Chiara Gamberale, ‘Le luci nelle case degli altri’

La famiglia, come la racconta Chiara Gamberale, 33 anni, nel suo nuovo romanzo ‘Le luci nelle case degli altri’ (Mondadori, 2010) ‘è in fondo il microcosmo in cui viviamo tutti all’oscuro di qualcosa che ci riguarda come accade nella vita, a volte anche con esiti terrificanti. In fondo – dice la scrittrice, ideatrice e conduttrice di programmi radiofonici e televisivi come ‘Gap’ (Raiuno) e ‘Io Chiara e l’Oscuro’ (Radiodue) – non sappiamo mai veramente chi sono proprio le persone che ci stanno più vicino. E anche, sottolinea nel libro, ‘sapere fino in fondo chi sono i nostri genitori non ci serve proprio a niente. Dobbiamo conoscerli, certo. Ma, conoscere una persona non significa sapere proprio tutto di lei.’
Con uno sguardo nuovo la Gamberale parte dai figli, non dai genitori, per mostrare come debbano essere loro a smetterla di far dipendere il proprio destino dai genitori. ‘Altrimenti avremo solo una buona scusa per non combinarci niente, con quel destino. No?’
‘Le luci nelle case degli altri’ è un romanzo corale costruito attorno alla storia di Mandorla che già nel nome ha la particolarità del suo destino. Nata con due mesi d’anticipo, minuscola come una mandorla, a sei anni la ragazzina perde in un incidente stradale in motorino la madre Maria, amministratrice condominiale. Rimane sola con una lettera in cui la mamma rivela che il padre di Mandorla vive in uno dei cinque piani del condominio di via Grotta Perfetta che lei amministrava. “Vorrei che tuo papà fosse un astronauta che cammina sulla luna, ma pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti, che abita in via Grotta Perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia forse per curiosità, nell’ex lavatoio del sesto piano ha fatto l’amore con me. Vorrei vorrei vorrei” scrive Maria nella sua commovente e sgrammaticata lettera alla figlia in cui dice anche di essere felice di non saper scrivere bene perchè “più sai usare le parole più ti allontani anzichè avvicinarti a quello che vuoi realmente esprimere”.

Nel condominio prende quota così il giallo psicologico su chi sia il padre di Mandorla che per decisione unanime sarà cresciuta da tutti gli inquilini: ‘Abbiamo deciso di crescere Mandorla insieme. Come fosse la figli di tutti, per dirla come la direbbero i frati trappisti’. Nei suoi passaggi dal primo al quinto piano scoprirà i mondi di ogni famiglia con cui entra in rapporto e allargherà il suo sguardo su tante realtà. Seguendo la crescita di Mandorla da bambina ad adolescente si scopriranno luci e ombre di un condominio dove abitano le nevrosi della solitudine di Tina Polidori, la desolazione di Caterina e Samuele Grò, l’incomunicabilità amorosa tra Lidia e Lorenzo e l’ostinata famiglia tradizionale dei Barilla. Su tutto incombe il test del Dna che Mandorla, non ha il coraggio di dirlo a se stessa, non vuole proprio fare.

Martedi 12 ottobre, alle 18.00, presentazione a Roma di ‘Le luci nelle case degli altri’ di Chiara Gamberale alla libreria Feltrinelli di Via Appia, 427. Sarà presente l’autrice.

