Addio a Charles Simić

Lutto nel mondo della poesia

Charles Simić, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche a Roma all’Auditorium della Saint Stephen’s School, il 27 ottobre del 2015.

 

Poeta Laureato degli Stati Uniti dal 2007 al 2008 e Premio Pulitzer per la Poesia nel 1990, muore a 84 anni Charles Simić, il 9 gennaio 2023. 

La notizia arriva dal suo amico e editore statunitense Daniel Halpern due ore fa dagli Stati Uniti. La causa della morte, l’improvviso aggravarsi di una malattia che lo aveva colpito negli ultimi anni.

Charles Simić è stato uno dei maggiori poeti contemporanei. La sua opera di poesia non è facilmente classificabile. Minimalista, ironica, essenziale, talvolta surreale, ma ha pubblicato anche opere che hanno mostrato un volto realistico e violento.

Something Evil Is Out There

That’s what the leaves are telling us tonight.
Hear them panic and then fall silent,
And though we strain our ears we hear nothing—
Which is even more terrifying than something.

Minutes seem to pass or whole lifetimes,
While we wait for it to show itself
This very moment, or surely the next?
As the trees rush to make us believe

Their branches knocking on the house
To be let in and then hesitating.
All those leaves falling quiet in unison
As if not wishing to add to our fear,

With something evil lurking out there
And drawing closer and closer to us.
The house dark and quiet as a mouse
If one had the nerve to stick around.

C’è qualcosa di malefico là fuori

Ci dicono le foglie stasera.
Sentile andare nel panico e poi ammutolire.
E anche se tendiamo l’orecchio non udiamo niente –
ancora più terrificante di qualcosa.

Pare passino minuti o vite intere,
mentre aspettiamo si manifesti
proprio in quest’attimo, o di certo nel prossimo?
E intanto gli alberi s’assiepano a farci credere

ai loro rami che bussano sulla casa
perché li si faccia entrare, ma poi esitano.
Tutte quelle foglie che cadono mute all’unisono
come desiderassero non esasperare le nostre paure,

con qualcosa di malefico in agguato là fuori
che ci si avvicina, si avvicina sempre più.
La casa buia e silenziosa come un topo
se si avesse il fegato di restarci.

da: Charles Simic Avvicinati e ascolta  Edizioni Tlon, 2020
Traduzione Damiano Abeni, Moira Egan

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Addio a Raffaele La Capria

Raffaele La Capria ph di Luigia Sorrentino, Roma 2005

Lutto nel mondo della Cultura. Si è spento a Roma a 99 anni, Raffaele La Capria.

Il grande scrittore napoletano che viveva a Roma, verrà sepolto per sua volontà a Capri nel Cimitero degli artisti accanto alla moglie, Ilaria Occhini.

In occasione di questo tristissimo evento, che segna la fine di un’epoca e di una generazione di scrittori, vi riproponiamo il testo scritto di un’intervista televisiva realizzata da Luigia Sorrentino con Raffaele La Capria nel 2005 per RaiNews24 subito dopo l’uscita del suo libro “L’estro quotidiano” (Mondadori, 2005).

Intervista a Raffaele La Capria
di Luigia Sorrentino

 

L’epoca che viviamo è tragica, funestata da eventi tragici. Come vive Raffaele La Capria questa sua epoca?


‘L’ho scritto nella ultima pagina del mio libro ‘L’Estro quotidiano’. Quel libro l’ho scritto nel 2003, ma per ragioni editoriali è uscito nel 2005. Dal 2003 al 2005 la situazione è peggiorata e il tasso di odio, ferocia, crudeltà, è aumentato nel mondo in maniera inimmaginabile. Dopo le esibizioni filmate delle teste tagliate e la strage programmata dei bambini in Ossezia, si è persa la bussola dell’umano e le parole non sono più all’altezza del male che vorrebbero denunciare. Il nostro privato rispetto a questi eventi tragici, sembra una futilità. Qual è il risultato? Di ridurre la nostra vita quotidiana a un assurdo. Adesso la nostra vita quotidiana non ci sembra più normale, è una pretesa normalità. Ma è una normalità falsa quella in cui crediamo di vivere noi privilegiati, credendo di stare in pace, di non soffrire di queste terribili calamità che il mondo soffre’.

Quest’epoca, ha cambiato qualcosa nella sua scrittura?

‘Certo. Soprattutto se si legge tutto il mio libro ‘L’Estro quotidiano’ si sente che è attraversato come da un’angoscia, da un sottile rimorso di star bene. Si sente che c’è una frattura spaventosa tra quello che sappiamo e la vita che viviamo. Questo aspetto lo metto in evidenza in un punto preciso del libro in cui racconto che sto guardando la televisione e vedo massacri, cose orrende e dico: “questo è il telegiornale delle otto, e io devo vestirmi in fretta, alle nove ho un appuntamento al ristorante”. Ed è proprio questo l’assurdo: vedere il male, ma poi andare al ristorante’.

In un articolo uscito sull’ Espresso Giorgio Bocca ha detto che La Capria ha elaborato una sua teoria per mettere d’accordo le due Napoli, quella della borghesia, colta e aristocratica, e quella selvaggia, del popolo napoletano. Praticamente Bocca dice che lei ha inventato la napoletanità.

‘Non ho inventato la napoletanità, ma l’ho analizzata criticamente. L’ho analizzata e criticata anche più ferocemente di quanto Bocca, qualche volta, abbia criticato il sud e i mali del sud. Bocca dice, però, che questa mia teoria è elegante, ma consolatoria. E io gli ho risposto: “Bhe? Che c’è di male che sia consolatoria? La letteratura deve essere anche consolatoria, oltre che critica.’

Il suo linguaggio narrativo di certo non rappresenta la Napoli della camorra e della illegalità. È una sua scelta non rappresentare quella Napoli?

‘Uno scrittore non è obbligato a scrivere di camorra. Credo che uno scrittore abbia il compito di dare un’immagine della sua città molto più grande e più complessiva, che include tutto. Una rappresentazione della città, una rappresentazione mentale che sottragga la città dalle false rappresentazioni che gli vengono date continuamente. Tanto utile, rivoluzionaria, importante è l’opera di uno scrittore, quanto più questo scrittore si affranca dalle false rappresentazioni e cerca, come un archeologo della mente, di scavare attraverso la cenere di queste false rappresentazioni, il documento vero, la sostanza vera di quella immagine della città che lui sta creando mentre scrive. A tutto questo deve corrispondere, anche, uno stile adeguato, perché soltanto quando c’è questa fusione tra un’idea e una rappresentazione, e uno stile che la sostiene, funziona la comunicazione.’

Lei tempo fa ha scritto un racconto per spiegare perché ha voluto diventare uno scrittore. Il racconto parla di un bambino di otto anni sulla cui spalla va a posarsi un canarino… Continua a leggere

Addio a Patrizia Cavalli

Patrizia Cavalli Credits ph. Dino Ignani

Nota di Gisella Blanco

La parola ricerca la sua purezza, l’essenzialità del suono nel segno e del segno nel suono.

“La vera e migliore poesia sta in piedi da sola, basta leggerla, non ha bisogno di esplicazioni, analisi, commenti e perorazioni avvocatesche[1]” scrive Alfonso Berardinelli sulla poesia di Patrizia Cavalli e sul suo precipuo scopo: “la purezza della dizione”.

 

Devo fingere volgarità e tradimento
per accomodarmi sul divano
per ricambiare sguardi; spiegando
le tredici pieghe di un pensiero
decifro l’accorta sentenza che scende
sulle mie sentimentali parole che dico
che dico fingendo anche l’amore
e nella finzione riconosco il punto perfetto
l’unico possibile della certezza[2].

 

Improvvisi rimemi accelerano il corso naturale di un dettato poetico chiaro, lineare. Fugaci assonanze irrompono nel verso, acuiscono il senso di ogni immagine. La parola è immersa nella tensione di una brevitas che definisce l’essenziale e lo scolpisce nell’atto linguistico di una poiesi perennemente volta alla comunicazione del dettaglio intimistico. La sua poesia è l’anello di congiunzione tra la sopravvivenza della cura per la metrica e un lessico familiarmente contemporaneo.

 

Mai come oggi – primo giorno d’estate – si seguirà il consiglio di Patrizia nella nostalgia del commiato:

 

Ma per favore con leggerezza
raccontami ogni cosa
anche la tua tristezza.

 

Vita meravigliosa
sempre mi meravigli
che pure senza figli
mi resti ancora sposa[3].

 

***

 

Saliva le mie scale con una torva malinconia
brutale, io l’aspettavo fuori dalla porta
ma era così assorta nella sua ascesa
quasi rinocerontica mortale
che solo giunta in cima mi vedeva
improvviso bersaglio da incornare.
Allora io da matadora accorta
veloce mi spostavo e lei incornava
dritta al mio letto il vano della porta.

