Milo De Angelis presenta in Francia la sua opera di poeta

Milo De Angelis e Viviana Nicodemo

RENCONTRE AVEC DE MILO DE ANGELIS

Jeudi 23 février à 18h30

Institut Culturel Italien (Loft) – 18 rue François Dauphin – 69002 LYON

Présentation en italien des oeuvres de Milo De Angelis avec la participation d’Alberto Russo Previtali, modérateur. Lectures en italien et en français par Viviana Nicodemo, actrice, et par Sylvie Fabre, traductrice.

Vendredi 24 février à 14h00

Lycée Saint Marc – 1000 rue de Vernay, 38300 Nivolas-Vermelle

Présentation en italien des oeuvres de Milo De Angelis avec la participation d’Alberto Russo Previtali, modérateur. Lectures en italien et en français par Viviana Nicodemo, actrice.

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Milo De Angelis presenta a Milano la sua traduzione del “De Rerum Natura” di Lucrezio

Giovedì 16 giugno, ore 19:30 alla  Casa della Poesia di Milano (via Formentini 10) presentazione di LUCREZIO a cura di Milo De Angelis. Con Vincenzo Frungillo, letture di Viviana Nicodemo. 

La traduzione di Milo De Angelis del De rerum natura di Lucrezio – da poco uscita nella collana dello Specchio Mondadori – verrà presentata da Vincenzo Frungillo, poeta da sempre vicino al mondo classico, mentre l’attrice Viviana Nicodemo leggerà un’ampia scelta di brani, che mettono in luce alcuni temi centrali di questo immenso poema: la potenza della natura, il vortice degli atomi, l’indifferenza degli dei, la novità del messaggio epicureo, la condizione umana, le malattie e la peste di Atene, di cui Lucrezio fa un ritratto sconvolgente e attualissimo alla fine dell’opera.

L’incontro si propone di mostrare ancora una volta l’inesauribile presenza di questo poeta solitario e misterioso, di cui non sappiamo quasi nulla, vissuto nel primo secolo A.C. e poi dimenticato con l’avvento del Cristianesimo.

Dopo la scoperta del suo manoscritto, avvenuta nel 1417 a opera dell’umanista toscano Poggio Bracciolini, Lucrezio non ha cessato di lasciare un’impronta duratura nell’arte e nella letteratura dei secoli successivi – da Botticelli a Tiziano, a Tasso a Shakespeare, all’Illuminismo, a Shelley, Foscolo, Leopardi, fino all’esistenzialismo di Sartre e di Camus e alle correnti più vive e appassionate del pensiero contemporaneo.

Milo De Angelis, “De Rerum Natura”

Giovedì 16 giugno, ore 19:30 Alla Casa della Poesia di Milano presentazione di Lucrezio a cura di Milo De Angelis.

Il De rerum natura, uno dei capolavori della letteratura latina, è opera ricchissima di temi ed episodi, che vengono affrontati con la violenza espressiva tipica di questo autore misterioso, Tito Caro Lucrezio, di cui si è persa ogni notizia biografica. Tutti noi ricordiamo per memoria scolastica le formidabili scene in cui la natura su manifesta in tutta la sua catastrofica potenza: voragini, incendi, uragani, terremoti, forza immense che sovrastano l’uomo e lo schiacciano, povera canna al vento.

Ma il De rerum natura è anche un trattato sulla vita degli animali, delle piante e del cosmo intero ed è un libro in cui l’uomo viene scrutato in ogni suo aspetto: fisiologico, psichico, morale, con affondi mirabili nelle zone più buie e drammatiche della sua vita interiore, come vediamo nelle pagine del quarto libro dedicate all’amore, tra le più crudeli che siano mai state scritte su questo tema grandioso.

Letture di Viviana Nicodemo

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Milo De Angelis, “Ritorno”

Pubblichiamo in esclusiva un estratto da : Ritorno, di Milo De Angelis, pubblicato con Vallecchi (Firenze) nel 2022.

Inconfondibile la voce del poeta che affronta il questo fondamentale volume il tema del ritorno come atto conoscitivo (discesa agli inferi) e di mutamento del sé.

OMERO

IX SECOLO A.C.

 

Partiamo dunque da Omero, leggendo il celebre episodio di Argo, nel diciassettesimo canto, che ho cercato di tradurre e di restituire alla tensione sentimentale che lo percorre, persino elegiaca, insolita in Omero.

Ulisse sta per varcare la soglia della reggia. Nessuno l’ha riconosciuto, finora, E anche più tardi le creature umane faranno fatica a riconoscerlo, chiederanno una prova, una garanzia, un segno, una vecchia cicatrice.

Argo no. Argo lo riconosce immediatamente. Ma non riesce a mostrarlo. È talmente grande la sua emozione da creare una paralisi, un blocco, un’assoluta incapacità di camminare e andargli incontro.

Riesce solo a muovere la coda e resta fermo lì, in quel mucchio di letame, pieno di pulci e dimenticato da tutti. Argo è attraversato da una dolcezza infinita e da un infinito dolore.

Muore così, all’ingresso della reggia, nel momento stesso in cui Ulisse varca la soglia, e la sua morte conduce alla rinascita del padrone.

Sono due nell’Odissea, le sentinelle del ritorno, come ha scritto la grande grecista Maria Grazia Ciani, e nessuna delle due è creatura umana.

Sono due: un povero cane dimenticato da tutti e un arco.

Il cane resta muto e esalando l’ultimo respiro restituisce il respiro a Ulisse.

L’arco, oggetto inanimato, si rianima tra le mani del legittimo proprietario e sembra quasi riconoscerlo, come uno strumento musicale che riconosce la mano antica e tanto amata (“toccò con la mano destra la corda, dice Omero, ed essa emise un suono bellissimo, come la voce di una rondine“).

Ecco dunque che il tema del ritorno si connette qui a un altro grande tema che percorre tutta la letteratura occidentale, ossia il tema del riconoscimento, (anagnòrisis) un tema che troviamo tante volte nella tragedia greca (Oreste e Ifigenia, Elena e Menelao), e poi in Dante e Shakespeare, nel Conte di Montecristo, nel Fu Mattia Pascal.

La bellezza di tale anagnòrisis e la sua forza amorosa sprigionata nel mondo mi spingono a pensare che ci sia un segreto legame tra il riconoscimento e la riconoscenza: dobbiamo essere grati a ciò che ci consente, una volta riconosciuto, di percorrere passo dopo passo i sentieri del nostro destino.

(Milo De Angelis)

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Milo De Angelis presenta a Milano Sylvia Plath

Sylvia Plath e Ted Hughes

Giovedì 12 maggio, alla Casa della Poesia di Milano alle ore 19:30  serata di poesia su Sylvia Plath a cura di Milo De Angelis.

Sylvia Plath è una poetessa geniale, capace di associazione violente e inattese, capace di unire cose che sembravano lontane e che invece attraverso la sua voce si scoprono congiunte da un legame segreto.

Proponiamo in questo incontro alcune testimonianze che riguardano l’ultimo periodo della vita di Sylvia Plath. Sono poesie, soprattutto, ma anche brani dell’epistolario – in particolare le lettere alla madre – e un testo del marito Ted Hughes a lei dedicato.

Presentazione di Paola Loreto
Letture di Viviana Nicodemo
via Formentini 10 – ingresso libero Continua a leggere

Il “De rerum natura” nella traduzione di Milo De Angelis

A N T E P R I M A      E D I T O R I A L E

 

Il 10 maggio 2022 esce nelle librerie italiane un grande classico del pensiero e della letteratura: il DE RERUM NATURA di LUCREZIO (Mondadori, 2022) interpretato e riscritto da uno dei maggiori poeti del nostro tempo, Milo De Angelis.

