Tim Postovit, l’orrore della guerra

Tim Postovit

Tim Postovit, poeta ucraino, ha scritto queste poesie mentre lavorava come assistente sociale in un albergo per rifugiati a Praga. Nelle poesie ritrae persone in carne e ossa, delle quali ha raccolto le storie per creare un cosiddetto Personaggio Composito.

Le poesie di Tim fanno parte di un’intera opera dedicata alla causa dei suoi connazionali. Con i suoi testi sta cercando di descrivere al lettore europeo le difficoltà dei rifugiati, vittime di questa guerra attuale, di sintetizzare le emozioni che condividono con lui, le emozioni innescate da un cambiamento improvviso e radicale nella loro quotidianità.

Il cambiamento è ciò che descrive maggiormente nella sua poesia. Riesce a mostrare, in modo efficiente, l’orrore della guerra, dell’immigrazione e dell’incomprensione da parte della maggioranza del paese nel quale i rifugiati sono arrivati…

ARA, TLUMOČNICE         (ARA, INTERPRETE)

Papouškovo požehnání na cestu

Šelma leží, líná chvost.
Promluv, lízneš její kost, jestli se zasměješ,
její krve se napiješ.

 

La benedizione di un pappagallo per il viaggio

 

La bestia mente, coda pigra.
Parla, le lecchi l’osso, se ridi,
berrai il suo sangue.

 

Píseň Ary a břízy

 

Zeptala se Ara břízy na poli:
Proč jsi zjara, břízo, bílá až to bolí?

Proč jsi jako topoly nezezelenala?

Vykladačko barev, Aro!

Tlumočnice lidí.

Co bys mi teď z cesty o nich zazpívala?

 

Canzone di Ara e Betulla

 

Nel campo Ara chiese a Betulla:

Perché sei primavera, Betulla, bianca che fa male?

Perché non sei diventata verde come i pioppi?

Scaricatrice di colori, Ara!

Interprete di persone.

Cosa canteresti di loro adesso?

 

Marika a její sen

Vzbudila se, na kuchyňský stůl padal přes otevřené okno stín.
Její dům pod černým mrakem, sláma pod závodním koněm.

Vyšla do zahrady, protože si vzpomněla na vysokou břízu vprostřed sadu.

Vzdálenost, kterou pes ještě předevčírem překonával

sedmi skoky, šla celý den.
Našla ji v noci a nikdy se ještě necítila tak fajne, jako když viděla hvězdy na otevřené obloze,

opřena o břízu na celém světě. Continua a leggere

La divina Abramović al San Carlo

“7 Deaths of Maria Callas”

di Luigia Sorrentino

Si è tenuta il 13 maggio alle 17:00 a Napoli la prima italiana di “7 Deaths of Maria Callas” con Marina Abramović in scena al Teatro San Carlo  fino a domenica 15 maggio.

Lo spettatore che ha seguito il lavoro svolto da quarant’anni dalla celebre artista serba si troverà di fronte a un’opera profondamente diversa da quelle a cui aveva assistito in passato.

Il desiderio di mettere in scena la Callas era qualcosa che covava da molto tempo nella mente di Marina. Nella sua autobiografia, la Abramović ha scritto di sentire la necessità di voler creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas.

Nello spettacolo l’artista ricostruisce scene di donne morte in sette opere liriche. “Perché lei, la Callas, è morta come molte delle sue interpreti, per amore, di crepacuore, per amore di Aristotele Onassis. La Callas è morta come le donne che cantava”.

Tutto fa pensare che Abramović presti il suo corpo sacrificale anche a tutte le donne  che nella contemporaneità hanno sofferto per amore, che sono state picchiate, abusate, che hanno subito violenza, presta il suo corpo a quelle donne che sono sopravvissute e a quelle che non ci sono più. 

Ma il motivo che spinge la Abramović a mettere in scena la Callas è anche un altro.

C’è qualcosa in comune fra loro. Una somiglianza. Un sentire comune.

Forse è l ’amore per l’arte e l’essenza profondamente spirituale il punto di contatto fra Marina Abramović e Maria Callas. Un’aderenza nata quando Marina aveva quattordici anni: “Sedevo nella cucina di mia nonna che aveva sempre la radio accesa. A un certo punto ascolto una voce: ricordo di essermi alzata in piedi ed essermi messa a piangere. Non avevo idea di chi fosse quella voce, era una voce di donna e lo speaker disse che era la voce di Maria Callas.”

Senza dubbio nelle sette morti di Maria Callas vi è un pensiero cosmico che mette su un piano analogo la vita e l’espressione artistica di Marina Abramović, con la vita e l’espressione artistica di Maria Callas.

Fra le due donne vi è un pensiero unico che travolge e unisce le due dive apparentemente diverse, ma in realtà molto simili. L’una è il corpo tragico dell’altra: quell’andare vacillante del corpo nella vita.

Entrambe sono eroine tragiche: l’una, Marina, regina della Performance art, l’altra, la Callas, regina mondiale dell’opera lirica.

A unire le vite delle due artiste c’è dunque un comune sentire: “essere possedute dall’arte e dall’amore”, qualcosa che coinvolge la vita di Marina e Maria: il donare la propria anima e il proprio corpo, il donarsi strenuamente.

Lo spettacolo inizia con un prologo musicale di grande intensità scritto dal compositore serbo Marko Nicodijević. Un grande talento, se si pensa che è nato nel 1980.

Sulla destra del palcoscenico si intravede la sagoma di una donna distesa su un letto, una donna che sembra ammalata o in punto di morte. É la figura della Callas che sta lì, deposta come qualcosa che dimora da sempre nel cuore di Marina. Sta lì immobile,  è come se chiedesse di non essere abbandonata da tutti quelli che aveva incontrato nella sua grande carriera di artista: “Luchino, Pier Paolo, Zeffirelli, dove siete adesso?” chiederà la Callas-Abramović nell’ultima scena. E ancora: “Elvira, Franco, Giancarlo, Aristotele, Bruna? Bruna?”

Ma quante volte è morta Maria Callas?

Marina ci mostra sette morti scelte tra le più importanti opere liriche interpretate da lei e le circoscrive in  sette quadri – sette cieli -. Dal chiarissimo e azzurro colmo di nuvole, al cielo scuro, a quello nerissimo, e infine,  al cielo rosso che è il rogo in cui morirà Norma.  L’’opera cinematografica diretta da Nabil Elderkin è immersiva, siamo tutti coinvolti, nelle immagini forti, drammatiche alle quali assisteremo. I protagonisti della carneficina sono Marina Abramović e Willem Dafoe.

A morire di malattia nel corpo della Abramović è Violetta de La Traviata, poi Tosca che si lancia da un grattacielo di New York guardando davanti a sé l’Empire State Building. Commovente e tragica approda sul cofano di un’auto nel centro della metropoli. Poi la Abramović è Desdemona strozzata da un serpente stretto attorno al collo dalle mani cruente di Willem Dafoe (Otello). E ancora: Carmen, imprigionata in una corda da don José e poi accoltellata.

Nel sesto quadro Abramović è Lucia di Lammermoor: tutto l’ universo congiura contro di lei. E allora colpisce violentemente la sua immagine nello specchio, spacca tutti gli specchi, fino a ferirsi a morte. Lo spargimento di sangue copre totalmente il volto della Abramović, c’è sangue sulle mani, lei stessa piange sangue. Ebbene, tutto questo sangue sparso ha qualcosa di universale. Esprime un’innocenza fondativa e un’emergenza, un pericolo che incombe come una minaccia su tutte le donne.

Marina in “7 Deaths of Maria Callas” esprime gradualmente un mondo desertificato e sterile come quando interpreta la morte di Madame Butterlfly sedotta, abbandonata e suicida e infine, quella di Norma, la casta diva senza più alcuna forza vitale che avanza tragicamente verso il fuoco tenendo per mano il suo uomo.

Poi cala il buio in sala.

Prima dell’ultima scena, attesa. La musica avvolge lo spazio. È forte, roboante, riempie tutto il teatro.

Poi lo spettatore si trova nella stanza della Callas a Parigi, nel 1977, l’anno in cui la cantante muore.

Ha 53 anni. È distesa sul letto. Il corpo è già troppo pesante. La retina percepisce una luce, un profumo di lavanda. Riesce a malapena a alzarsi dal letto, a compiere qualche movimento. Abbagliata dalla luce attraverserà una porta dalla quale non tornerà mai più.

