RaiPoesia2022. Uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea

La reciprocità degli sguardi

Nell’immagine, un frame della sigla che introduce a partire da oggi, venerdì 16 dicembre 2022 alle 16.30 un ciclo di incontri con i poeti italiani contemporanei sul nuovo sito web della Rai: RaiNews&TGRCampania con il progetto Raipoesia2022 ideato e condotto da Luigia Sorrentino.

Raipoesia2022 è uno sguardo sulla poesia italiana contemporanea, uno sguardo nel quale ci si perde o ci si ritrova.

Raipoesia2022 è accoglienza, è la risposta a una chiamata che predispone un luogo e uno sguardo che viene in superficie.

Raipoesia2022 è un progetto pensato soprattutto per le giovani voci della poesia italiana contemporanea, ma non solo. Ai volti e alle voci dei più giovani, si affiancheranno poeti già noti ai lettori della poesia contemporanea italiana, perché se non fossero presenti ne sentiremmo l’assenza.

Raipoesia2022 mette in evidenza i volti, gli occhi pieni di fascino e d’inquietudine dei poeti, custodi dell’attenzione, della profondità e della verità della parola della poesia.

Ascolteremo frammenti di parole che tassello su tassello andranno a comporre un’unica grande opera.

(Luigia Sorrentino)

Postilla

Il titolo, Raipoesia2022, porta con sé l’anno in cui è nato il progetto.

 

Raipoesia2022

ideazione e progetto di Luigia Sorrentino

si ringrazia Dino Ignani per la cortese collaborazione

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“Verso le stelle glaciali”

Tommaso Di Dio

Le parole possibili del viaggio. Una nota (in due tempi) su Verso le stelle glaciali di Tommaso Di Dio.

di Emanuele Franceschetti

*

In Verso le stelle glaciali (Interlinea, 2020) Tommaso Di Dio ha raccolto il frutto di sei anni di scrittura poetica. Ne è risultato un testo corposo, articolato, e che fin da subito si rivolge al lettore suggerendogli la non-univocità dei possibili itinerari di lettura. Ne emerge l’idea di un libro senza traiettorie obbligate: un testo in qualche modo aperto, al netto delle mappe e degli itinerari proposti dall’autore. Il tracciato è quadripartito: si può viaggiare nelle storie comuni degli uomini (Hanno freddo/ Le strade, la storia); nella nuda evidenza del dolore e della malattia (L’occhio azzurro/ L’ospedale, la caverna); oppure nella ‘grande’ storia, che è anch’essa vicenda di uomini, viaggi e speranze (1492/ Il mare, la mente, terza sezione). Nella quarta sezione (Verso le stelle glaciali/ Il vento, i pronomi), che mi sembra possa intendersi al contempo come una summa e come un concertato finale, si ha ancora una volta, e con forza, la percezione che il viaggio e lo sguardo siano sovra-individuali, che esista una coralità implicita («Perché noi amiamo/ le nude colline, i tronchi storti»; ma anche «ogni cosa splende/ si perde e dice stai/ fra mondi; confratèrnati»), un destino di tutti, come lo è la storia dell’universo, come lo sono «gli umani sogni». Nella quinta e ultima sezione, Descrizione delle mappe, Di Dio colloca delle prose, quasi delle lunghe ekphrasis ‘a distanza’. Sono le descrizioni delle nove immagini (le mappe) che il lettore ha incontrato nel corso del viaggio. Immagini che vengono in tal modo illuminate di senso, retrospettivamente. Alla fine del viaggio, il lettore può ricominciare il cammino con diversa consapevolezza: “La mappa smette di mostrare una direzione e mostra invece se stessa”. Tutto diventa così circolare e plurale: le prose sono testi poetici, organici alla raccolta, ma sono anche funzionali; indicano se stesse, ma rimandano ad altro. Hanno, forse, valenza allegorica, come le stelle glaciali.

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Ferruccio Benzoni, da “Fedi nuziali”

Settembre le foglie

Settembre mi sgela da un torrido
d’afa: mai amato questo mese.
Ma non è immemore il tempo:
presto o tardi si contraddirà
e io con esso restituito
a una felpa di passi sulle foglie.
Non andrò più incontro a un’altra
estate – non sarà più Vaucluse.
E d’altra parte una gioia
d’anni miniaturizzabile in giorni è un amore
lascivo o semplicemente intenso.
Ma tu irripetibile che mi guardi
– l’amore che ti do è il mio
coraggio e la miseria
da settembre più tetri stillati
da un pozzo di foglie e veleni.
Aiutami aiutami a incespicare
sulle più non fiammanti foglie-rendimi
a una stagione ferita tuttora ardente.

