La divina Abramović al San Carlo

“7 Deaths of Maria Callas”

di Luigia Sorrentino

Si è tenuta il 13 maggio alle 17:00 a Napoli la prima italiana di “7 Deaths of Maria Callas” con Marina Abramović in scena al Teatro San Carlo  fino a domenica 15 maggio.

Lo spettatore che ha seguito il lavoro svolto da quarant’anni dalla celebre artista serba si troverà di fronte a un’opera profondamente diversa da quelle a cui aveva assistito in passato.

Il desiderio di mettere in scena la Callas era qualcosa che covava da molto tempo nella mente di Marina. Nella sua autobiografia, la Abramović ha scritto di sentire la necessità di voler creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas.

Nello spettacolo l’artista ricostruisce scene di donne morte in sette opere liriche. “Perché lei, la Callas, è morta come molte delle sue interpreti, per amore, di crepacuore, per amore di Aristotele Onassis. La Callas è morta come le donne che cantava”.

Tutto fa pensare che Abramović presti il suo corpo sacrificale anche a tutte le donne  che nella contemporaneità hanno sofferto per amore, che sono state picchiate, abusate, che hanno subito violenza, presta il suo corpo a quelle donne che sono sopravvissute e a quelle che non ci sono più. 

Ma il motivo che spinge la Abramović a mettere in scena la Callas è anche un altro.

C’è qualcosa in comune fra loro. Una somiglianza. Un sentire comune.

Forse è l ’amore per l’arte e l’essenza profondamente spirituale il punto di contatto fra Marina Abramović e Maria Callas. Un’aderenza nata quando Marina aveva quattordici anni: “Sedevo nella cucina di mia nonna che aveva sempre la radio accesa. A un certo punto ascolto una voce: ricordo di essermi alzata in piedi ed essermi messa a piangere. Non avevo idea di chi fosse quella voce, era una voce di donna e lo speaker disse che era la voce di Maria Callas.”

Senza dubbio nelle sette morti di Maria Callas vi è un pensiero cosmico che mette su un piano analogo la vita e l’espressione artistica di Marina Abramović, con la vita e l’espressione artistica di Maria Callas.

Fra le due donne vi è un pensiero unico che travolge e unisce le due dive apparentemente diverse, ma in realtà molto simili. L’una è il corpo tragico dell’altra: quell’andare vacillante del corpo nella vita.

Entrambe sono eroine tragiche: l’una, Marina, regina della Performance art, l’altra, la Callas, regina mondiale dell’opera lirica.

A unire le vite delle due artiste c’è dunque un comune sentire: “essere possedute dall’arte e dall’amore”, qualcosa che coinvolge la vita di Marina e Maria: il donare la propria anima e il proprio corpo, il donarsi strenuamente.

Lo spettacolo inizia con un prologo musicale di grande intensità scritto dal compositore serbo Marko Nicodijević. Un grande talento, se si pensa che è nato nel 1980.

Sulla destra del palcoscenico si intravede la sagoma di una donna distesa su un letto, una donna che sembra ammalata o in punto di morte. É la figura della Callas che sta lì, deposta come qualcosa che dimora da sempre nel cuore di Marina. Sta lì immobile,  è come se chiedesse di non essere abbandonata da tutti quelli che aveva incontrato nella sua grande carriera di artista: “Luchino, Pier Paolo, Zeffirelli, dove siete adesso?” chiederà la Callas-Abramović nell’ultima scena. E ancora: “Elvira, Franco, Giancarlo, Aristotele, Bruna? Bruna?”

Ma quante volte è morta Maria Callas?

Marina ci mostra sette morti scelte tra le più importanti opere liriche interpretate da lei e le circoscrive in  sette quadri – sette cieli -. Dal chiarissimo e azzurro colmo di nuvole, al cielo scuro, a quello nerissimo, e infine,  al cielo rosso che è il rogo in cui morirà Norma.  L’’opera cinematografica diretta da Nabil Elderkin è immersiva, siamo tutti coinvolti, nelle immagini forti, drammatiche alle quali assisteremo. I protagonisti della carneficina sono Marina Abramović e Willem Dafoe.

A morire di malattia nel corpo della Abramović è Violetta de La Traviata, poi Tosca che si lancia da un grattacielo di New York guardando davanti a sé l’Empire State Building. Commovente e tragica approda sul cofano di un’auto nel centro della metropoli. Poi la Abramović è Desdemona strozzata da un serpente stretto attorno al collo dalle mani cruente di Willem Dafoe (Otello). E ancora: Carmen, imprigionata in una corda da don José e poi accoltellata.

Nel sesto quadro Abramović è Lucia di Lammermoor: tutto l’ universo congiura contro di lei. E allora colpisce violentemente la sua immagine nello specchio, spacca tutti gli specchi, fino a ferirsi a morte. Lo spargimento di sangue copre totalmente il volto della Abramović, c’è sangue sulle mani, lei stessa piange sangue. Ebbene, tutto questo sangue sparso ha qualcosa di universale. Esprime un’innocenza fondativa e un’emergenza, un pericolo che incombe come una minaccia su tutte le donne.

