Fare epoca: “L’estate del mondo” di Gabriele Galloni

Gabriele Galloni /Credits ph Dino Ignani


NOTA CRITICA DI GIUSEPPE MARTELLA

L’estate del mondo è un poemetto onirico in cui si risolve brillantemente il breve e intenso apprendistato poetico-esistenziale di Gabriele Galloni. Esso mette in scena una condizione psichica, quella della rêverie, intesa come flusso di coscienza, allucinata divagazione a occhi aperti. Qualcosa che va oltre il sogno (rêve) e, amplificandolo, lo estende alla condizione di veglia, facendone uno stato ontologico primario, l’aurora del fantasticare, l’abbandono alla immaginazione diurna che sta alla base della creazione letteraria e artistica. (Bachelard)

In tale sogno vigile si mette in scena una stagione della vita, l’adolescenza, e un’epoca della storia, la nostra. In un costante scambio pronominale, che solleva l’io/tu della tradizione lirica a livello archetipico, facendone un dialogo fra Animus e Anima, le figure inconsce complementari della psiche femminile e maschile, (Jung) mettendo così in scena un io poetico androgino che qui si individua e si esprime.

Il poemetto è diviso in tre parti, che si sovrappongono e si intersecano, come accade nei sogni: la prima è una esplorazione notturna, lunare, non priva di effetti da Instagram: “Luna di Luglio…. Per poco, ma l’abbiamo fatta nostra/ pensando fosse un fondo di bicchiere.” (12)

“Ma quanto ci ingannammo, sulla Luna./ Chi la credette un foro sulla tela/ del cielo” (14). Oppure: “La Luna, questa sera,/ è l’ombra di un insetto…. Tentiamo, al buio, di raschiarla via.” (17) Una luna di lattice “pronta/…. a cadere, a tornare in fondo al mare/ come all’inizio della storia umana.” (64) E così via.

La seconda è una escursione diurna, solare, fra le dune, le sterpaglie e il mare, a sondare le “ineluttabili modalità del visibile, le segnature di tutte le cose” (Joyce, Ulisse), i limiti del diafano sopportabili dalla percezione e dalla memoria, nel mondo odierno della sovraesposizione dell’immagine che disintegra l’aura della cosa: “è bello correre, andarsene via/ da ogni luce che sia/troppo grande per queste nostre mani.” (9) Per guadagnare la reciprocità degli sguardi, la giusta distanza da cui percepire la “lontananza/ che ritorna. L’eternità felice/ del tuo viso indagato controluce” (10) luce che macera “presso ogni riva” (75) e che si condensa nel “bianco della parete a fine di giornata” (77), riflettendosi infine su quel “muro enorme bianco”, alla fine del poema, che costituisce il correlativo oggettivo di ogni soglia esplorata e massime della rappresentazione stessa, dell’utopia di una eterna adolescenza. (80)

La terza è infine una ricerca salvifica dell’ombra, intesa sia che come riparo all’eccesso di luce e di calore di questa stagione, che come presenza perturbante del passato, delle figure parentali, dei morti, nonché come nostalgia del tramonto, del futuro, dell’orizzonte degli eventi, della fine: “Nudi nell’ombra fonda dell’armadio;/ trattenendo il respiro” (29). “L’ombra/ dei caseggiati popolari” (59) Ma anche “un’ombra sconosciuta/dietro le cose amate” (23), il brulicare delle tacite presenze dei morti che “transumanati già; si stringono in cerchio”, (66) traducendo il tempo lineare nella pura durata di una stagione o di un’epoca, nella melodia cullante del verso memorabile, che racchiude però il rischio di un comune naufragio “nel vuoto di una sillaba”, “in un murmure di annegati”. (66)
Il poemetto porta insieme a compimento l’apprendistato tecnico-esistenziale dell’autore e la consumazione della tradizione lirica, ridotta a puro schema dell’appercezione trascendentale, trasportata dallo spazio della scrittura a quello cinematografico in senso lato, sicché l’intera composizione si può anche leggere come una scenografia in attesa di essere tradotta in film su quel grande muro bianco, alla fine della giornata. Continua a leggere