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Lyudmyla Khersonska, “non tacere, grida”

приходит война – ты не молчи, кричи.
сволочи, кричи, твари, кричи, палачи,
не делай вид, что ничего не происходит,
не бойся тревожить всех,
тормоши, буди – когда война, разбудить не грех.
кричи на всю страну, на все другие страны кричи,
окна пошире раскрой, не глотай ее, не молчи,
не жри ее втихаря, проклятую, не давись.
остался где человек? отзовись!
если человек ушел, так бывает, что закончился человек,
казалось на наш век хватит, не хватило на век,
прячет голову в плечи, в голове прячет глаза,
он не против, он, практически, за.
так ты его, человека, расталкивай со всех сторон,
пусть не молчит, пусть тоже кричит он,
пусть не делает вид, что не произошло ничего.
даже последнего человека, верни его,
поверни лицом к реальности, лицом к войне,
объясни человеку, она не за окном, не вовне,
рядом с ним, там, где работа и дом,
рядом с немым, молчащим, выдавливающим фразу с трудом,
научи его говорить, по слогам кричать.
только не надо молчать. о войне не надо молчать.

quando arriva la guerra – non tacere, grida,
grida bastardi, grida bestie, carnefici,
non fingere che nulla stia succedendo,
non aver paura di disturbare alcuno;
quando c’è la guerra, non è peccato svegliarsi.
grida al paese intero, grida a tutti gli altri paesi,
spalanca le finestre, non ingoiarla, non tacere,
non mangiarla in segreto, non soffocarti.
c’è ancora l’uomo? Rispondi!
senza uomo, l’umanità è condannata.
Sembravano abbastanza per il nostro secolo, ma non abbastanza per un secolo,
nasconde la testa tra le spalle, nella testa nasconde gli occhi,
non gli importa, acconsente.
allora scuoti l’uomo in tutti i modi,
che non taccia, che gridi anche lui,
che non finga che nulla stia succedendo.
anche se fosse l’ultimo uomo, riportalo in sé,
che affronti la realtà, che affronti la guerra,
spiega all’uomo che non è fuori dalla finestra, non è lì fuori,
è proprio qui, accanto a casa sua e al suo lavoro,
accanto al suo tacere, il suo muto tacere che a stento si rompe,
insegnagli a parlare, a gridare in sillabe.
ma non tacere, sulla guerra non puoi tacere.

Traduzione di Greta Caseti Continua a leggere

Boris Khersonsky, “quanti balconi crollati”

Il poeta ucraino Boris Khersonsky a Civitella Ranieri nel 2022

по городу носят взрывчатку в пластиковых пакетах
хозяйственных сумках и маленьких чемоданах
топчут асфальт и брусчатку мы узнаем об их секретах
после взрывов и это просто уточнение данных

сколько окон выбито сколько балконов упало
есть ли убитые или все живы здоровы
только напуганы тем что мирной жизни не стало
случилась война а законы войны суровы

или их просто нет и взрывы вошли в привычку
не встаем из-за столика только вздрогнем и лица мрачнее
враг выбирает оружие как вор подбирает отмычку
а дверь открыта и так говоря точнее

trasportano esplosivi in giro per la città
dentro sacchetti di plastica, borse e valigette
calpestano l’asfalto e il selciato e conosciamo i loro segreti
solo dopo le esplosioni e l’appurare dell’accaduto

quante finestre infrante quanti balconi crollati
è morto qualcuno o sono tutti vivi e vegeti
con la sola paura che non ci sia più vita tranquilla
la guerra accade e le leggi della guerra sono crudeli

o chissà non ci sono più leggi e le esplosioni sono ormai la norma
non ci alziamo da tavola ma incupiti trasaliamo
il nemico sceglie le armi come il ladro sceglie il grimaldello
quando in realtà la porta è già aperta

Traduzione di Greta Caseti Continua a leggere

Dmytro Tchystiak, “l’alba nel riflesso delle magnolie”

Dmytro Tchystiak

КВІТИ (VI)

Світає – чистим шепотом магнолій
Удалині, та вихлюпом у далеч
Ти постаєш із ложа, де мерцями
Розпались ми в потопі (білий біль
І калиновий викрик – нам у серце,
Нічним, бо молодо), таки не постаєш –
Перетікаєш вицвітом-кларнетом,
Так високо, що нота – ніби смерть,
А птахи озиваються звідтіль, і стане
так, немов одного руху досить –
лиш відхили вікно і залелій
над обшир усієї рани світла –
щоб сотворити…
Світає!

Fleurs (VI)

Voici l’aube dans le reflet des magnolias
tremblotants puis tu t’élèves dans l’espace,
tu sors ton lit où nous étions noyés
dans le déluge morbide (avec cette douleur blanche,
ce cri rouge d’obier qui transperçait les jeunes,
les nocturnes), en effet tu ne t’élèves pas,
tu flottes comme cette coulée d’une clarinette
si haut que la note atteint la mort,
et au-delà les oiseaux s’éveillent et te répondent,
et on dirait qu’un seul mouvement suffirait :
par exemple, celui d’ouvrir la vitre et de trembler
au-delà de cette plaie de lumière,
pour créer
l’aube !

 

FIORI (VI)

Ecco l’alba nel riflesso delle magnolie
tremante ti elevi nello spazio
ti alzi dal letto, dove siamo annegati
nel diluvio morboso (con questo dolore bianco,
e il grido rosso del viburno che trafigge i giovani,
i notturni), anzi non ti alzi,
fluttui come questo suono di clarinetto
così alto che la nota raggiunge la morte,
e al di là gli uccelli si svegliano e rispondono
e si direbbe che una mossa sia sufficiente
per esempio, aprire la finestra e tremare
oltre questo taglio di luce
per creare
l’alba!

(Traduzione dalla versione francese di Laura Garavaglia)

Commento di Monica Acito

La poesia di Dmytro Tchystiak si fa corpo, è carne viva e sembra di toccare con mano ogni lettera che ne compone i versi.

Ogni parola pare illuminare la poesia, con dei fasci di luce che accarezzano le righe: il tono è vagamente surrealista, a metà strada tra realtà e mondo onirico. Il lessico è vivo e vibrante, l’autore crea un microcosmo che possiamo sentire sulla pelle: il riflesso delle magnolie, il diluvio morboso, la finestra, la stanza inondata dalla luce del mattino. Continua a leggere

Janis Sinajco, “spezzandosi”

Janis Sinajko

Janis Sinajko

Nella traduzione di Paolo Galvagni

плоть возносится
к небу
чёрными листьями

в глазницах чудовищ
неприкасаем
снег

где

из отяжелевшей руки
яблоко
падает
в твёрдую грязь
разбиваясь

la carne si innalza
al cielo
con foglie nere

nelle occhiaie dei mostri
è intangibile
la neve

dove

da una mano appesantita
una mela
cade
sul fango duro
spezzandosi

***

и после всей тишины

так близко

созвездия

смотрят
как ты наконец-то очнёшься

уже очудовищен

e dopo tutta la quiete

così vicino

le costellazioni

guardano
come finalmente ti risveglierai

ormai mostruoso

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Jurij Tarnavs’kyj, “La vita in città”

Jurij Tarnavs’kyj

Jurij Tarnavs’kyj
A cura di Lorenzo Pompeo
collaborazione di Alessandro Anil

il poeta ucraino-nordamericano Jurij Tarnavsk’kyj (noto negli Stati Uniti con la traslitterazione Yuriy Tarnawsky) rappresenta una figura chiave nella storia della poesia ucraina novecentesca che, nel corso dei decenni, si è guadagnato un posto di riguardo anche sulla scena letteraria statunitense (a partire dagli anni ‘70 Tarnavsk’kyj scrive e pubblica regolarmente in inglese prosa e poesia).

È nato a Turka nel 1934, piccolo centro nei Carpazi ucraini, attualmente a pochi chilometri dal confine polacco (ma che in quel momento era parte della Polonia). I genitori, entrambi insegnanti, vivevano e lavoravano a Rzeszów (attualmente in Polonia sud- orientale), dove il giovane crebbe in un ambiente bilingue (l’ucraino si parlava in famiglia, il Polacco fuori di casa).

