Gario Zappi, “Libro d’argilla”

Puabi

I

o mia dolcissima, Puabi, che di soli astrali, lamine
aurate ri-fulgi, per malte e coralli, per cobalti
di iridi tenui e sfogli d’ocelli variegati iniziali
di nomi, e ri-poni su pastiere di porcellana
fiori-farfalle, memorie d’abissi, segni
di quell’Atlantide spirituale in cui spumeggianti
Titani s’inabissaron tra l’onde: in te
m’adagio, mi dis-solvo nel tuo
sguardo, mi rin-serro, o lamina d’oro che
di soli astrali sei cenno e fulgore, o mia
dolcissima, o
Puabi……..
così, platino e rosmarino, titanio ed euforbia, si sfrangiano
luci sull’acqua: stelle di fonte, arcobaleni, cristalli
sul tavolino: immagini che m’impedirono di
donarti: e ri-trovare le dilacerate mie sensazioni, le
frantumate mie contiguità, il tuo
corpo, astrale bagliore di risonanti effluvii di
Vita……….

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A sette anni dalla scomparsa, ricordiamo il premio Nobel colombiano, Gabriel Garcìa Màrquez

A file picture dated 26 March 2007 shows Colombian Nobel Prize-winning novelist Gabriel Garcia Marquez (R) posing with a special edition of his most famous book ‘One Hundred Years of Solitude’ in Cartagena de Indias, Colombia.
ANSA/Ballesteros

17 APRILE 2014: GRAZIE, GABRIEL GARCIA MARQUEZ

di MONICA ACITO

Quando Gabriel Garcìa Màrquez morì, il 17 aprile 2014, io avevo vent’anni.
Sapevo che Gabo era malato e che non riconosceva più nessuno, ma io lo immaginavo immortale: credevo che sarebbe rimasto per sempre nella sua casa di Città del Messico a scrivere di generali, labirinti e città immaginarie.

Non volevo pensare a Màrquez come a un essere corruttibile, non volevo immaginarlo in una bara che odorava di legno e incenso. Per me, Màrquez non era fatto di carne: era fatto della terra rossa della Colombia, di inchiostro e di farfalle gialle.

Quando Gabriel Garcìa Màrquez morì, nel 2014, io avevo vent’anni e piansi come una bambina.

Tutti mi chiedevano “Perché piangi per uno scrittore? Era vecchio, aveva ottant’anni, e poi non lo hai mai visto”. Sentii che forse nessuno poteva capire, perché quando muore uno scrittore amato, è come se tutti i polmoni della terra smettessero di respirare.

Io piangevo sul corpo di Aureliano Buendìa, sui capelli di Remedios la Bella; piangevo sulla bocca di Rebeca Buendìa e sul sangue di José Arcadio; piangevo su tutti i personaggi che la penna di Gabo aveva saputo evocare, e che erano stati miei genitori, fratelli, amanti: erano stati il mio stesso respiro.

Sarebbe difficile parlare dei personaggi di Màrquez uno per uno, perché lui è un autore corale: i suoi personaggi sono come formiche che si affastellano l’una sull’altra, che creano insieme un discorso comune, come i cori delle grande tragedie.

I volti dipinti da Màrquez sono come insetti intrappolati nell’ambra, sono tipi umani e categorie che si snodano come in una tavolozza; abbiamo il prototipo del colonnello, incarnato Aureliano Buendìa di “Cent’anni di solitudine”; quello della ragazza scandalosamente bella, innocente e fuori dal mondo, ossia Remedios la Bella sempre in “Cent’anni di solitudine”; e non manca nemmeno la fanciulla orfana che gira il mondo senza radici e senza patria, impersonata da Rebeca Buendìa.

Ma le più affascinanti sono le figure ibride, torbide e con un grande respiro narrativo, come la ragazza posseduta dal demonio e poi guarita dall’amore del suo prete esorcista, come Sierva Maria in “Dell’amore e altri demoni”, o l’uomo che si sveglia la mattina della sua morte e accompagna il lettore verso il momento in cui stramazzerà al suolo, ossia Santiago Nasar di “Cronaca di una morte annunciata”.

Conosciutissimo è anche il prototipo del vecchio innamorato, che aspetta la sua amata per cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, sfidando il tempo, la morte e il colera. Non dimentichiamo la figura emblematica del generale intrappolato nel suo labirinto, o anche lo zingaro che porta con sé il gusto del mistero.

Ogni personaggio dei romanzi di Màrquez ha una tonalità e una temperatura diverse, e tutti i creano un vero e proprio arazzo con fili intrecciati. Sfogliando le pagine delle grande opere di Gabo, si ha l’impressione di toccare con mano quei fili colorati, e di riannodarli nel nero dell’inchiostro.