Marina in “7 Deaths of Maria Callas” esprime gradualmente un mondo desertificato e sterile come quando interpreta la morte di Madame Butterlfly sedotta, abbandonata e suicida e infine, quella di Norma, la casta diva senza più alcuna forza vitale che avanza tragicamente verso il fuoco tenendo per mano il suo uomo.

Poi cala il buio in sala.

Prima dell’ultima scena, attesa. La musica avvolge lo spazio. È forte, roboante, riempie tutto il teatro.

Poi lo spettatore si trova nella stanza della Callas a Parigi, nel 1977, l’anno in cui la cantante muore.

Ha 53 anni. È distesa sul letto. Il corpo è già troppo pesante. La retina percepisce una luce, un profumo di lavanda. Riesce a malapena a alzarsi dal letto, a compiere qualche movimento. Abbagliata dalla luce attraverserà una porta dalla quale non tornerà mai più.

Continua a leggere

Le sette morti di Marina Abramović

Marina Abramović

Marina Abramović

Il 18 maggio 2022 la Galleria Lia Rumma di Napoli subito dopo la prima italiana di 7 Deaths of Maria Callas che andrà in scena in anteprima italiana al Teatro di San Carlo di Napoli (13-15 maggio 2022), inaugura la nuova mostra personale di Marina Abramović che segna il ritorno dell’artista in città.

La mostra coincide con il tour della prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba.

Abramović sarà la protagonista della prima italiana dell’opera 7 Deaths of Maria Callas, dedicata all’ indimenticabile soprano greco che ancora oggi affascina il pubblico di tutto il mondo.

Lo spettacolo di cui la Abramović è interprete e autrice, si concentra su ciascuna delle morti “sul palco” della Callas che di volta in volta è protagonista in Carmen, Tosca, Otello, Lucia di Lammermoor, Norma, Madama Butterfly e La traviata.

Sette eroine tragiche della lirica, rese immortali grazie alle interpretazioni della divina Maria Callas, rivivono nel corpo e nei movimenti di Marina Abramović.

La regina della performance indossa l’abito della regina della lirica in un’opera totale divenendo un faccia a faccia tra due grandi artiste.

«Da 25 anni – racconta Marina Abramović – desideravo creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas. Ho letto tutte le biografie su di lei, ascoltato la sua voce straordinaria e guardato le registrazioni delle sue esibizioni. Come me era un Sagittario, sono sempre stata affascinata dalla sua personalità, dalla sua vita e dalla sua morte. Come tanti dei personaggi che ha interpretato sul palco, è morta per amore. È morta di crepacuore» (Marina Abramović, 7 Deaths of Maria Callas, Damiani Editore).

Negli spazi della Galleria Lia Rumma, come in un coro di dolore, si rivive il dramma delle sette morti, attraverso la videoinstallazione Seven Deaths, tratta dall’omonima opera teatrale.

«Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto “emozionale”, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte», continua la Abramović. Ed è su questo fil rouge che s’inseriscono le altre opere fotografiche presenti in mostra: Artist Portrait with a Candle (B), 2012; Holding the Skeleton, 2008/2016; il dittico Portrait with Skull (EyesClosed), 2019; e per finire la più recente The Jump, 2022, in cui Abramovic impersona Tosca nel gesto finale dell’opera, ambientata qui in un contesto urbano contemporaneo.

A più riprese l’artista ha utilizzato lo scheletro come suo compagno di viaggio, o elementi come il teschio e la candela, per esorcizzare anche la propria mortalità, dando vita a tanti “memento mori” che sembrano evocare vanitas seicentesche arricchite da un crudele gioco tra Eros e Thanatos.

Una stanza della galleria accoglie l’installazione Black Dragon (1990) composta da cristalli di quarzo montati a parete che invitano chi si avvicina a interagire con loro per sentire l’energia che emanano.

Sono gli “oggetti transitori” della Abramović, che non sono semplici sculture da guardare, ma oggetti “performativi” in grado di innescare uno scambio di energia tra l’opera, l’artista e il pubblico, che viene così invitato a prendere parte attiva alla mostra non più come solo spettatore. Continua a leggere

Elena Pulcini, “L’epoca della grande cecità”

Elena Pulcini

IL RISVEGLIO DELLE EMOZIONI PER UN CAMBIAMENTO DI ROTTA
DI ELENA PULCINI 

“Devi cambiare la tua vita…”: questo imperativo che durante una visita al Louvre, Rainer Maria Rilke sentì risuonare dentro di sé di fronte alla statua di Apollo, viene ora adottato da Peter Sloterdijk, che in esso cerca una risposta alla sua diagnosi della crisi ecologica e alla radicalità dei suoi effetti. Una crisi a lungo rimossa dalle nostre coscienze, dalla politica e dal dibattito mediatico, che ci è caduta improvvisamente addosso con la violenza e la pervasività del Covid19. Perché, è bene ribadirlo subito: questo virus, prodotto dallo spill over, da quel salto di specie che ci ha reso vittime di un pipistrello, è l’effetto della grave alterazione dell’equilibrio naturale (in questo caso deforestazioni e inquinamento) che sta distruggendo il pianeta. Non potrebbe esserci immagine più adatta di questa pandemia a rappresentare simbolicamente la nostra epoca, o meglio la nostra “era”, quella che chiamiamo Antropocene, in cui l’agire umano ha raggiunto l’assoluta priorità, l’apice della potenza, che si rovescia però, allo stesso tempo, in potenziale autodistruzione.