(Nelle foto Chiara Gamberale durante un momento della presentazione a Roma)

Vincent van Gogh: il genio assoluto

“Vincent van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna”: dall’8 ottobre 2010 al 6 febbraio 2011 il Complesso del Vittoriano di Roma riporta a Roma dopo ventidue anni il genio assoluto di Vincent van Gogh, che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e nell’immaginario collettivo dell’uomo moderno.
Il percorso scientifico dell’esposizione analizza per la prima volta le due inclinazioni contraddittorie che spesso guidarono il pittore nella scelta dei soggetti dei suoi dipinti: il suo amore per la campagna, come ambiente fisso e immutabile, e il suo legame con la città, centro della vita moderna e del suo rapido movimento.
Saranno esposti oltre settanta capolavori tra dipinti, acquarelli e opere su carta del maestro olandese e circa quaranta opere dei grandi artisti che gli furono di ispirazione – tra i quali Millet, Pissarro, Cézanne, Gauguin e Seurat.
La mostra, che nasce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione e con la partecipazione del Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione -, della Provincia di Roma – Presidenza e Assessorato alle Politiche culturali -, della Regione Lazio – Presidenza e Assessorato alla Cultura, Arte e Sport -, con il patrocinio del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, del Ministero degli Affari Esteri, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi a Roma e dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano.
La rassegna è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia.

L’esposizione vanta la collaborazione ed il supporto delle più grandi istituzioni museali del mondo, insieme ad importantissime collezioni private. Tra esse spiccano: Van Gogh Museum, Kröller-Müller Museum, Rijksmuseum, The Art Institute of Chicago, The Solomon R. Guggenheim Museum, The Museum of Modern Art, Hammer Museum, The Detroit Institute of Arts, National Gallery of Canada, Tate, Musée du Louvre.

La mostra “Vincent van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna” è a cura di Cornelia Homburg, studiosa nota a livello internazionale per le sue ricerche su Vincent van Gogh, e si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto da Sjraar van Heugten e Chris Stolwijk, Van Gogh Museum, Jenny Reynaerts, Rijksmuseum, Judy Sund, City University New York, Tsukasa Kodera, Osaka University, Joan Greer, University of Alberta, Cornelia Peres, conservatrice, Liesbeth Heenk, storica dell’arte.

La mostra

Pittore di paesaggi traboccanti di luce, ma anche di vibranti ritratti, Vincent van Gogh era un artista impetuoso e appassionato che, all’occorrenza, dimostrava un altezzoso disprezzo per le convenzioni.

Nonostante i più vedano Van Gogh come un artista maledetto e guardino alle sue opere come al prodotto stupendo della sua follia, egli era, invece, un uomo di grande cultura, un pensatore raffinato che parlava perfettamente varie lingue, come il francese e l’inglese, e che aveva studiato per diventare mercante d’arte. La sua sorprendente memoria visiva gli permetteva di ricordare fin nei minimi dettagli dipinti o stampe già visti e dalle sue lettere apprendiamo quanto importante sia stata questa conoscenza storico artistica per lo sviluppo del suo personale stile. Sin dall’inizio della sua esperienza di pittore, egli si avvicinò ai maestri del recente passato, come Eugene Delacroix, Charles Daubigny, Jean-François Millet – che egli chiamava addirittura Père, padre -; Vincent ne copiò le incisioni più e più volte nei suoi disegni e ne riprodusse le composizioni anche nei propri dipinti. Se Rembrandt era il suo modello, Van Gogh riteneva, però, vitale anche l’incontro con i colleghi artisti e il dibattito sui temi legati alla contemporaneità, all’epocale rivoluzione artistica portata dagli Impressionisti, come Camille Pissarro e Paul Cézanne, e dai pittori post-Impressionisti della sua generazione, come Paul Gauguin e Georges Seurat. Proprio a testimonianza di questa fitta rete di rapporti e dell’importanza cruciale di queste fonti di studio ed ispirazione per Van Gogh, viene presentata in mostra una selezione accurata e puntuale di opere di questi ed altri artisti, cui il maestro olandese fece riferimento. Tra essi spiccano il capolavoro di Gauguin, Lavandaie al Canal Roubine du Roi, dal MoMA di New York ed il bellissimo I raccoglitori di fieno di Millet dal Louvre.

Pur spesso tormentato da profondi dubbi, in parte originati dalla malattia, Van Gogh era anche un uomo molto ambizioso ed aveva, in fin dei conti, una percezione estremamente chiara della propria opera nel suo insieme e del ruolo che avrebbe ricoperto nella storia dell’arte.

