022

ideazione e progetto di Luigia Sorrentino

si ringrazia Dino Ignani per la cortese collaborazione

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La poesia di Dario Nicolella

Dario Nicolella

FERITE

Devo dirti grazie
per le bende che hai avvolto
della tua pietas crocerossina
sulle ferite in-tagliate
piagate ustionate
Lasciami però aperti gli occhi
perchè vedano albe e tramonti
questo buio mi ferisce ancora
mi tormenta come un coltello

(da TRENTA POESIE PER RABARAMA,2014)

OMBRE

Ti vedo non ti vedo
forse ti intra-vedo
no
era soltanto ombra lunare
un grigio riflesso argento siderale
niente nessuno
nulla di fatto
il nulla fatto persona

(da POESIE DELLE CENTO LUNE,2017)

PAPAVERI

Ebbene sì sono fiero
di essere cresciuto come un fiore
che immediatamente muore
nella temeraria mano di chi
lo strappa al campo
pur di sottrarsi a una vita senza scampo
e non marcire lentamente in un bel vaso
effimero ornamento
in un appartamento

(da POESIE PSICHEDELICHE,2019)

FLOP

Sono come l’acqua
corro scorro
dilago
di lago in lago
non mi volto mai indietro
non mi tiro mai indietro

Sono goccia d’acqua
dentro doccia d’acqua
plop plop
plop plop
plop flop
fino al prossimo flop

(da I CERCHI/ Poesie col flash,2019)

NON CONOSCO L’ATTIMO

Non conosco l’attimo
in cui un sasso
mi frantumerà il vetro perciò
lascio sempre aperte le finestre
così da spalancare
il mio libero spirito
alle correnti dell’amore

(da UN ALTRO GIORNO SU NEL CIELO/
Poesie in viaggio con l’anima, 2021)

Dopo l’ esordio poetico con L’ARPA DEL CONNEMARA che risale al 1993,e un lungo periodo come autore di saggi su tematiche storico-artistiche (I cento chiostri di Napoli, Le cupole di Napoli.Le strade di Salerno) e mitologiche (Partenope la sirena, La leggenda di Palinuro, La luna dal mito alla conquista) Dario Nicolella (Napoli,1956) ha da qualche anno riscoperto una nuova e inattesa vocazione poetica che ormai si affianca stabilmente alla sua professione medica.

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Gian Mario Villalta al Teatro Bellini

Gian Mario Villalta presenta a Napoli il 2 dicembre 2022 alle 17:00 la sua ultima raccolta di poesie Dove sono gli anni (Garzanti, 2022)

Gian Mario Villalta

Dialogano con l’autore Antonella Cristiani e Alberto D’Angelo

 

Da “Dove sono gli anni“, di Gian Mario Villalta, Garzanti 2022

 

Sempre ti manca quello che hai: vivere.
Qualcosa di più necessario, seguiti a chiedere,
qualcosa che ti convinca, ti vincoli a.
«Perché continuo a scrivere?»
Forse perché puoi finire
lo fai, come uno cammina di sera
prima di cena, o un altro vanga l’aiuola,
o mette a posto il garage, perché tu potresti
– come lui – non varcare più l’ombra
dei lampioni, l’altro smettere di sperare
che germini il seme o più non sapere se le sue cose
sono ancora lì – potresti così tu non essere
più tu che lo chiedi, ti avventuri, tu
che diventi tu che lo scrivi.

*

Anni fa, adesso, lo stesso pensiero di non tornare più
quel momento che la mente ristampa e pare uguale
mentre accampa la strada, è novembre, e sono le foglie
la quiete che manca, i rami neri nel cielo che c’è.

Adesso, allora. Soltanto più tenue è il respiro del tempo
che sfiora gli anni e le ore dove provi i risvegli e gli insonni
globuli rossi, i globuli bianchi, le cellule si avvicendano,
qualcuno che diventa qualcuno, a tua insaputa, tu.

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Lia Rumma dona la sua collezione al Museo di Capodimonte

Lia e Marcello Rumma, 1961

Lia Rumma, la più importante gallerista italiana, dona al Museo di Capodimonte  una parte consistente della sua collezione: una selezione di oltre 70 opere di artisti italiani, dagli anni Sessanta, con un focus sull’Arte Povera.

Tra gli artisti in collezione: Vincenzo Agnetti, Giovanni Anselmo, Carlo Alfano, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Mario Ceroli, Dadamaino, Gino De Dominicis, Giuseppe Desiato, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Paolo Icaro, Mimmo Jodice, Jannis Kounellis, Maria Lai, Carmine Limatola, Pietro Lista, Francesco Matarrese, Mario Merz, Marisa Merz, Aldo Mondino, Ugo Mulas, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Pino Pascali, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Gianni Ruffi, Ettore Spalletti, Giulio Turcato, Gilberto Zorio.

La collezione “Lia e Marcello Rumma” sarà allestita come raccolta permanente nella Palazzina dei Principi, elegante edificio nel Real Bosco di Capodimonte, fondato dai Carmignano marchesi di Acquaviva prima del Palazzo reale, situato davanti alla facciata principale della Reggia.

La raccolta si aggiunge alla sezione d’arte contemporanea con oltre 160 opere già musealizzate,  che rende il Museo di Capodimonte l’unico in Italia a conservare e esporre l’arte dal XIII secolo a oggi, con raccolte eccezionali tra le quali quella Farnese.

L’annuncio verrò dato martedì 21 giugno 2022 alle 11:00 presso la Stufa dei Fiori – Tisaneria annessa alla Palazzina dei Principi, dal Ministro della Cultura Dario Franceschini, da Lia Rumma e dal Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger.

La collezione Lia e Marcello Rumma

La donazione comprende oltre 70 opere, tra dipinti, sculture, fotografie e lavori su carta e documenta la pratica di una trentina di artisti italiani, la cui ricerca ha avuto un riscontro internazionale.

Un focus è inoltre dedicato all’Arte Povera – definizione coniata nel 1967 dal critico Germano Celant – e di altri artisti riferiti alla medesima scena, la cui ricerca individuale si è sviluppata accanto ai movimenti radicali di quegli stessi anni.

L’insieme copre un arco di tempo che va dal 1965 agli anni Duemila. Continua a leggere

La divina Abramović al San Carlo

“7 Deaths of Maria Callas”

di Luigia Sorrentino

Si è tenuta il 13 maggio alle 17:00 a Napoli la prima italiana di “7 Deaths of Maria Callas” con Marina Abramović in scena al Teatro San Carlo  fino a domenica 15 maggio.

Lo spettatore che ha seguito il lavoro svolto da quarant’anni dalla celebre artista serba si troverà di fronte a un’opera profondamente diversa da quelle a cui aveva assistito in passato.

Il desiderio di mettere in scena la Callas era qualcosa che covava da molto tempo nella mente di Marina. Nella sua autobiografia, la Abramović ha scritto di sentire la necessità di voler creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas.

Nello spettacolo l’artista ricostruisce scene di donne morte in sette opere liriche. “Perché lei, la Callas, è morta come molte delle sue interpreti, per amore, di crepacuore, per amore di Aristotele Onassis. La Callas è morta come le donne che cantava”.

Tutto fa pensare che Abramović presti il suo corpo sacrificale anche a tutte le donne  che nella contemporaneità hanno sofferto per amore, che sono state picchiate, abusate, che hanno subito violenza, presta il suo corpo a quelle donne che sono sopravvissute e a quelle che non ci sono più. 

Ma il motivo che spinge la Abramović a mettere in scena la Callas è anche un altro.

C’è qualcosa in comune fra loro. Una somiglianza. Un sentire comune.

Forse è l ’amore per l’arte e l’essenza profondamente spirituale il punto di contatto fra Marina Abramović e Maria Callas. Un’aderenza nata quando Marina aveva quattordici anni: “Sedevo nella cucina di mia nonna che aveva sempre la radio accesa. A un certo punto ascolto una voce: ricordo di essermi alzata in piedi ed essermi messa a piangere. Non avevo idea di chi fosse quella voce, era una voce di donna e lo speaker disse che era la voce di Maria Callas.”

Senza dubbio nelle sette morti di Maria Callas vi è un pensiero cosmico che mette su un piano analogo la vita e l’espressione artistica di Marina Abramović, con la vita e l’espressione artistica di Maria Callas.

Fra le due donne vi è un pensiero unico che travolge e unisce le due dive apparentemente diverse, ma in realtà molto simili. L’una è il corpo tragico dell’altra: quell’andare vacillante del corpo nella vita.