 

***

Se posso perdonare, allora devo
riuscire a perdonare anche me stessa
e smetterla di starmi a giudicare
per come sono o come dovrei essere.
Qui non si tratta di consapevolezza
ma è la superbia che mi tiene stretta
in una stolta morsa che mi danna.
Eccomi infatti qui dannata a chiedermi
che cosa fare per essere perfetta.
Tenersi all’apparenza, forse descrivere
soltanto cose in mutua tenerezza.

 

 

Il cuore non è mai al sicuro e dunque,
fosse pure in silenzio, non vantarti
della vittoria o dell’indifferenza.
Rendi comunque onore a ciò che hai amato
anche quando ti sembra di non amarlo più.
Te ne stai lì tranquilla? Ti senti soddisfatta?
Potresti finalmente dopo anni
d’ingloriosa incertezza, di smanie e umiliazioni,
rovesciare le parti, essere tu
che umili e che comandi? No, non farlo,
fingi piuttosto, fingi l’amore che sentivi
vero, fingi perfettamente e vinci
la natura. L’amore stanco
forse è l’unico perfetto[4].

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Addio a Biancamaria Frabotta

Biancamaria Frabotta

Lutto nel mondo della poesia. Si è spenta a Roma dov’era nata, all’età di 76 anni, Biancamaria Frabotta poetessa fra le più rilevanti e centrali della Cultura in Italia.

Da giovane era stata leader dei Movimento Femminista. Dedicò il suo primo libro “Affeminata” – nota critica di Antonio Porta – alle donne accompagnandole nella lotta di emancipazione per i diritti femminili. Successivamente le sue energie le spese nell’insegnamento all’Università “La Sapienza” di Roma.

A partire dal 2001 era diventata professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea divenendo un punto di riferimento importante nella divulgazione della poesia più recente.

da Mani mortali (Mondadori, 2012)

 

Quando arrivo
se ne è appena andata
come una persona
imperfettamente amata
che posa a terra a fatica
la valigia discesa, un piede
ancora sul gradino del treno
esitante e nel cuore la luce
del mare feriale
le gallerie di colpo senza
golfi, seni azzurranti, rive
mancate come ragazze viziate.
Quando arrivo
scompare sottoripa, di frodo
fra razze di spalla palpitanti
come fosse imminente il riscatto
e le figure non finite sul selciato
odoroso di calcina e carname
la città che i poeti hanno veduta
pettinata contropelo sul monte
la funicolare che porta
dove comincia la morte
e al porto, fra i pescicani
affioranti la fame dalle vasche
– ma dov’è l’Italsider, il peso
immenso dell’operaia decenza
dove la città eroina avvolta al risveglio
nella carta velina? Oh Giorgio, mio caro Giorgio
quale nuovo disastro è ora nell’alba
fra nuvole dissolte e rifatte poco in là
eguali, come Allah vuole, che il cosmo
ricrea ogni attimo che muore.
Quando arrivo
è passato molto vento fra i moli
fra gli orienti improvvisi
i turisti clandestinamente
importati d’inverno con tenere vesti
d’estate, attillate, solcate negritudini
sui passi sillabati dai tacchi taglienti
quando arrivo, trafitta
capitale delle rovine d’Italia
pupilla che grigiamente sbianca
pur di non somigliare a sé stessa
risanata Genova che mi fai male
e piegata mi colpisci al petto.

 

Pubblichiamo l’AUTORITRATTO scritto da Biancamaria Frabotta e pubblicato su questo blog il 6 marzo 2016.

Autoritratto al buio
di Biancamaria Frabotta

L’11 giugno del 2004 è nato mio nipote Luca, cui auguro di non assomigliarmi troppo, dato che lo stesso giorno del 1946 sono nata anch’io. Non so se possa vantare coincidenze più illustri di questa. Il mio compleanno ora è il suo, in cui mi annido, come una quieta seguace della sua infanzia non finita. Alla “vera vecchiaia”, diceva Caproni, ci si arriva solo dopo la “vecchiaia” pura e semplice. Nella prima forse me ne starò rintanata, attonita, magari mi capiterà di scrivere poesie atonali, senza troppe storie e rigurgiti dell’amore e dell’ira che non distinguono vita da poesia, ritmi da carattere, sonni da risvegli.

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Addio a Ugo Piscopo

Ugo Piscopo

Oggi 1° aprile è lutto nel mondo della Cultura.
E’ morto il poeta e critico Ugo Piscopo volto storico di Napoli.

Ugo Piscopo era nato a Pratola Serra, in provincia di Avellino, nel 1934.
Ugo è stato poeta, scrittore di letture moderne comparate, traduttore e da più giovane ha avuto dei trascorsi nel mondo del teatro.

Il ricordo dell’amico Giorgio Moio:

“L’ho sentito una settimana fa e la sua voce non lasciava intendere niente di buono. Tra le poche cose che riuscì a dirmi fu una cosa penosa: era molto dispiaciuto di sentirsi solo, della mancanza di una telefonata di qualche amico. Forse la mia è stata l’ultima o una delle ultime telefonate ricevute da un amico. Proprio ieri ne parlavo con Marisa Papa Ruggiero delle pessime condizioni di salute di Ugo. Che ti accolga un luogo dove poter trascorrere una vita migliore, carissimo amico mio. Riposa in pace. I funerali avverranno domani 2 aprile alle 13, nella chiesa Santa Maria della Libera, in via Belvedere a Napoli.”

(Luigia Sorrentino)

Ricordando Ugo Piscopo
di Giorgio Moio

A Napoli ci sono scrittori e poeti che hanno ricevuto dalla città molto meno di quanto abbiano dato alla crescita della cultura partenopea e non solo partenopea. Uno di questi è stato Ugo Piscopo, saggista, narratore, poeta, nato a Pratola Serra (AV) nel 1934 e deceduto a Napoli (dove viveva sin da giovane) il 1° di aprile 2022, nel giorno del proverbiale “pesce d’aprile”, cioè un giorno di scherzi. Dopo il percorso scolastico, con una laurea in Lettere classiche conseguita alla “Federico II”, discutendo la tesi col prof. Francesco Arnaldi (1957), inizia ad insegnare materie letterarie in scuole secondarie, “vagabondando” tra Napoli, Lacedonia, Ariano Irpino e Tripoli (Libia) dove viene addirittura imprigionato per quattro giorni.

Nel 1967, dopo quattro anni in Libia dove insegna Lingua e Cultura italiana per stranieri c/o Istituto Italiano di Cultura, tenendo anche un corso di conferenze sulla poesia italiana contemporanea, presso il medesimo Istituto, alle dipendenze del Ministero degli affari esteri, fa ritorno in Italia e si stabilisce con la famiglia a Napoli. Continua a leggere

Jean-Luc Nancy, “Hymne stomique”

NOTA DI LUIGIA SORRENTINO

Lunedi 23 agosto 2021 la notizia della morte a Strasburgo a 81 anni di Jean-Luc Nancy, il grande filosofo francese discepolo di Jacques Derrida.

Jean-Luc Nancy  ha scritto opere indimenticabili tradotte In molti paesi del mondo.
Tra i suoi libri pubblicati in Italia, Essere singolare plurale, (Einaudi, 2001); La creazione del mondo (Einaudi, 2003); i due volumi di Decostruzione del cristianesimo (Cronopio, 2007-2012), Sull’amore (Bollati Boringhieri, 2009); Politica e essere con. Saggi, conferenze, conversazioni (Mimesis, 2013); Prendere la parola (Moretti&Vitali, 2013) e Noli me tangere (Centro ediotoriale Dedhoniano, 2015).

Con Nancy, uno dei maggiori protagonisti della discussione filosofica contemporanea, avevamo cominciato a scriverci con una certa regolarità da febbraio 2020, fino all’ aprile di quest’anno, e cioè da quando, in piena pandemia, avevo dato vita, sul blog, al progetto Catena Umana/Human Chain, un dialogo a più voci fra diverse discipline umanistiche nel tempo del Coronavirus. A prendere  la parola sulla “crisi globale” innescata dal Covid 19, il 29 maggio 2020, era stato proprio Jean-Luc Nancy, con un’intervista a me rilasciata pochi giorni prima.

Quest’anno, in una fredda mattina di gennaio,  Nancy mi inviò  per email un suo testo inedito scritto a dicembre 2020,  Hymne Stomique, che qui pubblico integralmente per la prima volta e in lingua originale.

E’ un testo di rara bellezza. Custodisce un mistero che ognuno potrà fare suo.

Unica indicazione per lettore che vorrà cimentarsi nella traduzione nei commenti del blog: la parola “stoma” deriva dal greco e significa “bocca”, qui da intendersi come “figlia del respiro“. La bocca per Nancy è il luogo dell’accadere, è l’esperienza del toccare, del toccarsi, è la nudità del mondo che non ha origine né fine.