Altra guerra

                              a Vittorio

Rideva con tutta la nicotina della guerra
delle minute possibili catastrofi
di una guerra girata altrove.
non l’amore gli faceva torto
se un fiume fulgeva o un amico
ma uno sgarro di devozione
alla gioventù: la vita girata altrove. Continua a leggere

Charles Simic , da “Il mondo non finisce”

The stone is a mirror which works poorly. Nothing in it
but dimness. Your dimness or its dimness, who’s to say? In
the hush your heart sounds like a black cricket.

La pietra è uno specchio guasto. In essa nulla se non pe-
nombra. La tua penombra o la sua, chi lo sa? Nel silenzio as-
soluto il tuo cuore ha il suono di un grillo nero.

Everything’s foreseeable. Everything has already been
foreseen. What has been fated cannot be avoided. Even this
boiled potato. This fork. This chunk of dark bread. This
thought too…
My grandmother sweeping the sidewalk knows that. She
says there’s no god, only an eye here and there that seen
clearly. The neighbors are too busy watching TV to burn
her as a witch.

Tutto è prevedibile. Tutto è già stato previsto. Quello che
è nel destino non lo si può evitare. Nemmeno questa patata
lessa. Questa forchetta. Questo tozzo di pane nero. Nemme-
no questo pensiero…
Nonna che spazza il marciapiedi lo sa. Dice che non c’è
nessun dio, solo un occhio qui e là che ci vede chiaro. I vi-
cini sono troppo distratti dalla TV per metterla al rogo co-
me strega. Continua a leggere

I versi ruvidi di Franco Fortini

Franco Fortini

Il seme

Caduti i cartocci giù
le foglie luccicano come piccioni
della magnolia altissima. Sotto i cedri
dove la luce del pomeriggio è fitta
vedo l’erba crudele acida profonda
e l’interrogazione ritorna
ai colpi di vento si curva
si divide ritorna ma dicono i merli di no
camminando o fermi.

Mio padre
s’inteneriva sulla propria morte
udendo l’allegretto della Settima.
Negli angoli dove c’è a Marzo maceria
con gran pianti i bambini seppellirono
gli uccelli caduti di nido. Ma nulla
sa più di noi e discorre da sola
coi suoi corni e le trombe la musica
tra questi muri sudati.
In luogo di lui ci sono io
o mio figlio o nessuno. Continua a leggere

Carlo Betocchi, scrivere su un lembo di giornale

Carlo Betocchi

Carlo Betocchi (Dal definitivo istante. Poesie scelte e inediti, BUR, Milano, 1999)

Il cuore a volte è un grumo secco, a volte
si scioglie ed inerbisce come zolla
dopo l’inverno: grazia o fortuna,
ossia virtù, il cielo è uguale per tutti;
tutti vi abbiamo un seme che butta
o non butta, a seconda della dolce
pazienza con cui si attende: o furia
con cui si vuole. Non si sa dove siano
i limiti del fausto o dell’infausto,
del vero o del falso, del giusto
o dell’ingiusto; dell’infinitamente
innocente: seppure esistano li vigila
una grazia sacrosanta. Stamani, così
verzicando, sono stato sorpreso
da questi pensieri. Mi sono riparato
dal vento in un portone, a scriverli
su un lembo di giornale. Continua a leggere

In memoria di te, Alessandro Ricci

Alessandro Ricci

Alessandro Ricci da I cavalli del nemico, (Il Labirinto, Roma 2004)

Un gozzo demente
rade il cedimento de molo, la
macchia di catrame, la boa ossidata.
Eppure lo vedi andare, frodando
un’aspettativa di largo, di tarda
flora marina.
Perché mare e cielo
fingono comunque il bello, bello
è il suono amaro del diesel,
quatto quatto verso
il silenzio e l’assenza. Continua a leggere

La ricerca multiforme di Elio Pagliarani

Elio Pagliarani

da Tutte le poesie (1946-2005), a cura di A. Cortellessa, Garzanti, 2006

Che ci portiamo addosso il nostro peso
lo so, che schermaglia d’amore è adattamento,
guizzo, resistenza necessaria perché baci
la nostra storia i nostri uomo-donna
non solo all’ombra dei parchi
lo imparo ora, forse.
Oh, ma scompagina come il vento
freddo di viale Piave i giorni scorsi, e spaura,
quanto di me non solo porto
sulle spalle, ma mi tocca travasare
adattare al tuo flusso flessibile
e scontroso.
Io che speravo
necessario e sufficiente solo il fiore
che affiora, tocco con le carezze oltre che il tuo
fusto flessibile lo specchio la certezza
di come sia insufficiente il mio amore
per la tua capacità di comprenderlo,
per la tua capacità di comprenderlo
come sia immane il mio bisogno d’amore. Continua a leggere