L’ultimo saluto a Gabriele Galloni

 

Gabriele Galloni

A più di tre mesi dalla scomparsa del giovane poeta Gabriele Galloni, sabato 19 dicembre 2020 alle 14.30 l’urna, contenente le sue ceneri, verrà deposta al cimitero di Santa Ninfa, a Fiumicino, sul litorale tirrenico, il “cimitero dell’acqua e del vento”, accanto al Parco di Villa Guglielmi.

Fiumicino e Focene erano “i luoghi poetici” di Gabriele che ricorrono con evidenza nell’ultima raccolta di versi pubblicata in vita da Gabriele, L’estate del mondo. E proprio Gabriele aveva più volte espresso il desiderio – se mai ne avesse avuto la possibilità – di comprare una casa  a Fiumicino o a Focene.

Su Facebook il giorno 26 agosto 2020, Gabriele aveva scritto un post: “Comunque alla mia morte, voglio come epitaffio i seguenti versi:

“Noi fummo l’immagine dell’uomo,
non la creatura breve ma la traccia.”

I genitori, Irma Bacci e Mario Galloni, hanno rispettato la volontà di Gabriele e hanno inciso sulla lapide i suoi versi, una sorta di testamento della sua poesia.

Gabriele si è spento nel sonno per arresto cardiaco a soli 25 anni la mattina del 6 settembre 2020. Quella notte aveva dormito a casa del padre. E proprio il padre ha raccontato che la mattina del 6 settembre Gabriele si era svegliato verso le 7:00, si era alzato dal letto e avevano avuto una breve conversazione. Poco prima che il padre uscisse per fare la spesa, Gabriele aveva detto che si sarebbe messo a letto per dormire ancora un po’, aveva preso con sé un libro  poi, rivolto al padre aveva detto che avrebbero fatto colazione insieme al suo rientro.

Non è stato possibile … Gabriele non si è mai più svegliato.

(di Luigia Sorrentino)

 

da L’estate del mondo di Gabriele Galloni, Marco Saya Editore, 2019

Abbiamo superato Fiumicino
e tu hai fatto, ricordo, una battuta
su tutto ciò che era passato in questa
vita senza per noi lasciare traccia.

E poi hai indicato il fumo che saliva
dal mare. Tutte le strade erano bloccate
e noi già pensavamo ad altro; a quello
che tutti quanti pensano d’estate.

Campo

Un giorno la vedremo intera, questa
stagione. Basterà
un fuoco in spiaggia a memoria di festa
e il bagnasciuga a dire l’aldilà
delle conchiglie mai raccolte:

Controcampo

così tante – ricordi? – Che per tutta
la notte ci hanno tormentato. In sogno
maree su maree di conchiglie.
Il letto ne fu invaso; le lenzuola
ci ferirono per tutto il tragitto fino alla spiaggia.

**

Noi dormiamo raccolti nell’estate.

Ha smesso già di svegliarci il rumore
del mondo. I nostri piedi sono nudi,
scoperti, ché il lenzuolo è troppo corto.

Il nostro sonno è come una corrente
di risacca; per ore non riusciamo
a svegliarci. Trascorre la mattina

in una luce, una luce che è febbre
da fondale marino; sia destino
guardare tutta la vita da qui.

Sia destino arrivare al pomeriggio
sul filo che divide e l’acqua e l’aria;
e insieme farli in due passi questi anni.

**

I ragazzi alla spiaggia di Focene,
insieme incontro all’onda sonnolenta
che ritornando bagna loro il fianco
adolescente. È questa vita, lenta,

la sua illusione qui della durata
eterna. Quando ciò che resta è il bianco
della parete a fine di giornata;
il mese placido, tempo che viene,

i ragazzi alla spiaggia di Focene.