 

HYMNE STOMIQUE

Jean-Luc Nancy, décembre 2020

 

Chant premier

Fille du Souffle et de la Chère,
père exhalé, mère absorbée
en toi par toi dans ta trouée
comme le veut l’ordre des choses
mâle aspiré dans les nuées,
femelle sucée avalée,

toi passage dedans dehors
en haut en bas et leurs mêlées,
leur brassage leur masticage
– Mastax fut de ta parenté –
toi la mêleuse la brouilleuse
souveraine des amalgames
amal al-djam’a al-modjam’a
ou malagma du malaxer
toujours l’un qui dans l’autre passe
en transmutation d’alchymie

toi la parleuse la mangeuse
la discoureuse la buveuse
la clameuse la dévoreuse

salut, Stoma commissures humides
rejointes disjointes
viande en logos, mythos en bave

salut, toi seule véritable
seule réelle dialectique !  Continua a leggere

E’ morto Giancarlo Majorino

Giancarlo Majorino

Lutto nel mondo della poesia. Se ne va Giancarlo Majorino, nato a Milano, il 7 aprile 1928. Poeta, insegnante e drammaturgo italiano è scomparso stamattina, nella sua città d’origine, Milano, all’età di 93 anni. E’ stato Presidente della Casa della Poesia di Milano, dal 2005, anno della sua costituzione, a oggi.

L’ultimo suo libro è stato pubblicato nel 2018, La gioia di vivere (Mondadori, Collana Lo Specchio) dalla quale è tratta la poesia che qui vi proponiamo.
.

davvero bell chiaro troppo
di non so quanto
e soltanto chi sta sotto
potrà comprendere rivivere
sia Gesù sia Marx l’han detto

e poesie non notizie (dopo, dopo)
nonché’ l cervello di uno dei ceti medi
come qui può cominciare a scrivere
chi sta sopra non può dirigere niente
chi sta sotto potrebbe ma è assai difficile

ma poi quando un uomo grida aiuto
un uomo una donna una vecchia un bimbo
è come se il mondo si fermasse
case mute zitte finestre chiuse
tutto ciò parla o o urla o tace sale s’agita

 

Da: La gioia di vivere (Mondadori, 2018) Continua a leggere

Addio a Francesco Scarabicchi

Francesco Scarabicchi, ph Ansa

Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato consegnarsi.

*

Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.

*

«Così dunque si muore
tra bisbigli
che non sai afferrare».

*

«E dopo?
Dopo semplicemente,
la vana solitudine del sogno».

*

«Viene
l’aria dell’anno
dal giardino:

cosa avrà in serbo
il giovane gennaio
col suo gelo?»

da “Il prato bianco”, Einaudi, 2017

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Addio a Philippe Jaccottet

E’ morto Philippe Jaccottet, poeta, traduttore e critico letterario, vincitore del Premio Goncourt per la Poesia nel 2003. Jaccottet, svizzero, aveva 95 anni.

Lo ha annunciato il figlio all’agenzia di stampa France Press. La casa editrice italiana, Marcos Y Marcos che ha molti suoi titoli in catalogo ha fatto sapere che il 17 marzo 2021 pubblicherà Passeggiata sotto gli alberi, opera inedita in Italia inclusa nella Pleiade di Gallimard.

 

Parler est facile, et tracer des mots sur la page,
en règle générale, est risquer peu de choses:
un ouvrage de dentellière, calfeutré,
paisible (on pourrait même demander
à la bougie une clarté plus douce, plus trompeuse),
tous les mots sont écrits de la même encre,
«fleur» et «peur» par exemple sont presque pareils,
et j’aurais beau répéter « sang » du haut en bas
de la age, elle n’en sera pas tachée,
ni moi blessé.
Aussi arrive-t-il qu’on prenne ce jeu en horreur,
qu’on ne comprenne plus ce qu’on a voulu faire
en y jouant, au lieu de se risquer dehors
et de faire meilleur usage de ses mains.
Cela,
c’est quand on ne peut plus se dérober à la douleur,
qu’elle ressemble à quelqu’un qui approche
en déchirant les brumes dont on s’enveloppe,
abattant un à un les obstacles, traversant
la distance de plus en plus faible – si près soudain
qu’on ne voit plus que son mufle plus largeque le ciel.
Parler alors semble mensonge, ou pire: lâche
insulte à la douleur, et gaspillage
du peu de temps et de forces qui nous reste.
Parler alors semble mensonge, ou pire: lâche
insulte à la douleur, et gaspillage
du peu de temps et de forces qui nous reste.

Parlare è facile, e tracciare parole sulla pagina
vuol dire, per lo più, rischiare poca cosa:
lavoro da merlettaia, ovattato,
tranquillo (perfino alla candela si potrebbe
domandare una luce più dolce, più ingannevole),
le parole sono tutte scritte con lo stesso inchiostro,
«fetore» e «fiore» per esempio sono quasi uguali,
e quando avrò ricoperto di «sangue» l’intera pagina,
lei non ne sarà macchiata,
o io ferito.

Capita dunque di provare orrore per questo gioco,
di non capire più cosa si voleva fare
giocandoci, invece di arrischiarsi fuori,
e di fare un uso migliore delle proprie mani.

Questo
è quando non ci si può più sottrarre al dolore,
quando il dolore somiglia a qualcuno che viene,
strappando il velo di fumo in cui ci si avvolge,
abbattendo uno per uno gli ostacoli, colmando
la distanza sempre più lieve – d’improvviso così vicino
che non si vede più che il suo muso più largo
del cielo.

Parlare allora sembra menzogna, o peggio: vigliacco
insulto al dolore, e inutile spreco
del poco di tempo e forze che ci resta.

La mer est de nouveau obscure. Tu comprends,
c’est la dernière nuit.Mais qui vais-je appelant?
Hors l’écho, je ne parle à personne, à personne.
Où s’écroulent les rocs, la mer est noire, et tonne
dans sa cloche de pluie. Une chauve-souris
cogne aux barreaux de l’air d’un vol comme surpris,
tous ces jours sont perdus, déchirés par ses ailes
noires, la majesté de ces eaux trop fidèles
me laisse froid, puisque je ne parle toujours
ni à toi, ni à rien. Qu’ils sombrent, ces «beaux jours»!
Je pars, je continue à vieillir, peu m’importe,
sur qui s’en va la mer saura claquer la porte.

Philippe Jaccottet (Moudon, 1925), dall’Effraie(Gallimard, 1953) – Traduzione italiana: P. Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorant (con un saggio di Jean Starobinski, a c. di Fabio Pusterla, Einaudi, 1992)

Portovenere

Di nuovo cupo il mare. Tu capisci,
è l’ultima notte. Ma chi chiamo? A nessuno
parlo, all’infuori dell’eco, a nessuno.
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba
in una campana di pioggia. Un pipistrello
urta come stupito sbarre d’aria,
e tutti questi giorni sono persi, lacerati
dalle sue ali nere, a questa gloria
d’acque fedeli resto indifferente,
se ancora non parlo né a te né a niente. Svaniscano
questi «bei giorni»! Parto, invecchio, che importa,
il mare dietro a chi va sbatte la porta.

 

Plus je vieillis et plus je croîs en ignorance,
plus j’ai vécu, moins je possède et moins je règne.
Tout ce que j’ai, c’est un espace tour à tour
Enneigé ou brillant, mais jamais habité.
Où est le donateur, le guide, le gardien?
Je me tiens dans ma chambre et d’abord je me tais
(le silence entre en serviteur mettre un peu d’ordre),
et j’attends qu’un à un les mensonges s’écartent:
que reste-t-il? que reste-t-il à ce mourant
qui l’empêche si bien de mourir ? Quelle force
le fait encore parler entre ses quatre murs?
Pourrais-je le savoir, moi l’ignare et l’inquiet?
Mais j’entends vraiment qui parle, et sa parole
pénètre avec le jour, encore que bien vague :
«Comme le feu, l’amour n’établit sa clarté
que sur la faute et la beauté des bois en cendres… »

Philippe Jacccottet (Moudon, 1925), L’Ignorant (Gallimard, 1958; traduzione italiana: Philippe P. Jaccottet, Il Barbagianni. L’Ignorante, con un saggio di Jean Starobinski, a c. di Fabio Pusterla, Einaudi, 1992)


L’ignorante

Più invecchio e più io cresco in ignoranza,
meno possiedo e regno più ho vissuto.
Quello che ho è uno spazio volta a volta
innevato o lucente, mai abitato. E il donatore
dov’è, la guida od il guardiano? Io rimango
nella mia stanza, e taccio (entra il silenzio
come un servo che venga a riordinare),
e attendo che a una a una le menzogne
scompaiano : cosa resta? Cosa rimane a questo moribondo
che gli impedisce ancora di morire? Quale forza
lo fa ancora parlare tra i suoi muri?
Potrei saperlo, io, l’ignaro e l’inquieto? Ma la sento
parlare veramente, e ciò che dice
penetra con il giorno, anche se è vago:
«Come il fuoco, l’amore splende solo
sulla mancanza, e sopra la beltà dei boschi in cenere…»

NOTA CRITICA DI ALBERTO FRACCACRETA

Ricordo di Philippe Jaccottet

Quando si legge un libro di Philippe Jaccottet, poeta svizzero di lingua francese scomparso qualche giorno fa a Grignan all’età di novantacinque anni, si prova un’esperienza che forse non è del tutto improprio definire mistica. Come accade nella silloge E, tuttavia (traduzione di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, 2006), un martin pescatore, un pettirosso, «insulse» e «infime» viole, la carota selvatica e i convolvoli sono capaci di «sgombrare la vista», cioè rendere evidente la cognizione di qualcosa d’altro («una via», «una traccia») sì da conoscere il mondo per come esso è veramente. I medesimi tentativi di purificazione del vedere — con uno stile personalissimo a metà tra il poème en prose, il carnet de voyage e l’ekphrasis — sono espressi con limpidezza pari a verginità espressiva negli scritti dedicati a Giorgio Morandi, nei diari della Semaison o nel cahier bleu del viaggio in Terrasanta.