Entrambe sono eroine tragiche: l’una, Marina, regina della Performance art, l’altra, la Callas, regina mondiale dell’opera lirica.

A unire le vite delle due artiste c’è dunque un comune sentire: “essere possedute dall’arte e dall’amore”, qualcosa che coinvolge la vita di Marina e Maria: il donare la propria anima e il proprio corpo, il donarsi strenuamente.

Lo spettacolo inizia con un prologo musicale di grande intensità scritto dal compositore serbo Marko Nicodijević. Un grande talento, se si pensa che è nato nel 1980.

Sulla destra del palcoscenico si intravede la sagoma di una donna distesa su un letto, una donna che sembra ammalata o in punto di morte. É la figura della Callas che sta lì, deposta come qualcosa che dimora da sempre nel cuore di Marina. Sta lì immobile,  è come se chiedesse di non essere abbandonata da tutti quelli che aveva incontrato nella sua grande carriera di artista: “Luchino, Pier Paolo, Zeffirelli, dove siete adesso?” chiederà la Callas-Abramović nell’ultima scena. E ancora: “Elvira, Franco, Giancarlo, Aristotele, Bruna? Bruna?”

Ma quante volte è morta Maria Callas?

Marina ci mostra sette morti scelte tra le più importanti opere liriche interpretate da lei e le circoscrive in  sette quadri – sette cieli -. Dal chiarissimo e azzurro colmo di nuvole, al cielo scuro, a quello nerissimo, e infine,  al cielo rosso che è il rogo in cui morirà Norma.  L’’opera cinematografica diretta da Nabil Elderkin è immersiva, siamo tutti coinvolti, nelle immagini forti, drammatiche alle quali assisteremo. I protagonisti della carneficina sono Marina Abramović e Willem Dafoe.

A morire di malattia nel corpo della Abramović è Violetta de La Traviata, poi Tosca che si lancia da un grattacielo di New York guardando davanti a sé l’Empire State Building. Commovente e tragica approda sul cofano di un’auto nel centro della metropoli. Poi la Abramović è Desdemona strozzata da un serpente stretto attorno al collo dalle mani cruente di Willem Dafoe (Otello). E ancora: Carmen, imprigionata in una corda da don José e poi accoltellata.

Nel sesto quadro Abramović è Lucia di Lammermoor: tutto l’ universo congiura contro di lei. E allora colpisce violentemente la sua immagine nello specchio, spacca tutti gli specchi, fino a ferirsi a morte. Lo spargimento di sangue copre totalmente il volto della Abramović, c’è sangue sulle mani, lei stessa piange sangue. Ebbene, tutto questo sangue sparso ha qualcosa di universale. Esprime un’innocenza fondativa e un’emergenza, un pericolo che incombe come una minaccia su tutte le donne.

Marina in “7 Deaths of Maria Callas” esprime gradualmente un mondo desertificato e sterile come quando interpreta la morte di Madame Butterlfly sedotta, abbandonata e suicida e infine, quella di Norma, la casta diva senza più alcuna forza vitale che avanza tragicamente verso il fuoco tenendo per mano il suo uomo.

Poi cala il buio in sala.

Prima dell’ultima scena, attesa. La musica avvolge lo spazio. È forte, roboante, riempie tutto il teatro.

Poi lo spettatore si trova nella stanza della Callas a Parigi, nel 1977, l’anno in cui la cantante muore.

Ha 53 anni. È distesa sul letto. Il corpo è già troppo pesante. La retina percepisce una luce, un profumo di lavanda. Riesce a malapena a alzarsi dal letto, a compiere qualche movimento. Abbagliata dalla luce attraverserà una porta dalla quale non tornerà mai più.

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Le sette morti di Marina Abramović

Marina Abramović

Marina Abramović

Il 18 maggio 2022 la Galleria Lia Rumma di Napoli subito dopo la prima italiana di 7 Deaths of Maria Callas che andrà in scena in anteprima italiana al Teatro di San Carlo di Napoli (13-15 maggio 2022), inaugura la nuova mostra personale di Marina Abramović che segna il ritorno dell’artista in città.

La mostra coincide con il tour della prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba.

Abramović sarà la protagonista della prima italiana dell’opera 7 Deaths of Maria Callas, dedicata all’ indimenticabile soprano greco che ancora oggi affascina il pubblico di tutto il mondo.

Lo spettacolo di cui la Abramović è interprete e autrice, si concentra su ciascuna delle morti “sul palco” della Callas che di volta in volta è protagonista in Carmen, Tosca, Otello, Lucia di Lammermoor, Norma, Madama Butterfly e La traviata.

Sette eroine tragiche della lirica, rese immortali grazie alle interpretazioni della divina Maria Callas, rivivono nel corpo e nei movimenti di Marina Abramović.

La regina della performance indossa l’abito della regina della lirica in un’opera totale divenendo un faccia a faccia tra due grandi artiste.

«Da 25 anni – racconta Marina Abramović – desideravo creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas. Ho letto tutte le biografie su di lei, ascoltato la sua voce straordinaria e guardato le registrazioni delle sue esibizioni. Come me era un Sagittario, sono sempre stata affascinata dalla sua personalità, dalla sua vita e dalla sua morte. Come tanti dei personaggi che ha interpretato sul palco, è morta per amore. È morta di crepacuore» (Marina Abramović, 7 Deaths of Maria Callas, Damiani Editore).

Negli spazi della Galleria Lia Rumma, come in un coro di dolore, si rivive il dramma delle sette morti, attraverso la videoinstallazione Seven Deaths, tratta dall’omonima opera teatrale.

«Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto “emozionale”, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte», continua la Abramović. Ed è su questo fil rouge che s’inseriscono le altre opere fotografiche presenti in mostra: Artist Portrait with a Candle (B), 2012; Holding the Skeleton, 2008/2016; il dittico Portrait with Skull (EyesClosed), 2019; e per finire la più recente The Jump, 2022, in cui Abramovic impersona Tosca nel gesto finale dell’opera, ambientata qui in un contesto urbano contemporaneo.

A più riprese l’artista ha utilizzato lo scheletro come suo compagno di viaggio, o elementi come il teschio e la candela, per esorcizzare anche la propria mortalità, dando vita a tanti “memento mori” che sembrano evocare vanitas seicentesche arricchite da un crudele gioco tra Eros e Thanatos.

Una stanza della galleria accoglie l’installazione Black Dragon (1990) composta da cristalli di quarzo montati a parete che invitano chi si avvicina a interagire con loro per sentire l’energia che emanano.

Sono gli “oggetti transitori” della Abramović, che non sono semplici sculture da guardare, ma oggetti “performativi” in grado di innescare uno scambio di energia tra l’opera, l’artista e il pubblico, che viene così invitato a prendere parte attiva alla mostra non più come solo spettatore. Continua a leggere

Addio a Ugo Piscopo

Ugo Piscopo

Oggi 1° aprile è lutto nel mondo della Cultura.
E’ morto il poeta e critico Ugo Piscopo volto storico di Napoli.

Ugo Piscopo era nato a Pratola Serra, in provincia di Avellino, nel 1934.
Ugo è stato poeta, scrittore di letture moderne comparate, traduttore e da più giovane ha avuto dei trascorsi nel mondo del teatro.

Il ricordo dell’amico Giorgio Moio:

“L’ho sentito una settimana fa e la sua voce non lasciava intendere niente di buono. Tra le poche cose che riuscì a dirmi fu una cosa penosa: era molto dispiaciuto di sentirsi solo, della mancanza di una telefonata di qualche amico. Forse la mia è stata l’ultima o una delle ultime telefonate ricevute da un amico. Proprio ieri ne parlavo con Marisa Papa Ruggiero delle pessime condizioni di salute di Ugo. Che ti accolga un luogo dove poter trascorrere una vita migliore, carissimo amico mio. Riposa in pace. I funerali avverranno domani 2 aprile alle 13, nella chiesa Santa Maria della Libera, in via Belvedere a Napoli.”