Una traduzione attesissima, che ci permette di tornare a Lucrezio con una versione che ricrea fedelmente lo spirito e la tensione interna dell’esametro lucreziano come non era mai accaduto prima, con tanta poetica adesione.

Estratto dalla Prefazione
di
Milo De Angelis

Questa traduzione nasce da un lungo sodalizio con Lucrezio, che ha accompagnato tutta la mia vita: dalla tesina di Maturità al rapporto con il latinista Luciano Perelli, alle pubblicazioni scolastiche, alla rivista “Niebo”- che a Lucrezio ha dedicato un numero nel 1978 – e alle varie traduzioni apparse negli anni: un lungo tragitto fatto insieme, tante strade percorse e tante visioni comuni, quasi delle nozze poetiche, con promesse solenni, contrasti, riprese, abbandoni, ritorni.

D’altronde Lucrezio non ha un carattere facile, come è noto. È un uomo aspro, polemico, intransigente – caso raro tra i latini, che tendono spesso a una humanitas colloquiale – e appartiene invece alla razza dei grandi solitari, come Nietzsche o Campana, uomini che alla poesia hanno chiesto tutto, si sono assunti il rischio di una domanda totale e hanno fatto della poesia una questione di vita o di morte: non quindi un gioco o un esperimento ma una parola decisiva.

Di lui non sappiamo quasi nulla. Non sappiamo dove è nato, dove ha vissuto, cosa ha fatto nella sua vita. Questo può apparire sorprendente nel primo secolo avanti Cristo, il secolo d’oro della letteratura latina, il secolo di Orazio e Cicerone, ampiamente documentato dalla storiografia. Ma in fondo non c’è troppo da stupirsi. Lucrezio è un uomo isolato, un uomo fuori dalle dispute culturali del suo tempo, lontano dai circoli letterari e dall’eleganza dei neoteroi.

Lucrezio non è al passo con i tempi. Non parla con i poeti contemporanei, non entra nei luoghi mondani del “dibattito”. È un uomo fuori tempo, fuori modo, fuori luogo. Non si rivolge ai vicini di casa ma agli antichi, ai grandi sapienti greci che si sono interrogati perì physeos: sulla natura delle cose, appunto.

Parla con Eraclito, Anassagora, Empedocle, Epicuro, parla con coloro che sono stati la sorgente del pensiero e hanno lanciato una staffetta poetica lungo i secoli, hanno fatto viaggiare un testimone, un bastoncino di legno che passa da una mano all’altra, da una mente all’altra.

 

Il dolore della giovenca (II, 352-366)

 

Nam saepe ante deum vitulus delubra decora
turicremas propter mactatus concidit aras
sanguinis exspirans calidum de pectore flumen.
At mater viridis saltus orbata peragrans
quaerit humi pedibus vestigia pressa bisulcis,
omnia convisens oculis loca si queat usquam
conspicere amissum fetum, completque querellis
frondiferum nemus adsistens et crebra revisit
ad stabulum desiderio perfixa iuvenci,
nec tenerae salices atque herbae rore vigentes
fluminaque illa queunt summis labentia ripis
oblectare animum subitamque avertere curam,
nec vitulorum aliae species per pabula laeta
derivare queunt animum curaque levare:
usque adeo quiddam proprium notumque requirit.

 

Il dolore della giovenca (II, 352-366)



Sovente, davanti agli splendidi templi degli dei,
ai piedi degli altari dove brucia l’incenso, si accascia un vitello
sacrificato e un fiume caldo di sangue gli esce dal petto.
La madre a cui è stato strappato percorre i verdi pascoli
cerca di trovare per terra l’impronta dei suoi zoccoli,
posa dappertutto il suo sguardo, spera con tutte le forze
di scorgere da qualche il figlio perduto. Resta immobile
alle soglie del bosco, lo riempie dei suoi lamenti disperati,
in preda all’angoscia torna indietro a cercarlo nella stalla.
Né i teneri salici né l’erba ricca di rugiada né i suoi amati
corsi d’acqua che scorrono a filo delle rive possono consolare
il suo cuore o scacciare la sua sofferenza improvvisa
e neppure la vista degli altri vitelli nei pascoli fecondi
riesce a distrarre il suo animo o alleviare la pena: lei cerca
l’unica creatura che conosce davvero, la sua!

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A un anno dalla scomparsa, Milano ricorda Majorino

Giancarlo Majorino

Serata “GIANCARLO MAJORINO”
a cura di Amos Mattio

 

Giovedì 2 dicembre 2021, alle 19:30, alla Casa della Poesia di Milano (nuova sede in via Formentini 10) omaggeranno il poeta e l’amico Giancarlo Majorino: Giusi Busceti, Milo De Angelis, Tomaso Kemeny, Angelo Lumelli, Amos Mattio e Mario Santagostini.

Viviana Nicodemo leggerà dalle “Ricerche erotiche”.

Giancarlo Majorino è stato poeta, fondatore e Presidente dalla Casa della Poesia di Milano fino alla sua scomparsa, nel 2021.

– DIRETTA YOUTUBE “PREMIERE: https://youtu.be/CHK01Zpvf9M

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Omaggio a Franco Loi

Franco Loi

C  O  M  U  N  I  C  A T  O      S  T  A  M  P  A

 

Riapre il 4 novembre 2021 in presenza la Casa della Poesia di Milano con una lettura dedicata a Franco Loi.

Come sempre l’ingresso è libero, ma a causa delle misure di sicurezza anti-covid, i posti sono limitati, per cui per partecipare alla serata, sarà necessaria la prenotazione.

L’evento sarà trasmesso in streaming sul Canale Youtube della Casa della Poesia di Milano.

Giovedì 4 novembre 2021, ore 19:30 – LABORATORIO FORMENTINI – Franco Loi e l’infinita giovinezza

a cura di Milo De Angelis

Omaggio a Franco Loi, con una scelta di poesie dal primo capitolo de “L’angel”.

Letture di Viviana Nicodemo    Continua a leggere

Milo De Angelis al Festival Letterature

Milo De Angelis/ Credits ph. Viviana Nicodemo

Oggi, sabato 24 luglio alle 21:00 il poeta Milo De Angelis aprirà la quarta serata del Festival Internazionale di Roma, Letterature. A seguire i racconti di Mario Desiati, Muriel Barbery, Nathalie Léger e Assaf Gavron.

Completamente rinnovato il Festival a cura di Andrea Cusumano e Lea Iandiorio con la regia di Fabrizio Arcuri, torna per la sua Ventesima edizione nella ambientazione dello Stadio Palatino. La serata conclusiva di domenica 25 luglio inizierà con la riflessione “a braccio” di Erri De Luca, a seguire i racconti di Erri . Concluderà la serata e chiuderà il Festival l’intervento di Stefano Massini.

Qui l’intero programma del Festival.

Il tema di Letterature: “Leggere il mondo” attraverso gli interventi di poeti e scrittori, ma anche di altre voci, non solo della letteratura e della poesia.

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Milo De Angelis, “Poesia e destino”

NOTA INTRODUTTIVA DI MILO DE ANGELIS

Perché ristampare queste mie vecchie pagine? Perché da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro – intatto, quasi intoccabile dal tempo – e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre. Molti temi di Poesia e destino sono quelli che mi scuotono ancora oggi: la tragedia, l’eroismo, l’adolescenza, il mito, il gesto atletico. Ma il tono è un altro. Il tono è furente, perentorio, imperativo, dà sempre l’impressione di un ultimatum che io pongo a me stesso e a chi mi legge. E’ come se da lì a poco dovesse scaturire una sentenza senza appello, l’ultimo grado di un processo dove si gioca la condanna o la salvezza. E questo tono guerresco circola nel sangue di una sintassi verticale, scoscesa, rapidissima, piena di strappi e impennate, la stessa di Millimetri, per intenderci, che è stato scritto nei medesimi anni. Ora non potrei nemmeno immaginare quella corsa sulle macchine volanti della parola. Me ne sono accorto trascrivendo il libro in un file per necessità editoriali. A volte ero pienamente d’accordo con me stesso, felice di essere rimasto fedele alle grandi passioni giovanili. Ma molto più spesso non capivo, letteralmente, il nesso troppo segreto tra due termini o due affermazioni. Dovevo leggere e rileggere, farmi aiutare dall’insieme della pagina.

