Giovanni Raboni, Tutte le poesie

 
raboni_coverCon il Porta comincia, nella poesia italiana, quella linea lombarda, potentemente realistico-narrativa e, per cosí dire, antipetrarchesca, che si ritrova anche all’interno della poesia del Novecento e che è l’unica della quale io aspiri a far parte, nonostante i molti debiti che so di avere nei confronti di altri poeti, da Baudelaire (che considero il piú grande poeta moderno) a Pound (che considero il piú grande inventore di possibilità poetiche del nostro secolo), – e poi, per venire a nomi piú vicini o addirittura vicinissimi, quasi fraterni, a Rebora, a Montale, a Saba, a Sereni.
 
Da: Giovanni Raboni, Autoritratto 1977
 

Parlando dei temi portanti del mio lavoro di poeta, ho finora ricordato l’importanza e il fascino per me del racconto evangelico, ho ricordato le storie familiari, ho ricordato il rapporto con gli scomparsi – persone care, amici -, ho ricordato l’irruzione a un certo punto del tema amoroso. Non ho parlato di quello che molti ritengono abbastanza importante nella mia esperienza poetica, cioè il cosiddetto tema civile. Alcuni critici l’hanno messo addirittura al primo posto fra i temi della mia poesia. Di solito, quando mi chiedono cosa penso di questo aspetto del mio lavoro, dico che, sí, le poesie civili sono forse le piú private che io abbia mai scritto, nel senso che non ho mai voluto essere un poeta civile. Non lo dico per polemica, ma insomma c’è stato piú d’un poeta, per esempio Pasolini, che ha voluto essere poeta civile, che si è costruito un’immagine di poeta civile. Per me non è cosí. Io ho affrontato temi civili semplicemente perché ne sentivo l’urgenza, ne sentivo l’urgenza intima: o per un moto di indignazione, o di preoccupazione, o di sgomento; quindi le ritengo, appunto, poesie altrettanto private, se non piú private delle piú intime.
 
Da: Giovanni Raboni, Autoritratto 2003
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Timori della Maddalena

Ho paura del legno e della rupe,
ho paura del corpo, del nervo lacerato,
dei tendini recisi, ho paura della luce,
ho paura del sasso che chiudera la tua porta,
ho paura del vento e delle voci, ho paura
del corvo che ti mangerà, ho paura del lupo
che troverà le tue ossa, ho paura
che tu sia morto e tutte le notti
avrò paura che tu mi baci di gelo
e mi tiri i piedi sotto il lenzuolo.

(da: Gesta Romanorum, 1951-1954)
*

Notizia

Solo qualche parola,
solo una notizia sul rovescio del conto
sbagliato dal padrone.
Forse e tardi, può darsi che la ruota
giri troppo in fretta perche resti qualcosa:
occhi squartati, teste di cavallo,
bei tempi di Guernica.
Qui i frantumi diventano poltiglia.
E anch’io che ti scrivo
da questo luogo non trasfigurato
non ho frasi da dirti, non ho
voce per questa fede che mi resta,
per i fiaschi simmetrici, le sedie
di paglia ortogonali,
non ho più vista o certezza, e come
se di colpo mi fosse scivolata
la penna dalla mano
e scrivessi col gomito o col naso.

(da: Le case della Vetra, 1955 – 1965)
*

Canzonette mortali

Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient’altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d’essere tanto amata o per dolcezza
d’avermi amato
farai finta lo stesso di godere.

*

Le volte che e con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
e perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l’amore.

*

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…

( da: Canzonette mortali, 1981 – 1983)
 
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Canzone della nuova era

Bisognerà riabituarsi
a contarli per numeri romani
(di sicuro qualcuno
si ricorda ancora come si fa)
gli anni che son passati
e quelli ahinoi che passeranno
in questa nuova era
della nostra tragicomica storia.
Il problema e da dove, esattamente,
far partire il conteggio:
dalla discesa in campo
o dall’ascesa al trono,
dalla prima vittoria elettorale
o dall’ultima, quella
che ha segnato di se il nuovo millennio?
O sarà invece il caso
d’andare più indietro, molto più indietro,
per esempio all’ingresso nella loggia
o a quando la coscienza del paese
ha cominciato a modellarsi
sui palinsesti di canale cinque?
Sarebbe gia più d’un ventennio, allora,
più d’un ventennio…

(da: Ultimi versi, 2001)
Giovanni Raboni, Tutte le poesie 1949-2004, Einaudi, 2014
A cura di Rodolfo Zucco, In due volumi.
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giovanni-raboniGiovanni Raboni (Milano 1932 – Fontanellato, Parma 2004), voce poetica tra le piú alte e rappresentative della poesia del Novecento e dei primi anni Duemila, ci lascia, insieme alla sua opera in versi (raccolta integralmente in Tutte le poesie. 1949-2004, Einaudi, 2014) un enorme lavoro di traduttore, critico militante – anche cinematografico e teatrale – e commentatore politico e di costume: testimonianze di una straordinaria sapienza letteraria e di una statura morale e civile che ne fanno uno dei punti di riferimento imprescindibili della cultura italiana contemporanea. Tra le sue traduzioni si segnalano I fiori del male di Baudelaire e l’intera Recherche di Proust.

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