(Luigia Sorrentino)

Ricordando Ugo Piscopo
di Giorgio Moio

A Napoli ci sono scrittori e poeti che hanno ricevuto dalla città molto meno di quanto abbiano dato alla crescita della cultura partenopea e non solo partenopea. Uno di questi è stato Ugo Piscopo, saggista, narratore, poeta, nato a Pratola Serra (AV) nel 1934 e deceduto a Napoli (dove viveva sin da giovane) il 1° di aprile 2022, nel giorno del proverbiale “pesce d’aprile”, cioè un giorno di scherzi. Dopo il percorso scolastico, con una laurea in Lettere classiche conseguita alla “Federico II”, discutendo la tesi col prof. Francesco Arnaldi (1957), inizia ad insegnare materie letterarie in scuole secondarie, “vagabondando” tra Napoli, Lacedonia, Ariano Irpino e Tripoli (Libia) dove viene addirittura imprigionato per quattro giorni.

Nel 1967, dopo quattro anni in Libia dove insegna Lingua e Cultura italiana per stranieri c/o Istituto Italiano di Cultura, tenendo anche un corso di conferenze sulla poesia italiana contemporanea, presso il medesimo Istituto, alle dipendenze del Ministero degli affari esteri, fa ritorno in Italia e si stabilisce con la famiglia a Napoli. Continua a leggere

Ruggero Cappuccio, al Mercadante presenta il suo ultimo romanzo

Palermo è un’isterica, ama solo la sua sofferenza, e quando riesce a goderne trasforma il dolore in arte.

Con questi pensieri Manfredi rivede dopo una lunga lontananza la sua Sicilia. Ha quarantatré anni ben portati, il gusto raffinato dell’antiquario, lo sguardo inafferrabile ed è tormentato e insieme nostalgico proprio come la sua città, dove rientra su richiesta dell’anziano e amato zio Rolando. Giorno dopo giorno, lo zio lo coinvolge nel racconto dei suoi ricordi, una vita appassionata che si intreccia alle ricerche della Natività di Caravaggio, rubata dall’oratorio di San Lorenzo nel 1969 e mai più rinvenuta.

Tra un capitolo e l’altro del mistero che si dispiega attorno a uno dei furti più eclatanti della storia, Manfredi deve affrontare anche i propri personali fantasmi che ha lasciato accovacciati tra i vicoli della bellissima e spietata città. Primo fra tutti l’amata Flavia, che lo abbandonò all’improvviso, inducendolo a prendere la decisione di lasciare l’isola. Mentre la relazione con lo zio Rolando si fa via via più profonda e carica di presagi, gli incontri con una bambina di strada fanno deragliare Manfredi verso un’inesplorata immagine di sé.

La voce di Ruggero Cappuccio si insinua tra le pagine a suggerire pause e cadenze di una sicilianità antica e preziosa, ci invita a passeggiare in una Palermo decadente che accoglie le insonnie notturne, il sapore degli amori finiti e canta la perdita umana, ma anche la vita che si rinnova e torna a chiamarci. Continua a leggere

Emanuele Trevi vince il Premio Strega

Emanuele Trevi vincitore del Premio Strega 2021.

NOTA  DI LUIGIA SORRENTINO

Con il romanzo “Due vite” Neri Pozza Editore Emanuele Trevi nato nel 1964, vince l’edizione 2021 del Premio Strega e per la prima volta nella storia del premio lascia sul sagrato del Ninfeo di Villa Giulia le grandi major dell’editoria italiana.

Il romanzo è il racconto di un’amicizia – tema centrale in molti libri di Trevi – fra tre giovani scrittori: Emanuele Trevi,  Pia Pera (1956-2016) e Rocco Carbone (1962-2008). Il titolo  mette in luce la vita dei due scrittori italiani scomparsi prematuramente, ma anche – lo dichiara lo stesso Trevi, il romanzo racconta la storia delle nostre due vite, “entrambe  destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene”.

In Due vite Emanuele Trevi si immerge nelle due opposte personalità: quella di Rocco Carbone, per natura incline a infliggere colpi piuttosto che a riceverli, e quella di Pia Pera, persona sensibile, che negli anni della malattia si trasforma in un’eroina che si prepara alla morte.

Emanuele Trevi sta nel mezzo, nel  racconto delle due vite c’è lo scrittore, la sua commovente consapevolezza che gli amici sono anche rappresentazioni delle epoche della nostra vita,  vita “che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembrano lontanissimi, rimanendo sempre più soli“.

“Dedico il Premio a mia madre che è mancata durante questo periodo infernale della storia umana che si sarebbe divertita a vedermi in televisione. E poi a un amico, Lorenzo Capellini che è in un momento di difficoltà e mi è stato vicino fino a qualche giorno fa, nel pieno di questa avventura” ha detto Emanuele Trevi. Continua a leggere

Thomas Bernhard, “Teatro VI”

Thomas Bernhard

Questo volume “Teatro VI” (Collezione Teatro Einaudi, 2021) riunisce tre testi di Thomas BernhardLe celebrità (1976), Su tutte le vette è pace (1981), Piazza degli Eroi (1988), piú tutti i testi brevi denominati da Bernhard «dramoletti».

A cura di Alice Gardoncini Traduzioni di Alice Gardoncini Umberto Gandini

Introduzione a cura di Alice Gardoncini.

IL LIBRO

Ubulibri fece uscire, tra il 1982 e il 1999, cinque volumi del Teatro di Bernhard annunciandone un sesto conclusivo, che in realtà non fu mai pubblicato. Dopo aver ripreso i cinque volumi Ubulibri, ora Einaudi completa la serie realizzando finalmente questo fantomatico sesto volume. Contiene i tre testi lunghi non compresi nei volumi precedenti, piú tutti i testi brevi denominati da Bernhard «dramoletti». Inediti in traduzione italiana sono Le celebrità(1976), Su tutte le vette è pace (1981) e i tre dramoletti scritti in dialetto bavarese: Match, Un morto, Funzione di maggio (1981).

Questi tre dramoletti dialettali sono tradotti da Umberto Gandini. Tutti gli altri testi sono tradotti da Alice Gardoncini. Ora che tutto il Teatro di Bernhard è disponibile anche in Italia, si potrà comprendere meglio la grandezza di questo scrittore, che con ironia e spirito di provocazione ha saputo innovare le abitudini teatrali piú radicate. E magari si potrà aprire una nuova stagione di messe in scena. D’altronde l’Italia ha avuto un ruolo significativo nella storia teatrale di Bernhard, visto che due dramoletti – Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me; Claus Peymann e Hermann Beil sulla Sulzwiese – sono stati messi in scena per la prima volta proprio in Italia da Carlo Cecchi un anno dopo la morte di Bernhard, nel 1990, e piú volte ripresi.

La piú recente rappresentazione italiana di un testo di Bernhard è invece Piazza degli eroi mandata in onda da Rai 5 nel 2021 da un Teatro Mercadante privo di pubblico per il lockdown: protagonista Renato Carpentieri, regia di Roberto Andò.

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Quasimodo, l’essenzialità della poesia

Salvatore Quasimodo

VENTO A TINDARI

Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile sull’acque
delle isole dolci del dio,
oggi m’assali
e ti chini in cuore.

Salgo vertici aerei precipizi,
assorto al vento dei pini,
e la brigata che lieve m’accompagna
s’allontana nell’aria,
onda di suoni e amore,
e tu mi prendi
da cui male mi trassi
e paure d’ombre e di silenzi,
rifugi di dolcezze un tempo assidue
e morte d’anima.

A te ignota è la terra
Ove ogni giorno affondo
E segrete sillabe nutro:
altra luce ti sfoglia sopra i vetri
nella veste notturna,
e gioia non mia riposa
sul tuo grembo.

Aspro è l’esilio,
e la ricerca che chiudevo in te
d’armonia oggi si muta
in ansia precoce di morire;
e ogni amore è schermo alla tristezza,
tacito passo al buio
dove mi hai posto
amaro pane a rompere.

Tindari serena torna;
soave amico mi desta
che mi sporga nel cielo da una rupe
e io fingo timore a chi non sa
che vento profondo m’ha cercato.

Vento a Tindari compare nella prima raccolta poetica di Salvatore Quasimodo, Acque e terre (1920-1929).

***

ED E’ SUBITO SERA

Ognuno è solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Da : Ed è subito sera (1942)

***

LETTERA ALLA MADRE

«Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.» – Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
«Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.»

Da: La vita non è sogno (1949) Continua a leggere

Mattia Tarantino, da “Fiori estinti”

Mattia Tarantino

Mi hai donato fiori morti
da lanciare nella stanza, fiori
già sporcati da una voce, e seppelliti
dove la parola non fa tana.
Ed è questo il trucco degli amanti:
se prendi un fiore puoi legarlo
in fondo al cielo, puoi impiccarlo
a qualche nome e poi morire.