E tuttavia questa antica furia mi piaceva e mi piace ancora adesso. E forse può colpire chi legge Poesia e destino in questo tempo. Specialmente se ricorda cosa erano quegli anni – il libro è stato scritto di getto nell’estate del 1981 – dove dominavano le scritture sociali alla ricerca di immediato consenso e dove alcune strade notturne erano sentite vicine alla follia e venivano frequentate con circospezione, divieti di transito e di sosta. D’altra parte erano ancora sconosciuti alcuni autori che hanno nutrito queste pagine – da Maurice Blanchot a Paul Celan, da Ion Barbu a Marina Cvetaeva – e con quelli più noti, con Nietzsche o Rimbaud, non era ammessa una simile intimità, un’adesione così gridata da sembrare fratellanza.

Il libro è diviso in tre parti, come vedrete. La prima riguarda i nomi suddetti, con particolare insistenza sullo sfondo greco in cui sono situati. Quella successiva – la mia preferita – è una riflessione ad alto tasso metaforico sul tema dell’impresa, dell’eroismo solitario e del pericolo mortale che ci nomina e ci azzanna. La terza percorre l’immenso universo indiano, cercando un arduo punto di contatto tra i suo Assoluti e l’unicità della singola voce. Ma in tutte e tre circola l’alta tensione di cui dicevo prima, perché la vera poesia naviga in mare aperto e prima o poi dovrà interrogarsi sulle ragioni che l’hanno spinta a veleggiare, sul porto che ha lasciato, su quello che l’attende, sul naufragio che all’improvviso può cancellarla.

ottobre 2018 Continua a leggere

Alla Casa della Poesia di Milano con Milo De Angelis e Viviana Nicodemo per rivivere gli ultimi giorni di vita di Sylvia Plath

Milo De Angelis e Viviana Nicodemo

Evento a cura di Milo De Angelis, organizzato dalla Casa della Poesia di Milano, 10 giugno 2021, 19:30 –  voce recitante Viviana Nicodemo.

La serata sarà trasmessa sul canale Youtube della Casa della Poesia di Milano.

INTRODUZIONE DI MILO DE ANGELIS

Proponiamo questa sera alcune testimonianze che riguardano l’ultimo periodo della vita di Sylvia Plath. Sono poesie, soprattutto, ma anche brani dell’epistolario – in particolare le lettere alla madre – e un testo di Ted Hughes a lei dedicato e intitolato Lo sparo, tratto dal suo libro Lettere di compleanno. Qui siamo nel 1962 e all’inizio del 1963. Qui siamo vicini alla morte, se pensiamo che Sylvia Plath si uccide con il gas lunedì 11 febbraio del 1963.

Qui tutto parla di morte. Ma anche di poesia, Ma anche di perfezione. Morte, poesia, perfezione. Un trittico potente e antico, un trittico che viene dal mondo classico. Si direbbe che proprio sulle soglie del disastro, sull’orlo del baratro la poesia della Plath raggiunge il suo culmine. L’alto e il basso si congiungono. La vetta e il precipizio coincidono. Il sublime e la caduta tra le rocce si stringono in un patto inviolabile, in un’alleanza finalmente raggiunta. Mai la poesia di Sylvia Plath era stata così perfetta. Mai era stata così perentoria, così definitiva, capace di congiungere la vita e la morte, le immagini di un’infinita, trepidante bellezza con le forze oscure e spettrali della fine, la potenza di un fiore con il cadavere dei bambini acciambellati, l’alba dei fiordalisi e i papaveri di ottobre con il sapore aspro del Talidomide.

Sylvia Plath appare qui come una guardiana dell’Ade, una sacerdotessa della Morte, una figura sacrificale che rinuncia alla sua esistenza personale per avere in cambio la perfezione di un verso, che si distrugge come essere umano per rinascere come poeta, per giungere a noi soltanto come poeta, come parola compiuta e impeccabile. E questi versi hanno la forza allucinata di un congedo che da una parte è netto, secco, ultimativo – non c’è mai nulla di patetico nei congedi della Plath – ma dall’altra porta con sé tutte le presenze palpitanti della vita intravista e perduta.

Dopo il naufragio, Sylvia non ha voluto raggiungere a nuoto la riva ancora una volta, non ha voluto sfuggire ancora una volta alla morte che la spiava fin da quando era bambina. Il mosaico si è frantumato, la persona chiamata all’anagrafe Sylvia Plath, trent’anni, nata a Boston sotto il segno dello Scorpione, la persona Sylvia Plath si è spaccata in mille frammenti, la sua anima non ha retto gli urti violentissimi della sorte.

Viviana Nicodemo in un frame della sua lettura, drammatica e indimenticabile di Sylvia Plath, 10 giugno 2021

 

Il colpo di scure si è abbattuto sul vetro fragile di una giornata. Ma le tessere di questo mosaico, ciascuna di queste tessere è diventata una parola, un’immagine saettante capace di restituirci un’altra verità che non è più soltanto quella di una vita dolorosa ma che, passando attraverso questo dolore, è diventata la bellezza rivelatrice della sua poesia.

Poesia che ora ascolterete nella traduzione di Anna Ravano.

La voce è quella di Viviana Nicodemo. Continua a leggere

L’ “Odissea” di Kazantzakis, evento on-line

Giovedì 20 maggio 2021 – 19:30

L’ “Odissea” di Kazantzakis – memory lane + anteprima (80′)

LINK PER DIRETTA VIDEO: https://youtu.be/MS3L729RQW0

La serata di oggi, 20 maggio 2021, organizzata dalla Casa della Poesia di Milano è a cura di Milo De Angelis.
Voce recitante: Viviana Nicodemo.
Sarà presente Nicola Crocetti.

In occasione della sua uscita in volume (Crocetti, 2020), riproponiamo la serata del 15 maggio del 2019, in cui Milo De Angelis presentava l’”Odissea” di Nikos Kazantzakis nella traduzione di Nicola Crocetti, che ha lavorato per molti anni a questo magnifico poema dello scrittore greco (autore tra l’altro di “Zorba il greco”) e ora finalmente è giunto al termine di questa impresa titanica.

L’”Odissea” di Kazantzakis, pubblicata per la prima volta nel 1938 e composta di 24 canti – come le lettere dell’alfabeto greco e come i poemi omerici – è ricchissima di invenzioni linguistiche e neologismi che hanno fatto disperare tutti i traduttori del mondo. Ma in compenso ci immerge in una scena epica grandiosa, rinnovando fin dalla radice il suo protagonista, Ulisse: tornato a Itaca e annoiato dalla monotona atmosfera del luogo, egli riprende il suo infinito viaggio e cerca un nuovo significato per la sua vita e per la nostra.
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L’eterno ritorno di Milo De Angelis

Milo De Angelis / credits ph. Fabrizio Fantoni – Serralunga di Crea, Monferrato, gennaio 2020

L’ultima stazione

Su Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis

di Fabrizio Fantoni

Basta con le lacrime, vecchio imbroglione!
Smettila di piagnucolare, hai vissuto tanti anni e non ne hai afferrato uno solo, hai desiderato sempre ciò che non potevi avere. La vita ti è passata vicino e adesso la morte, la grande sconosciuta si è posata sulla tua fronte. Forza, devi sbrigarti, devi arrenderti al tempo, devi morire.