Non è un caso allora che la critica (con Starobinski in cima) abbia univocamente appioppato a Jaccottet il titolo di «poeta dell’umiltà», sempre pronto a ritrarre l’io dalla materia d’ispirazione per accogliere la fiamma dell’alterità nel cuore dell’ordinario. Cantore delle ultime cose e delle cose ultime, egli ha seguito un percorso coerente e credibile che gli è valso il Prix Goncourt de la poésie nel 2003 e il prestigioso Prix mondial Cino del Duca nel 2018, nonché la perenne candidatura al Nobel. Continua a leggere

Ciao Franco

di Maurizio Cucchi

 

Torno a leggere una delle poesie di Franco Loi che rivelarono, ormai quasi mezzo secolo fa, una presenza nuova che convinse lettori sensibili e severi come Franco Fortini o Dante Isella. Parlo di quella lirica che fa così: “Mariuccia / prim tettin de la mia vita” e che poi prosegue portandoci in un luogo preciso di Milano: “Oh, ser de via Cardano / curt de fümara, / buff de scighera che dal Navilli vègn”. E così torno con la mente a passeggiare con Loi, di cui sono stato amico e che abbiamo da poco perduto, partendo proprio da via Gerolamo Cardano, lì dalle parti di via Melchiorre Gioia e via Galvani, ma poi il pensiero mi riporta al poeta, all’originalità sorprendente della sua opera e della sua lingua, e dunque del suo dialetto milanese così speciale, in quanto scritto non più secondo i canoni classici del Porta o del Tessa, ma ripreso in una grafia nuova, più vicina alla pronuncia, all’oralità. Ma non solo: un dialetto a volte reinventato, una lingua di chi come Loi , nato a Genova nel 1930, da padre sardo e madre emiliana, trasferitosi a Milano nel 1937, era costretto ad ambientarsi, anche linguisticamente, per potersi integrare. Il nostro poeta, vivendo a contatto quotidiano anche con la realtà di lavoro del suo tempo, aveva dovuto apprendere e far propria quella lingua. Una lingua cresciuta dalla concretezza di gente umile, e a volte, come lui, venuta da altri luoghi. Una lingua che gli ha consentito narrazioni liriche legate all’esperienza di un mondo operaio che aveva potuto conoscere e frequentare direttamente. Una poesia quella di Loi carica di tensioni e sentimenti che con estrosità oscilla tra alto e basso, tra elementi teatrali ( Teater è il suo secondo libro del 1978) e spinte epiche, di un’epica popolare frutto della memoria e di una attenzione ai fatti e alle figure dell’esperienza. Ed era bello ascoltarlo dire i suoi versi in pubblico: la sua forza comunicativa , l’emozione della sua poesia suscitavano una immediata adesione del pubblico. Ho avuto, dicevo, la fortuna di conoscere bene Franco Loi: mi piaceva ascoltarlo ricordare la Milano del dopoguerra, del Casoretto (il rione che ben conosceva). Quando ci capitava di passeggiare insieme per la città parlavamo di tutto e, qualche volta, anche di calcio, ma qui avevamo qualche contrasto: io interista … e Franco tifoso del Milan. Continua a leggere

Ancora due passi. Per Franco Loi.

Franco Loi

di Alessandro Santese

 

 

Consegnato alla sua giacca a vento grigia, la sciarpa multicolor lunga ai due lati del collo che spiove fino alla cintola, Franco Loi cammina su e giù, sopra un palco che potrebbe essere una via tra le tante che sapeva a memoria di Milano. C’è un incontro; lui parla; il titolo è: «Il silenzio dell’amore». Ma non parla soltanto, cammina, su e giù, da un lato all’altro, senza sosta: e si lascia sottilmente invasare. Camminare lo riporta alle sue vie, pensa, forse, qualcuno. Una scrivania, al centro esatto del palco, dell’acqua e un bicchiere rovesciato sulla testa della bottiglia, una sedia e tutto l’occorrente, lo attendono. Non li vede neppure. Entra ma come non entra davvero; comincia a parlare. Non si accomoda, declinando gli onori di casa. Tiene il cappotto e la sciarpa. E forse rifiuta, in silenzio, con grazia naturale, senza volere, la cerimonia degli arrivati, di chi è costretto a parlare poi borghesizzando i fatti in poltrona, dal pulpito morbido: vuole fare su e giù, continuando a scalpitare anche lì senza tregua, è probabile, le sue strade mentali, zeppe di rioni rumorosi o festanti, silenzi definitivi, occhi ridevoli, risa violente e pane caldo. Vento, tram, bèj tusann; balere; la guerra dentro.
Quarantacinque minuti. Su e giù, e ancora, continua, su e giù: mentre parla, ce ne accorgiamo, egli si lascia parlare, con la sua voce da giradischi magato unghiato dalla puntina, flautata nel timbro, dolcemente spiritesca. I temi sono quelli che lo muovono, grandissimi, da sempre: il silenzio mentale, lo spiro di amore dantesco, le dimensioni intersecanti del tempo, la dettatura dell’anima e dei versi, i morti e l’innamoramento, riportati tutti ad altezza d’uomo e a misura di vita con la disinvoltura di uno sciamano senza difese cresciuto nei sobborghi, quasi stesse, con la stessa naturalezza, continuando il porta a porta dei tempi del PCI, solo ora con l’anima e i suoi segreti da confidare.
E difatti cammina al bordo quasi del palco, come per immergere anche se stesso nel flusso di chi lo ascolta. Dunque termina: e se ne va, così come era venuto, senza stacco di cinepresa, il cappotto troppo grande ancora addosso, senza nulla toccare degli strumenti di chi si vuole a casa, lasciandoli lì intatti, dietro di sé, pungolato invece da un demone che lo spingeva con furia dentro sé e che chiamava, anche lui, poesia.
Chi sedeva ascoltando, io credo, stupiva. E lì sotto, non lontano dal flusso, quel giorno, al centro Asteria, stupivo sorridendo di gioia anche io.   Continua a leggere

Cees Nooteboom, “Addio. Poesie al tempo del virus”

NOTA DI LETTURA DI ALBERTO FRACCACRETA

 

 

Poesia filosofica e profondamente legata al contingente, quella dell’olandese Cees Nooteboom è una continua divagazione sull’essere e sull’apparire, un registrare i mutamenti immutati della natura (soprattutto degli amatissimi cactus nel suo giardino di Minorca, dei fichi, della vegetazione lussureggiante ma anche delle oche del vicino), un sommesso ascoltare nomi, suoni, stridii, fragore di giornali, passaggi in lontananza. Poesia dunque di pittura e di musica, di improvvisi e irripetibili squarci, di esaltazioni nominali e avvolgimenti sinfonici: poesia racchiusa in gabbie metriche addentellate — Addio consta di trentatré liriche, ognuna costruita su tre quartine caudate —, con andamento progressivo e poematico che apre e chiude una stagione di riflessioni dello scrittore (in questo caso si tratta di un autunno a Minorca e, significativamente, del periodo di quarantena trascorso a Hofgut Missen durante la prima ondata di Covid-19).