*

È da un po’ che le foglie sono incerte,
che il cielo non sprofonda
nelle loro vene scure, dove il sangue
aggrovigliato gira e cade.

Stamattina un passero di ronda
annunciava la catastrofe cantando. Continua a leggere

Essere “altro” in Giovanni Testori

Giovanni Testori

GIOVANNI TESTORI: IL DESTINO DELLA CROCE

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Uno scrittore con il quale il  Novecento dovrà prima o poi fare i conti  – del quale oggi non si sente quasi più parlare nonostante la notevole eredità letteraria che ha lasciato – è Giovanni Testori.  Narratore, drammaturgo, autore di saggi di critica d’arte e poeta, è una delle pochissime voci che ha aperto possibilità nuove nella letteratura italiana del dopoguerra. Chi vuole leggere un assaggio della sua poetica può consultare o acquistare l’Oscar Mondadori pubblicato nel 2012 a cura di Davide Rondoni, una scelta da Le poesie, 1965-1993. 

Componimenti di grande forza verbale e espressiva.

Il poeta  utilizza infatti più registri vocali: da un lato i i toni “bassi” e brutali di una lingua abbrutita dall’emarginazione, dallo “scarto esistenziale” , dall’altra, una lingua sublime, tenera e incantevole che tocca toni altissimi di espressione e di canto.

IN EXITU, Roberto Latini/ credits ph Ivan Nocera – Cubo Creativity Design, Napoli, 8 giugno 2019

Nota a margine

Il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio quest’anno ha portato al Festival In Exitu, di Giovanni Testori nell’interpretazione dell’attore e regista Roberto Latini e Erodiade,  regia di Carlo Cerciello, con Imma Villa.

IN EXITU di Giovanni Testori
Napoli, 8 giugno 2019
INTERPRETAZIONE E REGIA ROBERTO LATINI
DALL’OMONIMO ROMANZO DI GIOVANNI TESTORI
MUSICHE E SUONO GIANLUCA MISITI
LUCI E DIREZIONE TECNICA MAX MUGNAI
PRODUZIONE COMPAGNIA LOMBARDI – TIEZZI

ESTRATTI

Da “ I Trionfi “ (1965)

Furori atroci da animale bellezza
i cervi bravi sconto sui ghiacci;
urlano, di scatto, come corni di bronzo;
inarcano i colli di miele e sterpi;
s’accovacciano stanchi sui giacigli di neve;
s’abbracciano anche e s’amano
fieri e superbi
come antichi dei d’un tempo senza tempo;
tra carne, ossa, pelo e sangue
un nodo inestricabile li stringe nei geli della brina.

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Al Madre, “L’amica geniale, visioni dal set”


C O M U N I C A T O   S T A M P A

 

La Film Commission Regione Campania e la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee  presentano L’Amica Geniale – Visioni dal Set, una mostra di Eduardo Castaldo, a cura di Silvia Salvati e Andrea Viliani. 

Il progetto rientra nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Regione Campania in occasione dell’Universiade Napoli 2019. 

La mostra si sviluppa tra le sale del Madre, il museo d’arte contemporanea della Regione Campania, la Biblioteca Comunale “Giulio Andreoli” e le strade del Rione Luzzatti a Napoli – che fanno da sfondo alla saga letteraria firmata da Elena Ferrante, pubblicata in Italia da E/O,  e alla prima stagione della serie televisiva diretta da Saverio Costanzo, una serie HBO – RAI FICTION e TIMVISION, prodotta da Fandango e Wildside in collaborazione con RAI FICTION, TIMVISION, HBO Entertainment, in co-produzione con Umedia e distribuita internazionalmente da Fremantle in collaborazione con Rai Com. Continua a leggere

Al Madre, conversazioni con Rushdie

Salman Rushdie

Venerdì 21 giugno, alle ore 19.00, sarà il grande scrittore indiano Salman  Rushdie ad inaugurare il debutto de Le Conversazioni, a Napoli, sul terrazzo del Madre, il museo d’arte contemporanea della Regione Campania, e la nuova partnership con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee. L’autore, intervistato da Antonio Monda, converserà sul “Pregiudizio”, il tema 2019 del festival, e attraverso film, libri, luoghi, personaggi storici e musiche, da lui scelti, si racconterà al pubblico presente. Continua a leggere

Il primo blog di poesia della Rai

William Kentridge Tevere eterno

William Kentridge, fiume Tevere  Triumphs and Laments, 20 aprile 2016 – credits Ph. Fabrizio Fantoni, ombra supplicante Luigia Sorrentino

 

L’IDENTITA’ DELLA POESIA

DI Luigia Sorrentino

 

La mia esperienza di blogger è cominciata nel settembre 2007. Intendevo creare in rete, sul sito di Rai News 24, un luogo di confine nel quale custodire, difendere e  proteggere, l’identità dei poeti e della poesia.   Volevo, insomma, determinare un luogo ove fosse riconosciuta l’identità dei reietti, sempre respinti e costretti a vagare nella solitudine e nell’isolamento. Desideravo un luogo di sguardi. Volevo depositare il seme di una presenza, mettere radici su quel confine e lasciare la traccia di volti emersi dal magma della parola, in tutta la loro verità.

Il primo blog di poesia sul sito della Rai, è diventato in breve tempo, un luogo di forza sul quale si è fermato lo sguardo di coloro che, come me, volevano stupirsi, meravigliarsi. Finalmente i volti dei poeti emergevano in tutta la loro potenza espressiva, in uno scatto autobiografico e fotografico. Grazie, devo dire, anche, alla collaborazione del fotografo e poeta, Dino Ignani, alcuni di quei volti, sono stati, via via, sempre più riconoscibili. Un grazie enorme anche a Viviana Nicodemo, attrice, regista e  fotografa straordinaria: ci ha donato scatti e intuizioni indimenticabili. Grazie a poeti come Antonella Anedda, Silvia Bre, Franco Buffoni, Nanni Cagnone, Alessandro Ceni, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mariangela Gualtieri, Valerio Magrelli, Umberto Piersanti, Davide Rondoni, Patrizia Valduga, Gian Mario Villalta, per citare solo alcuni dei più importanti poeti italiani contemporanei che ci hanno offerto i loro contributi e talvolta, anche testi inediti e anteprime editoriali. Grazie al loro prezioso contributo il blog si è accresciuto e affermato come luogo privilegiato della grande poesia italiana.

Nel 2007 lavoravo a Rai News 24 e avevo realizzato  per i programmi di approfondimento culturale interviste televisive (oltre che con i poeti italiani già citati) con alcuni dei maggiori poeti  noti a livello internazionale  fra i quali, il poeta siriano Adonis, il grande poeta francese Yves Bonnefoy, l’inglese Tony Harrison, le polacche Julia Hartwig e Ewa Lipska, i Premi Nobel Seamus Heaney, Derek Walcott e Orhan Pamuk, il Premio Pulitzer Mark Strand e il poeta candidato al Nobel, Adam Zagaiewski e molti altri.

ORHAN PAMUK

Nel settembre 2006, quindi un anno prima di iniziare l’esperienza di blogger, avevo avuto l’ occasione di incontrare a Napoli per un’intervista per RaiNews24, lo scrittore turco Orhan Pamuk pochi giorni prima che l’Accademia di Svezia gli conferisse il Premio Nobel per la Letteratura.

Orhan Pamuk, che in Italia aveva pubblicato romanzi come Il mio nome è rosso, Neve e Istanbul, mi aveva profondamente colpito perché al centro della sua opera di scrittore,  aveva messo il tema dell’identità, un argomento poco riflettuto e quasi per niente esplicitato nella letteratura contemporanea in quegli anni. Per me fu illuminante scoprire in quel preciso momento storico, che a porsi domande così importanti sulla propria individualità, su quella della propria nazione in relazione a altre culture e minoranze etniche, non fosse un poeta laureato, ma uno scrittore. La riflessione e l’osservazione dell’opera di uno scrittore nato e vissuto in Turchia che si è battuto per il riconoscimento dei dei diritti umani, dei crimini contro l’umanità, mettendoci “la faccia”, sapendo perfettamente quali erano i rischi che correva, è stata per me una lezione fondamentale. Pamuk mi ha fatto comprendere che anche la poesia e i poeti dovevano andare in quella direzione  rimettendo in discussione il proprio ruolo e la propria posizione nella storia di questi anni.