Questo frammento del terzo libro del De Rerum Natura di Lucrezio nella traduzione di Milo De Angelis potrebbe costituire un valido commento all’ultimo libro di poesie dello stesso De Angelis  Linea intera, linea spezzata (Mondadori, 2021).

Vi è, infatti, una corrispondenza fra l’opera di Lucrezio, (che Milo sta sistematicamente traducendo da molti anni) e l’ultima produzione poetica di De Angelis. Questo lavoro quindi, è testimonianza di un antico sodalizio artistico, un dialogo a distanza mai interrotto fra due maestri che ora trova una concreta e definitiva forma.

È tardi, siamo all’ultima fermata. La vita è passata accanto e al poeta non resta che prolungare l’attimo, fermarsi sul limite per l’ultimo saluto, l’ultimo colloquio, l’ultimo sguardo, per vedere ancora una volta la pioggia cadere…

Il confine che separa l’essere ancora e il non essere più, è breve, fragile, eppure, in questo spazio infinitesimale, mai la vita è stata più vera. Su questo margine che divide ed attrae il poeta rivolge lo sguardo in se stesso per ritrovare la verità e la bellezza di una vita che ora, solo ora per la prima volta, è solamente vita, esistenza che si srotola di fronte ai suoi occhi e gli rivolge lo stesso interrogativo che Lucrezio pone nel secondo libro del De Rerum Natura: “Ti basta questo, ti basta questo spettacolo per guarire la tua anima folle di paura, ti basta questo?”.

In questa domanda è racchiuso il nucleo tematico attorno al quale ruota Linea intera, linea spezzata e, al tempo stesso, la ragione per cui queste poesie sono state scritte. Continua a leggere

Le fragili esistenze di Milo De Angelis

NOTA DI LETTURA DI MASSIMILIANO MANDORLO

Lì, sulla linea di confine “tra la gioia e il grumo più buio”, si muovono le creature notturne del nuovo libro di Milo De Angelis. Qualcosa di oscuro e segreto preme dietro l’apparente ritmo più disteso di questi testi, irrompe sulla scena congiungendo la biografia terrestre a un respiro cosmico, universale: “Tutto è come sempre / ma non è di questa terra e con il palmo della mano / pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono / sulle rotaie”.

Tornano i luoghi familiari alla poesia di De Angelis: la Milano notturna dei tram e dell’Idroscalo, dei bar e della periferia con “l’infilata dei grattacieli che sembrano / una barriera corallina” e poi gasometri abbandonati, parcheggi e piscine, aule liceali dove si consumano “gloriose avventure terrestri”.

C’è nel gesto atletico, pindarico, dell’atleta sui blocchi di partenza o del tuffatore pronto per il salto una forza che illumina quel segmento di tempo e lo proietta nelle profondità di un altro tempo: “dovevo tornare / per un oscuro richiamo dei luoghi, per questo / rettangolo azzurro e per i suoi cinquanta metri […] per il tuffo /che illumina laggiù la piattaforma e il doppio avvitamento”.

Così, come in una sequenza cinematografica, in Sala Venezia l’occhio del poeta inquadra i passi al rallentatore di un uomo appena entrato in una sala da biliardo, si sofferma sui movimenti e sulle parole pronunciate, sul tavolo da gioco su cui va in scena l’attimo decisivo di una vita intera: “sorridi e ti acquieta il panno verde / come un prato dell’infanzia, ti acquietano i bordi / di legno che ora contengono il tuo evento / e la forza centripeta conduce l’universo / in un solo punto illuminato”. Il poeta se ne sta lì, come un mendicante o un eremita, a raccogliere “gli emblemi dell’inizio e della fine” come frammenti dispersi, linee intere o spezzate delle fragili esistenze che abitano il mondo.

Sono le linee di forza, continue o interrotte, che compongono il Libro dei mutamenti cinese, qui immagine e simbolo delle numerose vite che si agitano sospese “nel brivido del tempo”, ai bordi della vertigine.

È in questa spaccatura che abita la poesia di De Angelis, tra le ripetizioni e i continui andare a capo che frantumano il respiro del verso e lo tendono fino a un punto finale, assoluto: “e ora io mi fermo in un luogo / qualsiasi e lo riempio di purissima benzina, / la benzina che amavo da bambino ai distributori / della A7, e chiudo in ventidue metri quadrati / il mio episodio”.

Aurora con rasoio è il titolo dell’ultima, intensa sezione del libro in cui il poeta, navigando controcorrente, affronta un tema così controverso e innominabile come quello del suicidio.

Lontana da ogni passione o interesse sociale, la poesia di De Angelis compie uno scavo nelle profondità abissali dell’esistenza, anche a costo di compiere un’ulteriore tappa di questo viaggio al termine della notte.

Quando “la luna non concorda” più con il “battito terrestre” non c’è più nessun commento o parola possibile, ma un grande silenzio scende sulle vicende terrestri di chi ha già visto troppo “della vita e dei suoi sotterranei”. Continua a leggere

Milo De Angelis, “Questo mio sempre”

Milo De Angelis, Credits ph. Viviana Nicodemo

Avevamo pubblicato in Anteprima Editoriale, il 10 giugno 2020 all’interno del progetto Catena Umana/ Human Chain la poesia inedita di Milo De Angelis, Nemini, che apre la sua nuova raccolta di versi, Linea intera, linea spezzata (Mondadori, 2021) uscita oggi, 26 gennaio in tutte le librerie italiane.

Ci sembra giusto proporre adesso la poesia che chiude il libro, Il penultimo discorso di Daniele Zanin, un canto a una sola voce, una monodia, sul senso della vita e sulla decisione di abbandonarla.
(Luigia Sorrentino)

 

IL PENULTIMO DISCORSO DI DANIELE ZANIN







Le antenne si muovono nel vento
 il corpo ondeggia ma è deciso a pronunciare
 ad alta voce le sue accuse. E tutto il quartiere,
 con il fiato sospeso, scruta quel ragazzo alto e magro
 in piedi sul tetto, con il golf bianco e le dita
 coperte di farina. Ognuno attende la sentenza.
 Ognuno affonda nel mistero
 di se stesso e guarda in alto, non sa
 dove si trova esattamente
 ma sa che quelle parole sono per lui
 e lui, mentre ascolta, le sta pronunciando.

“Mi chiamo Daniele e ho pensato seriamente alla vita.
 La vita ed io siamo state due creature
 che si accusavano a vicenda, finché un’energia furiosa
 ci ha spinti l’una contro l’altro e ho cominciato
 a vedere l’altra faccia di ogni foglio, ho cominciato
 a nuotare nei laghi del tramonto e ora sono qui
 con gli occhi forati e le lacrime di piombo
 e vi ho chiamati ogni mattina, vi ho chiamati
 uno per uno per nome e per cognome
 finché non vi ho più visti e cominciò
 questo mio sempre
 di ore deserte e istanti morti.”

“State attenti, tutti voi, perché non parlerò due volte.
 Sono nato alla fine di una festa, al Gallaratese,
 quando la bocciofila restò senza luce e tutti
 se ne andarono.
 Gridai che era tardi, ed era tardi.
 La musica delle sfere precipitò in una zattera,
 il mio pianto ammutolì e allagò tutta la vita,
 mi divisi per sempre da me stesso, persi la mano
 della fata e a tutti voi scagliai in faccia
 il mio sacchetto di canditi.”