Come scrive opportunamente Andrea Bajani nella postfazione, «a dispetto del titolo, questo libro non è un congedo. L’autore di Tumbas non si congeda da niente. L’addio è semplicemente il muro ultimo, dopo il quale si estende, o si annida l’inesprimibile». Certo, nella sconcertante precisione di un timbro levigato emerge sovrano — negli scarti e nei vuoti semantici da waste land — il silenzio, inteso come frattura e fattura estrema del poetare («Il silenzio, travestito da voluttà notturna, circonda/ la casa, e lui riascolta le voci di un tempo»). Dentro il silenzio sorge, però, per dirla con Adam Zagajewski, un «dialogo pacato», fatto di sguardi — sguardi che diventano poesia — e intese fulminanti dinanzi al testimone muto, simboleggiato, o meglio incarnato dai cactus. Qui avviene l’incontro sempre sospettoso, sempre rimandato con la morte, con il dopo, viaggio estremo prefigurato nella dissoluzione del virus e nella scomparsa degli amici («L’amico morto senza poter più parlare,/ l’altro amico che sull’ultimo letto/ tracciava con le mani un cerchio,// e voleva dire viaggio. Era/ un addio»). Mentre fluisce vorticosamente l’identità in una singhiozzante alterità («Il corteo/ che si mescolava ai loro sogni/ è apparso al lui del mio/ io, l’io del mio lui»), la solitudine e il senso heideggeriano di gettatezza (Geworfenheit) implicano una visione del mondo incentrata sul tema del viaggio non soltanto come giunzione con la morte, ma anche e soprattutto come peregrinare incessante degli elementi dell’universo: il cosmo è già movimento, divenire in dissolvenza, fuoco («Quante vite stanno in una vita?/ Quante volte la stessa testa è qualcun altro?»). Continua a leggere

Addio a Anne Stevenson

Anne Stevenson

Solo qualche giorno fa avevamo pubblicato alcune poesie della poetessa Anne Stevenson senza sapere che ci stava per lasciare. Nata nel 1933 si è spenta il 14 settembre 2020, a 87 anni.

Anne Stevenson nata a Cambridge, in Gran Bretagna, aveva sei mesi quando i genitori, americani, ritornarono negli Stati Uniti. Crebbe e studiò prima nel New England, dove il padre insegnava filosofia a Harvard e Yale, poi a Ann Arbor, nel Michigan. In America studiò musica, pianoforte e violoncello, e letteratura europea. Sembrava avviata a una carriera concertistica ma, ancora molto giovane, iniziò ad avere seri problemi all’udito. Si dedicò allora completamente alla poesia. Dopo una serie di spostamenti tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna (ha risieduto in Inghilterra, Scozia e Galles), si è infine stabilita definitivamente in Inghilterra, a Durham, assieme al marito Peter Lucas.

È autrice di più di venti raccolte di poesia, le più recenti sono “Poems 1955-2005” (2005), “Stone Milk” (2007) e “Astonishment” (2012), tutte pubblicate da Bloodaxe, e di libri di saggi e critica letteraria che includono una biografia della poetessa Americana sua coetanea Sylvia Plath, Bitter Fame: “A Life of Sylvia Plath” (1989), un notevole studio critico dell’opera di Elizabeth Bishop, Five Looks at Elizabeth Bishop (Bloodaxe Books, 2006) e “About Poems and how poems are not about” (2017), basato su una serie di conferenze da lei tenute alla Newcastle University.

Ha vinto numerosi premi, in America e in Inghilterra, tra i quali nel 2002 il Northern Rock Foundation Writer’s Award e nel 2007 il Lannan Lifetime Achievement Award for Poetry e il Poetry Foundation’s Neglected Masters Award. Nel 2008, la Library of America ha pubblicato Anne Stevenson: Selected Poems, a cura di Andrew Motion, l’allora Poeta Laureato del Regno Unito, nell’ambito di una serie dedicata alle maggiori figure della poesia americana.

Una selezione di sue poesie, tradotte in italiano e curate da Carla Buranello, è stata pubblicata nel 2018, in edizione bilingue, da Interno Poesia Editore, con il titolo Le vie delle parole.

Il suo ultimo libro, “Completing the Circle”, è appena uscito in Inghilterra. Continua a leggere

Lutto nel mondo della poesia per l’improvvisa scomparsa del giovane Gabriele Galloni

Gabriele Galloni

Di Gabriele Galloni mi parlò per la prima volta una mia amica, Ida Cicoira nell’aprile del 2018. Era un periodo molto difficile per me, mi preparavo a un cambiamento enorme, radicale, ma questa non vuole essere una giustificazione. Oggi so che avrei dovuto occuparmi di Gabriele, prestare attenzione alla sua poesia e per questo tornerò in seguito a parlarvi di questo giovane poeta.

Gabriele, mi scrisse Ida Cicoria, a soli 22 anni aveva già pubblicato nel 2017,  la sua prima raccolta di versi “Slittamenti” con una prefazione di Antonio Veneziani e subito dopo era uscita la seconda “In che luce cadranno”. Per scrivere il suo secondo libro, mi spiegò Ida, Gabriele aveva portato avanti un lavoro di ricerca intervistando dei malati terminali.

Non aggiungo altro. Pubblico una manciata di suoi versi… ripetendo qui quello che qualcuno dei suoi amici mi ha scritto la notte scorsa su messanger: “Gabriele si è addormentato e non si è più svegliato”.

Ciao, caro Gabriele. Perdonami. Non ho saputo difenderti.

LUIGIA SORRENTINO

______

I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile.
Sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

*

Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni. Tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro

le coordinate per un’altra vita.

*

Scappi via e ridi; lasci che la schiuma
ti evapori nel tuffo – e piena l’onda
già ti fa ruzzolare sul fondale.

Questi anni nostri non avranno male;
saranno sempre gli anni del Miracolo
per ogni luce che mi indicherai

spegnersi a basso volo sopra i campi
di Torvaianica.

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Addio a Mario Benedetti (1955-2020)

Mario Benedetti, Credits ph. Dino Ignani

«Povera umana gloria/ quali parole abbiamo ancora per noi?»
(da Umana gloria M. BENEDETTI)

Mario è morto il 27 marzo 2020. Viveva dal 21 marzo 2018 in una residenza a Piadena, in provincia di Cremona. Nel 2014 era stato colpito da un arresto cardiaco con ipossia cerebrale, ma si era ripreso e stava bene, anche se non ha più scritto nulla. E’ morto nell’infuriare di questa epidemia terribile che è il COVID- 19.

Mario Benedetti verrà temporaneamente tumulato nella tomba di famiglia di Donata Feroldi, l’amica di una vita, a Piadena, perché lui aveva espresso il desiderio di essere sepolto acconto al padre a Nimis, dove aveva vissuto,  in Friuli. Ma le circostanze emergenziali in cui tutti ci troviamo, non consentono di farlo subito.

Lunedì 30 marzo ci sarà, in tarda mattinata, una piccola cerimonia funebre al cimitero a Piadena.  Date le circostanze, sarà un semplice saluto, al quale parteciperanno tre o quattro persone.

Da Umana Gloria

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.

Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,

il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.

Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.

*

Che cos’è la solitudine.

Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.

Ho freddo, ma come se non fossi io.

Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.

Che cos’è la solitudine.

La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.

L’ho letto su un foglio di giornale.
Scusatemi tutti.

*

Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dita, i tuoi capelli lunghi marrone.
Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.

*

Come dire che due ragazzi camminano
sulla breve salita
e la notte cammina
in quel breve salire,
e in questo poco tempo noi siamo vivi,
erba, fiume laggiù
che mormori a tutto il vuoto e a me
l’eco del salire dei corpi?

*

Non sapevo se le mie parole erano le stesse
per tutti, la mia notte
se era la stessa nessuno lo diceva.
Valli, ogni volta che venivo,
erba ripetevo, adesso è ancora questa erba,
e alberi, toccarli, dire alberi.
Viale che non guardo,
rimasto come lo sapevo ma neppure un viale.
E cammino anche più in là di me
adesso che piangere è pioggia,
e stare soli è più grande.

Mario Benedetti, da Tutte le poesie (Garzanti, 2018)

___

Dall’Introduzione all’intervista di Luigia Sorrentino a Mario Benedetti (RAI Radio Uno, 2012)

“Mario Benedetti ha pubblicato numerose raccolte di poesie, traduzioni, saggi critici e prose poetiche. Ha collaborato a vari giornali e riviste letterarie ed è una delle voci più significative della nostra poesia più recente. Nei suoi versi vi è tutta l’incertezza e la provvisorietà dell’essere umano.”

Così raccontava di se stesso nell’intervista radiofonica (n.d.r. “Per il verso giusto” – I poeti su Radio Uno) – realizzata nel 2012 da Luigia Sorrentino: “Sono nato malato… anche da bambino… avevo sempre qualcosa.

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Addio ad Alberto Arbasino, lo scrittore irriverente

Alberto Arbasino

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Penso che uno dei libri che maggiormente rappresenti Arbasino, sia “Fratelli d’Italia”. Un libro intelligente che soltanto un intellettuale della sua portata avrebbe potuto scrivere. Il romanzo, edito da Adelphi, racconta uno sfrenato «viaggio in Italia» degli anni Sessanta, uno smisurato Grand Tour di ventenni on the road. Ma che Italia era quella!