Fin da adolescente, avendo vissuto a Napoli e nella provincia, ho sempre sentito di avere qualcosa in comune con il popolo turco. Basti pensare che ancora oggi, alcune parole della lingua napoletana sono identiche a quelle turche: ad esempio,  “avash” in napoletano, in turco pronunciato “javash”,  hanno lo stesso significato: “abbassa”, “non correre”, “fermati”. E’ il “tono”, l’autorità con cui la parola viene pronunciata che fa assumere alla stessa parola diversi significati, ma il senso è lo stesso.

Ho ancora negli occhi la prima volta che vidi Istanbul. Il meraviglioso Palazzo Dolmabahçe, il primo palazzo in stile europeo di Istanbul, situato nella parte occidentale della città a ridosso del Bosforo, ex residenza di Ataturk, e poi le stradine di Sultanahmet, l’università,  il venditore di acqua, i minareti, Santa Sophia, la moschea blu, la voce del muezzin, il mercato coperto, l’odore del pesce fritto e servito sulla carta, la confusione a piazza Taksim e l’affabilità delle persone, mi avevano dato la netta sensazione di non essere poi tanto lontana da  Napoli. E tutte le volte che ero tornata lì, nel tempo, e mi ero  fermata di notte sul Bosforo a guardare il paesaggio, nel brulicare delle luci davanti a me, avevo  avvertito sulla mia pelle una certa familiarità con quel luogo. I contrasti, le contraddizioni, i sentimenti di discordia tra fratelli descritti  da Pamuk nel suo romanzo autobiografico Istanbul, li conoscevo; facevano parte anche della mia cultura e erano realtà incandescenti almeno quanto lo erano per Pamuk.

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La terra degli addii

Ciro Tremolaterra

QUANDO IL POSTO SI SVUOTA

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

“Amorevolezza” ( IOD edizioni, 2017) è la raccolta di poesie che mi ha portato in dono Ciro Tremolaterra, una persona distinta, dotata di rara gentilezza. Nel libro di poesie che portava con sé c’è tutta la sua vera natura umana, l’ amorevolezza, autentico tesoro. Versi dedicati prevalentemente alla madre scomparsa. La malattia della donna però è solo il pretesto per entrare in una dimensione esistenziale che illumina la sofferenza del mondo.  Lo sguardo è sul tramonto. Si sta seduti nella terra degli addii e il vedere è silenzioso. La partenza della persona amata è negli occhi amorevoli del figlio che guarda e registra ogni piccolo segno, senza fare domande, né alcun inventario, perché non sa che cosa sta cercando lì, non sa che cosa troverà in quel posto.

 

RALLENTA

Rallenta sempre quando sei di fronte
alla rabbia, alle voci che feriscono
o finiscono in questo vento lieve
(e guarda in alto se può farti bene).
Pensa alle cose semplici e spontanee
al sole amico, continuando piano
svanisca del maltempo la paura
che ti trascina. Non stancarti invano. Continua a leggere

Romina De Novellis & Hermann Nitsch, “Voyage à Naples”

A Venezia, alla Galleria Alberta Pane è in corso (fino al 2 febbraio 2019) l’esposizione Voyage à Naples, a cura di Léa Bismuth, con opere di Romina De Novellis (Napoli, 1982) e Hermann Nitsch (Vienna, 1938), due artisti che hanno trovato nell’intensa azione performativa la più piena espressione della loro arte.

La sede veneziana della galleria sarà luogo di una profonda riflessione visiva sul tema del corpo e dei suoi limiti; un’esplorazione tra le pratiche dei due artisti, in un intreccio di tensioni multiple che intendono attraversare diverse geografie italiane: da Venezia sino a Napoli, dove il vulcano e il suo immaginario collettivo giocano un ruolo sostanziale. Continua a leggere

Robert Mapplethorpe, Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition

Philip, 1979. © Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission

Venerdì 14 dicembre 2018, ore 12.00, al Madre, museo d’arte contemporanea Donnaregina della Regione Campania, si terrà l’Anteprima della retrospettiva Robert Mapplethorpe. Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition, a cura di Laura Valente e Andrea Viliani, dedicata a uno dei più grandi fotografi del XX secolo.

Organizzata in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York, la mostra comprenderà più di 160 opere, allestite in ipotetico dialogo con opere archeologiche, antiche e moderne, e per la prima volta, nella storiografia espositiva dell’artista, prevederà un inedito e articolato programma performativo, in cui saranno coinvolti alcuni dei più importanti coreografi internazionali. Continua a leggere

Contro le mafie i versi di Peppino Impastato

I versi di Peppino Impastato aprono il documentario “Davide e Golia”, il nuovo progetto dell’artista Kyrahm con tappe internazionali.

Chi di noi non conosce l’elogio alla bellezza attribuito dalla sceneggiatura a Peppino Impastato dal film “I 100 passi” di Marco Tullio Giordana? In realtà furono parole che non pronunciò mai, ma che in un certo senso restituiscono la fotografia di una verità che non tutti conoscono: Peppino Impastato fu anche poeta ed è con i suoi versi che si apre il primo video della rassegna “Davide e Golia” un documentario dell’artista Kyrahm per dare voce ai “Peppino Impastato contemporanei” che si oppongono a camorra, mafia ed ‘ndrangheta.

Appartiene al suo sorriso

l’ansia dell’uomo che muore,

al suo sguardo confuso

chiede un po’ d’attenzione,

alle sue labbra di rosso corallo

un ingenuo abbandono,

vuol sentire sul petto

il suo respiro affannoso:

è un uomo che muore. 

Queste le parole di Peppino Impastato, scelte per l’esordio di un lavoro work-in-progress, che sta evolvendo attraverso gli incontri, le storie delle persone, la loro integrità morale, al fine di innescare un messaggio di speranza verso il futuro di questo paese. Chi sono i protagonisti? Jvan Baio, Luigi Leonardi, Daniele Ventura che nel corso dei video si evolveranno in “eroi” del nostro tempo.

“Davide e Golia”: il debutto in Germania e tutte le tappe

La prima parte di questo progetto sarà presentata il 4 dicembre 2018 all’Università di Rostock in Germania con la docente, ricercatrice e performance artist Andrea Zittlau e prevede incontri e partecipazioni collettive anche a Roma con una performance al MACRO il 21 marzo, in occasione della Giornata in Ricordo delle Vittime della mafia, a Napoli con il coinvolgimento dell’Accademia di Belle Arti, a New York con il sostegno di Peter Dolloway. Continua a leggere

Joseph Beuys, l’artista che amò l’Italia

Costellazione 2 è la seconda puntata di due esposizioni che raccontano storie e tesori tedeschi rinvenuti a Roma. Il progetto ideato da Giuseppe Garrera e curato insieme a Maria Gazzetti è pensato in primo luogo come un omaggio a Walter Benjamin, alla flânerie, al collezionismo, alle tante storie, ai tanti segni e passaggi di civiltà dispersi, in una metropoli, nei luoghi di scarico, robivecchi, cenciaioli, rigattieri, antiquari.
La nuova puntata è dedicata interamente ai ritrovamenti legati alla figura e all’opera di Joseph Beuys (1921 –1986). Oggetti, manifesti, cartoline, inviti, edizioni, fotografie e segni di affetto dell’artista tedesco testimoniano non solo la diffusione del suo operare e della sua carismatica presenza, ma soprattutto il legame straordinario dell’artista con l‘Italia. Continua a leggere

Uto Ughi al Teatro Bellini di Napoli

Uto Ughi in concerto al Bellini di Napoli

L’Associazione Ouverture inaugura il ciclo di concerti della stagione 2018-2019 con un evento particolarmente prestigioso: il Maestro Uto Ughi, uno dei massimi violinisti in attività, si esibirà in duo insieme al pianista Andrea Bacchetti per presentare al pubblico napoletano il suo ultimo lavoro discografico Note d’Europa
Il programma della serata prevede brani di differente provenienza geografica, perché vuole essere un omaggio alla sterminata tradizione musicale europea, sottolineando che la musica è un linguaggio universale e dunque è collante tra diverse culture.