“Nella vasca dove entrai un pomeriggio
 vidi la fine separata dal suo inizio, vidi
 le prime crepe del sorriso e divenni un istante ossidato,
 una mezza notizia che nessuno raccoglie, vidi
 la follia disegnata sulle mie unghie, vidi
 per la prima volta i miei amati cavalli
 fermi in una giostra di pietra,

mi aggiravo tra spigoli di buio, avevo un piede
 immerso nella calce, studiavo i libri
 degli antichi e dei moderni, riempivo la cucina
 di appunti e foglietti. Poi l’artiglio di un gattino grigio
 lacerò tutto il pensiero di Hegel.”

“Cominciai a vedere nelle lampadine spente
 il viso di mio padre, cominciai con la mia cannuccia
 a succhiare veleno, mi immersi
 nell’acqua passata
 e apparve l’ombra dei lupi, entrò come un arpione
 nella bocca, mi tolse la parola: sentivo le urla
 dei pazzi in una culla di catrame
 finché di colpo appassì l’ibisco e mi accorsi
 che ormai da sette giorni sotto il mio cuscino
 dormiva la morte.”


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Milo De Angelis e il De Rerum Natura di Lucrezio

Dopo tanti rinvii è finalmente arrivato l’appuntamento con Lucrezio e con Milo De Angelis, il prossimo giovedì, IN STREAMING sul CANALE YOUTUBE della Casa della poesia di Milano.

giovedì 26 novembre, dalle ore 19:30 alle 20:15 – DIRETTA YOUTUBE “PREMIERE”: https://youtu.be/UDjy-nYUflM

Milo De Angelis parla del De rerum natura di Lucrezio

a cura di Milo De Angelis

Milo De Angelis parla del De rerum natura di Lucrezio e presenta alcune sue nuove traduzioni.

Letture di Viviana Nicodemo.

LINK PER DIRETTA VIDEO

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Una poesia di Milo De Angelis

NEMINI

Sali sul tram numero quattordici e sei destinato a scendere
in un tempo che hai misurato mille volte
ma non conosci veramente,
osservi in alto lo scorrere dei fili e in basso l’asfalto bagnato,
l’asfalto che riceve la pioggia e chiama dal profondo,
ci raccoglie in un respiro che non è di questa terra, e tu allora
guardi l’orologio, saluti il guidatore. Tutto è come sempre
ma non è di questa terra e con il palmo della mano
pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono
sulle rotaie e quando sorridi a lei vestita di amaranto
che scende in fretta i due scalini, fai con la mano un gesto
che sembrava un saluto ma è un addio.

(da Linea intera, linea spezzata di prossima pubblicazione da Mondadori) Continua a leggere

Il cane del nulla

Mario Benedetti, poeta italiano. Foto di proprietà dell’autore

di Andrea Cortellessa

«Scusatemi tutti.»

 

Due foto, alla fine della storia. La prima l’hanno vista tutti; è quella del Mario Benedetti “sbagliato” messa in pagina da «Repubblica». L’altra l’ha scattata Viviana Nicodemo e l’ha pubblicata qui Milo De Angelis. Due immagini che, come si dice, dicono più di mille parole. La prima dice della trasandatezza criminale del nostro tempo (dove a fare più rabbia è la coazione burocratica di dover “coprire” – nel minor tempo possibile, con la minore cura possibile – un “fatto” di cui non frega nulla; perché nulla, in verità, frega di nulla; e allora meglio, tanto meglio, sarebbe stato il silenzio – cioè il nulla, appunto). La seconda, semplicemente, continuerà a guardarci a lungo. (Ma tutte e due si riguardano; l’una non si capisce senza l’altra: e per questo, insieme, ci riguardano.)

E poi il video. Esequie in remoto: come tutto, ormai (ma come tutto, al di là delle apparenze, già era diventato da un pezzo). È stato detto che ricordano quelle di Mozart nella fossa comune. Già; ma quella che ci ricordiamo è la scena di Amadeus, dove lo squallore aveva un suo accattivante package hollywoodiano; era uno squallore glamour. Qui invece lo squallore ha la brutalità, la letteralità della plastica e del cemento, del vento freddo nel microfono; delle parole al vento di un prete impaurito, che va di fretta. Lo squallore osceno di chi, a futura memoria, comunque registra; e di chi, come me in questo momento, comunque propala. Continua a leggere

Mario Benedetti, il poeta dell’inverno

Mario Benedetti, 5 gennaio 2020 credits ph Viviana Nicodemo

MILO DE ANGELIS RICORDA MARIO BENEDETTI
Milano, 28 marzo 2020

Mario Benedetti, uno dei pochissimi poeti del nostro tempo. Non scorderò mai la prima volta che l’ho visto negli anni ottanta. Era appena uscito un suo libro, Moriremo guardati, che mi toccò profondamente a partire dal titolo, con quel suo verso pieno di strappi e slogature e quel suo “parlato” che all’improvviso svettava in alto. Andai dunque a trovarlo a Padova, dove Mario Benedetti dirigeva una piccola e originale rivista, Scarto minimo, insieme a Stefano Dal Bianco e a Fernando Marchiori.

Mario Benedetti (2012)

Mi colpì subito quello che Mario diceva della poesia, le sue simpatie per Celan e Mandel’štam, il suo disprezzo per tutto ciò che gli pareva gioco, evasione, esperimento. Ma ancora di più mi colpì quello che Mario non diceva, i suoi lunghi silenzi, la tensione spasmodica del suo ascolto affilato e attentissimo, la capacità di far convergere in questo silenzio le parole degli altri. Era una giornata rigida di gennaio e non poteva che essere così. Mario è un poeta dell’inverno e l’inverno è la sua stagione naturale, la stagione del raccoglimento, del riparo tra le mura di casa, delle coperte di lana. E anche la sua parola sembra provenire da un luogo freddo e lontano, ai confini della Slovenia, quel Friuli “oltre il Tagliamento”, come lui diceva, fermo nel suo eterno dopoguerra di mille lire, Settimana Enigmistica e wafer Saiwa, umili cascine e umili sale da pranzo, un mondo di “interni” disadorni, descritti nella loro povertà, nello spazio inerme dove un tavolo o un bicchiere acquistano una luce sacra, come gli oggetti dell’ultimo Van Gogh, per citare un artista carissimo a Mario.
E il destino ha voluto che anche il nostro ultimo incontro fosse invernale. Continua a leggere

Addio a Mario Benedetti (1955-2020)

Mario Benedetti, Credits ph. Dino Ignani

«Povera umana gloria/ quali parole abbiamo ancora per noi?»
(da Umana gloria M. BENEDETTI)

Mario è morto il 27 marzo 2020. Viveva dal 21 marzo 2018 in una residenza a Piadena, in provincia di Cremona. Nel 2014 era stato colpito da un arresto cardiaco con ipossia cerebrale, ma si era ripreso e stava bene, anche se non ha più scritto nulla. E’ morto nell’infuriare di questa epidemia terribile che è il COVID- 19.

Mario Benedetti verrà temporaneamente tumulato nella tomba di famiglia di Donata Feroldi, l’amica di una vita, a Piadena, perché lui aveva espresso il desiderio di essere sepolto acconto al padre a Nimis, dove aveva vissuto,  in Friuli. Ma le circostanze emergenziali in cui tutti ci troviamo, non consentono di farlo subito.

Lunedì 30 marzo ci sarà, in tarda mattinata, una piccola cerimonia funebre al cimitero a Piadena.  Date le circostanze, sarà un semplice saluto, al quale parteciperanno tre o quattro persone.

Da Umana Gloria

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.

Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,

il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.

Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.

*

Che cos’è la solitudine.

Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.

Ho freddo, ma come se non fossi io.

Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.

Che cos’è la solitudine.

La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.

L’ho letto su un foglio di giornale.
Scusatemi tutti.

*

Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dita, i tuoi capelli lunghi marrone.
Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.