Yves Bonnefoy, l’avvenire della poesia

Yves Bonnefoy

da Quel che fu senza luce (1987, trad. Einaudi 2001)

Sauf, c’est vrai, que le monde n’a d’images
Que semblables aux fleurs qui trouent la neige
En mars, puis se répandent, toutes parées,
Dans notre rêverie d’un jour de fête,

Et qu’on se penche là, pour emporter
Des brassées de leur joie dans notre vie,
Bientôt les voici mortes, non tant dans l’ombre
De leur coleur fanée que dans nos cœurs.

Ardue est la beauté, presque une énigme,
et toujours à recommencer l’apprentissage
De son vrai sens au flanc du pré en fleurs
Que couvrent par endroits des plaques de neige.

*

Se non che, è vero, il mondo ha solo immagini
simili a fiori che bucano la neve
di marzo, e poi si schiudono, rigogliosi,
nel nostro sognare un giorno di festa.

E non appena ci chiniamo là, a raccogliere
bracciate della loro gioia nella nostra vita,
eccoli subito morire, non tanto nell’ombra
del loro colore appassito ma nei nostri cuori.

Ardua è la bellezza, quasi un enigma,
e sempre da ricominciare è l’apprendistato
del suo vero senso sul pendio sul prato in fiore
coperto qui e là da chiazze di neve. Continua a leggere

Stefan George, da “L’anno dell’anima”

Stefan George

 

Wir stehen an der hecken graden wall:
In reihen kommen kinder mit der nonne.
Sie singen lieder von den himmelswonne
In dieser erde sichrem klarem hall.

Die wir uns in der abendneige sonnten
Uns schreckten deine worte und du meinst:
Wir waren glüclick bloss solang wir einst
Nicht diese hecken überschauen konnten.

Siamo al limite netto delle siepi
Bimbi vengono in fila con le suore.
E cantano con gioia celestiale
Nel chiaro certo suono della terra.

E godevamo il sole della sera
Tremavamo al tuo dire se tu pensi:
Fummo felici solo fino a quando
Non vedevamo oltre queste siepi.

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La luminosa inquietudine di Silvia Bre

Io vado destinata a un sentimento
che ha la forma del parco che ora vedo,
e ciò che vedo è il viale in cui l’inverno
è rami, pietre, acqua, tramontana,
e passi di una donna che cammina.
Ma per come procede e come leva
lo sguardo secolare sulle foglie,
lei è la specie, a lei torna la rima
nella quale riposa il mondo intero –
così la qualità del giorno vaga
continuamente tra le parole e il cielo.

*
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Fiori, il poeta dalla voce precisa

Umberto Fiori

Coro (da Esempi, 1992)

Ai tavolini del bar
con l’ultima luce
la gente stava al fresco
a dire la sua.
Tutto il discorso in aria
per un attimo
erano solo le voci.

Inventate, sembravano.
Sembravano quelle che un matto
si trova in bocca
quando all’incrocio
grida e risponde
chiede scusa e dà ordini,
tutto da solo.

Lì intorno
non capiscono bene
ma appena sono
davanti a lui che si sbraccia,
subito cercano la faccia di qualcun altro,
e la trovano.
Ecco – così anche ora, con le cose
che ci sono da dire
vorresti dentro
voltarti, trovare la voce:
come all’incrocio
si incontrano i curiosi.
Poi via, come loro.

Stare in un momento
con la voce precisa.

La voce sola, buia, che in un punto
ha più occhi di un coro. Continua a leggere

Sergio Solmi, la misura del verso

Sergio Solmi

La vita sbaglia i tempi, i modi, perde
gli appuntamenti e ride
pazza sotto la benda. Il vento asciutto
di marzo spegne i richiami, la sua
logica regge solo il filo d’erba,
la nube in cielo, il futile incresparsi
dell’onda, ma l’informe anima ignora.
Pure, a fil d’orizzonte, oggi è perfetta
la lieve sfera del mattino, bolla
felice d’aria, il tempo è in alto asceso,
più non stride l’antica
macchina di dolore, oggi che un pigro
aeroplano ronza a fior del prato,
riposa nel bicchiere sulla pietra
un vino troppo dorato e svanito,
e a me giunto stavolta inaspettato,
spirito vagabondo, quando il sauro
è balzato, salpata
la bella nave dai palvesi alzati
per entro la brumosa lontananza,
come in un soffio, tu mi sei vicino.

