La lancia del verso di Sofija Parnok

Sofija Parnok

Sofija Parnok
A cura di Paolo Galvagni

Девочкой маленькой
ты мне предстала неловкою.

Сафо

«Девочкой маленькой ты мне предстала неловкою» –
Ах, одностишья стрелой Сафо пронзила меня!
Ночью задумалась я над курчавой головкою,
Нежностью матери страсть в бешеном сердце сменя, –
«Девочкой маленькой ты мне предстала неловкою».

Вспомнилось, как поцелуй отстранила уловкою,
Вспомнились эти глаза с невероятным зрачком…
В дом мой вступила ты, счастлива мной, как обновкою:
Поясом, пригоршней бус или цветным башмачком,–
«Девочкой маленькой ты мне предстала неловкою».

Но под ударом любви ты — что золото ковкое!
Я наклонилась к лицу, бледному в страстной тени,
Где словно смерть провела снеговою пуховкою…
Благодарю и за то, сладостная, что в те дни
«Девочкой маленькой ты мне предстала неловкою».

Февраль 1915 /?/

Mi apparivi una bimba
piccola e immatura
Saffo (1)

“Mi apparivi una bimba piccola e immatura” – (2)
Ah, Saffo mi ha trafitto con la lancia di un verso!
Di notte ho pensato alla testolina riccioluta,
Sostituendo nel cuore la passione folle con la dolcezza materna, –
“Mi apparivi una bimba piccola e immatura.”

Ho ricordato che hai allontanato un bacio con maestria,
Ho ricordato quegli occhi con la pupilla incredibile…
Sei entrata in casa mia tu, contenta di me, come di una cosa nuova:
Una cintura, una manciata di perline o una scarpetta colorata, –
“ Mi apparivi una bimba piccola e immatura”.

Ma sotto il colpo d’amore sei come oro forgiabile!
Mi sono chinata al volto, pallido nell’ombra appassionata,
Dove la morte pareva passar cipria nevosa…
Ringrazio anche perché tu, dolce, in quei giorni
“Mi apparivi una bimba piccola e immatura”.

Febbraio 1915 /?/

1) Poesia dedicata tanto a Saffo, quanto alla Marina Cvetaeva.
2) Il verso, che Saffo dedica ad Attide, è come un ritornello, che suscita vari ricordi intimi. Continua a leggere

La poeta russa Marina Cvetaeva

Marina Cvetaeva

Поэт – издалека заводит речь.
Поэта – далеко заводит речь.

Планетами, приметами, окольных
Притч рытвинами… Между да и нет
Он даже размахнувшись с колокольни
Крюк выморочит… Ибо путь комет –

Поэтов путь. Развеянные звенья
Причинности – вот связь его! Кверх лбом
Отчаетесь! Поэтовы затменья
Не предугаданы календарем.

Он тот, кто смешивает карты,
Обманывает вес и счет,
Он тот, кто спрашивает с парты,
Кто Канта наголову бьет,

Кто в каменном гробу Бастилий
Как дерево в своей красе.
Тот, чьи следы – всегда простыли,
Тот поезд, на который все
Опаздывают…
– ибо путь комет

Поэтов путь: жжя, а не согревая.
Рвя, а не взращивая – взрыв и взлом –
Твоя стезя, гривастая кривая,
Не предугадана календарем!

8 апреля 1923 

Da lontano – il poeta prende la parola.
Le parole lo portano – lontano.

Per pianeti, sogni, segni… Per le traverse vie
dell’allusione. Tra il sì e il no il poeta,
anche spiccando il volo da un balcone
trova un appiglio. Giacché il suo

è passo di cometa. E negli sparsi anelli
della casualità è il suo nesso. Disperate –
voi che guardate il cielo! L’eclisse del poeta
non c’è sui calendari. Il poeta è quello

che imbroglia in tavola le carte,
che inganna i conti e ruba il peso.
Quello che interroga dal banco,
che sbaraglia Kant,

che sta nella bara di Bastiglie
come un albero nella sua bellezza…
È quello che non lascia tracce,
il treno a cui non uno arriva
in tempo…
Giacché il suo

è passo di cometa: brucia e non scalda,
cuoce e non matura – furto! scasso! –
tortuoso sentiero chiomato
ignoto a tutti i calendari…

8 aprile 1923  Continua a leggere

Marina Cvetaeva (1892 -1941)

Marina Ivanova Cvetaeva

Marina Cvetaeva, La principessa guerriera

Dall’Introduzione
Fiabe, filigrane e un finale tragico

 di Marilena Rea

 