*

Come dire che due ragazzi camminano
sulla breve salita
e la notte cammina
in quel breve salire,
e in questo poco tempo noi siamo vivi,
erba, fiume laggiù
che mormori a tutto il vuoto e a me
l’eco del salire dei corpi?

*

Non sapevo se le mie parole erano le stesse
per tutti, la mia notte
se era la stessa nessuno lo diceva.
Valli, ogni volta che venivo,
erba ripetevo, adesso è ancora questa erba,
e alberi, toccarli, dire alberi.
Viale che non guardo,
rimasto come lo sapevo ma neppure un viale.
E cammino anche più in là di me
adesso che piangere è pioggia,
e stare soli è più grande.

Mario Benedetti, da Tutte le poesie (Garzanti, 2018)

___

Dall’Introduzione all’intervista di Luigia Sorrentino a Mario Benedetti (RAI Radio Uno, 2012)

“Mario Benedetti ha pubblicato numerose raccolte di poesie, traduzioni, saggi critici e prose poetiche. Ha collaborato a vari giornali e riviste letterarie ed è una delle voci più significative della nostra poesia più recente. Nei suoi versi vi è tutta l’incertezza e la provvisorietà dell’essere umano.”

Così raccontava di se stesso nell’intervista radiofonica (n.d.r. “Per il verso giusto” – I poeti su Radio Uno) – realizzata nel 2012 da Luigia Sorrentino: “Sono nato malato… anche da bambino… avevo sempre qualcosa.

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Il gesto atletico nella poesia di Milo De Angelis

Milo De Angelis, Credits ph Viviana Nicodemo

Vicina all’anima è la linea verticale.
Il pomeriggio ci portò suburbani in un canto,
l’attimo divenne nudità
e potenza greca del finale: siamo i supplici
rimasti ad ascoltare, il cielo che nasce
in ognuno di noi, pattuglia di ragazzi
innamorati del numero giusto,
la bella epopea, il peso mortale di un pallone.

da “Alfabeto del momento”, in “Quell’andarsene nel buio dei cortili”, Mondadori, 2010.
*

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+++ Rinviato l’incontro a causa dello sciopero totale dell’ATM. Si sceglierà una nuova data per il 2020 +++

Tutti noi ricordiamo per memoria scolastica le formidabili scene in cui la natura di Lucrezio su manifesta in tutta la sua catastrofica potenza: voragini, incendi, uragani, terremoti, forza immense che sovrastano l’uomo e lo schiacciano, povera canna al vento. Continua a leggere

[Macroletture] Milo De Angelis

Per [MACROLETTURE] ciclo di incontri di poesia a cura di Maria Ida Gaeta, domenica 17 novembre 2019 alle 11.00 all’Auditorium MACRO Asilo, (Museo d’Arte contemporanea di Roma) Milo De Angelis leggerà degli estratti dall’ultima sua raccolta di versi “Tutte le poesie 1969-2015” (Mondadori, 2017). Continua a leggere

Antonella Anedda vince il Premio Poesia Città di Fiumicino 2019

Antonella Anedda / credits ph Dino Ignani

È Antonella Anedda con “Historiae”, (Einaudi, 2019) la vincitrice della Quinta edizione del Premio Poesia Città di Fiumicino per l’Opera di Poesia. Lo ha deciso la giuria tecnica composta da Milo De Angelis, Fabrizio Fantoni, Luigia Sorrentino e Emanuele Trevi, nel corso della finale del Premio che si è svolta  a Fiumicino, sabato 26 ottobre, alle 18.30, nella sala convegni dell’Hotel Best Western Rome Airport. Alla serata hanno partecipato Stefano Dal Bianco, “Ritorno a Planaval”, (GiallaOro, Pordenonelegge, LietoColle 2018) secondo classificato, e Stefano Raimondi, “Il sogno di Giuseppe”, (Amos Edizioni 2019), terzo classificato.

Nel corso dello serata, condotta dal Angelo Perfetti, Direttore della testata “Faro on line” e dal presidente e ideatore del Premio, Gianni Caruso, con la partecipazione straordinaria di Viviana Nicodemo, è stato consegnato il Premio alla Carriera a Umberto Piersanti e sono stati consegnati i premi e i riconoscimenti a tutti gli altri partecipanti:

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I finalisti e i vincitori del Premio Poesia Città di Fiumicino 2019

A Fiumicino, sabato 26 ottobre, alle 18.30, nella sala convegni dell’Hotel Best Western Rome Airport, (via Portuense, 2465) si svolgerà la serata finale del “Premio Poesia Città di Fiumicino 2019” con le letture dei poeti, la proclamazione del vincitore o della vincitrice per l’Opera di Poesia e la consegna dei numerosi premi e riconoscimenti.

Nel corso della serata la Giuria Tecnica, composta da Milo De Angelis, Fabrizio Fantoni, Luigia Sorrentino e Emanuele Trevi, designerà il vincitore della Quinta Edizione del Premio Poesia Città di Fiumicino 2019 per l’ “OPERA DI POESIA”.

Per la sezione “PREMIO PER L’OPERA DI POESIA”, finalisti Continua a leggere

Milo De Angelis e il “De rerum natura”

A Pordenonelegge (venerdì 20 settembre ore 11 e 30) Milo De Angelis parla del De rerum natura di Lucrezio e presenta alcune sue nuove traduzioni. Le letture sono di Viviana Nicodemo.

Il De rerum natura, uno dei capolavori della letteratura latina, è opera ricchissima di temi ed episodi, che vengono affrontati con la violenza espressiva tipica di questo autore misterioso, Tito Caro Lucrezio, di cui si è persa ogni notizia biografica. Tutti noi ricordiamo per memoria scolastica le formidabili scene in cui la natura su manifesta in tutta la sua catastrofica potenza: voragini, incendi, uragani, terremoti, forza immense che sovrastano l’uomo e lo schiacciano, povera canna al vento. Ma il De rerum natura è anche un trattato sulla vita degli animali, delle piante e del cosmo intero ed è un libro in cui l’uomo viene scrutato in ogni suo aspetto, con affondi mirabili nelle zone più buie e drammatiche della sua vita interiore, come vediamo nelle pagine del quarto libro dedicate all’amore, tra le più crudeli che siano mai state scritte su questo tema grandioso. Continua a leggere

Poesia e destino, la tragedia e l’eroismo

In occasione della imminente presentazione a Pordenonelegge (giovedì 19 settembre) della nuova edizione di Poesia e destino (Crocetti, 2019) di Milo De Angelis, pubblicata per la prima volta nel 1982 e mai più ristampata, riporto qui un saggio estratto dalla prima parte del libro.

L’autore ripropone nel 2019 integralmente il volume stampato da Cappelli nel 1982 senza alcun ripensamento. Anche la copertina ha la stessa immagine in primo piano: Tohotaua, la ragazza amata da Gauguin nell’ultimo periodo della sua vita nelle isole Marchesi.
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La poesia a pordenonelegge 2019

E’ on line il Programma di pordenonelegge 2019. Quest’anno il logo della manifestazione è il camaleonte.

Interroghiamo il camaleonte

Lo sa che è diventato giallo? Se ne accorge, intendiamo, di cambiare colore?
Di certo non si può dire che lo vuole, non è un eroe Marvel.

Gli succede, dicono gli scienziati, quando ha paura, quando si eccita, quando gli si alza la temperatura. Dicono che ha un tessuto sottocutaneo formato da due strati; se sta tranquillo prevale il blu, e quindi lo vediamo verde (non chiedete perché), mentre se si altera prevale il giallo-arancione.

Non è di questo però, che si voleva parlare, o forse sì, solo per dare una notizia: il giallo sarebbe il suo colore naturale. Già, è così, e allora il camaleonte con tutto quel giallo intorno non è affatto mimetizzato. E’ il colore intorno a lui che lo mimetizza. Oppure è il colore che si mimetizza?