Queste posizioni apparentemente contraddittorie caratterizzano gran parte della vita e della produzione artistica di Vincent. Ad esse si ispira questa importante esposizione, che analizza l’opera del grande pittore olandese approfondendo due aspetti fondamentali della sua identità artistica: l’amore per la campagna, vista come un ambiente fisso e immutabile, e l’attaccamento alla città, centro del movimento frenetico e della vita moderna.

Van Gogh costruisce, da un lato, un’immagine idealizzata della vita rurale, dimostrando così di credere che la natura e la vita dei contadini, dura ma onesta, fossero valori senza tempo; questo concetto trova chiara espressione nei suoi ritratti di coltivatori, nelle immagini del lavoro nei campi, che segue il ritmo regolare e rassicurante delle stagioni, nelle descrizioni della campagna olandese e francese, come, ad esempio, nell’imponente La semina delle patate dal Von der Heydt-Museum di Wuppertal e nei bellissimi disegni di contadine chine al lavoro, in prestito dal Kröller-Müller Stifting.

D’altro canto, anche la città era importante per il pittore dal punto di vista visivo, perché era il luogo dell’esperienza contemporanea, in cui era possibile venire a contatto con i più recenti sviluppi in campo artistico e progredire nella propria carriera. Non solo, in città il progresso dell’industria stava cambiando per sempre il destino dell’uomo e fu proprio lì che l’artista imparò a esprimere il sentimento della modernità, come in Strada con sottopassaggio (Il viadotto), dal Guggenheim Museum.

Questa dicotomia ispirò a Van Gogh un importante numero di dipinti, disegni ed acquerelli. L’artista esplorò in modi molto affascinanti il suo universo di immagini; egli, infatti, non ritraeva pedissequamente ciò che aveva davanti agli occhi, ma ne offriva spesso un’interpretazione originale e dipingeva esattamente ciò che voleva che l’osservatore vedesse. I suoi ritratti e paesaggi non sono tanto una traduzione spontanea della sua esperienza visiva quanto piuttosto un repertorio di avvincenti composizioni consapevolmente costruito.

Van Gogh era fermamente convinto di dover realizzare un’opera radicalmente moderna, che però resistesse ai mutamenti del tempo per poter essere per sempre attuale. Se, da un lato, egli ammirava la pittura di paesaggio tradizionale della Scuola di Barbizon di metà Ottocento, dall’altro, negli anni ottanta del secolo, intendeva occupare una posizione di avanguardia in campo artistico.

In Olanda si unì ai giovani membri della Scuola de L’Aia, come Mauve e Van Rappard, rappresentati in mostra, dipingendo il paesaggio olandese, ma esplorò anche gli ambienti proletari della città in continua espansione. Nel 1886 si trasferì a Parigi e qui scoprì le opere degli Impressionisti e dei colleghi più giovani, che avevano trovato un modo sorprendentemente moderno di ritrarre la campagna, utilizzando colori intensi e una nuova pennellata. Tra i loro soggetti vi erano anche i nuovi prodotti della tecnica e scene di vita moderna e di svago nella capitale francese e nei dintorni. Le loro opere proponevano temi, stili e tecniche che Vincent van Gogh studiò a fondo insieme ad altri pittori conosciuti a Parigi. Poi, nel periodo trascorso nel sud della Francia, egli seppe fondere l’esperienza olandese e quella parigina per articolare ulteriormente la propria visione in modo autonomo ed originale.