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Gabriele Galloni (1995-2020)

Gabriele Galloni

NOTA DI LUIGIA SORRENTINO

Questa foto di Gabriele Galloni mi è particolarmente cara. Me la inviò Gabriele per email il 5 novembre 2017 con alcune sue poesie inedite dal titolo Orazioni di giugno, poi confluite con un altro titolo a gennaio 2018 nella raccolta In che luce cadranno.

Gabriele aveva solo 22 anni quando mi contattò la prima volta.

Era nato a Roma nel 1995, studiava Lettere Moderne all’Università La Sapienza e aveva da poco pubblicato con Alter Ego – Augh! Edizioni la sua prima silloge, Slittamenti.

Lessi la prima poesia fra gli inediti che mi aveva inviato nella email. Era questa:

I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

Gli risposi sempre per email che mi piacevano le sue poesie, e che ne avrei volentieri pubblicato qualcuna sul mio blog. Purtroppo la morte di mio padre, il 4 dicembre 2017, mi tenne lontana da Gabriele e dalla sua poesia.

Fu Ida Cicoira, una mia amica, a riparlarmi di lui. Ma io non ero in grado di recepire nulla in quel momento, totalmente assorbita dal grande cambiamento che aveva occupato la mia vita.

Il giovane poeta Gabriele Galloni si è addormentato senza più svegliarsi il 6 settembre 2020, a soli 25 anni.

A tre mesi dalla scomparsa lo ricordiamo con questi versi tratti dalla sua ultima raccolta: L’estate del mondo, Marco Saya Editore, 2019.

In questi versi si percepisce molto chiaramente la voglia di vivere che aveva Gabriele, un ragazzo dalla personalità dichiaratamente votata alla poesia. Sono versi luminosi, sembrano scritti pensando a un cortometraggio girato con la cura e i dettagli del poeta che vede l’invisibile.  Le poesie sono il ritratto di una giornata serena, trascorsa vicino al mare, contrassegnata da apparizioni e da sparizioni.

Si legga il finale di uno dei testi qui sotto riportati: [… “è bello correre, andarsene via/ da ogni luce che sia/ troppo grande per queste nostre mani.

Sono le parole  di chi vuole possedere il mondo, l’eternità felice di una giovinezza che però sa bene di non poter trattenere quella luce, troppo grande anche per le mani del poeta.  

Gabriele sapeva che la vita e la gioia, sono momenti fugaci, scorrevoli.

I suoi testi sono quelli di chi desidera rimanere negli occhi chiari dell’estate conservando in una tasca molto profonda una conchiglia, raccolta nell’età dei ragazzi, un’età di gioia e di disperazione, l’età della ferita e della bella giornata di sole tanto profonda e lontana da noi da dimenticarsene.

Questa raccolta conserva una luce che partecipa a un sogno:  camminare sul mondo che perde le nostre tracce.

Si legga infine la  poesia Campo/Controcampo: il campo ripreso dal regista-poeta riprende davanti a sé una stagione intera, quella della vita; nel controcampo, in ciò che l’altro vede, il poeta fa riferimento a un tempo trascorso con le tante conchiglie raccolte. Ma  la bella giornata irripetibile , è finita.

Gabriele conosce bene il sentimento della  nostalgia, della perdita, che qui  si intravede, nella consapevolezza che tutto ciò che si vive è destinato ad allontanarsi da noi. E’ qualcosa che avviene davvero in questi versi, e avviene proprio mentre lo si vive, e niente, se non la memoria, potrà riportare in ognuno di noi, l’estate del mondo.

 

I

Nel parcheggio del centro commerciale
mi parlasti di certi
giorni d’isole; giorni dall’uguale
passo del mare misurati interi.
Mi raccontasti poi di come aperti
all’onda i cieli aprissero sentieri
mai apparsi prima, neanche agli occhi esperti
dei residenti che alla roccia e al sale
erano familiari.