Nel 1944, quando la famiglia era tornata a Turka da quattro anni, Jurij perde la madre per un tumore, il padre, che si era arruolato nell’Esercito insurrezionale ucraino, viene dato per disperso, e il futuro poeta, insieme alla zia, la sorella e il fratello, decidono di fuggire in Germania, dove, nel 1945 si stabilisce nel campo profughi di Neu Ulm.

Nel 1950, Quando viene smantellato il campo, comincia a frequentare un liceo tedesco a Monaco e, dopo essersi diplomato, nel 1952 si imbarca a diciotto anni con il padre (che nel frattempo si era ricongiunto alla famiglia) per New York. Frequenta la Newark School of Engineering nel New Jersey, alternando lo studio al lavoro in un fabbrica di pellami.
Terminati gli studi, fu assunto in qualità di ingegnere elettronico all’IBM, dove lavorò fino al 1992 (con una piccola parentesi tra il 1964 e il 1965 in cui visse in Spagna dedicandosi interamente alla scrittura).

Nel tempo libero si appassiona alla lettura degli esistenzialisti, soprattutto Sartre (che sarà per lui una scoperta decisiva), Camus e Kirkegaard e, attraverso frequenti visite al MOMA, assimila le ultime tendenze dell’arte contemporanea.

A partire dal 1953 comincia a scrivere i primi versi e brevi prose che pubblica su riviste dell’emigrazione ucraina e che gli aprirono le porte della sua silloge di esordio, La vita in città, del 1956.

Da allora rappresentò una delle voci più autorevoli della letteratura ucraina della cosiddetta “diaspora” (ovvero la comunità ucraina all’estero), un termine che vuole sottolineare una completa estraneità ideologico-culturale rispetto all’Ucraina sovietica.

Fu l’animatore del “Gruppo di New York”, una aggregazione di giovani letterati ucraini che erano soliti ritrovarsi al caffè Orchidea, tra la seconda avenue e la nona strada, che discutevano di arte astratta, di poesia senza rima e di esistenzialismo.

Nella leggenda di questo gruppo il momento fondativo viene considerato la serata di poesia del 18 febbraio 1955 presso il “Literaturno-mistec’kyj kljub” (in it. “Club artistico-letterario”) di New York.

L’idea di fondo che animava questi poeti, allora esordienti, era sprovincializzare il mondo letterario ucraino (che nell’Ucraina Sovietica era concepito esclusivamente come una versione “etnografica” del realismo socialista) ricollegandosi alle tendenze artistiche e letterarie delle avanguardie novecentesche.

Fino alla fine degli anni ‘70, quando le polemiche interne e le scelte divergenti segnarono la fine del gruppo, esso costituì un punto di riferimento non solo per la poesia ucraina, ma anche per il dibattito critico sulla letteratura ucraina contemporanea.

A partire dal 1971, successivamente alla pubblicazione della silloge Poeziji pro niščo ta inši poeziji na cju samu temu (in it. “Poesia sul nulla e altre poesie sullo stesso tema”), Tarnavsk’kyj, dopo quasi un ventennio di permanenza negli Stati Uniti (vi era arrivato nel 1952) comincia a scrivere in inglese e nel 1978 pubblica il romanzo Meningitis a cui fa seguito, nel 1992, Three Blondes and Death, entrambi apprezzati dalla critica nordamericana.

A partire dalla silloge This Is How I Get Well, del 1978, scrive e pubblica anche poesie in inglese (spesso autotraduzioni dall’ucraino).

Dopo la dichiarazione d’Indipendenza dell’Ucraina del 1991, il poeta, per la prima volta dopo quasi quaranta anni, poté fare ritorno nel suo paese, dove potevano circolare liberamente ed essere pubblicate le sue opere, tradotte dall’inglese o nella versione ucraina.

Attualmente vive a White Planes, cittadina dello stato di New York.

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Gli haiku di Stanislav Bel’skij

Stanislav Bel’skij

Stanislav Bel’skij
a cura di Paolo Galvagni

Первомартовские хокку

1

ночная тревога начинается одинаково
будят не сирены (их можно проспать)
а мамины проклятия путину

2

но дальше есть варианты
или молния в куртке разойдётся
или шнурок в застёжке застрянет

3

собираясь в убежище
по привычке пытаюсь
убить в коридоре моль

01.03.2022

Hokku del primo marzo

1

l’allarme notturno inizia nel medesimo modo
svegliano non le sirene (puoi trascurarle)
ma le maledizioni di mamma verso putin

2

ma poi ci sono le opzioni
o la cerniera del giubbotto che si apre
o il laccetto che si impiglia nella fibbia

3

preparandomi ad andare nel rifugio
per abitudine tento
di uccidere le falene nel corridoio

01.03.2022

***

хокку по дороге в убежище

какой мощный прожектор
все выбоины в асфальте видны
нет, это луна, чуть уже старая

 

Hokku sulla strada per il rifugio

che riflettore potente
tutte le buche sull’asfalto si vedono
no, è la luna, appena ormai vecchia

***

Хайку ночного кошмара

1

смерть – ковыляющий сзади прохожий
стоит замешкаться, она догоняет,
вгрызается в рот

2

долго ещё, проснувшись ночью,
отмываешь дёсны с мылом,
пытаясь воспрепятствовать магии войны

 

Haiku dell’incubo notturno

1

La morte è un passante che zoppica dietro
basta indugiare, ti raggiunge,
ti morsica la bocca

2

ancora a lungo, svegliandoti di notte,
ti lavi le gengive col sapone,
tentando di ostacolare la magia della notte Continua a leggere

La guerra in Ucraina raccontata ai bambini

La guerra in Ucraina raccontata ai bambini

Una storia scritta da Romana Romanyshyn e Andriy Lesiv. Una coppia nel lavoro (e nella vita), ha creato l’atelier «Agrafka» a Leopoli, in Ucraina, realizzando in pochi anni progetti innovativi acquisiti da case editrici di tutto il mondo.

Jaca Book, pubblicando Forte, piano, in un sussurro, (vincitore del Premio Andersen 2019 per la categoria divulgazione scientifica) e Vedo, non vedo, stravedo (Bologna Ragazzi Award 2018) ha deciso di “adottarli” per portare anche in Italia i loro libri pluripremiati. In particolare Numeri, stelle e mucche di mare, premio «Opera prima» alla Bologna Children’s Book Fair 2014 e La guerra che cambiò Città Tonda, premio «New Horizons» alla stessa manifestazione nel 2015. Per Jaca Book hanno pubblicato anche La casetta degli animali (2018) La mia casa, le mie cose (2019) e In viaggio per il mondo (2021), vincitore dell’Argento del prestigioso «European Design Awards» 2021, nella categoria “Libri e illustrazioni editoriali”. I loro progetti si contraddistinguono per l’uso sapiente di tecniche e stili, uniti a una narrazione che incuriosisce e affascina i lettori.

Intervista di Luigia Sorrentino

Traduzione dall’inglese all’italiano di Giorgia Sensi

The war that changed Rondo.
Romana Romanyshyn and Andriy Lesiv: why did you feel the need to tell children about the war with an illustrated story?

“We had never actually planned to create a picture book for children about war, but reality in our country changed things. It all started with the Revolution of Dignity at the end of 2013, then the annexation of Crimea in March 2014 and Russian invasion in East Ukraine. The war had started. Thousands of victims and broken lives. At that moment we were all unprepared and vulnerable, but determined. Many of our friends were mobilized for military service. We couldn’t stay calm and we had to react in some way. Often, parents don’t know how to explain to their children what war is and why it has come to their homes. We decided to create a picture book which could be the starting point for such a sincere talk between children and their parents about what is going on. It had to be a book like therapy, when you talk about your fears first and then stop being afraid. We also noticed that there is still no children’s book about war which would show our own experience, because every country has its own story of surviving and fighting. Yes, there are many great children’s books about war, but they are about someone else’s experience, they are from a distance, not about how we feel it”.

“La guerra che cambiò Città Tonda”. Romana Romanyshyn e Andriy Lesiv: perché avete sentito il bisogno di raccontare la guerra ai bambini con una storia illustrata?