Van Gogh scelse uno specifico repertorio di temi e immagini con l’intento di presentare al tempo stesso valori eterni e situazioni contemporanee. Il suo ritratto della campagna come luogo immutabile non si basava sulla semplice osservazione e sul resoconto di quanto aveva visto, era piuttosto il risultato della sua vasta cultura artistica e delle precise idee che intendeva trasmettere. Per celebrare l’intima felicità della vita rurale, ad esempio, egli dipinse casette col tetto di paglia, ignorando consapevolmente che quelle dimore erano in realtà baracche miserabili, cadute in disuso già ai suoi tempi. L’artista non era interessato tanto a ritrarre la verità oggettiva, quanto, piuttosto, a divulgare quelli che, a suo parere, erano i valori della vera vita di campagna.

Anche la città moderna fu descritta da un punto di vista ben specifico. Van Gogh si dedicò di rado alla rappresentazione delle vie affollate o delle pittoresche piazze di Parigi; preferiva ritrarre le stradine dei sobborghi, all’epoca in rapido sviluppo, come negli Orti a Montmartre dal Van Gogh Museum e dallo Stedelijk Museum di Amsterdam, inondati di luce purissima, o la gente a passeggio nei parchi pubblici, raffigurata, ad esempio, nella tela dalla Collection Noro Foundation.
Sia che esplorasse le periferie di Parigi, meta dei cittadini in cerca di quiete e divertimenti nel fine settimana, sia che dipingesse moderne strutture industriali, Van Gogh interpretava i propri soggetti alla luce di considerazioni politico-sociali, all’epoca ritenute decisamente moderne, e vi aggiungeva la propria personale interpretazione. Anche dopo aver lasciato Parigi, nel 1888, l’artista continuò a cercare immagini peculiari della città moderna, ma anche della vita rurale, anzi, cominciò persino a combinarle nella stessa composizione con risultati straordinari, come nel Seminatore dall’Hammer Museum di Los Angeles, in cui un seminatore si staglia in giallo su un campo di un blu ricco e profondo, mentre sullo sfondo spiccano le sagome nette delle ciminiere di moderne fabbriche, o nelle vorticose pennellate, tanto tipiche del maestro olandese, dei Cipressi con due figure femminili, capolavoro assoluto dal Kröller-Müller Stifting.

Questa cornice concettuale offrì a Van Gogh l’opportunità di esplorare anche il ritratto e lo studio di figura. All’inizio della sua carriera il pittore si dedicò a raffigurare l’immagine del contadino “ideale”: ispirato ai modelli di Millet e alle teorie contemporanee sulla frenologia, il suo contadino della regione del Brabante aveva un aspetto brutto e rozzo, la fronte bassa e le labbra grosse, come a evocare vita difficile e duro lavoro. Quasi intraprendendo uno studio antropologico di questo ceto sociale, Van Gogh intendeva diventare lo specialista indiscusso nel campo, come ben testimoniano in mostra le teste di contadino dell’Art Gallery of New South Wales di Sydney e del Saint Louis Museum of Art.

Tuttavia presto si rese conto che a Parigi, dove sperava di far carriera, queste teste brutali dai colori scuri non erano molto apprezzate e passò, quindi, ad interessarsi del ritratto “moderno”. Il pittore sperimentò l’uso del colore e della pennellata in numerosi autoritratti, in cui si raffigura alternativamente in vesti di gentiluomo o di contadino, a seconda del ruolo che voleva assumere in quel momento, come mostrano in mostra i due Autoritratti dal Van Gogh Museum; raffigurò, invece, il mercante d’arte Alexander Reid, nella splendida tela dalla Glasgow Art Gallery and Museum, nei panni del cittadino per eccellenza, moderno e sofisticato, e, nelle speranze dell’artista, intenzionato a promuovere la sua opera in tutto il Regno Unito.