(1945) Continua a leggere

E’ stato un grande sogno vivere…

Mario Benedetti

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.
Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,
il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.
Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono. Continua a leggere

Piero Bigongiari, l’amore dentro

Piero Bigongiari

Tempesta

(da Rogo, 1952)

 

Forse è questa l’ora di non vedere
se tutto è chiaro, forse questa è l’ora
ch’è solo di sé paga, ed il tuo incanto
divaga nell’inverno della terra,
nell’inferno dei segni da capire.
Ma non farti vedere dimostrare
ancora le tue formule, è finita
l’orgia dei risultati rispondenti
alle cause. Sei sola, batti i denti
accosto ai vetri nevicati, tetri.
Divergono in un morbido riaccendersi
d’altro sangue i destini che ci unirono.
Tu li ricordi come – in queste tarde
ore che riscoccano dalla pendola –
in un fuoco di tocchi, in un orrendo
scatenarsi, dai tuoi armadi, di bambole.
La nostra vita, catturata, vedi,
mentr’era armata solo di silenzio,
come dai parafulmini ridesti
da un lampo, trova il filo da seguire
per non morire restando se stessa.

 

Pietà

(da Antimateria, 1972)

 

L’amore non fa un passo, ti è d’intorno,
tu intorno a lui, l’amore non fa un passo,
ti è dentro, ma tu sei dentro di lui
e tocchi la rugosa realtà
con mano liscia, alterna, imprevedibile.

Hai l’occhio che s’accentua del guardato
universo, ma l’universo è un occhio
che mi guarda, mi guarda e mi destina:
si fonde, vedi, questa altra mattina
in un punto perché quello io non sia,

ma tutto sia quel punto, tutto sia.
Amica delle mie notti, mia amica
e nemica, distingui, scegli il passo,
avanza del tuo occhio a mezzo, intenso
in questo intero ch’è solo metà. Continua a leggere

Lo spirito tragico di Michelstaedter

Carlo Michelstaedter

Aprile

Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri che al novello amore
han fatto schermo della terra antica
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta
– se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.
Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia per che, pur fiduciosi.
Ché pur in me natura si nasconde
insidiosa e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
e mi toglie da me sì ch’io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo
lontano e solo, anco s’a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna. Continua a leggere

Fabio Pusterla, lo sguardo del bambino

Fabio Pusterla

da PIETRA SANGUE (Marcos y Marcos, 1999)

A Nina che ha paura

Gli scricchiolii notturni e quel silenzio
irreale: foglie, voci lontane, uno sciacquío
forse di grossi pesci nel lago. Anche la luna
che passa ha la sua voce
lunare, di capra gialla. Ed è il tuo turno,
stavolta, di vegliare
su me, sul mio respiro
che ogni poco svanisce nel buio.
Ma non pensarci, se puoi,
non preoccupartene;
so troppo bene cos’è svegliarsi di notte,
tendere invano l’orecchio, maledire
il nulla che ti attornia,
un muro inerte. Continua a leggere

Da “Proclama sul fascino”

Dario Bellezza / Credits photo Dino Ignani

Dario Bellezza, due poesie da Proclama sul fascino (Mondadori, 1996)*

Ti aspetto col buio, nel buio.
E se la tregua convince le bellezze
davanti a me – nel letto sfatto
saranno – o come presente
il cuore vandalo verso la fine
trova la tregua al nascere
e al morire – sintassi estrema
prima di morire, morire.
Unica parola vietata, sincope,
deragliata, la fine, di tutto… Continua a leggere

Giovanni Raboni, da “Barlumi di storia”

Giovanni Raboni

1.

O forse la felicità
è solo degli altri, d’un altro tempo,
d’un’altra vita e a noi non è possibile
che recitarla come viene viene,
a soggetto, ostinandoci a inseguire
la parte di noi stessi
in un vecchio, bizzarro canovaccio
senza capo né coda…

2.

Infinitamente mi piacerebbe
suonare il pianoforte, e qualche volta
con poca modestia considero
che se in tempo di guerra
non avessi, causa i bombardamenti,
interrotto per sempre le lezioni
tanto volute da mia madre
a compenso o rivalsa, ora lo so,
d’un suo remoto sacrificio
a quest’ora, chissà… Ma poi mi dico
che è di un’altra delle sue passioni
che mi sono, come ho potuto,
fatto carico – e penso che a rifletterci
in ogni caso è proprio questo
da quando lei è morta
il modo in cui amo le cose
che amo di più, restandone alla larga,
avendone un po’ di paura,
credendoci ma sempre di sfuggita,
come credo all’esistenza di Dio.

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