Giorgio Galli, Charles Baudelaire (seconda rilettura)

Riletture, di Giorgio Galli
a cura di Luigia Sorrentino

Baudelaire, Moesta et errabunda

*
Poesia fascinosa, potente, eppure stranamente bifronte. E’ come se fossero due poesie incompiute -una fino a “nel mare della pura voluttà” e l’altra da “Come lontano sei” fino alla fine- saldate insieme in un modo che però non risolve la loro incompiutezza, e che crea fra loro dei problemi di convivenza. L’impressione d’una bipartizione si deve al fatto che la poesia sembra avere due anime, l’una tematizzata attorno all’idea di evasione e alla figura del mare (a cui si mescola, qua e là, quella del treno, con un procedimento tipicamente baudelairiano e di grande suggestione che consiste nell’affiancare all’immagine portante una seconda immagine, appena sbozzata), l’altra attorno a un’idea di paradiso perduto o mai esistito. La prima parte ha un tono di grandeur cui contribuiscono la presenza del mare e, soprattutto, il magnifico colpo d’ala dell’ “organo grandissimo dei venti”. Ma il “controsoggetto” del treno, meno appariscente, si rivela a una lenta lettura almeno altrettanto suggestivo, un po’ come, nel Bolero di Ravel, il controtema è meno orecchiabile del tema principale, ma di più ipnotica suggestione espressiva.

La seconda parte è più farraginosa. Innanzitutto, la tecnica del parlare per immagini è abbandonata a favore d’un andamento più discorsivo; poi il tono si fa diverso, più cupo e meditativo. Se i versi precedenti evocavano la lontananza nello spazio, qui si evoca la lontananza nel tempo. Il verso “più lontano dell’India e della Cina” vuole essere forse un momento di saldatura, l’addentellato fra la prima e la seconda parte. Tuttavia appare privo di quel fascino che Baudelaire sa altrove associare all’idea dell’Oriente. Ne L’invito al viaggio, bastavano le parole “e lo splendore orientale” per aprire un mondo di quiete e d’acque placide avanti ai nostri occhi. Qui il procedimento non riesce con la stessa grazia. Per inciso, a L’invito al viaggio sembrano ricongiungersi non solo la frase “Tutto non è che amore e gioia” (che richiama ovviamente “Tutto non è che ordine e bellezza / lusso, calma e voluttà”), ma anche, più sottilmente, l’allocuzione a una donna e l’anelito a fuggire assieme.
L’unità formale è mantenuta da interrogazioni reiterate e ritmiche, anch’esse tipiche di Baudelaire, ma che qui riescono troppo affannose e che rendono la poesia un po’ dura. Baudelaire conosceva come pochi l’arte di non scrivere in preda al panico, ma attraverso un processo di distacco, di “visione dall’alto” e messa a fuoco. Questa poesia sembra scritta un po’ più “in preda al panico” di altre. Sembra che l’affanno impedisca di filtrare gli stati d’animo per trasformarli in quelle immagini simboliche dotate di sovrano realismo, di cui Baudelaire è stato maestro. Il colpo d’ala indimenticabile si trova troppo all’inizio, nel già citato “organo grandissimo dei venti”. Un’immagine così potente “sparata” nei primi versi, “chiama” un’immagine di altrettanta potenza nella seconda parte: che invece non arriva, perché questa seconda parte genera immagini che sono pure evocazioni, che non fanno nucleo tematico. Questa meravigliosa poesia sembra quindi soffrire d’una certa difficoltà compositiva. Ma poiché il suo autore è Baudelaire, essa ci genera godimenti superiori a quelli che ci potremmo aspettare dalla maggior parte dei poeti anche grandi.

Moesta et errabunda, di Charles Baudelaire

Dimmi, talvolta ti s’invola il cuore,
Agata, lungi dall’oceano nero
dell’immonda città, teso a un diverso
di sfavillante luce oceano, chiaro
come verginità, profondo e azzurro?
Dimmi, talvolta ti s’invola il cuore?
Consola le fatiche nostre il mare!
il vasto mare! e quale mai demonio
questa virtù sublime d’assopirci
ha dato al mare, rauco canto cui
fa eco, in alto, il suono rimbombante
dell’organo grandissimo dei venti?
Consola le fatiche nostre il mare!
il vasto mare! Via, portami via,
o vagone! e tu, nave, via, lontano
più lontano! Dei nostri pianti è fatto
questo fango! -E’ poi vero che talvolta
il cuor d’Agata triste dica: Lungi
dai rimorsi, dai crimini, da tutti
i dolori, o vagone, via lontano
rapiscimi, e tu, nave, più lontano?
Come lontano sei mio paradiso
profumato, ove sotto un cielo terso
tutto non è che amore e gioia, dove
ciò che si ama è sempre degno d’essere
amato! dove il cuore si sprofonda
nel mare della pura voluttà!
Come lontano sei mio paradiso
profumato! Ma il verde paradiso
degli amori infantili, le canzoni,
le corse, i baci, i fiori, i violini
che vibrano al riparo di colline,
gli orci di vino fra i boschetti, a sera,
-Ma il verde paradiso degli amori
infantili, innocente paradiso
di furtivi piaceri pieno, è forse
più lontano dell’India e della Cina?
Si potrà rievocarlo con le grida
lamentose e animarlo ancor con una
voce argentina, il paradiso pieno
di furtivi piaceri ed innocente?

(traduzione: Luigi de Nardis)

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