Conobbi Màrquez a quindici anni: forse in quel periodo avevo bisogno di essere salvata. E le sue pagine riuscirono a riportarmi a casa, una casa che si chiamava Macondo.

Macondo è una città che non esiste sulle carte geografiche, perché è scaturita dalla fantasia di Gabo: per me, invece, era l’unica città che esistesse davvero.

Trascorrevo le giornate distesa sul letto ad abbeverarmi di Macondo, e quando leggevo Màrquez io non ero soltanto felice, ma qualcosa di più: io ero dissetata.

Leggevo, chiudevo gli occhi e mi immaginavo nel patio di una casa colombiana, su una sedia a dondolo: mi immaginavo sospesa tra l’odore delle begonie e l’umidità dell’ora della siesta.

Nella mia mente prendevano forma le voci di tutti i personaggi di Màrquez, e ognuno di loro ha nutrito un aspetto della mia personalità che si stava formando. Non riuscivo a smettere di leggere, ero percorsa da una strana febbre: quando leggevo di quei riti primordiali dell’America Latina, come i combattimenti tra galli, pensavo a tutte le tradizioni arcaiche del Cilento dove ero cresciuta. Continua a leggere

Poesie dal margine

Vittorio Bodini

VITTORIO BODINI, LA LUNA DEI BORBONI

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

Nel biancore della porosa pietra pugliese sono scalfiti i versi di Vittorio Bodini – si fanno ambasciatori delle atmosfere del sud, dei riti della controra, del sole impietoso che fa ardere il barocco leccese e inaridire le zolle. Eppure questo canto che viene dal margine rifiuta il limite e cerca rimandi in altri meridioni, finché una eco madrilena risponde e due voci ancestrali rivelano le analogie di un comune sentire. La lingua bodiniana, poeticamente e poieticamente intrisa di nostalgia, risente della preziosa esperienza della traduzione, straordinario veicolo di incontri e visioni; anche così il sangue antico continua a scorrere, fedele a se stesso e alle sue molte anime.

Viviamo in un incantesimo,
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi
– qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme la vita
le cose che crediamo di meritare.

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Brunetto Latini, opere poetiche

S’eo son distretto inamoratamente
e messo in grave affanno
assai piú ch’io non posso soferire,
non mi dispero né smago neiente,
membrando che mi danno
una buona speranza li martire,
com’eo deggia guerire:
ché lo bon soferente
riceve usatamente
buon compimento de lo suo disire.

Brunetto Latini, Poesie (Einaudi, 2016)

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John Taylor & Caroline François-Rubino

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John Taylor, poeta, scrittore e traduttore, e Caroline François-Rubino, pittore, lavorano insieme dal 2014. Il loro primo libro, Boire à la source / Drink from the Source, è stato pubblicato dalle Éditions Voix d’encre nel marzo del 2016. Il loro secondo libro, Hublots / Portholes, è appena uscito con Éditions L’Œil ébloui.

John Taylor, poète, écrivain et traducteur, et Caroline François-Rubino, peintre, travaillent ensemble depuis 2014. Leur premier ouvrage, Boire à la source / Drink from the Source, est paru aux éditions Voix d’encre en mars 2016. Le second, Hublots / Portholes, paraîtra cet été 2016 aux éditions L’Œil ébloui.

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Jonathan Galassi, “La musa”

 

galassi
Jonathan Galassi
è editore, poeta e traduttore di fama internazionale. Ha studiato ad Harvard con poeti come Elizabeth Bishop e Robert Lowell e ha pubblicato per la casa editrice della quale è Presidente, la Farrar, Straus and Giroux, molti romanzi e raccolte di poesie di autori noti, come Jonathan Franzen, Jeffrey Eugenides, Marilynne Robinson, tanto per fare alcuni esempi, scoprendo dei veri talenti.

Con “La Musa” (Titolo originale “Muse”, Knopf, 2015) uscito in Italia con Ugo Guanda Editore, tradotto da Silvia Pareschi, Galassi debutta come narratore. Una scelta importante, che lo colloca dalla parte dell’Autore, di colui che scrive “la sua storia”.

 

Intervista a Jonathan Galassi
di Luigia Sorrentino
Roma, 18 dicembre 2015

 


Galassi, che effetto le fa stare dall’alta parte, quella dello scrittore
?

Ho sempre scritto poesia e traduzioni con la mia mano sinistra, per così dire. Ma alla mia età ho pensato: ora o mai più. E mi sono voluto lanciare in questa sfida, per vedere se ero in grado di fare qualcosa da solo, anche se qualcosa di modesto, in un genere su cui avevo già lavorato molto con numerosi scrittori che amo. Continua a leggere

Contrappasso, “Long Distance”

contrappasso

Presentazione a Sydney, in Australia, dell’ultimo numero della rivista letteraria Contrappasso, Long Distance e dedicato, appunto, al tema della ‘lunga distanza’.