“Non avevamo mai davvero pensato di creare un libro illustrato per bambini sulla guerra, ma la realtà del nostro paese ha cambiato le cose. Tutto è cominciato con la Revolution of Dignity alla fine del 2013, poi l’annessione della Crimea nel marzo 2014 e l’invasione russa dell’Ucraina orientale. Era cominciata la guerra. Migliaia di vittime e vite spezzate. In quel momento eravamo tutti impreparati e vulnerabili, ma determinati. Molti dei nostri amici furono richiamati per il servizio militare. Non potevamo restare fermi, dovevamo reagire in qualche modo. Spesso i genitori non sanno spiegare ai figli cos’è la guerra, e perché è entrata nelle loro case. Decidemmo di creare un libro illustrato che costituisse il punto di partenza per un discorso franco tra genitori e figli su ciò che stava succedendo. Doveva essere un libro-terapia, dove prima parli delle tue paure e poi smetti di avere paura. Notammo anche che non c’è un libro sulla guerra per bambini che mostrasse la nostra esperienza, perché ogni paese ha la sua storia di lotta e di sopravvivenza. Sì, ci sono molti grandi libri per bambini sulla guerra, ma raccontano l’esperienza di qualcun altro, sono distanti, non parlano di come stiamo noi”.

When was the book published in Ukraine and what kind of diffusion did it have among Ukrainian children?

“Luckily we have a great common understanding with our Ukrainian publisher Old Lion and they totally supported us with the idea to publish a picture book about war. So the book was first published at the end of 2014. It had few additional editions during these years. We received tons of reviews, letters, drawings from children and their parents”.

Quando è stato pubblicato il libro in Ucraina e che diffusione ha avuto tra i bambini ucraini?

“Per fortuna abbiamo una grande sintonia con il nostro editore ucraino Old Lion, che ha sostenuto pienamente la nostra idea di pubblicare un libro illustrato sulla guerra. Così il libro uscì per la prima volta alla fine del 2014. E in questi anni ha avuto diverse ristampe. Abbiamo ricevuto tonnellate di recensioni, lettere, disegni dai bambini e dai loro genitori”.

Why did you decide to tell the children the story of Danko, Fabian, Zirka?

“The base of every story is a character. We had to make our characters not artificial, but very authentic. We created characters which embody the feeling of every Ukrainian. We all felt very fragile and vulnerable, but strong and unbreakable. That’s why characters in our story are made with fragile materials, easy to destroy – glass, paper, balloon. But despite their fragility they fight, resist and protect their home”.

Perché avete deciso di raccontare ai bambini la storia di Danco, Fabian, Zirka?

“Alla base di ogni racconto c’è un personaggio. I nostri personaggi li dovevamo rendere davvero autentici, non artificiali. Abbiamo creato personaggi che incarnano il sentimento di ogni ucraino. Ci sentivamo tutti molto fragili e vulnerabili, ma forti e indistruttibili. Ecco perché i personaggi della nostra storia sono fatti di materiali fragili, facili da distruggere – vetro, carta, palloncini. Ma nonostante la fragilità, loro combattono, resistono e difendono le loro case”.

In your story there are sentences like: “the war is coming to our city”, “The war spares no one”, “The war has no heart”. Were these the stories you heard from your grandparents when you were children?

“Yes, of course we heard a lot of terrifying stories about war from our grandparents. And so many stories they did not want to share with us. Our grandparents spent 12 years in Gulag repressed by Stalin’s regime. They really hoped that our generation would not suffer from russians anymore. But we see that now the grandchildren of our grandparent’s enslavers are trying to kill us. And it’s a really unbelievable fact that in the 21th century, the time of technological progress, when we all have free access to information, Russia is still acting like 100 years ago, they still want to destroy and enslave, they still live in a dark past. And we fight for the future”.

Nella vostra storia ci sono frasi come: “la guerra sta arrivando in città”, “la guerra non risparmia nessuno”, “la guerra è senza cuore”. Queste frasi le sentivate dai vostri nonni quando eravate bambini?

“Sì, naturalmente abbiamo ascoltato tante storie terrificanti sulla guerra dai nostri nonni. E molte non le volevano condividere con noi. I nostri nonni hanno passato 12 anni in un Gulag durante il regime di Stalin. Speravano sinceramente che la nostra generazione non avrebbe più sofferto a causa dei russi. Ma ora vediamo che i nipoti di chi ha schiavizzato i nostri nonni stanno cercando di ucciderci. Ed è davvero incredibile che nel XXI secolo, il secolo del progresso tecnologico, quando tutti abbiamo accesso alle informazioni, la Russia si stia comportando come 100 anni fa: vogliono distruggere e schiavizzare, vivono ancora in un passato oscuro. E noi combattiamo per il futuro”.

The three protagonists manage to defeat the war by building a machine for the light and this machine scares the War. If we were to rewrite this tale today, what should we add? Which words?

“We’re not sure we should rewrite the story. The machine for creating the light is a symbol of unity, where everyone turns a small wheel so the machine works, symbol of organized resistance and coordination. Today it is a symbol of unity of the world, when many countries join their efforts to stop the aggression. Everybody is trying to help.
To get through these dark times, full of fear, anger and loss, we all need a ray of light, of hope. We can not hide a horrific truth from children anymore. The reality is much more horrible than any book. But we can’t stop telling and reading stories, even hiding in bomb shelters, even flleeing from our attacked homes. In our story we highlighted the strongest advantages of Ukrainian people – courage and unity”.

I tre protagonisti riescono a vincere la guerra costruendo una macchina per la luce, e la macchina spaventa la Guerra. Se riscrivessimo questa storia oggi, cosa dovremmo aggiungere? Quali parole?

“Non siamo sicuri sulla necessità di riscrivere la storia. La macchina per creare luce è un simbolo di unità, dove ciascuno gira una piccola manovella per far funzionare la macchina, simbolo di resistenza organizzata e coordinazione. Oggi è il simbolo dell’unità del mondo, quando molti paesi uniscono i loro sforzi per fermare l’aggressione. Tutti cercano di aiutare.

Per superare questi tempi bui, pieni di paura, di rabbia e di lutto, abbiamo tutti bisogno di un raggio di luce, di speranza. Non possiamo più nascondere ai bambini una verità orribile. La realtà è molto più tremenda di qualsiasi libro. Ma non possiamo smettere di raccontare e leggere storie, perfino nascosti in un rifugio antiaereo, perfino in fuga dalle nostre case colpite. Nel nostro racconto abbiamo messo in evidenza i più forti meriti del popolo ucraino – il coraggio e l’unità”.

Unfortunately, after a war, not everything can go back to the way it was before … that’s why “Danko still has a web of cracks near his heart, while the tips of Zirka’s wings have remained a little burned and Fabian limps with the leg that he had pointed with the thorns “?
What’s the moral? What do children need to understand?

This war changes everyone of us. We will miss so many people we lost. We will miss our homes, streets and cities. We will rebuild everything with time, but it will never be the same. Many of us will be scared of loud sounds. Many will have scars, on their bodies and on their souls. And we will appreciate the simple things, which we didn’t notice before. And there is no doubt that we will be happy again.

Sfortunatamente, dopo una guerra, non tutto ritorna come prima… ecco perché “Danko ha una raggiera di incrinature vicino al cuore, mentre le punte delle ali di di Zirka sono ancora bruciacchiate e Fabian zoppica con la gamba ferita dagli spini”?
Qual è la morale? Cosa devono capire i bambini?

“Questa guerra ci cambia tutti. Ci mancheranno tante persone che abbiamo perduto. Ci mancherà la nostra casa, le strade e le città. Col tempo ricostruiremo tutto, ma non sarà mai la stessa cosa. Molti di noi avranno paura dei rumori forti. Molti avranno cicatrici, sul corpo e sull’anima. E apprezzeremo le cose semplici, a cui prima non facevamo attenzione. Non c’è dubbio che torneremo a essere felici”.

The poppy has become an international symbol to commemorate the victims of the war.
A fairy tale so that Ukrainian children know and remember the tragic experiences of their homeland, so as not to be overwhelmed, to leave the way open for a new existence. Is this the meaning of your work on children?

“Yes, definitely.
This war makes terrible statistics. During these four weeks of invasion Russians killed 135 Ukrainian children, many got injured. More than 50% of Ukrainian children according to Unisef have become refugees since 24. February 2022. 1,8 millions children moved abroad seeking shelter, 2,5 millions of children moved from their houses ro other regions of Ukraine. So we all, children and adults must remember how strongly we love our home, our family, how strongly connected we are with each other, how we suffered, how we cried, how we fought and how we won, how we were hurt and how we healed. We have to work with our memory, to remember who we are.”