Nato a Busto Arsizio nel 1944, Uto Ughi ha mostrato uno straordinario talento fin dalla prima infanzia: all’età di sette anni si è esibito per la prima volta in pubblico eseguendo Bach e Paganini. È stato allievo di George Enescu, già maestro di Yehudi Menuhin e, quando aveva appena 12 anni la critica scriveva: «Uto Ughi deve considerarsi un concertista artisticamente e tecnicamente maturo». Continua a leggere

ANSELM KIEFER “Fugit Amor”

Il 28 ottobre 2018, la Galleria Lia Rumma di Napoli inaugura la nuova mostra personale di Anselm Kiefer dal titolo Fugit Amor, che segna il ritorno dell’artista in città. L’amore fugge e gioca con il tempo e la storia, sembra volerci dire Anselm Kiefer. La nota scultura di August RodinFugit Amor, una figura maschile stretta ad una femminile che sembrano essere trascinati da una corrente invisibile, realizzata dall’artista francese alla fine dell’Ottocento in numerosi esemplari a partire da quello destinato all’opera incompiuta della Porta dell’Inferno, viene scelta da Kiefer come una sorta di spirito guida all’interno del suo nuovo progetto espositivo pensato per gli spazi della galleria Lia Rumma e ci accompagna attraverso temi e motivi del suo lavoro, seguendo un percorso cronologico discontinuo fatto da un passato e presente tra loro volutamente confusi. E’ con Rodin che l’anno scorso Kiefer ha stabilito uno dei suoi poetici dialoghi d’autore a distanza, esponendo a Parigi nel Musée Rodin dichiarando: «Mi sento sempre in colpa a dipingere ciò che è rassicurante. I grandi artisti sono iconoclasti. Io so che tutto ciò che affronto contiene contemporaneamente la sua negazione». Per l’artista tedesco che opera come un vate-alchimista alla continua ricerca di nuove forme da contrapporre all’esistente, cercando così di ridisegnare ogni volta un nuovo ordine del mondo, l’atto creativo è sempre un processo in trasformazione. Un non finito su cui ritornare come quello di Rodin e le sue sculture. Dal primo stadio di decomposizione della materia vile,  per gradi verso la realizzazione della pietra filosofale. Ed è da qui che si deve partire per intraprendere il viaggio epistemologico all’interno delle tante opere disseminate nelle varie sale della galleria, cariche di storia e di storie a volte dimenticate, andando incontro all’essenza dell’amore che forse si ritrova in ogni dove. La sala grande è occupata da una serie di vetrine che, come tante capsule del tempocustodiscono materiali eterogenei e organici, quali cenere, ferro, piombo, foglie, terracotta, fiori, piante, che dall’interno verso l’esterno si offrono a più letture. «Il vetro delle vetrine – spiega Kiefer – è in qualche modo una pelle semipermeabile che collega l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica». L’artista ha immaginato una sequenza di connessioni tra gli oggetti posti all’interno delle teche, che sono come sospesi in un limbo, a metà tra ciò che erano e ciò che diventeranno. Sono scatole di vetro che raccontano storie ispirate all’Antico e Nuovo Testamento, come nel caso di  Thermutis – Mosesaperiatur terra et germinet salvatorem.  Ma anche misteriose evocazioni di antichi miti. Per l’artista non c’è differenza tra mito e storia, ha ripetuto più volte. Il risultato è un paesaggio di poetiche rovine che non riproduce integralmente alcun passato e allude invece a una molteplicità di passati, come teorizzato da Marc Augé, che parla di un tempo puro senza storia. La mostra è completata da due opere pittoriche – Aino  e Vainamoinen verliert Aino – che si ispirano al poema epico cavalleresco finlandese Kalevala, scritto nel 1835 da Elias Lönnrot. Sulle tele sono citati passaggi e nomi di alcuni dei protagonisti (il vecchio vate Väinämöinen e la giovane Aino) di quest’opera letteraria che, pur centrata sull’identità costitutiva della comunità finlandese, abbraccia temi storici, mitologici e religiosi universali cari all’artista tedesco. Continua a leggere

Al Madre una conversazione itinerante con Mario Martone

MARIO MARTONE AL MUSEO MADRE

Dal 6 all’8 ottobre visite guidate e una conversazione itinerante con Martone 

Domenica alle ore 17.00 1977 2018. Mario Martone Museo Madre Curator’s Tour. Un appuntamento con il curatore della mostra Gianluca Riccio, che introdurrà il pubblico al progetto e all’opera centrale del percorso espositivo, il film – flusso di circa 9 ore realizzato dal regista basandosi sullo studio dei materiali conservati nell’Archivio Mario Martone, prodotto dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporaneee realizzato con la produzione esecutiva di PAV e con il supporto della Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival.

Visita gratuita; prenotazione obbligatoria.

Lunedì 8 ottobre, alle ore 15.30Walkabout con Mario Martone, condotto da Carlo Infante di Urban Experience: una conversazione itinerante strutturata come trasmissione radiofonica, in cui il regista si racconterà e interagirà con i partecipanti attraverso delle radio – cuffie che verranno loro distribuite. Un’esplorazione partecipata per condividere le suggestioni sia della mostra sia della città con una guida d’eccezione, partendo dal Madre per arrivare al Nest, Napoli Est Teatro (San Giovanni a Teduccio), per seguire le prove di Tango Glaciale Reloaded, che tornerà in scena il 9 e il 10 ottobre con un riallestimento a cura di Raffaele di Florio e Anna Redi. Connettendo la mostra allo spettacolo sarà sviluppato un ideale percorso in cui la carriera di Martone verrà esplorata a partire dai suoi primi lavori e dal legame con l’arte contemporanea, con uno sguardo al futuro attraverso Tango Glaciale ReloadedCapri-Revolution, il suo ultimo film, in concorso alla 75 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, di cui la prima immagine è stata esposta in anteprima proprio al Madre.

Il walkabout di Urban Experience è un format che sollecita il dialogo sincopato con i partecipanti, fornendo suggestioni psicogeografiche e narrazioni originali che arricchiscono l’esperienza della visita museale e urbana.
Visita gratuita (escluso il biglietto per il trasporto in metropolitana); prenotazione obbligatoria.

di Gianluca Riccio

Nel corso del tempo, il percorso di Mario Martone (Napoli, 1959) – articolato tra performance, teatro, cinema, opera lirica, creazione di gruppi e spazi teatrali – è andato formandosi come un arcipelago in cui opere distanti nel tempo, nello spazio e nella forma si trovano a dialogare tra di loro.

La prima performance del gruppo Falso Movimento, fondato da Martone a Napoli nel 1979, si svolgeva nella galleria napoletana di Lucio Amelio. Il film che Martone sta ultimando, e che sarà presentato nell’autunno del 2018, avrà lo stesso titolo di un’opera (Capri-Batterie, una lampadina gialla che idealmente prende energia da un limone), che l’artista tedesco Joseph Beuys realizza con Amelio nel 1985, scenario evocato all’ingresso della mostra con l’immagine di un bosco tratta da una sequenza del film (fotografia di Mario Spada) e alcuni materiali di scena.
Non è un caso quindi che sia il Madre a presentare la prima mostra retrospettiva dedicata a Mario Martone.

Accogliendo la tensione Fluxus che anima la sua ricerca, la mostra è presentata sotto forma di un film-flusso, basato sullo studio dei materiali conservati nell’Archivio Mario Martone e realizzato con la produzione esecutiva di PAV, Roma, e con il supporto di Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia.

Attraverso il montaggio di documenti e filmati inediti, immagini di repertorio, brani di film e riprese di spettacoli teatrali che ne documentano la poliforme attività creativa in un arco storico di quarant’anni, l’esperienza artistica di Martone viene presentata secondo un ordine non cronologico ma evocativo, in cui tutti i segni che raccontano la storia del regista convivono in un rapporto orizzontale di per sé contemporaneo. Proiettato simultaneamente su quattro schermi nella Sala Re_PUBBLICA MADRE, il film-flusso rielabora musealmente la messa in scena di uno spettacolo teatrale di Martone del 1986, Ritorno ad Alphaville, ispirato all’omonimo film di Jean-Luc Godard, e di cui è riproposto l’andamento circolare e la visione simultanea da parte del pubblico. Continua a leggere

A Napoli Sotirios Pastakas

Sotirios Pastakas, per gentile concessione

Martedì 18 settembre 2018, ore 18 a Napoli, all’Istiituto Italiano per gli Studi Filosofici (via Monte di Dio 14, Palazzo Serra di Cassano) incontro-reading, del poeta  Sotirios Pastakas (Grecia).

Introducono: Silvio Perrella e Sergio Iagulli
Con Sotirios PastakasMassimo Mollo (chitarra e voce).Nel suo primo libro tradotto in Italia “Corpo a corpo” (Multimedia Edizioni) si incontrano e scontrano tradizione e modernità, ironia e senso di morte, il dramma del popolo greco e i colori, i profumi, i sapori del Mediterraneo. Un viaggio tra conoscenza dell’animo umano e poesia. Sotirios, ormai pubblicato e premiato in tanti paesi europei e negli Stati Uniti è uno dei più importanti protagonisti del circuito poetico internazionale.