Più tardi, nel Midi francese, Van Gogh giunse all’idea che questi ritratti dovessero essere moderni, ma anche eterni. Consolidare la posizione di artista moderno e al tempo stesso realizzare opere intramontabili erano due aspetti che egli riteneva essenziali per il suo successo. Nello straordinario Ritratto di Madame Roulin con la figlioletta dal Philadelphia Museum of Art è evidente il rimando ad una classica Madonna con Bambino, ma lo stile è decisamente attuale. Van Gogh reinterpretò persino Le quattro età dell’uomo di Daumier nell’eccezionale tela dall’Art Institute of Chicago: alla composizione originale egli aggiunse su un lato uno sfondo di alberi in fiore e sull’altro una fabbrica dalle ciminiere fumanti, evocando così ancora una volta la città e la campagna, l’antico e il nuovo.

Pur lavorando in modo veloce e spontaneo, l’artista aveva una chiara idea dell’immagine e del messaggio che intendeva trasmettere; sia la scelta del tema che la forma della composizione, ispirate alla sua conoscenza della realtà, erano deliberate e mai casuali. Van Gogh rifiutava l’idea della pittura d’invenzione, eppure non rifuggiva dalla costruzione delle immagini. Specialmente nell’ultimo periodo, a St. Rémy e a Auvers-sur-Oise, diede sempre maggiore spazio all’invenzione in composizioni ispirate a diverse fonti visive e artistiche. La fusione di aspetti moderni e tradizionali fu stimolata dal suo straordinario uso del colore e da una tecnica pittorica assolutamente sorprendente per l’epoca e ricca ancora oggi di grandissimo fascino.

Partner: Il Gioco del Lotto – Lottomatica, Eni, Ferrovie dello Stato, Scholtès, Telecom Italia
Collaboratori ufficiali: Gestore Servizi Energetici – GSE, British American Tobacco – Italia, AXA Art – assicuratore ufficiale -, KLM, Cinecittà Luce, Rai Teche
Collaboratori tecnici: Maggiore, Dimensione Suono2, Hotel Eden, The Duke Hotel, Hotel Splendide Royal, Progress Fineart
Organizzazione e produzione: Comunicare Organizzando S.r.l.
Catalogo: Skira; € 35,00
Costo del biglietto: € 12,00 intero; € 8,50 ridotto
Orario: dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30; venerdì e sabato 9.30 – 23.30; domenica 9.30 – 20.30. La biglietteria chiude un’ora prima
Per informazioni: tel. 06/6780664

Arte e Poesia, ‘Vienna’

Günter Brus, Maria Bussmann, Bruno Gironcoli, Franz Graf, Arnulf Rainer, Werner Reiterer, Erwin Wurm, Michael Ziegler

Da Lunedì 4 ottobre 2010 alle ore 18.00, la Galleria Marie-Laure Fleisch di Roma, presenta la collettiva ‘Vienna’, a cura di Peter Weiermair.