Impossibile elencarne le cause: ci sono cause più storiche, come un capitalismo sempre più predatorio, e l’inversione immunitaria di Stati e individui di fronte all’insicurezza prodotta dalla globalizzazione; e ci sono cause ontologiche, come il nostro millenario antropocentrismo e la nostra hybris che ci spinge sempre più al dominio senza limiti della natura. Possiamo anche risalire alla sua origine moderna che alcuni, da Hannah Arendt a Latour, vedono nel distacco dalla Terra, ridotta ad un oggetto inerte da sfruttare a piacimento per i nostri bisogni, e sempre più deprivata della capacità omeostatica di rigenerarsi. Insomma siamo diventati vittime del nostro stesso potere, mettendo a repentaglio il nostro futuro e quello dell’intero mondo vivente.

Purtroppo, però, nonostante i segni sempre più visibili di una possibile catastrofe (riscaldamento climatico, erosione delle risorse, perdita della biodiversità, inquinamento) sembriamo inclini a denegare la realtà, a rifugiarci nell’indifferenza, e quel che è peggio a difendere ad ogni costo uno stile di vita che ci priva dell’aria che respiriamo, ci sommerge di rifiuti, ci inonda di cose inutili e superflue, ci fa ammalare… Nonostante tutto il nostro sapere e la nostra scienza, nonostante il profluvio delle informazioni e la rete comunicativa globale che abbiamo costruito, siamo ciechi di fronte a fenomeni sempre più devastanti e incontrollabili, tanto che è inevitabile chiederci, come fa Amitav Gosh ne La grande cecità: non è paradossale che “questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della grande cecità”? E’ paradossale, ma non inspiegabile: perché la nostra psiche non è capace, evidentemente, di immaginare la catastrofe e si protegge attraverso quel meccanismo di difesa che Freud ha definito diniego, impedendo che la realtà tocchi le nostre zone più profonde, la nostra emotività. Continua a leggere

Marina Abramović, sarà protagonista di uno speciale avvenimento il 22 settembre a Firenze

Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019 Palazzo Strozzi ospita una grande mostra dedicata a Marina Abramović, una delle personalità più celebri e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione.

L’evento si pone come una straordinaria retrospettiva che riunirà oltre 100 opere offrendo una panoramica sui lavori più famosi della sua carriera, dagli anni Settanta agli anni Duemila, attraverso video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance attraverso un gruppo di performer specificatamente formati e selezionati in occasione della mostra.

L’esposizione nasce dalla collaborazione diretta con l’artista nella volontà di proseguire – dopo Ai Weiwei e Bill Viola – la serie di mostre che hanno portato a esporre a Palazzo Strozzi i maggiori rappresentanti dell’arte contemporanea. Il palazzo verrà nuovamente utilizzato come luogo espositivo unitario, permettendo a Marina Abramović di confrontarsi per la prima volta con un’architettura rinascimentale e in cui verrà sottolineato lo stretto rapporto che ha avuto e continua ad avere con l’Italia.

Continua a leggere

Fragile Body/Material Body

1All Venice Performance Art Week, l’evento straordinario con i pionieri della Body Art storica, quest’anno è dedicato alla precarietà del mondo e della vita. La performance art è quella particolare forma d’arte dove a differenza del teatro tutto è estemporaneo, effimero, reale: spesso si assiste ad azioni estreme con al centro il corpo nella sua accezione più vera e carnale per un linguaggio espressivo che non conosce compromessi tra vita e morte.
 Questo lo scenario estremo e coinvolgente di uno degli eventi artistici più attesi dell’anno. Continua a leggere

Jan Fabre, Stigmata. Actions & Performances 1976-2013

Appuntamento

Continua la collaborazione tra MAXXI e Fondazione Romaeuropa. Dopo l’omaggio a William Kentridge dello scorso anno, ancora un genio della scena artistica contemporanea sarà protagonista del progetto condiviso dalle due istituzioni. A partire dal 16 ottobre 2013 infatti una mostra al MAXXI (una grande retrospettiva dedicata all’artista) e due spettacoli teatrali all’Eliseo, nell’ambito di Romaeuropa Festival 2013, porteranno a Roma la fantasia, le ossessioni e le visioni di Jan Fabre. Continua a leggere