Cosi si legge nel risvolto di copertina:

“Quando fu pubblicato nel 1963, “Fratelli d’Italia” era un romanzo di avventure intellettuali e picaresche attraverso le follie del boom economico e le metamorfosi della società e del paesaggio, delle illusioni e dei caratteri.

Oggi questo romanzo ci viene incontro come l’opera «totale» di una vita. Così rinasce tutto nuovo questo libro irriverente e imponente, che racconta l’Italia di allora e di oggi più di qualsiasi summa, con l’estro insolente di un autore che ha saputo infondere nella lingua e nella letteratura italiana una leggerezza e una mobilità senza precedenti.

Comico, enciclopedico, spettacolare, efferato, divertentissimo, questo romanzo di formazione, di conversazione e di idee si presenta anche come una ricapitolazione allucinatoria del Novecento europeo: pieno di figure storiche e personaggi reali, di scoperte e polemiche, di peripezie mondane e aneddoti autentici e battute pazzesche. Notti senza fine di giovani che discutono dei loro autori e dei loro amori fino all’alba, progettando grandi opere-sogno letterarie e teatrali e musicali vere o immaginarie o fantastiche. Continua a leggere

Addio a Emanuele Severino

E’ morto il filosofo Emanuele Severino. E’ scomparso a Brescia lo scorso 17 gennaio ma si è saputo soltanto oggi, per sua volontà.

Il filosofo, che avrebbe compiuto 91 anni il 26 febbraio, è stato già cremato. Severino è stato uno dei più grandi filosofi, scrittori e intellettuali viventi.

“Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi alla gioia, ma alludo al superamento di ogni contraddizione che attraversa la nostra vita perchè siamo costantemente nello squilibrio e nell’instabilità: non ci attende la reincarnazione o la resurrezione, ma qualcosa di infinitamente di più”.

Così scriveva e ripeteva spesso, nelle sue lectio e nei suoi incontri, Emanuele Severino, morto il 17 gennaio a Brescia, che aveva compiuto 90 anni il 26 febbraio 2019. Un pensiero radicale, il suo, che per la negazione del ‘divenire’ lo ha portato ad un conflitto con la chiesa cattolica al punto che nel 1968, 4 anni dopo aver pubblicato ‘Ritornare a Parmenide’, su sua richiesta venne istruito un processo dall’ex Sant’Uffizio, che dichiarò la sua filosofia incompatibile con il cristianesimo. Un pensiero che Severino, considerato uno dei più grandi filosofi, scrittori e intellettuali del Novecento, ha coltivato facendo riferimento, oltre che a Parmenide, ad Aristotele, Eraclito, Hegel, Nietzsche, Leopardi. Continua a leggere

Addio a Alberto Toni

addio a Alberto Toni

Alberto Toni / Credits photo Dino Ignani

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

 

Si è spento a Roma dopo una breve malattia, il poeta e amico, Alberto Toni.

Domenica scorsa alle 14.58 sul suo profilo facebook era comparsa questa scritta: “Cari amici, credo che dovrò per un po’ sospendere i miei impegni letterari. Mi trovo infatti, per un problema serio, ricoverato al Policlinico Umberto I. In attesa di tempi migliori un saluto caro a tutti, scusate se non potrò rispondervi.”

C’eravamo visti e salutati con un bacio, l’ultima volta a Roma, il primo marzo, alla Casa delle Letterature, in occasione della presentazione del libro di Maurizio Cucchi, “Sindrome del distacco e tregua” (Mondadori, 2019). In quella occasione Alberto mi aveva portato il suo ultimo libro di poesie “Non c’è corpo perfetto” (Algra Editore, dicembre 2018). Avevo letto il libro tutto d’un fiato colpita dal cambio di registro della sua poetica, millimetricamente scandita da una pronuncia aspra, ampia, transitoria. Ero entrata nei frammenti di un corpo poetico senza più alcuna protezione.

da Non c’è corpo perfetto
di Alberto Toni

[…]

Una furia,
la fretta di andar via,
casa mia, casa mia,
mettere radici,
cercare le radici, la carta mancante, la calligrafia dello stupore
e la vaghezza, il respiro fino all’ultimo, la pietà è discesa,
non rendo, non colgo, soltanto mi approssimo per tentativi.

Ora il nostro compito è ricordare Alberto Toni, rileggendo la sua poesia con umanissima pietas. E pensare che lui ci parlava di “corpi da proteggere”, quelli che Alberto vedeva alla stazione, “denti su denti/crani su crani”. Continua a leggere

Addio a Gillo Dorfles, aveva 107 anni

Gillo Dorfles, teorico e critico d’arte, attivo anche come artista, è morto nella sua casa a Milano. Nato a Trieste nel 1910, Dorfles avrebbe compiuto 108 anni il 12 aprile. Si era dedicato all’arte dopo essersi laureato in medicina con una specializzazione in psichiatria ed arrivando ad insegnare Estetica nelle Università di Milano, Cagliari e Trieste.

Aveva pubblicato numerosi libri, tra i quali “Il divenire delle arti” (1959), “Ultime tendenze dell’arte d’oggi” (1961), “Il kitch” (1968), “Le oscillazioni dal gusto” (1970), “Il divenire della critica” (1976), “Elogio della disarmonia” (1976), “Il feticcio quotidiano” (1988), “Conformisti” (1997), e molti altri.

Come pittore, attività che ha proseguito insieme a quelle di docente e scrittore, è stato, nel 1948, tra i fondatori del MAC (Movimento Arte Concreta), che fu un caposaldo dell’astrattismo.

Nel gennaio 2017 aveva inaugurato alla Triennale di Milano la mostra ‘Vitriol, Disegni di Gillo Dorfles, 2016’, una summa del suo pensiero artistico: “Ognuno deve costruirsi il suo Vitriol”. Continua a leggere

Addio a Claribel Alegría

È venuta a mancare il 26 gennaio 2018 la grande poetessa nicaraguense, Claribel Alegría considerata una delle più popolari del centro America. Aveva 94 anni. La ricordiamo con le sue poesie, con una recensione di Alessandro Canzian e con le parole della sua traduttrice italiana, Zingonia Zingone, che ha tradotto l’ultimo libro pubblicato in Italia dalla poetessa nicaraguense per la casa editrice Samuele Editore.

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Addio a Joëlle Gardes

Joëlle Gardes / Credits ph. Adrienne Arth

di Luigia Sorrentino

Lunedi 11 settembre a causa di una crisi cardiaca, si è spenta a Marsiglia Joëlle Gardes, scrittrice, poetessa e traduttrice francese.

Joëlle Gardes, nata a Marsiglia nel 1945, viveva a Cassis. Joëlle è stata  un’amica carissima con la quale ho avuto un rapporto costante, fino al giorno del suo ricovero in ospedale, ed è per questo che oggi voglio ricordarla in maniera “affettiva” riprendendo  l’ultimo lavoro che avevamo fatto insieme tra luglio e agosto 2017, e cioè la traduzione di alcune poesie di Louise ColetContinuerò ad amare Joëlle Gardes, per questo la ricorderò spesso, riproponendo le sue poesie, le sue traduzioni, i suoi saggi, perché credo sia il tributo più grande che si possa offrire a una donna e a una scrittrice straordinaria che ha dedicato tutta la sua vita alla letteratura, con una particolare attenzione a quella delle donne.

« Il soffio della sventura », Penserosa

La sventura ha gettato l’arido soffio,
Prosciugata è la fonte dei dolci sentimenti,
Incompresa l’anima mia appassita
perdendo la speranza perde il pensiero toccante.

Gli occhi non hanno più lacrime, né canto la voce,
Il cuore disincantato non ha più sogni;
Per tutto ciò che amavo con passione,
Non resta più amore, né inclinazione.

Un arido dolore rode e brucia la mia anima,
Non c’è niente che voglio, e niente ch’io domando,
Il mio futuro è morto, e ho nel cuore il vuoto.

All’occhio che mi vede, offro un corpo senza idee;
Senza divinità resta qualche antico tempio,
Dopo la festa la coppa è senza vino.

 

« Le souffle du malheur », Penserosa

Le malheur m’a jeté son souffle desséchant :
De mes doux sentiments la source s’est tarie,
Et mon âme incomprise, avant l’heure flétrie,
En perdant tout espoir perd tout penser touchant.

Mes yeux n’ont plus de pleurs, ma voix n’a plus de chant ;
Mon coeur désenchanté n’a plus de rêverie ;
Pour tout ce que j’aimais avec idolâtrie,
Il ne me reste plus d’amour ni de penchant.

Une aride douleur ronge et brûle mon âme,
Il n’est rien que j’envie et rien que je réclame,
Mon avenir est mort, le vide est dans mon coeur.

J’offre un corps sans pensée à l’oeil qui me contemple ;
Tel sans divinité reste quelque vieux temple,
Telle après le banquet la coupe est sans liqueur.