Nell’universo Cvetaeva il poema Zar-fanciulla (Car’-devica), una fiaba in versi (poema-skazka, recita il sottotitolo), occupa un posto cardinale. Perché venne composto nel 1920, anno di enormi privazioni, di miseria, freddo e lutto: tra memorie tracciate febbrilmente nei diari e nelle lettere, guerra civile, mercato nero, un marito al fronte e la morte della piccola figlia Irina. Perché è l’espressione più complessa di quello che Cvetaeva chiama la sua «linea russa», cioè l’immaginario folclorico, epico e fiabesco – «Voi sapete quanto io ami l’arte popolare (NB! Io stessa sono il popolo!)». E soprattutto perché è sempre stato considerato da Cvetaeva la sua «cosa migliore».

In un tempo astorico e ciclico, tipico della tradizione folclorica, ripartito in tre Notti e tre Incontri fondamentali (più una breve Notte ultima e una Fine), si consumano le vicende di quattro personaggi: lo Zar ubriacone, la Zarina di seconde nozze, lo Zarevič, e lei – la protagonista assoluta: Zar-fanciulla, la principessa guerriera, la gigantessa dal nome androgino, l’amazzone russa, insieme donna e re. Suo è il regno al di là dei mari, sua è la forza ignea, suo è il dominio sugli elementi del creato; di altezza smisurata e potenza da bogatyr’ (l’eroe epico delle byliny), principio universale maschile, simboleggia la forza attiva del Sole: ha il volto tondo e radioso che ustiona chiunque si accosti, ha una folta chioma riccioluta di un rosso infuocato, vive in un rosso palazzo, guida un Vascello di Fuoco, siede in un rosso padiglione; e, infine, agisce sempre di giorno, durante gli Incontri.

Cvetaeva iperbolizza la principessa guerriera della tradizione, protagonista delle due fiabe russe (la n. 232 e la n. 233) raccolte in Narodnye russkie skazki dell’illustre etnologo Aleksandr Afanas’ev, un libro di fiabe ricevuto in dono nel 1915 dagli amici pietroburghesi Jakov Saker e Sofija Cackina, un libro amato, probabilmente uno di quelli con cui «mi bruceranno», scrive Cvetaeva nel 1926. Guerriera, eretica, santa, pellegrina, strega – sono tante le maschere in cui Cvetaeva racconta il suo rifiuto nei confronti del ruolo convenzionale della donna, a partire dalla lirica Se ti chiamo caro – non ti annoiare (1916), fino ai poemi coevi di Zar-fanciulla (Il Prode, Sul cavallo rosso, Vicoletti); un popolo di donne leggendarie – Pentesilea, Brunilde, Giovanna d’Arco – marcia in filigrana con lo stesso passo militare di Zar-fanciulla, finendo per sovrapporsi alla stessa Cvetaeva. Di questo mondo guerriero femminile – intriso di epos ma anche di leggende popolari e superstizioni, narrato con un inconfondibile linguaggio che si muove, nota Karlynsky, tra registri incolti e colloquiali, registri della Bibbia, dello slavo ecclesiastico e del russo antico – Zar-fanciulla porta il vessillo, con un’ostinata volontà di salvare dall’oblio quell’autentica cultura moscovita, la «Mosca dell’ultima ora e dell’ultima volta» che, con tanto orgoglio, Cvetaeva aveva regalato a Osip Mandel’štam durante il soggiorno a Mosca nel 1916. […] Continua a leggere

Alessandro Bellasio, “Chi persegue la via dell’arte è vissuto, vive e vivrà segregato”

Alessandro Bellasio credits ph Dino Ignani

ARTE ADIABATICA
La linea di faglia tra bios e pneuma

di Alessandro Bellasio

E’ ormai trascorso quasi un secolo da quando, inanellando fulminanti saggi dedicati allo studio comparato di letteratura e biologia, arte e medicina, un grande poeta e frequentatore per professione delle scienze della vita, Gottfried Benn, stringenti argomentazioni e nutrita casistica alla mano, era giunto a una conclusione sconcertante e lapidaria: lo spirito, e quella sua manifestazione par excellence che è l’arte, si dà esclusivamente come istanza bionegativa.