Il papavero è diventato un simbolo internazionale per commemorare le vittime di guerra.
Una favola per far sì che i bambini ucraini sappiano e ricordino le tragiche esperienze della loro patria, per non essere sopraffatti, per lasciare aperta la strada a una nuova esistenza. È questo il significato del vostro lavoro coi bambini?

“Sì, assolutamente. Le statistiche su questa questa guerra sono terribili. Durante queste quattro settimane di invasione i russi hanno ucciso 135 bambini ucraini, e molti sono i feriti. Più del 50% dei bambini ucraini secondo l’Unicef sono diventati rifugiati dal giorno 24 febbraio 2022. 1,8 milioni di bambini hanno cercato rifugio all’estero, 2,5 milioni si sono trasferiti dalle loro case ad altre regioni dell’Ucraina. Quindi tutti noi, bambini e adulti, dobbiamo ricordare quanto forte è il nostro amore per la nostra casa, la nostra famiglia, quanto forte è il legame che ci lega gli uni agli altri, quanto abbiamo sofferto, quanto abbiamo pianto, quanto abbiamo combattuto e infine vinto. Come siamo stati feriti e siamo guariti. Dobbiamo lavorare con la memoria, per ricordare chi siamo”. Continua a leggere

Yury Zavadsky, “giorni senza radici”

Yury Zavadsky

Yury Zavadsky
Nella traduzione di Paolo Ruffilli

КОМУНІКАЦІЯ

Дивуюся, наскільки залежні мої почуття від кров’яного тиску.
Електрика в тілі не дає всидіти на місці.
Все ж таки примушую себе не рухатися.
Пальці нервово бігають клавіатурою.
Тоді нерівномірні тексти перетворюються на химери.
Ходять за мною твої есемески, крок в крок.
I мовчати не хочу, та й сказати тобi нема що.
День втрачено, і жодна таблетка не зможе його повернути.
Залишається після нього тільки неприємна втома.
Ніч, і тривожний сон, який неможливо запам’ятати.
Мені здається, що я щасливий,
відчуваючи твою теплу близькість
і твої пальці поблизу.
О, cі дні безпідставні, як і мої вірші,
напоюють мене алкоголем.
Цiлий день сьогоднi — ранок.
Холодна мряка, краплi висять у повiтрi.
Порожнiй осiннiй простiр.
Мені здається, що я щасливий поряд з тобою,
бо ніколи ще не почувався так впевнено і спокійно.
Я вагаюся, чи насправді все так добре,
але коли cі дні проминуть, думаю, буду згадувати їх
як найкращі.
— Закрий очi й розслабся, вiдчуваєш?
— У нас осiнь з меланхолiєю.
— Це в мене тимчасова криза…

COMUNICAZIONE

Sorprendente come i sentimenti dipendano
dalla pressione del sangue. L’elettricità nel mio corpo
mi impedisce di starmene fermo. Mi costringo.
Nervosamente le dita scorrono sulla tastiera.
I versi liberi si mutano in sogni ad occhi aperti.
I tuoi SMS mi accompagnano i passi. E non è che
non voglio parlare, non ho niente da dirti.
Il giorno è già perso, non c’è pillola a riportarcelo indietro.
Rimane a fine giornata il fastidio della stanchezza.
La notte col suo sogno inquietante non si può ricordare.
Sembro felice a sentire il calore della tua vicinanza
e le tue dita poi su di me. Ah, questi giorni senza radici
come i miei versi non fanno che riempirmi di alcol.
Oggi, poi, il giorno intero resta mattina.
Una nebbia fredda, le sue gocce sospese nell’aria.
Lo spazio vuoto d’autunno. Mi sembra di essere
felice accanto a te. Mai mi sono sentito tanto
calmo e sicuro. Esito, però, se tutto sta andando
così bene, e quando questi giorni saranno passati,
me li ricorderò come i migliori.
– Chiudi gli occhi e rilassati, non senti?
– È autunno: ci cala addosso la malinconia.
– Sono io, con questa mia crisi temporanea.

(Traduzione di Paolo Ruffilli) Continua a leggere

Paul Celan, “È tempo”

Paul Celan, foto del passaporto

CORONA
di Paul Celan
di Luigia Sorrentino

La poesia che vi proponiamo oggi Corona è di Paul Celan (1920-1970) uno dei maggiori poeti di lingua tedesca nato a Czernowitz, nella Bucovina, oggi Ucraina, da genitori ebrei.

Corona è una poesia che agisce sul significato musicale del termine. Lo stesso utilizzo musicale Celan lo adotta in altre poesie, ad esempio “Fuga di morte”, che si riferisce a un tempo musicale, alla forma musicale polifonica della fuga.

Ma mentre in Corona – suggerisce Luigi Reitani – “il tempo della poesia di Celan equivale a una fermata, a una sospensione del tempo – nel linguaggio musicale la corona è un segno grafico (un puntino dentro un semicerchio) che sovrapposto a una nota ne prolunga indefinitamente la durata” -,  in Fuga di morte il tempo musicale diventa quello della fuga: un tempo veloce, rapidissimo.

Corona, inoltre, oltre ad essere un simbolo regale, è anche la corona del fiore, la corona formata dai petali rossi del papavero (simbologia ricorrente nella poesia di Celan) simbolo di oblio e di memoria.

“E’ tempo che sia tempo” scrive Celan in questa memorabile poesia, “è tempo che la pietra accetti di fiorire”. Questo scrive Celan. E’ tempo che si fermino le guerre, i conflitti. È tempo che l’aridità, la violenza del potere, si trasformino in amore, nel più puro sentimento della vita. “E’ tempo”. Scrive Celan.

“Corona” di Paul Celan viene qui proposta in due diverse traduzioni dal tedesco: quella di Giuseppe Bevilacqua e quella di Luigi Reitani, purtroppo recentemente scomparso.

 

CORONA

Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde.
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.

Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.

Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten:
wir sehen uns an,
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.

Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.

Es ist Zeit.

Paul Celan: “Mohn und Gedächtnis” , Deutsche Verlags–Anstalt GmbH, Stuttgart, 1952

CORONA

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

Traduzione di Giuseppe Bevilacqua

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Natalka Bilotserkivets, “È ora di fare le valigie e partire”

Natalka Bilotserkivets

Natalka Bilotserkivets
Nella traduzione di Paolo Ruffilli

ТРОЯНДА

Пора валізу скласти і піти.
Хтозна, що брати – так, аби нести
було неважко; та однак знайти
одразу все, що потребуєш ти.

Зо дві-три щітки, мило і рушник.
Білизну чисту, щоб у певну мить,
коли коханець прийме або ж Бог,
в білизні чистій бути для обох.

В забутім закутку троянда в бур’яні
у райській пущі стрінеться мені.
Як образ Блейка, містика тонка, –
троянда, котра любить черв’яка.

Йому віддавши лоно чарівне,
вона тремтить і уника мене,
і вся поезія – лиш сором і нудьга,
нещасна квітка, люба, дорога…

ROSA

È ora di fare le valigie e di partire.
Non sai cosa prendere, qualcosa di facile
da portare, tutto ciò di cui potresti aver bisogno,
da trovare all’istante.

Due o tre spazzole, sapone e un asciugamano.
Biancheria intima pulita, se per caso il tuo amante
ti deve incontrare – o Dio, in ogni caso
dovresti avere biancheria pulita.

In un luogo appartato, tra le erbacce
di una fitta foresta celeste, incontrerò una rosa.
Come il simbolo del delicato misticismo di Blake –
la rosa che ama il verme.

Dopo averlo fatto entrare nel suo grembo seducente,
lei trema, nascosta, per evitare il mio sguardo,
e tutta la poesia: una vergogna, una noia,
oh, povero fiore, adorabile, caro fiore. . .

(1999)

(Traduzione di Paolo Ruffilli) Continua a leggere

“Non so se queste mie parole servano a qualcuno”

Alla Gorbunova

ALLA GORBUNOVA
Nella traduzione di Paolo Galvagni

Меня спросили, что я думаю и чувствую по поводу военных действий, которые 24 февраля моя страна начала на территории другого государства – Украины. Я не знаю, нужны ли кому-то эти мои слова. Пусть сначала будет остановлено кровопролитие в Украине, остановлена происходящая прямо сейчас катастрофа, и потом уже можно будет что-то говорить.