Questo numero speciale è un vero e proprio viaggio intercontinentale che vede la luce grazie agli scritti di autori provenienti da ogni angolo del pianeta e grazie all’impegno del curatore l’italianista Theo Ell, anch’egli autore e traduttore. Continua a leggere

Addio a Nelo Risi

nelo_risiE’ morto all’età di 95 anni Nelo Risi, fratello di Dino. Nato a Milano ma da anni residente a Roma, il poeta e regista si è spento ieri sera nella sua abitazione di via del Babuino.

Accanto a lui fino alla fine, la moglie, la scrittrice e poetessa di origini ungheresi Edith Bruck.

Nato il 21 aprile 1920, laureato in medicina come il fratello Dino (morto nel 2008 a 91 anni, Nelo Risi si è dedicato alla poesia a partire dal 1941, anno in cui pubblicò la sua prima raccolta, “Le opere e i giorni” da Scheiwiller. Il critico Luciano Anceschi inserì nell’antologia “Linea Lombarda” (1952) una serie di componimenti della prima produzione poetica di Risi. Nello stesso periodo Nelo Risi affiancò all’attività letteraria quella di regista (l’esordio con il film “Andremo in città” del 1966) realizzando otto film, oltre che un telefilm e diversi documentari, cortometraggi e inchieste televisive. Continua a leggere

Silvio Raffo, “La divina differenza”

Silvio-Raffo-La-divina-differenza-COPERTINApiatta-196x280La Musa lirica di Maria Luisa Spaziani

di Silvio Raffo, Lieto Colle Edizioni 2015

[…]Se è vero, come continuiamo a credere (forse in pochi) che la grande poesia si accompagna naturalmente a questo sentire “sublime” e che almeno in arte esiste, deve esistere, la perfezione, perché la poesia delle ultime generazioni sembra aver perso la speranza e la voglia di scalare quelle vette?[…]
[…]Maria Luisa Spaziani sembra testimoniare in modi convincenti e “moderni” la sopravvivenza della musa lirica, la sua legittimità e autorità indiscutibili. La sua opera, di recente consacrata dal Meridiano Mondadori, è la prova più lampante della possibilità di coesistenza di registro alto e leggibilità, dunque di “tradizione” e comunicazione.[…]

 

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Gray Sutherland, poesie


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Gray Sutherland è nato nel 1948 in Inghilterra, laureato in Lettere Francesi (BA 1970, MA 1975) presso l’Università di Calgary (Canada), scrive dal 1964. Fino 2000 ha lavorato come traduttore presso istituzioni. Da allora, pur continuando a lavorare come traduttore indipendente, si dedica alla scrittura.
Ha pubblicato il romanzo A Twittering of Sparrows(2005) e cinque sillogi poetiche: Comanche Moon (2001), A Homecoming (2005), When I See Mountains (2007), Spring Rain(2010) e By the Ravine (2012).
Dal 2004 al 2006 ha collaborato col fotografo americano Carll Goodpasture per realizzare l’opera fotopoetica Terje Vigens Båt(2006), che è stata oggetto di mostre in Norvegia e in Canada. Sempre con Goodpasture ha realizzato l’opera fotopoetica After the Ice Withdrew, ancora inedita, di cui è possibile leggere un estratto e vedere alcune foto nel sito Poetry in Translation. http://poetrytranslation.net/2014/07/07/gray-sutherland-e-carll-goodpasture/ Continua a leggere

Marco Amendolara, "Il corpo e l'orto"

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Marco Amendolara è nato a Salerno nel 1968. Poeta, critico letterario e d’arte, traduttore di poesia latina. Laureato in Filosofia e in Lettere moderne, ha svolto un’intensa attività pubblicistica collaborando a vari periodici e quotidiani, fra i quali “Il giornale d’Italia”, “Il Mattino”, “Caffé Michelangiolo”, “L’area di Broca”, “Frontiera immaginifica”.
Nel 1984 pubblica il saggio sulla teoria della poesia “La musa meccanica”, (Ripostes, Salerno-Roma), con lo pseudonimo di Omar Dalmjró, testo riedito nel 1994 con minime varianti, aggiunte, omissioni, con Pellicanolibri, Roma.
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Gray Sutherland, Poesie

