Il “De rerum natura” nella traduzione di Milo De Angelis

A N T E P R I M A      E D I T O R I A L E

 

Il 10 maggio 2022 esce nelle librerie italiane un grande classico del pensiero e della letteratura: il DE RERUM NATURA di LUCREZIO (Mondadori, 2022) interpretato e riscritto da uno dei maggiori poeti del nostro tempo, Milo De Angelis.

Una traduzione attesissima, che ci permette di tornare a Lucrezio con una versione che ricrea fedelmente lo spirito e la tensione interna dell’esametro lucreziano come non era mai accaduto prima, con tanta poetica adesione.

Estratto dalla Prefazione
di
Milo De Angelis

Questa traduzione nasce da un lungo sodalizio con Lucrezio, che ha accompagnato tutta la mia vita: dalla tesina di Maturità al rapporto con il latinista Luciano Perelli, alle pubblicazioni scolastiche, alla rivista “Niebo”- che a Lucrezio ha dedicato un numero nel 1978 – e alle varie traduzioni apparse negli anni: un lungo tragitto fatto insieme, tante strade percorse e tante visioni comuni, quasi delle nozze poetiche, con promesse solenni, contrasti, riprese, abbandoni, ritorni.

D’altronde Lucrezio non ha un carattere facile, come è noto. È un uomo aspro, polemico, intransigente – caso raro tra i latini, che tendono spesso a una humanitas colloquiale – e appartiene invece alla razza dei grandi solitari, come Nietzsche o Campana, uomini che alla poesia hanno chiesto tutto, si sono assunti il rischio di una domanda totale e hanno fatto della poesia una questione di vita o di morte: non quindi un gioco o un esperimento ma una parola decisiva.

Di lui non sappiamo quasi nulla. Non sappiamo dove è nato, dove ha vissuto, cosa ha fatto nella sua vita. Questo può apparire sorprendente nel primo secolo avanti Cristo, il secolo d’oro della letteratura latina, il secolo di Orazio e Cicerone, ampiamente documentato dalla storiografia. Ma in fondo non c’è troppo da stupirsi. Lucrezio è un uomo isolato, un uomo fuori dalle dispute culturali del suo tempo, lontano dai circoli letterari e dall’eleganza dei neoteroi.

Lucrezio non è al passo con i tempi. Non parla con i poeti contemporanei, non entra nei luoghi mondani del “dibattito”. È un uomo fuori tempo, fuori modo, fuori luogo. Non si rivolge ai vicini di casa ma agli antichi, ai grandi sapienti greci che si sono interrogati perì physeos: sulla natura delle cose, appunto.

Parla con Eraclito, Anassagora, Empedocle, Epicuro, parla con coloro che sono stati la sorgente del pensiero e hanno lanciato una staffetta poetica lungo i secoli, hanno fatto viaggiare un testimone, un bastoncino di legno che passa da una mano all’altra, da una mente all’altra.

 

Il dolore della giovenca (II, 352-366)

 

Nam saepe ante deum vitulus delubra decora
turicremas propter mactatus concidit aras
sanguinis exspirans calidum de pectore flumen.
At mater viridis saltus orbata peragrans
quaerit humi pedibus vestigia pressa bisulcis,
omnia convisens oculis loca si queat usquam
conspicere amissum fetum, completque querellis
frondiferum nemus adsistens et crebra revisit
ad stabulum desiderio perfixa iuvenci,
nec tenerae salices atque herbae rore vigentes
fluminaque illa queunt summis labentia ripis
oblectare animum subitamque avertere curam,
nec vitulorum aliae species per pabula laeta
derivare queunt animum curaque levare:
usque adeo quiddam proprium notumque requirit.

 

Il dolore della giovenca (II, 352-366)



Sovente, davanti agli splendidi templi degli dei,
ai piedi degli altari dove brucia l’incenso, si accascia un vitello
sacrificato e un fiume caldo di sangue gli esce dal petto.
La madre a cui è stato strappato percorre i verdi pascoli
cerca di trovare per terra l’impronta dei suoi zoccoli,
posa dappertutto il suo sguardo, spera con tutte le forze
di scorgere da qualche il figlio perduto. Resta immobile
alle soglie del bosco, lo riempie dei suoi lamenti disperati,
in preda all’angoscia torna indietro a cercarlo nella stalla.
Né i teneri salici né l’erba ricca di rugiada né i suoi amati
corsi d’acqua che scorrono a filo delle rive possono consolare
il suo cuore o scacciare la sua sofferenza improvvisa
e neppure la vista degli altri vitelli nei pascoli fecondi
riesce a distrarre il suo animo o alleviare la pena: lei cerca
l’unica creatura che conosce davvero, la sua!

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