Мне сказали, что для моих коллег – поэтов и писателей, а также читателей и издателей в разных странах, будет важно услышать, что я сейчас чувствую и как вижу всю эту ситуацию. Я боюсь, что это – этическая ловушка. Все слова, которые я сейчас могу произнести, – не способны остановить происходящее, не способны отмотать время назад и не допустить его. И, находясь в России, пытаясь что-то сказать отсюда сейчас, я понимаю, что какие бы искренние чувства ни вкладывала в свой текст, с ним всё равно будет что-то не то, просто из-за самой позиции говорящего. Тем не менее, в ответ на вашу просьбу я попробую рассказать о том, как я и люди вокруг меня переживают происходящее. Иногда бывает, что кособокие, запинающиеся и недостаточно точные слова – всё же лучше, чем молчание.

24 февраля многие мои соотечественники в социальных сетях написали, что это самое страшное утро в их жизни. Знакомые говорили мне, что никогда в жизни не испытывали такого стыда. У меня было другое доминирующее, всепоглощающее чувство – скорбь. Глубочайшая скорбь, в которой нет ни слёз, ни страха, потому что и слёзы, и гнев, и даже страх сделали бы её легче. Чудовищная непоправимость, чувство, что была перейдена точка невозврата, черта, за которой открываются врата в бездну. Я шла по улице и видела людей, молодых, весёлых, смеющихся, ещё не понимающих, что происходит, что уже произошло. И в какой-то миг мне показалось, что вся эта «обычная» жизнь после того, что случилось – это вроде как, когда человека уже казнили, отрубили голову, и эта отрубленная голова ещё короткое время живёт, не понимает, что с ней.

Есть люди, которые стараются жить по-прежнему, у которых срабатывают какие-то свои защитные экраны, но многие люди в России переживают происходящее как не имеющую аналогов катастрофу. Наше общество сейчас расколото, как никогда. Среди тех, кто поддерживает действия властей, много людей, не имеющих иммунитета к государственной пропаганде, людей, которым присуще онтологическое доверие к власти, иерархии. Среди людей, выступающих против военных действий, – как мне это видится, бОльшая часть творческой интеллигенции, молодые люди, студенты. Но все эти группы в себе не однородны. Российское общество сейчас – это не некое единое целое, которое поддерживает военные действия в Украине. На мой взгляд, это сильно запутавшееся в самом себе, раздробленное, расколотое как никогда общество, отнюдь не укладывающееся в те шаблоны, которые оно само же к себе применяет, начиная делить своих граждан на «зомбированных официальной пропагандой» с одной стороны и «проплаченных предателей» с другой. И, к сожалению, сейчас это общество с очень высоким градусом взаимной ненависти.

Для многих людей события последних недель выглядят чудовищными, необъяснимыми, иррациональными. Я же уже много лет чувствую, что то, что называлось «нормальной жизнью», с которой вдруг что-то случилось, уже давно существовало за счёт того, что очень на многое приходилось закрывать глаза. И очень многие, на первый взгляд, не имеющие отношения друг к другу вещи, я вижу как единую цепь насилия и боли, связывающую всех нас. И я надеюсь, что однажды настанет момент увидеть всю эту связывающую нас цепь насилия и боли как одно целое. Но сейчас я больше всего жду прекращения огня в Украине.

Я всегда любила свою Родину и воспринимала свои стихи и как часть русской поэтической традиции, и одновременно как часть мировой поэзии. Я не знаю, что будет со всеми нами. Многие мои знакомые уехали, буквально за один день. Я не мыслю своей жизни вне России, и буду стараться делать лучшее, что я смогу, в новых условиях. Я желаю Блага моей стране и никогда не отрекусь от того бесконечно многого, что связывает меня с ней. Но я понимаю, что есть вещи, которые нельзя оправдать. И то, что произошло за последние несколько недель – уже очертило горизонты для работы скорби и осмысления на многие годы и десятилетия. Работы, к которой никто не сможет даже приступить, пока падают бомбы.

У нас сейчас солнечные мартовские дни. Такое же солнце и тающий снег в разрушенном Харькове. Оттуда мне пишет замечательный русскоязычный поэт, который пару месяцев назад отправил мне свой архив на сохранение на случай войны между нашими государствами, и его слова – поверх всех барьеров – согревают моё сердце.

Моя близкая подруга, очень дорогой и родной для меня человек, отсюда, из России, – психоаналитик, и у неё есть сейчас анализанты в Украине, они проводят сессии онлайн, звонят ей прямо из зоны боевых действий, чтобы получить экстренную психологическую помощь. Слышала я и про обратную ситуацию: что аналитик одной моей российской знакомой находится в Украине, и оттуда, чуть не из бомбоубежища, проводил с ней сессию.

ГОСПОДИ, ПУСТЬ ЭТО БЕЗУМИЕ СКОРЕЕ ЗАКОНЧИТСЯ!
И ПУСТЬ ВСЕ, КТО СТРАДАЮТ, ОБРЕТУТ ПОМОЩЬ!

 

ALLA GORBUNOVA
Nella traduzione di Paolo Galvagni

 

Mi hanno chiesto che cosa penso e sento a proposito delle operazioni militari, che il mio paese ha intrapreso il 24 febbraio nel territorio di un altro Stato – l’Ucraina. Non so se queste mie parole servano a qualcuno. Venga dapprima fermato lo spargimento di sangue in Ucraina, venga fermata la catastrofe che accade proprio ora, e poi si potrà dire qualcosa.

Mi hanno detto che per i miei colleghi – poeti e scrittori, ma anche lettori ed editori in vari paesi – sarà importante sentire che cosa scrivo e come vedo tutta questa situazione. Temo che sia un tranello etico. Tutte le parole che ora posso pronunciare non riescono a fermare quanto accade, non riescono a riavvolgere il tempo e a non farlo accadere. E, trovandomi in Russia, tentando di dire qualcosa da qui ora, capisco che qualunque sentimento sincero io possa inserire nel mio testo, comunque esso non sarà quello giusto, semplicemente per la posizione di chi parla. Tuttavia, in risposta alla vostra richiesta, tenterò di raccontare come io e le persone attorno a me vivono quanto accade. Talvolta capita che parole storte, vacillanti e non sufficientemente esatte siano comunque meglio del silenzio.

Il 24 febbraio molti miei connazionali sui social hanno scritto che era la mattina più spaventosa nella loro vita. Alcuni conoscenti mi hanno detto che mai nella vita avevano provato una tale vergogna. Io avevo un’altra sensazione dominante, travolgente – l’afflizione. Un’afflizione profondissima, in cui non c’era né una lacrima, né la paura, perché le lacrime, la rabbia e perfino la paura l’avrebbero resa più leggera. Una mostruosa incorreggibilità, la sensazione che sia stato varcato il punto di non ritorno, la linea oltre la quale si apre la porta dell’abisso. Camminavo per strada e vedevo persone giovani, allegre, ridevano, ancora non capivano quello che accadeva, quello che era già accaduto. E in un certo momento mi è sembrato che tutta quella vita “usuale” dopo quello che era accaduto – fosse come quando una persona è già stata giustiziata, e la testa già tagliata, ma quella testa tagliata vive per un po’, non capisce ciò che le accade.

Ci sono persone che tentano di vivere come prima, nelle quali funzionano schermi difensivi propri, ma molte persone in Russia vivono quanto accade come una catastrofe priva di analogie. La nostra società ora è spaccata, come non mai. Tra quelli che appoggiano le azioni delle autorità, ci sono molti, privi dell’immunità dalla propaganda statale, gente a cui è propria la fiducia ontologica verso il potere, verso la gerarchia. Tra quanti si oppongono alle azioni militari – come mi sembra – c’è la maggior parte dell’intellighenzia creativa, i giovani, gli studenti. Ma tutti questi gruppi non sono omogenei. La società russa ora non è un tutt’uno che appoggia le azioni militari in Ucraina. A mio avviso, è una società fortemente smarrita in se stessa, frazionata, spaccata come non mai, che non si rifugia in quegli schemi, che essa accetta per se stessa, cominciando a dividere i propri cittadini in “plagiati dalla propaganda ufficiale” da una parte, e “traditori pagati” dall’altra. E, purtroppo, ora è una società con un alto grado di odio reciproco.