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Giovanni Ibello, (senza titolo)

Giovanni Ibello /credits ph. Dino Ignani

Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale:
la terra rovesciata, il sudario fertile.
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepina.
C’è ancora un intreccio di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
L’estate
una valanga d’aceto sopra i fiori.
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola, non parlare.
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell’acquaio
agli insetti fulminati nell’insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L’incanto di una teleferica,
l’esatto perimetro di un grido.
Tu che muori
in quell’assillo di aranceti
che ritorna.
Era l’affanno antico,
l’anemone del giorno
divelto sopra i silos.

 

Giovanni Ibello, (senza titolo)

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Vincenzo Frungillo, “Testo per due voci e un solo personaggio”

Vincenzo Frungillo

Testo per due voci e un solo personaggio

A.
… che passa da qui con rumore di pieghe,
il fantasma non dorme, ripete la parte,
e le intenzioni, le promesse fatte,
tracimano all’altezza dell’età adulta,

quando la cura delle tazze,
delle ciotole per il latte,
non è eterna, e il rosa non è più rosa.
Tutto ciò che passa da qui

ora è scia silenziosa,
ma muore ciò che muore
con un soffio, un colpo secco;

noi teniamo il passo,
con le spalle, il busto eretto,
abbiamo questo, nient’altro.

Nella chiesa di Santa Chiara
sono annotati uno ad uno,
una targa fa l’elenco dei caduti,
se leggi con attenzione,

tra i morti ci sono anch’io,
sono lì vergato ma vivo;
come un rigattiere apprezzo l’armadio cinese,
le mensole novecento,

oggetti come bivi,
addomesticati, ma vivi;
sente chi usa le parole

se si cala nelle strettoie,
come un filo di rame, un’animella,
sotto la sfera terrestre

bisogna ascoltare ciò che è vero,
forarlo dalla parte del vuoto,
soffiarvi dentro …

Vincenzo Frungillo, Testo per due voci e un solo personaggio

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Luigia Sorrentino, “La squadra”

Luigia Sorrentino / Credits ph. Angelo Nitti

La squadra

nasconde il più profondo inverno
la notte va avanti fino all’alba
a palpebre socchiuse, le lettere di un nome
inciso a colpi d’ago nelle vene
addormentate, rovi selvatici
hanno visto sangue e vomito

la polvere bianca sventra il proprio
antecedente, quello che era prima
delle stelle, nel tempo anteriore
alla città indifferente

seduti in cerchio bruciavano neve
nella carta stagnola, fiammella venerata
laccio emostatico stretto con i denti

morte caduta nelle braccia
crivellate di colpi
presenza terribile nello sterno

degrada il terriccio
dietro le scale della villa comunale
la metamorfosi nella capra
la sola davvero scelta

la squadra compie il rito
l’anestesia recupera la parola rubata
la parola amata

la violenza fondatrice umanizza
il nostro sguardo
conduce su una prospettiva che muta
dallo sfondo
sposta l’immagine in primo piano

allora vedi la giovinezza
nella macchia scurissima che la inghiotte
scendi nelle crepe in cui non sei mai stato
nella ferita che voi non avete mai visto

la grande opera è sola

Luigia Sorrentino, La squadra

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A Napoli, prima personale di Wael Shawky

La prima mostra personale dell’artista egiziano Wael Shawky, inaugura alla Galleria Lia Rumma sede di Napoli,  giovedì 28 giugno 2018.

Il lavoro di Wael Shawky ha origine da ricerche e viaggi intrapresi nel tempo dall’artista nel suo paese natale e si serve delle tecniche e dei media più disparati: dal disegno alla scultura, ma soprattutto film, performance e storytelling, utilizzati per esprimere una poetica che combina elementi tradizionali alla contemporaneità della cultura araba. Con uno sguardo fisso alle vicende odierne, l’artista rilegge i caratteri culturali, religiosi ed artistici della storia medio-orientale, creando realtà terze che vivono e prosperano in un luogo immaginario.

Per la mostra di Napoli Shawky ha realizzato una serie inedita di sculture in bronzo, esposte nello spazio della prima sala, che raffigurano esseri poliformi, con una fisionomia inconsueta ed elaborata. Queste creature mitiche sono presenze antiche o preistoriche, dalle sembianze animalesche, che mutano e si trasformano in città fortificate, in rocche che sormontano aspre pendici, ma anche in piccoli borghi isolati o navi al largo di oceani immaginari. Tali figure fiabesche sembrano richiamare iconograficamente, allo stesso tempo, aspetti della cultura araba, riferimenti della civiltà medievale europea, o creature concepite dalla fantasia degli artisti surrealisti. Continua a leggere

“Corde Oblique” a Palazzo Reale

Nell’ambito delle iniziative del Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio,  il 5 luglio alle 22.00 a Palazzo Reale, Corde Oblique presenta l’ultimo album LIVE Back through the liquid mirror. Il concerto in formazione completa, sarà l’unica data a Napoli per il 2018. L’evento si terrà nel giardino romantico con accesso da Piazza Trieste e Trento.

Annalisa Madonna (voce)
Rita Saviano (voce)
Edo Notarloberti (violino)
Umberto Lepore (basso)
Alessio Sica (batteria)
Riccardo Prencipe (chitarre)

https://www.napoliteatrofestival.it/dopofestival-edizione-2018/

Corde Oblique – “Back through the liquid mirror”
(european edition: Dark Vinyl/Audioglobe – Germany 2018)

(asian edition – CD + DVD – Dying Art Productions – China 2018)

Back through the liquid mirror (Audio / Video release)

“Guardare al passato come qualcosa che pulsa e continua a scorrere”, è questo il concetto base del nuovo album dei Corde Oblique LIVE. La band si è riunita per un giorno in studio di registrazione e ha reinterpretato i classici del proprio repertorio attraverso lo “specchio liquido” del presente, tutto d’un fiato.

L’esibizione è stata audio registrata, ma anche filmata in Full HD. Questa release offre la possibilità a chiunque acquisti l’album di ottenere un link gratuito per guardare in streaming ad alta risoluzione l’intera performance video, intervallata da simpatici momenti di backstage e brevi videointerviste.

Sarà inoltre inviato anche un link per visualizzare un video bootleg del concerto al Wave Gotik Treffen di Lipsia, realizzato dai fan tedeschi.

Basta inviare all’indirizzo info@cordeoblique.com una foto personale dell’album acquistato, o uno screenshot della ricevuta dell’acquisto in digitale.

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A LETTERATURA la poesia di Hikmet e Sarajlic

Nâzım Hikmet

 

Villa Pignatelli eletta Casa della Poesia per il Napoli Teatro Festival Eventi a Napoli, chiude la rassegna di LETTERATURE curata da Silvio Perrella, stasera, sabato 23 giugno 2018. L’appuntamento è alle 19.00.

Massimiliano Gallo legge il poeta bosniaco Izet Sarajlic e il turco Nazim Hikmet, accompagnato dalle musiche di Lautari din Rosiori.

Alla vita

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

Traduzione di Joyce Salvadori Lussu

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A LETTERATURA, Durs Grünbein

Durs Grünbein

Durs Grünbein leggerà le sue poesie stasera, 22 giugno 2018 alle 19.00 a Villa Pignatelli, ospite della  rassegna LETTERATURA a cura di Silvio Perrella del Napoli Teatro Festival, in corso fino al 23 giugno. Qui sotto una delle sue poesie pubblicate da Einaudi nel 2011. Nella stessa serata Paolo Febbraro presenta la sua antologia della poesia italiana intitolata Poesia d’oggi  pubblicata da  Ellot editore.

 

Che serve applicar l’occhio
a una fessura, a che spiare?
Davanti hai sempre croci e cancelli,
un mondo di settori.
A che pro dei binari, se non
per divergere da qualche parte?

 

Was hilft es, das Auge am Schlitz
eines Türspions zu verdrehn?
Man steht immer vor Kreuzen und
Gittern, einer Welt aus Sektoren.
Wozu sind Schienen da, wenn nicht,
irgendwo auseinanderzugehn?