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Addio al grande poeta John Ashbery

E’ morto all’età di 90 anni uni dei più grandi poeti del mondo, John Ashbery. Si è spento da sera del 3  settembre nella sua abitazione a Hudson, ma la notizia si è avuta soltanto poche ore fa. Lo ha annunciato il marito, David Kermani.

Ashbery è un poeta che si è imposto su tutti quelli della sua generazione. Nel corso della sua lunga carriera ha vinto tutti i più prestigiosi riconoscimenti. nel 1976 con AUTORITRATTO DI UNO SPECCHIO CONVESSO ha vinto il Premio Pulitzer, il National Book Award e il Premio del National Book Critics Circle.

La sua opera si incentra sulla riflessione e il rispecchiamento e rappresenta un momento centrale di una ricerca che si basa sulla crisi della forma da usare per comunicare in poesia.

Ashbery ha pubblicato più di venti volumi di poesie. È stato tra i candidati al Premio Nobel per la Letteratura.

È disponibile in Italia un’antologia curata da Damiano Abeni con Moira Egan, alla cui selezione ha collaborato lo stesso autore: “Un mondo che non può essere migliore. Poesie scelte 1956-2007”, Luca Sossella, 2008.

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Addio a Francesco Belluomini

Lutto nel mondo della poesia. Il pomeriggio del 27 maggio 2017 se n’è andato l’amico e il poeta Francesco Belluomini, nato a Viareggio nel 1941.

Presidente del Premio Letterario Camaiore da lui ideato nel 1981, Francesco Belluomini viveva con la moglie Rosanna Lupi, in Versilia, a Lido di Camaiore.

Ha pubblicato quindici volumi di poesia, tra gli ultimi “Occhi di Gubìa” (LietoColle, 2008, poi uscito anche in versione spagnola nel 2009 dal titolo Escobenes a cura di Emilio Coco) e “Nell’arso delle sponde” (Verona 2010). I romanzi “Le ceneri rimosse” (Newton Compton, 1989); “Sul secco di quell’erba” (romanzo in versi, Pagine, 2002); “L’eccidio di SantAnna di Stazzema” (Bonaccorso, 2006); “La finestra sul mare” (Bonaccorso, 2007); “Villa Giulia” (Bonaccorso, 2009). Suoi testi sono stati pubblicati in antologie, periodici e riviste specializzate. Fondatore e Presidente del Premio letterario Camaiore.

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“Regni”, di Daniele Piccini

Dalla Nota di Antonio Prete

Questo di Daniele Piccini è un libro poetico. L’affermazione non è tautologica: molti libri di versi non hanno a che fare con la poesia. Mentre Regni nel suo stesso respiro è un libro poetico. Perché fa della parola il campo dove l’assente prende figura e ritmo, dove il visibile mostra il suo confine, cioè l’enigma. E fa dello sguardo sul già stato la soglia di un’interrogazione sul vivente, sulla sua terrestre odissea, sul suo legame sull’apparire e sulla sparizione. […]

La poesia, nello svolgersi di queste sequenze o stanze, è nel guardare l’esistenza – il suo rivelarsi in apparizioni e in mancanze, in presenze e assenze – di qua da un velo è la percezione del tempo come una sostanza che penetra in tutto, e mostra di sé specialmente il vanire, il perdersi nell’ombra dell’irreversibile, dell’impossibile ritorno. […]

L’attesa e l’addio hanno una funzione di rilievo in questi versi. Che sembrano dialogare con la poesia di Luzi, anche in certi movimenti dubitativi e nell’accamparsi di certe voci, in particolare con il Luzi di libri come “Dal fondo delle campagne” o “Per il battesimo dei nostri frammenti”. La poesia è sempre dialogo con la poesia. […]

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Predrag Matvejević

 

Predrag Matvejević

 

Nota di Fabio Izzo

Dice che era un bell’uomo e veniva,
Veniva dal mare…
Parlava un’altra lingua peró,
Sapeva amare.

Lucio Dalla- Gesù Bambino

Potrebbe essere proprio l’incipit di questa nota canzone il ritratto perfetto di Predrag Matvejević , l’autore di Breviario Mediterraneo, recentemente scomparso perché qui c’è la sua essenza, il mare, le lingue del mare, l’amore, l’amore per il mare, l’amore per le lingue, l’amore per le lingue del mare. Leggendo il suo testo più famoso, Breviario Mediterraneo, si inizia una sequenza di caldi affetti senza fine. Continua a leggere

Addio a Zygmunt Bauman

 

Il sociologo Polacco Zygmunt Bauman durante la pubblicazione del libro “Babel” alla 28/a Edizione del Salone Internazionale del libro presso il Lingotto, Torino, 17 Maggio 2015 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Zygmunt Bauman ci ha lasciati. Il grande filosofo e sociologo polacco è scomparso a 91 anni. E’ uno dei maggiori intellettuali contemporanei, diventato famoso per essere il stato il primo teorico della “società liquida”. Zygmunt Bauman: “La principale forza motrice che ha reso liquida la società è stata fin dal principio, la rapida ‘liquefazione’ delle strutture e delle istituzioni sociali.”
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Addio a Tullio De Mauro, l’intervista video

E’ morto a Roma a 84 anni il celebre linguista Tullio De Mauro, docente universitario, già ministro della Pubblica Istruzione e presidente della Fondazione Bellonci, che organizza il premio Strega. E’ stata la stessa Fondazione a darne conferma.

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Nato a Torre Annunziata il 31 marzo 1932, Tullio de Mauro, si laureò in Lettere classiche, per poi insegnare nelle università di Napoli, Chieti, Palermo e Salerno. Docente di Filosofia del linguaggio alla Sapienza di Roma, è stato poi ordinario di Linguistica generale presso la stessa università. Nel 1966 è stato tra i fondatori della Società di linguistica italiana, di cui è stato anche presidente (1969-73). È stato consigliere della Regione Lazio (1975-80), membro del Consiglio di amministrazione dell’università di Roma (1981-85), delegato per la didattica del rettore (1986-88) e presidente dell’Istituzione biblioteche e centri culturali di Roma (1996-97). Dal 2000 al 2001 è stato ministro della Pubblica Istruzione nel governo Amato.

Nel 2001 è stato nominato dal Presidente della Repubblica Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana. Per l’insieme delle sue attività di ricerca, l’accademia nazionale dei Lincei gli ha attribuito nel 2006 il premio della Presidenza della Repubblica.

Lo ricordiamo con questa intervista realizzata da Luigia Sorrentino a Napoli in occasione del Premio Napoli nel 2006. 

Nel 2008 gli è stato conferito l’Honorary Doctorate dall’Università di Waseda (Tokyo). Autore di un’importante traduzione commentata del Cours de linguistique générale di F. de Saussure (1967), tra le sue opere più importanti vanno citati la Storia linguistica dell’Italia unita (1963) e Il grande dizionario italiano dell’uso. Continua a leggere

Luciana Moretto

schermata-2016-12-17-alle-11-20-02Ho scelto “Tutto ciò che resta” di Luciana Moretto dalla raccolta “La memoria non ha palpebre” . Questa poesia è del 2012 e non è tratta dall’ultimo libro di versi di Luciana, ma mi è sembrata più di altre significativa per riassumere la voce di questa poetessa che ha all’attivo diversi libri di poesie. Una sola poesia, dunque, perché qui Luciana mette particolarmente in evidenza un dono: la tenerezza nel dirsi addio, la gioia di un’esperienza umana irripetibile anche nella separazione.

(di Luigia Sorrentino)

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Addio a Jolanda Insana

jolanda-insanaLa poetessa Jolanda Insana era nata a Messina il 18 maggio 1937 ma viveva a Roma dal 1968. Si è spenta oggi, 27 ottobre 2016. La notizia della scomparsa è stata diffusa nel corso dell’incontro alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma con il poeta e scrittore Giuseppe Conte.

“C’è qualcosa di antico nella poesia della Insana”, scriveva il poeta e critico Giovanni Raboni, “di solennemente proverbiale e al tempo stesso di violentemente, intrepidamente esposto (tramite un continuo lavorio di ibridazioni lessicali e timbriche) alle vicissitudini e ai disastri della contemporaneità.” Una parola poetica “morsa dalla fame” nella quale è racchiusa “l’infermità del corpo e l’infermità della nazione.”