La mostra, prendendo spunto dall’omonima città che diventa oggetto stesso dell’esposizione, presenta alcuni fra i maggiori protagonisti dell’arte austriaca contemporanea. Prima tappa di un percorso di ricerca sull’arte delle grandi capitali europee (ma non solo) che da sempre si contraddistinguono come laboratori essenziali nei quali le nuove tendenze sono il frutto della fusione fra cultura passata e presente.
Nel caso di Vienna, la rivoluzione culturale dell’inizio del secolo scorso, ma sopratutto il movimento socio-culturale della fine degli anni ’60, rappresentano i momenti storici più significativi che hanno dato vita a importanti correnti artistiche. I principi della vita sociale come anche gli stessi linguaggi dell’arte, messi in crisi in questi periodi, divengono oggetto di esame della mostra. Vienna è una città che ha concentrato tutto il potere creativo dell’Austria e, non senza una ragione, gli artisti esposti si relazionano alle esperienze culturali del passato: se pensiamo ai grandi personaggi come Sigmund Freud o Ludwig Wittgenstein, possiamo comprendere quale sia stato il clima culturale in cui si sono formati.
La mostra presta particolare attenzione al disegno e ai lavori su carta, ma da spazio anche ad un artista come Werner Reiterer che ha creato appositamente per la galleria un’installazione interattiva. Alla stessa maniera, Erwin Wurm con il suo lavoro stimola la partecipazione psico-fisiologica del pubblico. Arnulf Rainer, Bruno Gironcoli e Günter Brus rappresentano il nucleo storico degli artisti esposti. Gironcoli, come un coreografo, lavora sul potere di oggetti assurdi appartenenti alla nostra civiltà; Rainer attraverso segni radicali interviene con il disegno su motivi dell’arte italiana antica creando un dialogo con se stesso e con le sue opere; Brus, dopo il periodo dell’Azionismo Viennese, è diventato invece un grande poeta del dialogo fra immagine e testo. Anche Franz Graf lavora nel campo fra testo e immagine, mentre per Maria Bussmann disegnare è un metodo per indagare temi filosofici di varia natura. L’erotismo fragile della pubertà è il tema principale di Michael Ziegler come fosse un illustratore del mondo di Robert Musil.
Per l’occasione sarà pubblicato un catalogo con un testo del curatore che documenterà la mostra e includerà informazioni sugli artisti in forma di auto-riflessioni e commenti. Il disegno del titolo “Vienna”, che sarà anche in copertina di catalogo come manifesto della mostra, è stato realizzato appositamente da Arnulf Rainer.
Peter Weiermair è stato Direttore e Curatore di importanti Musei d’arte moderna e contemporanea in Austria, Germania e Italia. Nel 1964 ha fondato la casa editrice Allerheiligenpresse e per oltre dieci anni è stato Presidente dell’IKT (International Association of Curators of Contemporary Art). Dagli anni ’60 ad oggi ha curato mostre monografiche e antologiche dei protagonisti dell’arte contemporanea internazionale. Citiamo fra le altre le mostre di Arnulf Rainer ed Erwin Wurm presentate per la prima volta in Italia durante la Direzione della Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
Inaugurazione: lunedì 4 ottobre 2010, ore 18.00
Dal 5 ottobre 2010 al 6 gennaio 2011
Galleria Marie-Laure Fleisch | Vicolo Sforza Cesarini 3A | Roma


GÜNTER BRUS
Nato nel 1938 Ardning, Austria, vive e lavora in Austria.
Born in 1938 Ardning, Austria, lives and works in Austria.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Günter Brus:, Werkumkreisung by Monika Faber, Hrsg. Albertina Wien, Klaus Albrecht Schröder, 2003, Verlag Walter König, Köln
Günter Brus: Je suis, donc j’ essaie de me faire by Franziska et Arnulf Meifert, 1993, Édition du Centre Pompidou, Paris
Günter Brus: Bild-Dichtungen by Johanna Schwanberg, 2003, Springer-Verlag Wien New York

MARIA BUSSMANN
Nata nel 1966 a Würzburg, vive e lavora a Vienna e New York.
Born in 1966 in Würzburg, lives and works in Wien and New York.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Maria Bussmann, Zeichnungen zu Wittgensteins Tractatus/ Drawings to Wittgenstein’s Traktatus, Wien, 2000
Maria Bussmann, Der Zauber der Zeichnung- Zeichnung in Österreich 1946 – 2007. Katalog zur Ausstellug im Lanserhaus, Eppan, Gemeinde Eppan, 2009. Curated by Peter Weiermair
Maria Bussmann, I have never been to Japan(ich war nie in Japan), Passagen Verlag, 2010

BRUNO GIRONCOLI
Nato in Italia, a Villaco nel 1936 e morto a Vienna nel 2010.

E’ stato uno scultore austriaco. Dal settembre 2004, una collezione composta dalle più importanti opere realizzate finora dall’artista può essere visitata in un museo dedicato nel parco del castello di Herberstein, in Austria. Su di un’area di 2000 metri quadrati sono esposte molte delle sue grandi sculture futuristiche. 