 

Durs Grünbein nella traduzione di Anna Maria Carpi Continua a leggere

A LETTERATURA Adam Zagajewski

Adam Zagajewski

Stasera a Napoli a Villa Pignatelli alle ore 19, La rassegna Letteratura del Napoli Teatro Festival Italia, a cura di Silvio Perrella, accoglie un intervento di Daniele Piccini sulla “lussureggiante e misteriosa produzione della poesia italiana degli ultimi cinquant’anni”.

A seguire, in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, l’incontro con il poeta e scrittore Adam Zagajewski.

Introducono Marta Herling, segretaria generale dell’Istituto Croce e figlia dello scrittore polacco Gustaw Herling e Andrea De Carlo che insegna Letteratura polacca all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”.

Prova a cantare il mondo mutilato

Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce
e ritorna.

Adam Zagajewski

da “Dalla vita degli oggetti” – Poesie 1983-2005”, Adelphi, 2012, nella traduzione di Krystyna Jaworska

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Video-Intervista a Nanni Cagnone

Napoli, 14 giugno 2018
Teatro Festival Italia
Direzione artistica di Ruggero Cappuccio

In occasione di LETTERATURE  la rassegna curata da Silvio Perrella a Villa Pignatelli,  Luigia Sorrentino ha intervistato il poeta e scrittore Nanni Cagnone. Nato nel 1939 a Carcare, in provincia di Savona,  Cagnone da sedici anni vive a Bomarzo, vicino Viterbo  con la compagna Sandra Holt. “Dites-moi, Monsieur Bovary” e “Ingenuitas” sono le sue due ultime pubblicazioni. Autore prolifico, Nanni Cagnone ha scritto numerosi libri di poesia, saggi, testi per il teatro e racconti. Poeta solitario e appartato, definito da Antonio Gnoli “uomo dalla consistenza volatile… quasi un fantasma”, Cagnone non appariva in un incontro pubblico da dieci anni. Nell’intervista il poeta ligure racconta di molti altri poeti da lui incontrati: quelli del Gruppo ’63, Sanguineti,  Balestrini, Porta, ma anche Franco Fortini e Amelia Rosselli. Il più importante per lui, Emilio Villa. Continua a leggere

Trilogia “Il seme della tempesta”

IL SEME DELLA TEMPESTA

Trilogia dei Giuramenti
1. Discorso ai vivi e ai morti
2. Non ancora, eppure già
3. Giuramenti

scene, luci e regia Cesare Ronconi
testi Mariangela Gualtieri
con Mariangela Gualtieri per Discorso ai vivi e ai morti
e con Arianna Aragno, Elena Bastogi, Silvia Curreli, Elena Griggio, Rossella Guidotti, Lucia Palladino, Alessandro Percuoco, Ondina Quadri, Piero Ramella, Marcus Richter, Gianfranco Scisci, Stefania Ventura
e gli allievi del laboratorio Valdoca per NTFI18: Carmine Bianco, Francesco Dell’Accio, Chiara Di Bernardo, Germana Di Marino, Chiara Ferronato, Gaia Ginevra Giorgi, Antonella Liguoro, Sebastian Marzak, Jonas Moruzzi,
Vittorio Pissacroia, Tullia Primultini, Riccardo Santalucia, Leonardo Sbabo, Francesca Somma, Emma Tramontana, Maria Teresa Vargas, Claudia Veronesi, Laura Villani, Carlo Ying, Anna Zuppiroli

drammaturgia del movimento: Lucia Palladino
guida al canto: Elena Griggio
suono della prima parte ideato ed eseguito da: Enrico Malatesta,
in collaborazione con Attila Faravelli
costumi: Cristiana Suriani, oggetti di scena: Patrizia Izzo, proiezioni: Cesare Ronconi
macchinerie: Maurizio Bertoni, sculture in ferro: Francesco Bocchini, collaborazione alle luci: Stefano Cortesi,
service audio: Andrea Zanella, Michele Bertoni
cura e ufficio stampa: Lorella Barlaam
amministrazione: Cronopios SAS
produzione: Teatro Valdoca
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival
con il contributo di: Regione Emilia-Romagna, Comune di Cesena
per Giuramenti anche con la collaborazione di L’arboreto-Teatro Dimora di Mondaino, Teatro Petrella di
Longiano e il contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

Teatro Bellini Napoli
8, 9, 10 giugno

Ora che la parola vana dà così abbondante spettacolo, bisogna tentare in teatro una parola sacramentale. Abitare lì dove la parola viene rimessa nella vita, nel tentativo di dotarla di nuovo delle proprie potenze. Per questo occorrono i corpi, con la loro energia danzata, il canto, e tutta la forza della scrittura registica che in qualche modo doma, zittisce e potenzia quella parola. Continua a leggere

Romina De Novellis torna a Napoli con “Gradiva”. L’artista sarà a “Mezzogiorno Italia” la trasmissione di Rai 3 sabato 19 maggio 2018

GRADIVA
Romina De Novellis
9 maggio – 9 settembre 2018

Inaugurazione mercoledì 9 maggio ore 18.00

Dopo il progetto artistico “La Sacra Famiglia” l’artista Romina De Novellis torna nuovamente a Napoli con GRADIVA la performance a cura di Lèa Bismuth prodotta dal centro di produzione di arte contemporanea LABANQUE di Béthune- coordinata dalla DAFNA Home Gallery, in collaborazione con il Parco archeologico di Pompei e l’Accademia di Belle Arti di Napoli e con il sostegno della Galleria Alberta Pane e di Kreemart.

A partire dal 9 maggio nei prestigiosi spazi della DAFNA Gallery saranno esposte 7 foto di grande formato ed il video, elementi espositivi, tracce che narrano al pubblico la performance messa in atto nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 2017 all’interno del Parco Archeologico di Pompei da Romina De Novellis, GRADIVA, l’allegoria dell’essere umano che trasporta, tra le rovine, la carcassa di se stesso lungo la tortuosa strada dell’esistenza. L’artista trascina a mano un grande carro di legno su cui è adagiato il calco in gesso del proprio corpo, che rimanda direttamente ai calchi di Pompei, mentre sullo sfondo si ergono le antiche rovine della città sepolta nel pieno della propria vitalità, in un percorso che si snoda attraverso le strade dove sorgevano le ville, le abitazioni comuni, le antiche botteghe, i luoghi di ristoro e gli spazi dedicati al culto. Continua a leggere

Juan Vicente Piqueras all’Istituto italiano per gli studi filosofici

NAPOLI, MARTEDÌ 24 APRILE 2018  ore 18:30
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14 – Palazzo Serra di Cassano

con

JUAN VICENTE PIQUERAS 

Ferdinando Gandolfi (strumenti a fiato)
Andrea Sensale (chitarra)
Massimiliano Del Gaudio (percussioni)
introducono
Silvio Perrella e Sergio Iagulli

________

 

VÍSPERA DE QUEDARSE

Todo está preparado: la maleta,
las camisas, los mapas, la fatua esperanza.

Me estoy quitando el polvo de los párpados.
Me he puesto en la solata
la rosa de los vientos.

Todo está a punto: el mar, el aire, el atlas.

Sólo me falta el cuándo,
el adónde, un quaderno de bitácora,
cartas de marear, vientos propicios,
valor y alguien que sepa
quererme como no sé hacerlo yo.

El barco que no esiste, la mirada,
los peligros, las manos del asombro,
el hilo umbelical del horizonte
que subraya estos versos suspensivos…

Todo está preparado: en serio, en vano.

da VOGLIA DI RESTARE

Tutto è pronto: la valigia,
e camicie, le mappe, la vana speranza.
Tolgo la polvere dalle palpebre.
Ho messo all’occhiello
la rosa dei venti.

Tutto è a posto: il mare, l’aria, l’atlante.

Mi manca solo il quando,

il dove, un diario di bordo,
carte delle maree, venti a favore,
coraggio e qualcuno che sappia
amarmi come non so fare io.

La nave che non esiste, lo sguardo,
i rischi, le mani della meraviglia,
il filo ombelicale dell’orizzonte
che sottolinea questi versi sospesivi…

Tutto è pronto: davvero, invano.
(trad. di Raffaella Marzano)

“Juan Vicente Piqueras è uno dei poeti che accorrono in mio aiuto quando mi accingo a scrivere. Mi nutro della sua freschezza, della sua musicalità, e mi diverto. E non esiste cosa più seria dello humour con cui circonda le sue poesie, perché con esso rivela una visione generosa della vita, di quella vita che i Poeti sono condannati a cantare” lo descrive così lo scrittore Luis Sepúlveda.

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