Tradotto nel gergo più familiare del riduzionismo biologista del nostro tempo: l’arte non offre alcun vantaggio evolutivo. (Non offre alcun vantaggio e basta, avrebbe verosimilmente sentenziato Benn, guardando al proprio e a molti altri, ben documentati casi). A modo suo e per vie assai diverse, Marina Cvetaeva doveva avere in mente qualcosa di analogo quando, in uno dei suoi appunti epistolari indirizzati a Boris Pasternak, e riferendosi nello specifico a Rilke ma pensando soprattutto a sé stessa, sosteneva che «è dal marchio della randagità che sempre riconoscerai il poeta». Per la scrittrice russa, fare letteratura significava parlare per sempre dal confino e al confine – del silenzio, di Dio, dei morti. Stando così le cose, potremmo dire allora che non solo dal fare arte non sembrerebbe derivare alcun particolare agio o tornaconto adattivo, ma che, al contrario, l’arte esporrebbe più frequentemente a un rischio, il più delle volte assoluto.

Tutto questo con buona pace di certo velato, ambiguo provvidenzialismo, presente in larga parte delle teorie evoluzioniste susseguitesi da Darwin ai nostri giorni. Nelle quali, in effetti, il deus ex machina di un’agenzia sottesa al divenire biologico – si chiami essa selezione naturale, equilibri punteggiati o deriva genetica, sia essa finalisticamente orientata, neutra o diplomaticamente a metà fra le due – sta in agguato dietro l’angolo. E d’altronde, nessuna di queste agenzie sembra giocare il ruolo decisivo, quando si tratta di vite consacrate all’arte.

Perché il punto è esattamente questo: vita e arte sono sfere separate, e al limite antagoniste. Continua a leggere

Il ritorno di “Poesia e destino”

Un libro, POESIA E DESTINO, dopo una lunga assenza, torna nelle librerie italiane con l’assoluta voglia di esserci.

L’autore, Milo De Angelis, ripropone nel 2019 integralmente il volume stampato con Cappelli nel 1982 senza alcun ripensamento. Queste pagine,  spiega Milo De Angelis nella nota introduttiva, “da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro [ …] e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre.

 

POESIA E DESTINO
Nota introduttiva di Milo De Angelis

 

Perché ristampare queste mie vecchie pagine? Perché da una parte possiedono qualcosa che mi è rimasto dentro – intatto, quasi intoccabile dal tempo – e dall’altra qualcosa che ho perduto per sempre. Molti temi di Poesia e destino sono quelli che mi scuotono ancora oggi: la tragedia, l’eroismo, l’adolescenza, il mito, il gesto atletico. Ma il tono è un altro. Il tono è furente, perentorio, imperativo, dà sempre l’impressione di un ultimatum che io pongo a me stesso e a chi mi legge. E’ come se da lì a poco dovesse scaturire una sentenza senza appello, l’ultimo grado di un processo dove si gioca la condanna o la salvezza. E questo tono guerresco circola nel sangue di una sintassi verticale, scoscesa, rapidissima, piena di strappi e impennate, la stessa di Millimetri, per intenderci, che è stato scritto nei medesimi anni. Ora non potrei nemmeno immaginare quella corsa sulle macchine volanti della parola. Me ne sono accorto trascrivendo il libro in un file per necessità editoriali. A volte ero pienamente d’accordo con me stesso, felice di essere rimasto fedele alle grandi passioni giovanili. Ma molto più spesso non capivo, letteralmente, il nesso troppo segreto tra due termini o due affermazioni. Dovevo leggere e rileggere, farmi aiutare dall’insieme della pagina. Continua a leggere

Marina Cvetaeva, “Sette Poemi” nella traduzione di Paola Ferretti

Marina Cvetaeva

LA LINGUA FEBBRILE DI MARINA CVETAEVA

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

I Sette Poemi scritti da Marina Cvetaeva fra il 1924 e il 1926 tentano di tracciare una Storia, quella di Marina, durante la prima fase dell’emigrazione. I poemi scelti, Sette su Ventuno, disegnano il mondo interiore della poetessa con una lingua febbrile, eretta, tramata da premonizioni.

OGNI PAROLA DETTA COME SE FOSSE L’ULTIMA 

Marina Cvetaeva ha descritto la poesia lirica come una linea tratteggiata, fatta di lacune bianche che mozzano il fiato, in cui manca l’aria e si mima la morte. 

Ecco che qui, l’inconfondibile voce di Marina si espande nella linea tratteggiata che va  nella direzione dell’assoluto, un assoluto costretto, fra estasi e indignazione, come respiro sincopato “coacervo di ferite“.

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“Con la tua voce”, Incontro con dieci grandi poetesse del passato

Gabriela Fantato

Antologia a cura di Gabriela Fantato

Dalla nota critica di Maria Attanasio

Dieci poetesse contemporanee, nate tutte nella seconda metà del Novecento, scrivono di grandissime poetesse del passato, vissute tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Letti nel loro insieme i saggi sono una sorta di mappatura poetica che, mettendo a confronto stilemi e poetiche diverse, ripercorre i punti nodali del secolo breve, dove spesso s’impigliano l’esistenza e la parola delle poetesse analizzate. Continua a leggere

Cosa significa essere poeta negli anni della rivoluzione russa?