Gray Sutherland

Nato nel 1948 in Inghilterra, laureato in Lettere Francesi (BA 1970, MA 1975) presso l’Università di Calgary (Canada), scrive dal 1964. Fino 2000 ha lavorato come traduttore presso istituzioni. Da allora, pur continuando a lavorare come traduttore indipendente, si dedica alla scrittura. Ha pubblicato il romanzo A Twittering of Sparrows (2005) e cinque sillogi poetiche: Comanche Moon (2001), A Homecoming (2005), When I See Mountains (2007), Spring Rain (2010) e By the Ravine (2012).
Dal 2004 al 2006 ha collaborato col fotografo americano Carll Goodpasture per realizzare l’opera fotopoetica Terje Vigens Båt (2006), che è stata oggetto di mostre in Norvegia e in Canada.
Nel 2006 Le Voci della Luna gli ha commissionato la versione inglese di La distanza immedicata di Stefano Guglielmin, pubblicato in versione bilingue italiano e inglese, e nel 2007 ha collaborato con Chiara De Luca e Judy Swann alla versione inglese di Ottonale di Giuseppe Cornacchia, pubblicato in Inghilterra. Ha tradotto per Kolibris Splinters of Light / Schegge di luce, raccolta antologica di poesie di Antonella Anedda, Milo De Angelis, Fabio Pusterla. Per Kolibris collabora alla collana Lady Bird – Poesia italiana in traduzione e cura la rubrica Gray Ink (http://blog.edizionikolibris.com/), creando versioni inglesi di poesie contemporanee italiane. Continua a leggere

Addio a Zdenek Frybort

Zdenek Frybort, tra i più importanti traduttori dall’italiano della Repubblica Ceca, considerato in patria uno dei massimi esperti della letteratura italiana, è morto a Praga a 83 anni dopo una lunga malattia. Lo annunciano i suoi amici a Ravenna, dove aveva incontrato oltre cinquant’anni fa la moglie Giovanna, anche lei da poco scomparsa, e dove era apprezzatissimo per i suoi interventi culturali.

Nominato Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia dal presidente Ciampi nel 2005, Frybort ha tradotto, tra gli altri, Curzio Malaparte, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Elsa Morante, Umberto Eco (di Frybort la traduzione in ceco de ‘Il nome della rosa’), Aldo Busi, Vittorio Sereni, Edoardo Sanguineti, Roberto Calasso. E proprio per quest’ultima traduzione, Frybort ricevette nel 2009 il massimo riconoscimento di settore, il Premio Unione dei Traduttori. Continua a leggere

Besnik Mustafaj, “Leggenda della mia nascita”

Nello scaffale, Besnik Mustafaj
a cura di Luigia Sorrentino

La poesia di Besnik Mustafaj, nato nel 1958 in Albania, sembra a una prima lettura, pacata, senza grido, né enfasi. Poi, scorrendo le pagine di questo libro si incontra la carica di un grido interiore e profondo che colpisce il lettore. Per comprendere il territorio poetico di Besnik Mustafaj dovremmo conoscere la storia di questo poeta che nasce nel “pieno inverno della dittatura comunista albanese”, come sottolinea Gezim Hajdari che cura la collana Erranze delle Edizioni Ensamble con la quale queste poesie sono state pubblicate nel 2012. La traduzione dall’albanese è di Gezim Hajdari, con testo originale a fronte.
La leggenda della nascita di questo poeta, che ha iniziato a pubblicare prestissimo, a soli diciannove anni, è una sfida al potere, ma soprattutto al potere che si impone come forma di ideologia culturale. E’ per questo che i suoi versi suonano come degli anatemi contro l’oppressore.
(di Luigia Sorrentino) Continua a leggere

Giorgio Vigolo, l’eremita di Roma

Altre scritture
a cura di Luigia Sorrentino

Pubblico con molto piacere la recensione di Fabrizio Fantoni al saggio  di Magda Vigilante su Giorgio Vigolo, L’eremita di Roma, Fermenti 2010 (€ 16,00). 
Un saggio importante  perchè Vigolo è uno dei rari autori del Novecento che, come scrive Fantoni, hanno dato alla cultura italiana un apporto rilevante.  Giorgio Vigolo, poeta, narratore, ma anche critico musicale e traduttore ha, inoltre, il grandissimo merito di aver scoperto e tradotto per la prima volta nella nostra lingua uno dei più importanti poeti di tutti i tempi: Friedrich Hölderlin.

 

                                                                             

                                                  di Fabrizio Fantoni

«Sono pochi gli autori del Novecento che hanno dato alla cultura italiana un apporto tanto rilevante quanto quello di Giorgio Vigolo. Poeta, saggista, musicologo, traduttore di autori stranieri – tra i quali Hoffmann e Holderlin – instancabile studioso del Belli – di cui curò nel 1952 la prima e ancora insuperata edizione critica dei Sonetti – Vigolo, nella sua lunga vita, svolse un’attività poliedrica e multiculturale di primo piano che, tuttavia, ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua morte, stenta ad ottenere il riconoscimento che gli spetta. Continua a leggere