Non per questo però viene meno la domanda iniziale, posto che non lo faccia apposta, di arrabbiarsi, di eccitarsi e di avere paura, il camaleonte lo sa che cambia colore, quando gli succede?
Si potrebbe dire tutto questo in altri modi: se ti trovi benissimo in mezzo agli scrittori, ai poeti e a tutti quelli che scrivono libri, a parlare di libri, è il tuo colore naturale, oppure sono gli altri che hanno cambiato colore per farti sentire più sereno? E se ti ecciti, ti arrabbi, prendi paura e diventi giallo, nessuno se ne accorge? Forse è meglio che ne parliamo, perché il vero colore dei libri non è quello della copertina, perché quelli che più ti interessano sono sempre quelli che ti fanno chiedere di che colore sei adesso, se stai cambiando colore, se te ne accorgi, se vogliono farti paura, e poi che cosa ci fai lì, sul manifesto di pordenonelegge 2019, ma soprattutto, come ci si sente?

I curatori
Alberto Garlini, Valentina Gasparet, Gian Mario Villalta

Noi come ogni anno, vi proponiamo una sintesi degli eventi del Festival legati ai libri di poesia e alle letture.

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Il ritorno di “Poesia e destino”

Un libro, POESIA E DESTINO, dopo una lunga assenza, torna nelle librerie italiane con l’assoluta voglia di esserci.

L’autore, Milo De Angelis, ripropone nel 2019 integralmente il volume stampato con Cappelli nel 1982 senza alcun ripensamento. Queste pagine,  spiega Milo De Angelis nella nota introduttiva, “da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro [ …] e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre.

 

POESIA E DESTINO
Nota introduttiva di Milo De Angelis

 

Perché ristampare queste mie vecchie pagine? Perché da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro – intatto, quasi intoccabile dal tempo – e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre. Molti temi di Poesia e destino sono quelli che mi scuotono ancora oggi: la tragedia, l’eroismo, l’adolescenza, il mito, il gesto atletico. Ma il tono è un altro. Il tono è furente, perentorio, imperativo, dà sempre l’impressione di un ultimatum che io pongo a me stesso e a chi mi legge. E’ come se da lì a poco dovesse scaturire una sentenza senza appello, l’ultimo grado di un processo dove si gioca la condanna o la salvezza. E questo tono guerresco circola nel sangue di una sintassi verticale, scoscesa, rapidissima, piena di strappi e impennate, la stessa di Millimetri, per intenderci, che è stato scritto nei medesimi anni. Ora non potrei nemmeno immaginare quella corsa sulle macchine volanti della parola. Me ne sono accorto trascrivendo il libro in un file per necessità editoriali. A volte ero pienamente d’accordo con me stesso, felice di essere rimasto fedele alle grandi passioni giovanili. Ma molto più spesso non capivo, letteralmente, il nesso troppo segreto tra due termini o due affermazioni. Dovevo leggere e rileggere, farmi aiutare dall’insieme della pagina. Continua a leggere

Il primo blog di poesia della Rai

William Kentridge Tevere eterno

William Kentridge, fiume Tevere  Triumphs and Laments, 20 aprile 2016 – credits Ph. Fabrizio Fantoni, ombra supplicante Luigia Sorrentino

 

L’IDENTITA’ DELLA POESIA

DI Luigia Sorrentino

 

La mia esperienza di blogger è cominciata nel settembre 2007. Intendevo creare in rete, sul sito di Rai News 24, un luogo di confine nel quale custodire, difendere e  proteggere, l’identità dei poeti e della poesia.   Volevo, insomma, determinare un luogo ove fosse riconosciuta l’identità dei reietti, sempre respinti e costretti a vagare nella solitudine e nell’isolamento. Desideravo un luogo di sguardi. Volevo depositare il seme di una presenza, mettere radici su quel confine e lasciare la traccia di volti emersi dal magma della parola, in tutta la loro verità.

Il primo blog di poesia sul sito della Rai, è diventato in breve tempo, un luogo di forza sul quale si è fermato lo sguardo di coloro che, come me, volevano stupirsi, meravigliarsi. Finalmente i volti dei poeti emergevano in tutta la loro potenza espressiva, in uno scatto autobiografico e fotografico. Grazie, devo dire, anche, alla collaborazione del fotografo e poeta, Dino Ignani, alcuni di quei volti, sono stati, via via, sempre più riconoscibili. Un grazie enorme anche a Viviana Nicodemo, attrice, regista e  fotografa straordinaria: ci ha donato scatti e intuizioni indimenticabili. Grazie a poeti come Antonella Anedda, Silvia Bre, Franco Buffoni, Nanni Cagnone, Alessandro Ceni, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mariangela Gualtieri, Valerio Magrelli, Umberto Piersanti, Davide Rondoni, Patrizia Valduga, Gian Mario Villalta, per citare solo alcuni dei più importanti poeti italiani contemporanei che ci hanno offerto i loro contributi e talvolta, anche testi inediti e anteprime editoriali. Grazie al loro prezioso contributo il blog si è accresciuto e affermato come luogo privilegiato della grande poesia italiana.

Nel 2007 lavoravo a Rai News 24 e avevo realizzato  per i programmi di approfondimento culturale interviste televisive (oltre che con i poeti italiani già citati) con alcuni dei maggiori poeti  noti a livello internazionale  fra i quali, il poeta siriano Adonis, il grande poeta francese Yves Bonnefoy, l’inglese Tony Harrison, le polacche Julia Hartwig e Ewa Lipska, i Premi Nobel Seamus Heaney, Derek Walcott e Orhan Pamuk, il Premio Pulitzer Mark Strand e il poeta candidato al Nobel, Adam Zagaiewski e molti altri.

ORHAN PAMUK

Nel settembre 2006, quindi un anno prima di iniziare l’esperienza di blogger, avevo avuto l’ occasione di incontrare a Napoli per un’intervista per RaiNews24, lo scrittore turco Orhan Pamuk pochi giorni prima che l’Accademia di Svezia gli conferisse il Premio Nobel per la Letteratura.

Orhan Pamuk, che in Italia aveva pubblicato romanzi come Il mio nome è rosso, Neve e Istanbul, mi aveva profondamente colpito perché al centro della sua opera di scrittore,  aveva messo il tema dell’identità, un argomento poco riflettuto e quasi per niente esplicitato nella letteratura contemporanea in quegli anni. Per me fu illuminante scoprire in quel preciso momento storico, che a porsi domande così importanti sulla propria individualità, su quella della propria nazione in relazione a altre culture e minoranze etniche, non fosse un poeta laureato, ma uno scrittore. La riflessione e l’osservazione dell’opera di uno scrittore nato e vissuto in Turchia che si è battuto per il riconoscimento dei dei diritti umani, dei crimini contro l’umanità, mettendoci “la faccia”, sapendo perfettamente quali erano i rischi che correva, è stata per me una lezione fondamentale. Pamuk mi ha fatto comprendere che anche la poesia e i poeti dovevano andare in quella direzione  rimettendo in discussione il proprio ruolo e la propria posizione nella storia di questi anni.

Fin da adolescente, avendo vissuto a Napoli e nella provincia, ho sempre sentito di avere qualcosa in comune con il popolo turco. Basti pensare che ancora oggi, alcune parole della lingua napoletana sono identiche a quelle turche: ad esempio,  “avash” in napoletano, in turco pronunciato “javash”,  hanno lo stesso significato: “abbassa”, “non correre”, “fermati”. E’ il “tono”, l’autorità con cui la parola viene pronunciata che fa assumere alla stessa parola diversi significati, ma il senso è lo stesso.