A Milano, giovedì 27 aprile, ore 19:30 al LABORATORIO FORMENTINI (Via Marco Formentini, 10): POETI NELLA RIVOLUZIONE RUSSA, a cura di Milo De Angelis.

Voce recitante: Viviana Nicodemo
Musiche: Bianca Brecce

Alexandr Blok, Marina Cvetaeva, Sergej Esenin, Vladimir Majakovskij, Boris Pasternak.

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Nadia Campana, "Visione postuma"

E’ appena uscito con l’editore Walter Raffaelli  tutta l’opera di Nadia Campana. Un cofanetto in due volumi  dal titolo “Verso la mente/Visione postuma”, a cura da Giovanni Turci, Milo De Angelis ed Emi Rebuffetti.
Sono importanti questi saggi per comprendere la figura e l’opera di Nadia Campana. E sono tutti percorsi dalla passione per la vita e per la letteratura. Alcuni poi (in particolare quelli sulla Cvetaeva) hanno venature biografiche di impressionante profezia, come se l’autrice avesse scelto questo tipo di scrittura per svelare la parte più segreta di se stessa e il destino che da lì a poco si sarebbe compiuto. (Milo De Angelis) Continua a leggere

Marina Cvetaeva, Alja, piccola ombra

marina_cvetaevaLetture

Marina Cvetaeva “Alja, piccola ombra” Lettere alla figlia, Specchio Mondadori 2013.
La storia del legame forte e complesso che univa Marina Cvetaeva, la più grande poetessa russa del XX secolo, alla figlia Ariana, grafica e pittrice, raccontata attraverso le poesie e le lettere addolorate scritte alla giovane, prigioniera politica nei campi di lavoro.

"Poeti da riscoprire", Nadia Campana

Nadia Campana 2[1]
Progetto editoriale ideato e curato da Fabrizio Fantoni con la collaborazione di Luigia Sorrentino
—-
Gabriella Sica ci fa dono di due dei suoi scritti su Nadia Campana (il primo del 2004 e il secondo del 2014, inedito)  e di una foto inedita di Nadia Campana. Più sotto, un’altra foto inedita di Nadia Campana per gentile concessione di Milo De Angelis.
Nadia Campana e il respiro 1
di Gabriella Sica
Nadia Campana era nata l’11 ottobre del 1954 a Cesena, nell’oscillante e instabile equilibrio della Bilancia. Anche lei, dunque, aveva trascorso l’infanzia nella campagna povera e umana degli anni Cinquanta, portandone sempre e segretamente l’inconfondibile impronta. Le piaceva ascoltare i rumori della natura, camminare lungo il fiume, insegnare ai bambini. “Vengo dalle campagne romagnole”, aveva scritto, come mi dice l’amica Maria Pia Quintavalla, in una lettera milanese, non credetemi una donna moderna o una diva. Si firmava infatti Nadia, più secco e letterario, e non Nadiella, come pare fosse il suo nome all’anagrafe e in famiglia, con quelle doppie finali troppo confidenziali. Continua a leggere

Annelisa Alleva, “Lo spettacolo nella memoria”

Nello scaffale
Annelisa Alleva

Wysława Szymborska, Elizabeth Barrett Browning, Marina Cvetaeva, Sylvia Plath; Aleksandr Puškin, Sergej Aksakov, Lev Tolstoj, Iosif Brodskij, Boris Ryžij; Giacomo Leopardi, Angelo Maria Ripellino, Tommaso Landolfi, Gianfranco Palmery, Giovanna Sicari; gli artisti Orest Kiprenskij, Titina Maselli, Ruggero Savinio sono presenti in queste pagine dove, fra saggio e narrazione, troviamo anche memorie e incontri.
Il filo che intreccia i testi è quello del racconto. Certi personaggi, come i genitori del poeta Brodskij, frequentati a Leningrado, hanno il carattere di figure di romanzo. Gli artisti, gli scrittori del presente e del passato, soprattutto poeti, appaiono e scompaiono come su una scena di teatro.
Gli autori di cui si parla sono vicini non solo sulla carta, ma anche perché Annelisa Alleva li ha spesso tradotti, conosciuti, come ha conosciuto i luoghi dove hanno vissuto, hanno scritto e sono morti.
Il libro parla dell’osmosi: fra un personaggio e l’altro; fra una lingua e l’altra; fra prosa e poesia; fra passato e presente. Continua a leggere