
Dino Ignani
di
Fabrizio Fantoni
E in corso presso il Palazzo municipale di Rocca San Giovanni (CH) la mostra fotografica Intimi Ritratti, dedicata all’opera di Dino Ignani, uno dei protagonisti più sensibili e rigorosi della fotografia italiana contemporanea.
L’esposizione raccoglie venti ritratti fotografici dei più importanti poeti italiani del secondo Novecento, realizzati dall’autore a partire dagli anni ’80. Un corpus straordinario che restituisce, attraverso lo sguardo dell’artista, la profondità e la complessità di un’intera generazione letteraria.
La mostra rappresenta un’occasione preziosa per riflettere sull’opera di un maestro che ha fatto del ritratto la sua cifra stilistica, la sua voce artistica.
I ritratti fotografici realizzati da Dino Ignani possiedono una qualità rara e profondamente evocativa: riescono a restituire non solo l’immagine esteriore del poeta, ma anche la sua dimensione interiore, la sua anima. In questo senso, si tratta di ritratti che potremmo definire metafisici, poiché vanno oltre la mera rappresentazione visiva per accedere a ciò che è nascosto, silenzioso, invisibile. La fotografia diventa così uno strumento di rivelazione, capace di far emergere il pensiero, la sensibilità e la tensione spirituale che abitano dietro lo sguardo, dietro la postura, dietro ogni dettaglio del volto ritratto.
Queste immagini non si presentano come opere chiuse o definitive, ma al contrario sembrano volutamente aperte, lasciando spazio all’interpretazione dello spettatore. Dino Ignani non impone una visione, ma invita chi osserva a entrare nel ritratto, a esplorarlo, a interrogarsi. Ogni fotografia diventa una soglia, un invito a varcare il confine tra ciò che si vede e ciò che si intuisce, tra la superficie e la profondità. Il volto del poeta non è mai solo un volto: è una mappa, un enigma, una porta aperta sul suo mondo interiore.
Le fotografie di Dino Ignani si collocano, quindi, in una zona di confine, in uno spazio liminale dove il visibile e l’invisibile si incontrano e si fondono. È su questa zona di frontiera che l’immagine si arresta, lasciando spazio alla parola scritta. La fotografia non è fine a sé stessa, ma entra in dialogo con il testo, con la poesia, con il pensiero. Nasce così una corrispondenza reciproca tra immagine e parola, dove l’una completa e amplifica l’altra. Il ritratto diventa allora un luogo di incontro, un territorio poetico in cui il silenzio dello sguardo si intreccia con la voce della scrittura.
Guardare un ritratto di Dino Ignani non è solo un’esperienza estetica, ma anche intellettuale e emotiva. È un viaggio dentro l’identità del poeta, ma anche dentro noi stessi. Le sue fotografie ci interrogano, ci provocano, ci invitano a riflettere sul senso della rappresentazione, sul rapporto tra immagine e verità, tra apparenza e essenza. In questo modo, Dino Ignani non è solo un fotografo: è un interprete dell’anima, un mediatore tra il visibile e l’invisibile, tra l’arte e la vita.

Amelia Rosselli nel ritratto di Dino Ignani
Tra le fotografie più emblematiche realizzate dall’autore, quella che ritrae Amelia Rosselli si impone come un raro esempio di composizione fotografica capace di coniugare rigore formale e intensità emotiva. Non si tratta semplicemente di un ritratto, ma di una costruzione visiva stratificata, dove ogni elemento concorre a delineare una presenza che è al tempo stesso fisica e intellettuale, concreta e simbolica.
La poetessa appare immersa in una struttura di piani prospettici che ne accentuano il valore plastico, quasi scultoreo. La profondità dell’immagine non è solo spaziale, ma anche concettuale: ogni livello sembra suggerire una diversa dimensione del suo pensiero, della sua identità, della sua storia. Il volto di Amelia Rosselli, con accanto una kefiah palestinese, si volge verso sinistra, in una direzione che non è solo fisica ma metaforica. Il suo sguardo si proietta in un altrove che sfugge alla definizione, come se cercasse una verità che non si lascia catturare, ma solo intuire. Continua a leggere
La Casa del Poeta, nel cuore del Borgetto Flaminio di Roma – Via Flaminia, 86 (angolo museo Explora) – riaprirà il 6 giugno 2023 alle 18:30 per ospitare la mostra dei ritratti di tanti artisti che hanno dedicato a Valentino Zeichen.


















CO M U N I C A T O S T A M P A
IL LIBRO



La terza è infine una ricerca salvifica dell’ombra, intesa sia che come riparo all’eccesso di luce e di calore di questa stagione, che come presenza perturbante del passato, delle figure parentali, dei morti, nonché come nostalgia del tramonto, del futuro, dell’orizzonte degli eventi, della fine: “Nudi nell’ombra fonda dell’armadio;/ trattenendo il respiro” (29). “L’ombra/ dei caseggiati popolari” (59) Ma anche “un’ombra sconosciuta/dietro le cose amate” (23), il brulicare delle tacite presenze dei morti che “transumanati già; si stringono in cerchio”, (66) traducendo il tempo lineare nella pura durata di una stagione o di un’epoca, nella melodia cullante del verso memorabile, che racchiude però il rischio di un comune naufragio “nel vuoto di una sillaba”, “in un murmure di annegati”. (66)



Ogni caso, allora, andrebbe interpretato con buon senso



Florenskij insegna che esistono due prospettive, la lineare e la rovesciata. La lineare è quella introdotta dal Rinascimento fiorentino: il punto di fuga che ordina la scena sfonda il quadro nella direzione che va dall’occhio alla rappresentazione. La prospettiva lineare è l’effetto di uno sguardo che si inabissa in un infinito che è sua proiezione.