 

 

 

 

 
FRANZ GRAF
Nato nel 1954 a Tulln, vive e lavora a Vienna.
Born in 1954 in Tulln, lives and works in Wien.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Franz Graf, Schwarz heute jetzt habe dass schon fast vergessen, Kunstahlle Krems 2010
W.C.Feminio, W.C.Masculino, 22nd INTERNATIONAL BIENNIAL OF SAO PAULO 1994,
Wien 1994
Franz Graf / Fritz Grohs, GALLERIE NÄCHST ST STEPHAN, Wien 1988

ARNULF RAINER
Nato nel 1929 in Baden, Austria
Born in 1929 in Baden, Austria

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Werner Hofmann, »Jenseits des Schönheitlichen«, in: Arnulf Rainer, Katalog zur Biennale di Venezia, Venedig 1978
Dieter Honisch, »Malerei, um die Malerei zu verlassen«, in: Arnulf Rainer, Nationalgalerie, Staatliche Museen Preußischer Kulturbesitz, Berlin 1980.
Michelangelo Castello, Morte e transfigurazione; in: Arnulf Rainer, Tema Celeste, Juni 1985

WERNER REITERER
Nato nel 1964 a Graz, vive e lavora a Vienna.
Born in 1964 in Graz, lives and works in Vienna.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Werner Reiterer, Eye Sucks World, Kunsthaus Graz, and Verlag Walther König, Cologne, 2007
Werner Reiterer, Raw Loop, The Speed Art Museum, Louisville/USA, and The Contemporary
Art Museum, Tampa/USA, 2009
Werner Reiterer, Breath, Belvedere, Wien, 2009

ERWIN WURM
Nato nel 1954 a Bruck an der Mur, vive e lavora a Vienna e Limberg.
Born in 1954 in Bruck an der Mur, lives in Vienna and Limberg.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Erwin Wurm: Gurke, DuMont Verlag, Cologne, 2009
Erwin Wurm: The artist who swallowed the world, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2006
Erwin Wurm: I love my time, I don`t like my time, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2004

MICHAEL ZIEGLER
Nato nel 1960 a Wels, vive e lavora a Vienna e Innsbruck.
Born in 1960 in Wels, works and lives in Wien and Innsbruck.

Bibliografia selezionata/ Selected bibliography
Michael Ziegler, Zeichnungen, Allerheiligenpresse, 2003
Michael Ziegler, Fotografie, Fotohof Edition, 2008
Michael Ziegler, Stilleben, All Saints Press, 2009
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Galleria Marie-Laure Fleisch – Vicolo Sforza Cesarini, 3A -00186 Roma 
t. +39 06 688 91936 – info@galleriamlf.com www.galleriamlf.com
lunedì-sabato 14.00-20.00 – mattina e domenica su appuntamento 
Press Office: press@galleriamlf.com

romapoesia 2010, poEtiche

La quattordicesima edizione del festival romapoesia si intitola poEtiche, ed è dedicata alla poesia delle donne. Quest’anno infatti il festival – che si svolgerà come sempre a Roma – si propone come luogo di confronto per le autrici che, dal dopoguerra a oggi, hanno partecipato con la poesia – e spesso con una presenza attiva nella società – al farsi dell’Italia in cui viviamo e sulla quale intendiamo riflettere. Il programma prevede letture, conversazioni, proiezioni, ascolti, performance, presentazioni di libri, con la partecipazione di circa sessanta poetesse di varie generazioni provenienti da tutta Italia. Nella sezione “Genealogie”, alcune autrici contemporanee renderanno omaggio alle grandi poetesse della seconda metà del Novecento italiano: Amelia Rosselli, Patrizia Vicinelli, Anna Malfaiera, Rossana Ombres, Alda Merini, Nadia Campana, Cristina Campo, Claudia Ruggeri, Paola Febbraro, Piera Oppezzo. La sezione “Passaggi” sarà invece dedicata al tema della traduzione e al confronto con autrici straniere come Sylvia Plath, Anne Sexton, Anne Carson, Alejandra Pizarnik.