II

Io non ti domandavo; solamente
ascoltavo in silenzio, interrompendoti
per mostrarti le foto che prudente
ti coglievo di spalle. E riprendendo
perdevi sempre il filo; ti arrabbiavi
ma un attimo, per finta: ché ignorandomi
presto ricominciavi.
Le corse a perdifiato tra i canneti;
l’eco pomeridiana e l’eco a notte.
L’animale brusio e le sue interrotte
chiamate; e certi libri di poeti
scovati in biblioteche sotto il mare.

 

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Sulla poetica di Gabriele Galloni

Gabriele Galloni, credits ph. Dino Ignani

NOTA DI GIUSEPPE MARTELLA

Slittamenti è il titolo della prima e fondamentale raccolta di Gabriele Galloni.

Graficamente il testo è molto spaziato: i versi vi nuotano come filamenti di galassie in espansione, o come fotogrammi portati da un vento cosmico, stringhe di codice (verbale, numerico, genetico, tutt’insieme) che hanno perso il loro scopo evolutivo e la password per il ritorno alla Matrice.

Hanno perso l’aggancio con l’origine e col fine, sicché l’eccesso di luce e il candore del dire disegnano scenari per l’elaborazione del lutto e della malinconia.

La sua è una poetica della scansione esatta e pulita che va al di là del metro e della parola, per acquisire direttamente l’immagine e montarla in un discorso editabile e rimediabile.

Il suo sguardo è quello di uno scanner e di un laser, la sua poetica una nanotecnologia della parola-immagine, lo spassionato algido s/montaggio digitale delle fette di vita da parte di un software evoluto in grado di apprendere, ma per ciò stesso fragile ed esposto ai virus dell’ambiente.

Spietatamente egli mette in scena infatti la discrasia sistema/ambiente a vari livelli del vissuto e del testo. Nel suo dire (o mostrare), il silenzio interlineare fa da sfondo, come un tappeto sonoro in negativo.

Il silenzio che accomuna i vivi e i morti, che dilata lo spazio della figura e sospende il tempo dell’evento, preparando il gesto surreale che ci attende, che ci appare in primo piano o in campo lungo, in panoramica o carrellata, dopo lo stacco che fa da legame a diversi livelli del testo, a partire dalla metrica.

Da quella versificazione piana, scontata quasi nel suo tramandare (e tradire) il retaggio della lirica nostrana ed europea, con la più assoluta sprezzatura di ogni “ricercar”, come se questo fosse già avvenuto altrove, in altro luogo e tempo della storia sociale e della propria anima, in una sorta di slittamento fondante dalla psiche individuale allo spirito del tempo (Zeitgeist).

Per quanto la situazione evocata infatti possa spesso essere idiosincratica, perversa, persino oscena, l’atmosfera, la Stimmung, ha sempre in Galloni, una valenza collettiva che attraversa la carne del mondo e la trascende in una prospettiva comunione tra i vivi e i morti.

Certo la fascinazione della morte è una delle costanti della sua poesia, dove thanatos eclissa eros e lo perverte, lo rende obliquo ed elusivo, anfibio e androgino. Diluito e liquidato nel campo semantico dell’amicizia e nella dimensione del ricordo. Ne fa ingrediente e collante di una messa in scena che mira ad altro, al radicalmente Altro, alla comunione coi morti, appunto, con lo spettro di luce del mondo in cui viviamo, con la sua eccessiva trasparenza che brucia lo sguardo, con i limiti del diafano dove si dissolve ogni figura.

In una ridda di echi letterari si consuma qui infatti il rovesciamento, la preclusione di ogni romanzo di formazione, nel tempo reale della rete, nel presente allargato del villaggio globale.

Nel solco scavato dall’ombra lunga dello Stephen Dedalus di James Joyce, l’intransigente artista giovane in cerca di una resa dei conti con l’intera tradizione letteraria dell’occidente: “ineluttabile modalità del visibile: almeno questo se non altro, il pensiero attraverso i miei occhi… limiti del diafano.”
Così Stephen all’inizio del terzo capitolo dell’Ulisse, quando esplora i detriti cangianti della marea e della storia, sulla spiaggia di Dublino, parodiando Aristotele.