Da: Frammenti di un oratorio, (Viennepierre, 2009)
Opera di Jolanda Insana pubblicata in occasione del centenario del Terremoto di Messina del 28 dicembre 1908.

accurrìti accurrìti gente
me figghia me figghia
portate una scala
me figghia
’na scala ’na scala
pigghiate me figghia
accurrìti accurrìti
u focu u focu
sa mancia
viva
a fini du munnu
a fini da so vita
viniti curriti
’na scala
tièniti tièniti
figlia Continua a leggere

Ancora un ricordo di Valentino Zeichen

valentino_zeichen4di Daniela Attanasio

Voglio ricordare Valentino come l’adolescente che a sette, otto anni guardavo ammirata a Villa Borghese. Già allora portava con sé il fascino della sua intraprendenza beffarda e l’autorevolezza di chi non vuole passare inosservato neppure agli occhi di un bambino. E anche allora aveva la leggerezza di chi, non credendo troppo nell’immaginazione o nelle favole, sa trovare il risvolto o la soluzione semplice delle cose con l’acutezza dell’intelligenza. Lo faceva, per esempio, quando formava le squadre per gli incontri di calcio o di guardie e ladri, deciso nell’affermare il suo ruolo di leader. Continua a leggere

Allestita la camera ardente per Valentino Zeichen

zeichen_jpgrtkfei8butChiunque voglia rendere omaggio e il proprio saluto al poeta Valentino Zeichen, può raggiungere l’Ospedale Santa Lucia in Via Ardeatina 306, a Roma, dove è stata allestita la camera ardente.

Le visite sono consentite dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00 di oggi, 6 luglio e domani, 7 luglio, dalle 8:00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00.

I funerali di Valentino Zeichen si terranno venerdì 8 luglio alle 11.00 alla Chiesa di Santa Maria del Popolo, a Piazza del Popolo.

ADDIO, VALENTINO
di Giulio Ferroni

C’è stato sempre qualcosa di aereo, di inafferrabile nella poesia e nella vita di Valentino: una frequentazione della marginalità senza il mito, la retorica, la rivendicazione della marginalità; una passione dell’eleganza, senza il riflesso borghese e il sussiego economico dell’eleganza. La sua poesia e la sua vita si sono dispiegate sempre in un’attenzione a tutto l’essere del mondo, alle occorrenze del quotidiano, alle forme della cultura, delle scienze e delle arti, all’universo della comunicazione, a tutto ciò che attraversa la scena del presente, ai suoi orizzonti storici e geopolitici: di tutto questo egli ha inseguito i molteplici volti, proiettandoli in infiniti punti di fuga, sentendone tutto il rilievo e l’urgenza e nel contempo la sostanza aerea, sfuggente, l’indefinita evanescenza. In fondo ha sempre guardato a questa scena del mondo, come da un suo inafferrabile altrove: presente e altrove è la sua Roma il cui cuore continuava a percorrere, in una sottile auscultazione del respiro delle sue pietre e dei suoi giardini, del suo dispiegato apparire, della sua trasandata bellezza. Continua a leggere

Addio a Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy (ANSA)

Yves Bonnefoy (ANSA)

Si è spento a  Parigi il 1 luglio 2016, all’età di 93 anni, il grande poeta francese, Yves Bonnefoy, più volte candidato al Nobel per la letteratura e accademico del College de France.

Tutte le sue raccolte in versi sono state pubblicate dalle case editrici Mercure de France e  Gallimard. In Italia le sue poesie sono uscite con numerosi editori: Einaudi, Mondadori, Sellerio, Archinto, Rizzoli, Le Lettere, Jaca Book, Donzelli, Guanda.

Nel 1953 esce, con straordinario successo di pubblico e di critica, la sua raccolta poetica d’esordio, “Movimento e immobilità di Douve”. Seguono “Ieri deserto regnante”, “Pietra scritta” e “Nell’insidia della soglia”. La sua produzione prosegue con due sillogi edite in un unico volume, “Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve”. Continua a leggere

Addio a Edwar El Kharrat

edwar_el_kharratLo scrittore egiziano Edwar El Kharrat, che grazie al suo stile surrealista e simbolista è
considerato uno degli innovatori della letteratura araba contemporanea, è morto il primo dicembre 2015 al Cairo all’età di 89 anni.

Ha pubblicato numerosi romanzi, tradotti in sette lingue. In italiano sono apparsi “Alessandria città di zafferano” (Jouvence), che presenta molti elementi autobiografici, “Le ragazze di Alessandria” (Jouvence), storie al femminile in Egitto dal secondo dopoguerra agli anni ’60, e “I sassi di Bubillo” (Edizioni Lavoro), che con gli occhi di un giovane protagonista che vive su una collina in estate fa rivivere miti dell’antichità.

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ADDIO AL POETA C.K. WILLIAMS

williams_ckIl poeta statunitense C.K. Williams, tra i maggiori autori di versi in lingu inglese della seconda metà del XX secolo, insignito del Premio Pulitzer e del National Book Award, è morto la notte tra sabato e domenica nella sua casa di Hopewell, nel New Jersey, all’età di 78 anni a causa di un tumore.

L’annuncio della scomparsa è stato dato oggi dalla famiglia alla stampa americana. Nelle sue poesie, dense di riflessioni morali ed etiche, vengono affrontati con passione temi come la guerra, la povertà ed anche i cambiamenti climatici, così come i misteri imponderabili della psiche.

A Roma, il 1° febbraio 2013, il poeta era stato protagonista a Roma a “Ritratti di Poesia”, la storica manifestazione che si tiene annualmente al Tempio di Adriano.

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Addio a Nelo Risi

nelo_risiE’ morto all’età di 95 anni Nelo Risi, fratello di Dino. Nato a Milano ma da anni residente a Roma, il poeta e regista si è spento ieri sera nella sua abitazione di via del Babuino.

Accanto a lui fino alla fine, la moglie, la scrittrice e poetessa di origini ungheresi Edith Bruck.

Nato il 21 aprile 1920, laureato in medicina come il fratello Dino (morto nel 2008 a 91 anni, Nelo Risi si è dedicato alla poesia a partire dal 1941, anno in cui pubblicò la sua prima raccolta, “Le opere e i giorni” da Scheiwiller. Il critico Luciano Anceschi inserì nell’antologia “Linea Lombarda” (1952) una serie di componimenti della prima produzione poetica di Risi. Nello stesso periodo Nelo Risi affiancò all’attività letteraria quella di regista (l’esordio con il film “Andremo in città” del 1966) realizzando otto film, oltre che un telefilm e diversi documentari, cortometraggi e inchieste televisive. Continua a leggere

Addio a James Salter

James_Salter_p_1_550Il 19 giugno 2015 se n’è andato all’età di 90 anni, lo scrittore statunitense, nato a New York City, James Horowitz, noto con lo pseudonimo di James Salter.

Nota di Giandomenico Vaccari

[…] Il paesaggio era bellissimo, ma passivo. Il vuoto delle cose si innalzava come un canto corale, rendendo il cielo ancora più azzurro e vasto.” […] Continua a leggere

Addio a Günter Grass

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Aveva 87 anni. Nel 1999 il riconoscimento, il Nobel per la letteratura. 

E’ morto a Lubeccaper un’infezione. Lo ha annunciato la casa editrice Steidl.

Nato nel 1927 a Danzica – oggi città della Polonia – lo scrittore e poeta tedesco era stato tra i rappresentanti del Gruppo 47, movimento che contribuì alla rinascita della in Germania dopo l’era buia del nazismo. Il suo successo internazionale arrivò nel 1959 con “Il tamburo di latta”, primo romanzo della trilogia di Danzica che comprende “Gatto e Topo” e “Anni di cani”. L’ultimo romanzo, del 2002, è “Il passo del gambero”.

Le memorie di Grass sono raccolte in tre testi degli ultimi anni: “Sbucciando la cipolla” (2006), “Camera oscura” (2008) e “Grimms Worter” (2010). Continua a leggere

Addio a Herberto Hélder de Oliveira

okE’ morto  a 84 anni nella sua casa di Lisbona, lo scrittore Herberto Hélder, considerato uno dei più grandi poeti contemporanei del Portogallo, in Italia poco conosciuto e tradotto.

Herberto Hélder de Oliveira era nato il 23 novembre 1930 a Funchal, nell’arcipelago di Madera, nell’oceano Atlantico. Negli ultimi trent’anni non ha quasi mai rilasciato interviste.

Nel 1994 ha rifiutato il premio Pessoa, uno dei maggiori riconoscimenti portoghesi nel campo letterario e della scienza. Continua a leggere

Addio a Philip Levine

 

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E’ morto il 14 febbraio 2015 il poeta statunitense Philip Levine. Era nato il 10 gennaio 1928, a Detroit, ed era una delle principali voci poetiche della sua  generazione.

Figlio di immigrati russi ebrei, Levine è cresciuto a Detroit, dove ha iniziato a lavorare nelle fabbriche di auto a quattordici anni. Era solo un ragazzo quando ci fu la Grande Depressione, nel 1930. I suoi eroi non erano solo le persone che hanno lottato contro il fascismo, ma anche persone comuni che hanno lavorato in posti di lavoro senza speranza, semplicemente per non diventare poveri. Interessato alla realtà del lavoro operaio e dei lavoratori, Levine ha prestato la sua voce “a chi non aveva voce”. Continua a leggere