Per molti gli avvenimenti delle ultime settimane appaiono mostruosi, inspiegabili, irrazionali. Già da molti anni percepisco che ciò che si chiamava “vita normale”, a cui d’improvviso è successo qualcosa, da tempo esisteva a discapito del fatto che bisognava chiudere gli occhi su tante cose. E moltissime cose, che a un primo sguardo non hanno nessun rapporto l’una con l’altra, mi paiono come un’unica catena di violenza e di dolore, che lega tutti noi. E spero che un giorno arriverà il momento di vedere tutta questa catena di violenza e dolore, che ci lega, come un tutt’uno. Ma ora più di tutto attendo l’interruzione del fuoco in Ucraina. Continua a leggere

Andrey Serdyuk, “cade la pioggia fuori dalla finestra”

Andrey Serdyuk

Vi proponiamo oggi una poesia scritta in russo da Andrey Serdyuk, nato nel sud dell’ Ucraina che vive a Mariupol. Il testo è tra quelli nati sull’emozione della guerra che lo vede coinvolto nella sua terra.

 

 

В голове чёрно-белая муть,
За окном осыпается дождь.
Мне бы землю обнять и уснуть,
Только ты мне уйти не даёшь.

В голове чёрно-белая муть,
Мне бы землю обнять и уснуть.

Чтоб не видеть, не слышать, не знать
Жутких былей жестокого века –
Как подобных себе убивать
И себя называть человеком.

Первой пули украсть поцелуй,
Заслонив незнакомого брата.
Тихим стоном сорваться в лазурь,
Не касаясь курка автомата.

За окном осыпается дождь,
Только ты мне уйти не даёшь.

 

Nuvole bianche e nere sulla mia testa
Cade la pioggia fuori dalla finestra.
Abbraccerei la terra e dormirei,
Solo tu non mi lascerai partire.

Nuvole bianche e nere sulla mia testa
Abbraccerei la terra e dormirei.

Non vedere, non sentire, non sapere
Terribile passato, secolo crudele –
È come uccidere te stesso
E continuare a chiamarti uomo.

Rubare il bacio del primo proiettile
Coprendo un fratello sconosciuto.
Con un gemito silenzioso finire
In cielo senza toccare il grilletto.

Cade la pioggia fuori dalla finestra
Solo tu non mi lascerai partire.

(Traduzione di Paolo Ruffilli) Continua a leggere

Iya Kiva, “la mia casa è in guerra”

Iya Kiva – poeta ucraina

Vi proponiamo oggi due poesie di Iya Kiva, poeta ucraina. La prima si presenta senza titolo nella versione italiana di Valentina Meloni e Alessandro Achilli. La seconda poesia  Anno Domini Ucraina è del 2015. È scritta in russo dalla stessa Iya e è tradotta da Valentina Meloni.

 

вісім років казати: в мене вдома війна
щоб нарешті прийняти: мій дім – це війна
її потяг повільний зі сходу на захід країни
у якому смерть життя перевозить

ніч заходить у землю судомами квітів змарнілих
і лягає в роти нам гнилими зубами мовчання
наша мова тепер – волонтерсько-біженський чат
у якому сирени співають пісень Одісею

наша пам’ять тепер – брудна вишиванка свободи
її довга хода від серця до серця

per otto anni ho continuato a dire: la mia casa è in guerra
per accettare finalmente che la mia casa è la guerra
nel suo lento treno da est a ovest del paese
la morte porta la vita

la notte sta precipitando a terra
con grappoli di fiori appassiti
ed entra con denti marci di silenzio nelle nostre bocche
la nostra lingua ora è una chat tra volontari e rifugiati
in cui le sirene intonano canti a Ulisse

la nostra memoria oramai è la sporca camicia ricamata della libertà
il suo lungo cammino da cuore a cuore

(Traduzione di Valentina Meloni)

otto anni a dire: da me c’è la guerra
per capire finalmente: la mia casa è la guerra
col treno che piano va a ovest da est
con la morte che porta la vita

arriva la notte coi crampi di fiori avvizziti
ci entra in bocca coi denti marci del silenzio
la nostra lingua: una chat di profughi
sirene che cantano a Ulisse

la memoria: oramai uno sporco libero ricamo
che va piano piano da un cuore a un altro cuore

(Traduzione di Alessandro Achilli)

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Lesyk Panasiuk, “ogni parola è dolorosa”

Lesyk Panasiuk photo Valentin Kuzan

АБЕТКА ЯК ПАЛАТА ДЛЯ ПОРАНЕНИХ

І

Чуєш цей рух у стовбурах
це мова тече в дерев’яних жилах і буяє пустоцвітом
мова чорна мов земля
чорна мов кров що тягне нас у землю

Червоні пера застрягли в чорнильницях наших ротів
повні крові наче під час бійки
кожне слово завдає болю

Щоб зараз лишитися живими треба мовчати

Сипучі піски мови тягнуть нас на дно

 

ІІ

 

Літери йдуть на війну
складаються в слова які ніхто не хоче вимовляти
речення підриваються на мінах
історії обстрілюють системами залпового вогню

У слово дім влучає снаряд
крізь розбите вікно літери д
можна побачити як літера і втрачає голову
як провалюється дах літери м

Мову під час війни не впізнати
речення такі недолугі
ніхто не хоче помирати
ніхто не хоче говорити

Біля лікарняного ліжка літери й лежить протез
діакритичного знака якого вона соромиться
уже вкотре розходяться шви просвітами літери ф
від кульових поранень на етимологічному фронті
м’який знак втратив язик під час катувань

Палати забиті літерами
що й апострофа не вставиш
відпадає фарба зі стін
осипаються слова незрозумілими покручами
і хто ними буде говорити

Лесик Панасюк

 

ALPHABET AS A WARD FOR WOUNDED 

I

Can you hear these movements inside trunks
that’s language flowing in wooden veins and blossoming with barren flowers
the language is as dark as soil
as dark as blood pulling us into the ground

Red quills got stuck in the inkwells of our mouths
full of blood as if we were fighting
every word is painful

We just need to be quiet to stay alive now

Loose sand of language is taking us down

 

II

 

Letters go to war
form words nobody wants to pronounce
sentences hit landmines
stories are shelled by multiple launch rocket systems

Missile hits word дім
in the broken window of letter д
it’s easy to see how letter і loses her head
how a roof of letter м collapses

It’s hard to recognize the language during wartime
sentences are so awkward
nobody wants to die
nobody wants to speak

Near the hospital bed of letter й lies a prosthesis
of diacritical mark which she is ashamed
once again the seams diverge with the gaps of letter ф
from bullet wounds on the etymological front
soft sign lost his tongue during torture

Wards are full of letters
there’s not even a place for an apostrophe
paint is peeling down from the walls
words are falling away as confusing slang
and who will speak it

(Translated from the Ukrainian into English by the author and Daryna Gladun)

 

ALFABETO COME UN REPARTO PER FERITI

I

Riesci a sentire questi movimenti all’interno dei tronchi
questo è il linguaggio che scorre nelle vene del legno e sboccia in sterili fiori
la lingua è scura come il suolo
scura come il sangue che ci trascina nella terra

Le piume rosse si sono incastrate nei calamai delle nostre bocche
piene di sangue come se stessimo combattendo
ogni parola è dolorosa

Dobbiamo solo stare zitti per rimanere in vita adesso

La sabbia sciolta della lingua ci trascina a fondo

 

II

 

Le lettere vanno in guerra
formano parole che nessuno vuole pronunciare
le frasi innescano mine
le storie sono bombardate da più sistemi di lancio razzi

Un missile colpisce la parola дім (casa)
nella finestra rotta della lettera д (d)
è facile vedere come la lettera i perda la testa
come crolla il tetto della lettera м (m)

È difficile riconoscere la lingua durante un periodo di guerra
le frasi sono così difficili
nessuno vuole morire
nessuno vuole parlare

A fianco al letto d’ospedale della lettera й (i breve) giace una protesi
di segno diacritico di cui si vergogna
ancora una volta le suture divergono dai fori della lettera ф (f)
dalle ferite da proiettile sul fronte etimologico
un segno morbido ha perso la lingua durante la tortura

I reparti sono pieni di lettere
non c’è nemmeno un posto per l’apostrofo
la vernice si sta staccando dalle pareti
le parole stanno scomparendo come un gergo confuso
e chi lo parlerà

(Traduzione dalla versione Inglese di Valentina Meloni) Continua a leggere

La guerra su di noi

Man Ray

I poeti contro il conflitto in Ucraina

di Luigia Sorrentino


Poesie contro la guerra
è l’appello alla pace rivolto ai potenti del mondo. Raccoglie le voci di poeti ucraini e russi contemporanei, ma anche le voci dei loro padri, tra i quali gli ucraini Taras Ševčenko, Jakovyč Franko, Olena Ivanivna Teliha, Paul Celan, e i russi Osip Mandel’štam, Anna Achmatova, Marina Ivanova Cvetaeva, e molti altri, che hanno scritto poesie memorabili dall’esilio o dalla loro patria in guerra.