Ho ancora negli occhi la prima volta che vidi Istanbul. Il meraviglioso Palazzo Dolmabahçe, il primo palazzo in stile europeo di Istanbul, situato nella parte occidentale della città a ridosso del Bosforo, ex residenza di Ataturk, e poi le stradine di Sultanahmet, l’università,  il venditore di acqua, i minareti, Santa Sophia, la moschea blu, la voce del muezzin, il mercato coperto, l’odore del pesce fritto e servito sulla carta, la confusione a piazza Taksim e l’affabilità delle persone, mi avevano dato la netta sensazione di non essere poi tanto lontana da  Napoli. E tutte le volte che ero tornata lì, nel tempo, e mi ero  fermata di notte sul Bosforo a guardare il paesaggio, nel brulicare delle luci davanti a me, avevo  avvertito sulla mia pelle una certa familiarità con quel luogo. I contrasti, le contraddizioni, i sentimenti di discordia tra fratelli descritti  da Pamuk nel suo romanzo autobiografico Istanbul, li conoscevo; facevano parte anche della mia cultura e erano realtà incandescenti almeno quanto lo erano per Pamuk.

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Le rive del sole di Ingeborg Bachmann

Ingeborg Bachmann

LE ONDE DEL DESTINO DI INGEBORG BACHMANN

commento e traduzione di alessandro bellasio

Tra le voci più alte e le esperienze più decisive della grande poesia europea del XX secolo, Ingeborg Bachmann (Klagenfurt, 1926 – Roma, 1973) ha saputo declinare in molteplici forme il suo talento letterario, dando vita non solo alle indimenticabili liriche di “Invocazione all’Orsa Maggiore“, ma anche a romanzi vibranti e tormentati come il celebre “Malina” (primo dell’incompiuto ciclo dei Todesarten, i “modi di morire”), così come a lucidi e accorati volumi di racconti (“Il trentesimo anno” e “Tre sentieri per il lago”), oltre che a drammi e saggi radiofonici, tra i quali ricordiamo “Il buon Dio di Manhattan”, o “Il dicibile e l’indicibile“, testimonianza quest’ultimo della profondità filosofica, oltre che critica, della ricerca perseguita dalla poetessa austriaca.
In “Herzzeit”, pubblicato in Italia con il titolo “Troviamo le parole”, è inoltre radunato il vorticoso, febbricitante scambio epistolare che la Bachmann intrattenne con Paul Celan – il grande poeta della Bucovina a un tempo amante, amico, confessore e sodale.

Proponiamo qui la poesia di apertura della raccolta “Die gestundete Zeit“ (Il tempo dilazionato), con la quale Bachmann esordì nel 1953, appena ventisettenne, sbalordendo pubblico e critica per la maturità e la perfezione del dettato. Continua a leggere

La voce dei prediletti

Tutti gli incontri si terranno alle 21 alla Centrale dell’Acqua di Milano, Piazza Diocleziano, 5

A Milano, dal 6 al 27 maggio 2019 alle ore 21, alla Centrale dell’Acqua,  (Piazza Diocleziano, 5) si terrà LA VOCE DEI PREDILETTI, incontri tra i poeti a cura di MILO DE ANGELIS.

Per tutto il mese di maggio, ogni lunedì sera, un importante poeta del nostro tempo parlerà di se stesso e di un altro poeta che è stato essenziale nella sua formazione e nella sua vita. Potremo così assistere a un incontro tra due anime che, lungo i secoli, hanno trovato un’affinità elettiva e una visione del mondo capace di renderle vicine per sempre.

Maurizio Cucchi

Lunedì 6 maggio

MAURIZIO CUCCHI E GUIDO CAVALCANTI Continua a leggere

Qual è la funzione della poesia oggi?

Franco Fortini

FRANCO FORTINI E BERTOLT BRECHT

commento DI FABRIZIO FANTONI

Vi propongo oggi la lettura di due poesie, una di Franco Fortini e l’altra, famosissima, di Bertolt Brecht scritte a vent’anni di distanza l’una dall’altra, in due momenti storici differenti eppure, legate fra di loro, da una potente riflessione sul valore della poesia quale testimonianza.

Scrivere, dice Fortini, è necessario anche se apparentemente sembra inutile: il dibattito nella comunità è ormai sopito; oppressore e oppresso vivono l’uno accanto all’altro; addirittura, scrive, “l’odio è cortese” e non si sa più di chi sia la colpa.

Eppure, compito del poeta è vigilare e testimoniare su quello che accade dentro e fuori gli uomini, per dare loro consapevolezza, per aiutarli a comprendere dove si trovano in quel preciso momento e verso cosa stanno andando.

Fortini, avverte il lettore: “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.” Quindi, il vero mutamento che compie la poesia, sembra dirci, è dentro l’uomo, non fuori di esso.

Invito i lettori del blog a scrivere commenti su qual è la funzione della poesia oggi.

Traducendo Brecht
Franco Fortini

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela guardando.
Ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida niente
gli uomini e le donne
che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli del nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

dalla raccolta Una volta per sempre, Einaudi, 1978

Bertolt Brecht

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Non sprecare il tuo amore

Adrienne Rich

For the dead

I dreamed I called you on the telephone
to say: Be kinder to yourself
but you were sick and would not answer

The waste of my love goes on this way
trying to save you from yourself

I have always wondered about the left-over
energy, the way water goes rushing down a hill
long after the rains have stopped

or the fire you want to go to bed from
but cannot leave, burning-down but not burnt-down
the red coals more extreme, more curious
in their flashing and dying
than you wish they were
sitting long after midnight

Per i morti

Ho sognato di chiamarti al telefono
per dirti: Sii più dolce con te stesso
ma eri malato, non mi hai risposto

Lo spreco del mio amore va per la sua strada
cercando di salvarti da te stesso

Ho sempre pensato ai residui
di energia, a come l’acqua scorra giù da un colle
dopo l’arrestarsi delle piogge

o del fuoco da cui vorresti prendere commiato,
vorresti andare a letto
eppure non puoi lasciarlo,
è sempre lì, pronto a spegnersi ma non si spegne mai
i carboni sempre più vividi, sempre più strani
prima sfolgorano poi s’acquetano
più di quanto tu voglia restare
seduto lì a mezzanotte inoltrata.

Traduzione di Giovanni Ibello Continua a leggere

A Milano la grande poesia polacca

Alla Casa della Poesia di Milano (in Via Formentini 10), giovedì 14 marzo 2019 alle ore 19:30 POLONIA E POESIA, a cura di Milo De Angelis.

Un incontro con i grandi poeti polacchi del nostro tempo: Zbigniew Herbert, Adam Zagajewski e i premi Nobel Czesław Miłosz e Wisława Szymborska presentati da due giovani e appassionati studiosi, Alessandro Bellasio e Giovanni Rapazzini, con la partecipazione del Professor Luca Bernardini, docente di Letteratura Polacca all’Università degli Studi di Milano.

Voce recitante Viviana Nicodemo.

Musiche Bianca Brecce. Continua a leggere

Per Antonia Pozzi

Le montagne

Occupano come immense donne
la sera:
sul petto raccolte le mani di pietra
fissan sbocchi di strade, tacendo
l’infinita speranza di un ritorno.

Mute in grembo maturano figli
all’assente. (Lo chiamaron vele
laggiù – o battaglie. Indi azzurra e rossa
parve loro la terra). Ora a un franare
di passi sulle ghiaie
grandi trasalgon nelle spalle. Il cielo
batte in un sussulto le sue ciglia bianche.

Madri. E s’erigon nella fronte, scostano
dai vasti occhi i rami delle stelle:
se all’orlo estremo dell’attesa
nasca un’aurora

e al brullo ventre fiorisca rosai.

Pasturo, 9 settembre 1937