Paolo Febbraro, “Il tempo non ci separa”

Biancamaria Frabotta / Credits ph. Dino Ignani

Blanche
di Paolo Febbraro

Sarò ingiusto, ma onesto. Devo scrivere di Biancamaria Frabotta, a poche ore dalla sua scomparsa, e compirò un’ingiustizia a ogni riga. Scrivere di una persona che ha appena toccato la totalità, la propria totalità, non può che generare grave incompletezza.

Sono un piccolo angolo visuale. Sono un ragazzo di neppure diciannove anni che vede la professoressa Biancamaria Frabotta in cattedra (Aula C, forse, e ottobre o novembre del 1983) e la ascolta, comincia a smarrire appunti su un bloc-notes. Cinque anni e mezzo più tardi, la professoressa è presente, in un’altra aula, fra coloro che mi laureano in Lettere con un bel voto. Intanto, mi ha insegnato Saba, Caproni e Palazzeschi, sui quali – non è un caso – scriverò pagine e pagine di ipotesi e certezze.

Non ricordo quando abbiamo cominciato a darci del “tu”, quando siamo diventati due poeti, di generazione diversa, anche molto diversa, magari chiamati a leggere nello stesso reading.

Oggi, i diciannove anni che ci separano mi sembrano pochissimi. Stranamente, il tempo non separa, ma ci accosta.

Ho la mania di cambiare i nomi delle persone che frequento, con la parziale scusa di non frequentarne poi tante. Tutti gli esseri umani sono degli ibridi, ma gli Italiani lo sono in maniera particolarissima.

La figura alta, la chiarezza degli occhi, la saldezza culturale, con una fragilità, quasi uno spavento, che però giocavano immediatamente sotto i muscoli del viso, l’incertezza su sé stessa che la accomunava a tutti coloro che sono tentati dalla poesia: cominciai a chiamarla amichevolmente Blanche. Chissà, nella mia mente giocosa non era un cambio di nome, ma una sua etimologia.

È ovvio, non dimenticherò mai Biancamaria Frabotta (mai: ecco che sono giusto, e disonesto). Sono stato parte di una sua generazione. Sono – anche – il frutto di un suo forte avvio, e di uno scorrimento lontano. Blanche è una delle direzioni da cui provengo. Oggi i suoi libri sui miei scaffali sono più chiusi di prima, segno che avrò la sorpresa di aprirli molto più spesso che altri.

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