Man Ray

Il poeta è l’interlocutore più efficace per interpretare il significato più profondo della catastrofe causata dall’insensatezza degli uomini. Nessuno più del poeta può raccontare l’orrore della guerra quando questa coincide con la sua presenza nella Storia.

La poesia di Vladimir Holan

Vladimir Holan

Je jaro … V noci, v hodinu lichou
slyšel, jak pláče réva,
ačkoli veliký hluk dělala voda,
ztrácející se z rybníka dírou,
kterou do hráze navrtal úhoř …
Co mu zbývalo, než aby,
zamilován až po uši hudby do mizení,
propadal hrdlem vzlyků útrpnému právu němoty?
A přece, ejhle, krása pojednou
a milost, s kterou nám ji sdílel!

 

E’ primavera… Di notte, nell’ora vana
udì gemere la vite,
nonostante il forte rumore dell’acqua
che si perdeva dallo stagno attraverso un foro
scavato nella diga dall’anguilla…
Che altro restava a lui, se non patire,
innamorato fino al collo della musica che svanisce,
il pianto e la tortura della mutezza?

***

Spatřil ji jenom jednou.
Ale od té chvíle žasl
a začal předzpěvovat, aniž měl komu,
a začal spoluzpívat, aniž kdo s ním šel…
Po celý rok osmělil se ji takto zbožňovat,
přítomný do budoucna, jak už doufal,
zatímco netuše se těžce vracel
od Panny Marie k Evě …

Potom jí napsal.
Byl to muž a měl tedy strach.
Přečtla si jeho dopis při světle krbu,
do kterého jej potom vhodila.
A on si přečetl její odpověď při světle od sněhu,
který nikdy neroztává …

La vide soltanto una volta.
Ma da quell’istante stupì
e intonò un canto ma non sapeva a chi,
e intonò un coro ma nessuno lo seguì…
Osò adorarla così per un anno intero,
presente per il futuro, come ormai sapeva,
laddove ignaro pesantemente ritornava
da Maria Vergine a Eva….

Poi le scrisse.
Era un uomo e quindi aveva paura.
Lesse la sua lettera alla luce di un camino
nel quale poi la gettò.
Ed egli lesse la sua risposta alla luce di una neve
che mai si scioglie…

***

Zimničné paprsky lůny
a třesoucí se ty, ubohý Mozarte!
Prstomluva hluchoněmých není tak šílená,
protože při ní jsou aspoň dva živí …

Cítíš budoucně skonalý čas …
Kdyby tak najednou přišel aspoň jeden z těch,
co budou na tvém pohřbu,
a tedy nikdo!

Febbrili raggi della luna
e tu tremi, misero Mozart!
Il diteggiare dei sordomuti non è così folle,
perché in esso i vivi sono almeno due…
Senti prossimo il tempo finito…
Se almeno uno d’improvviso venisse di coloro
che saranno al tuo funerale,
e dunque nessuno!

Vladimir Holan, dai Quaderni di Traduzioni, XV, Aprile 2013 (Rebstein), cura e traduzione di Sergio Corduas. Continua a leggere

Tobias Zielony, “Maskirovka”

La Galleria Lia Rumma presenta la quinta mostra personale dell’artista tedesco Tobias Zielony che inaugurerà il 1 marzo 2018, presso la sede di Milano.

La mostra presenta per la prima volta in Italia il lavoro Maskirovka, realizzato da Zielony tra il 2016 e il 2017 nella città di Kiev, e recentemente esposto in occasione della personale Haus der Jugend alla Kunsthalle von der Heydt di Wuppertal.

“Maskirovka” significa letteralmente “mascheramento” e indica una pratica militare diffusasi in Unione Sovietica a partire dagli anni ’20, basata su strategie di occultamento, camuffamento e inganno al fine di confondere il nemico. Il termine “Maskirovka” è tornato in uso per indicare la politica russa nei confronti dell’Ucraina, le operazioni di occupazione in Crimea e lo stato di guerra ibrida, mai ufficialmente dichiarato, che hanno fatto seguito alle proteste del Maidan nel 2013 e che durano tuttora.

Il progetto Maskirovka, che ha come tema centrale il mascheramento nelle sue varie declinazioni, include una serie fotografica e un video in cui Zielony indaga la scena queer e techno di Kiev, sullo sfondo dell’attuale crisi ucraina.

Nel video realizzato in stop motion, presentato al piano terra della galleria, lo sguardo si sposta continuamente tra contesto socio-politico e scene di vita privata dei giovani, mentre le fotografie si concentrano invece sui gesti e le pose di questi ultimi, ritratti soli o in gruppo, in spazi domestici o ambienti urbani marginali.

Il motivo del mascheramento stabilisce un parallelo tra la situazione politica e le storie personali raccontate dalle fotografie. Indica allo stesso tempo il camuffamento delle forze speciali russe – “green men” – inviate in Crimea nel 2014, l’uso di maschere da parte dei manifestanti del Maidan, per nascondere la propria identità e proteggere il proprio volto dai gas lacrimogeni, ma è anche un momento significativo del rituale dei party, in un gioco di simulazioni e di scambi di identità.
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La vita perfetta di William Sidis


iperborea_cover_bassaAnteprima Editoriale


Ci sono geni conclamati, come Leonardo da Vinci o Albert Einstein, e la loro eccezionale intelligenza è conosciuta. Non tutti sanno, invece, che alla fine dell’ Ottocento si è affacciato sul nostro pianeta un bambino dotato di capacità intellettive straordinarie. William James Sidis aveva un quoziente intellettivo che oscillava tra 270 e 300, il più alto mai registrato nella storia.
A raccontare la sua vicenda è il giornalista e saggista danese Morten Brask nel romanzo ‘La vita perfetta di William Sidis’, in uscita in Italia per Iperborea, suo debutto letterario. Nato a New York nel 1898, benché nel 1906 l’università lo avesse rifiutato perché ancora troppo piccolo, nel 1909, William risulta, a tutt’oggi, il più giovane studente mai iscritto ad Harvard.
A 18 mesi Sidis legge il New York Times, a 4 anni impara da solo greco e latino, a 6 memorizza all’istante ogni libro che sfoglia, parla dieci lingue e ne inventa una nuova, il vendergood, e dopo aver scritto saggi di matematica e astronomia presenta undicenne a Harvard la sua teoria sulla Quarta dimensione.
Vissuto tra New York e Boston nella prima metà del Novecento, figlio di immigrati ucraini di origini ebraiche, William Sidis è stato non solo un bambino prodigio, ma una delle menti più eccelse di ogni tempo, con il quoziente intellettivo più alto mai misurato. Continua a leggere

In memoria di te, Paul Celan – Volkstrauertag –

In memoria di te, Paul Celan
a cura di Luigia Sorrentino

Le vittime della Shoah furono circa 6 milioni. Fra esse, dovremmo includere un nome, o un non-nome, se preferite: Paul Celan.

Tutta la sua esistenza, incarnò strenuamente l’immane tragedia dello sterminio che  transfuse in sé  e nella poesia al punto da  annullarsi totalmente come persona. L’epilogo di Celan fu il suicidio.  Con quell’atto finale il poeta testimoniò la sua personale vergogna: l’aver  scritto da esule, (viveva in Francia) nella sua lingua-madre, il tedesco, (la lingua-madre degli aguzzini nazisti.)

La sua vita quotidiana si svolse in francese,  “a fronte” dei propri testi scritti in tedesco. Lo sguardo di Paul Celan non si distolse mai dal “Gegenuber” (qualcosa a fronte), che Celan identificò nella Memoria. 

Epilogo. La traduzione del dolore
di Camilla Miglio

Paul Celan ha tradotto, o meglio traslitterato il proprio nome dal tedesco al rumeno. Da Antschel a Ancel. Lo ha poi ripetuto a testa in giù. Cel-An: può suonare rumeno, francese, comunque straniero a orecchie tedesche. La ripetizione del nome, lo pseudo-nome diventa la sua persona nell’interessante accezione latina ricordata da MarKo Pajevic: da per-sonare, risuonare attraverso. Continua a leggere