Stephen, figura del Figlio, seconda persona della trinità biblica che regge il poema eroicomico in prosa dell’Ulisse (la prima è Leopold Bloom, homme moyen sensuel, la terza Molly Bloom, nuda supina carne del mondo, in attesa di registrare gli eventi di una giornata o di un’epoca).

Artista giovane, colto ed ironico, intransigente specie nei confronti di sé stesso, è anche Gabriele Galloni, con la differenza che per lui non c’è alcun esilio salvifico, nessun altrove dove fuggire, nessuna distanza da guadagnare: è prigioniero della società della trasparenza e della prestazione, dello show business, del Glamorama in cui tutti siamo nel contempo registi e attori coatti, per quanto possiamo esserne consapevoli e prendercene gioco.

Lo “slittamento” è la chiave della sua poetica. Tra continuità e salto, tra metonimia e metafora, c’è una terza via: lo scivolamento continuo delle immagini su una pellicola traslucida, sulla carne del mondo esposto al sole guasto e impietoso dei nostri giorni, come quando in una allucinata vacanza estiva gli adolescenti, “I ragazzi di Focene” scendono in spiaggia o meglio vengono gettati nell’aperto, seminudi e semicoscienti. Nel seducente dondolio di un’onda lunga che promette l’infinità del tempo, l’onnipotenza dei desideri, ma che poi alla fine della giornata si spegne e si asciuga su una parete bianca che non ne conserva traccia: in questa nostra società liquida, di cuspidi e catastrofi, che ospita dimore vacanti e imprevedibili spazi di violenza. Continua a leggere

Lutto nel mondo della poesia per l’improvvisa scomparsa del giovane Gabriele Galloni

Gabriele Galloni

Di Gabriele Galloni mi parlò per la prima volta una mia amica, Ida Cicoira nell’aprile del 2018. Era un periodo molto difficile per me, mi preparavo a un cambiamento enorme, radicale, ma questa non vuole essere una giustificazione. Oggi so che avrei dovuto occuparmi di Gabriele, prestare attenzione alla sua poesia e per questo tornerò in seguito a parlarvi di questo giovane poeta.

Gabriele, mi scrisse Ida Cicoria, a soli 22 anni aveva già pubblicato nel 2017,  la sua prima raccolta di versi “Slittamenti” con una prefazione di Antonio Veneziani e subito dopo era uscita la seconda “In che luce cadranno”. Per scrivere il suo secondo libro, mi spiegò Ida, Gabriele aveva portato avanti un lavoro di ricerca intervistando dei malati terminali.

Non aggiungo altro. Pubblico una manciata di suoi versi… ripetendo qui quello che qualcuno dei suoi amici mi ha scritto la notte scorsa su messanger: “Gabriele si è addormentato e non si è più svegliato”.

Ciao, caro Gabriele. Perdonami. Non ho saputo difenderti.

LUIGIA SORRENTINO

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I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile.
Sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

*

Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni. Tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro

le coordinate per un’altra vita.

*

Scappi via e ridi; lasci che la schiuma
ti evapori nel tuffo – e piena l’onda
già ti fa ruzzolare sul fondale.

Questi anni nostri non avranno male;
saranno sempre gli anni del Miracolo
per ogni luce che mi indicherai

spegnersi a basso volo sopra i campi
di Torvaianica.

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Omaggio poetico ad Amelia Rosselli a vent’anni dalla scomparsa

amelia_rosselli_ignaniAmelia Rosselli, nella foto di Dino Ignani

“Io sono come voi quel che non sapeste”

Lunedì 6 giugno 2016, alle 17.00, presso il foyer del Teatro Valle a Roma (Via del Teatro Valle, 21) la Federazione Unitaria Italiana Scrittori terrà un incontro-reading in ricordo di Amelia Rosselli, la più importante poetessa italiana del secondo Novecento. Continua a leggere