Il festival si tiene nella settimana tra l’11 e il 17 ottobre, con disseminazione in varie zone di Roma, dal centro storico a San Lorenzo, da Trastevere a Marconi, dal Tiburtino a Monteverde, in centri culturali, librerie, biblioteche, scuole, locali.

E’ prevista, mercoledì 13 ottobre alla Casa internazionale delle donne, una giornata di convegno alla quale parteciperanno, insieme alle poetesse, studiose di diverse discipline.

I materiali del festival, sia poetici sia teorici, saranno raccolti in volume.

romapoesia 2010: poEtiche
Nato nel 1997, il festival romapoesia ha invitato nel corso degli anni centinaia di poetesse e poeti dall’Italia e dal mondo.
L’edizione 2010, a cura di Maria Teresa Carbone e Franca Rovigatti, si tiene dall’11 al 17 ottobre.
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Il programmma
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Lunedì 11 ottobre

Liceo Virgilio, via Giulia 38
ore 10-12: incontro con gli studenti
Elisa Biagini, Elisa Davoglio, Lidia Riviello, Sara Ventroni
Biblioteca Marconi, via Gerolamo Cardano 135
ore 18-20: lettura / dibattito
Influssi: tra una lingua e l’altra
Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Elisa Biagini, Fiorenza Mormile
Lavatoio Contumaciale, piazza Perin del Vaga 4
ore 21-23: lettura: Elisa Biagini, Tomaso Binga, Elena Clementelli, Tiziana Colusso, Vilma Costantini, Sara Davidovics, Francesca Farina, Cetta Petrollo
Corpo poEtico, mostra – fotografie di: Teresa Bianchi, Maristella Campolunghi, Stefania Errore, Irene Iorno, Nadine Hetner, Francesca Manzini, Letizia Marabottini, Grazia Menna, Claudia Padoan, Vincenza Salvatore, Rivka Spizzichino, Sara Spizzichino, a cura del Lavatoio Contumaciale e de “La Magnolia”, Spazio Espositivo Area Cultura Casa Internazionale delle Donne

Martedì 12 ottobre

Liceo Morgagni, via Fonteiana 125
ore 10-12: incontro con gli studenti
Cristina Ali Farah, Geraldina Colotti, Mia Lecomte, Paola Sansone
Libreria Empiria, via Baccina 79
ore 17-19: laboratorio
Lo haiku, regole e senso, Carla Vasio
Libreria Koob, via Luigi Poletti 2
ore 18-22: maratona di presentazioni
Multipla: i libri dell’anno

Mercoledì 13 ottobre

Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19
ore 10-19: giornata di convegno
La voce poEtica
Edda Billi: haiku di benvenuto
introduzione
– questa memoria insomma divina (Claudia Ruggeri)
Giulia Niccolai
Gilda Policastro
– è fusa la donna alla sua ombra (Patrizia Vicinelli)
Manuela Fraire
Bianca Tarozzi
dibattito
lettura: Mariella Bettarini, Tomaso Binga, Milli Graffi
pausa pranzo
– penserò / che mi importa di me più di quanto pensassi (Anna Malfaiera)
Cecilia Bello Minciacchi
Annamaria Crispino
– caddero muri / con tutti i loro interni carichi e caldi (Rossana Ombres)
Biancamaria Frabotta
Dacia Maraini
– qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire (Piera Oppezzo)
Mariella Bettarini
Sara Ventroni
dibattito
lettura: Maria Clelia Cardona, Gaia Gubbini, Sara Zanghì
John Cabot University, via della Lungara 233
in collaborazione con InVerse
ore 20.30: lettura
Silvia Bre, Edith Bruck, Moira Egan, Anna Cascella Luciani, Dacia Maraini, Maria Luisa Spaziani, introduce Brunella Antomarini

Giovedì 14 ottobre

Liceo Majorana, via Carlo Avolio 111, ore 10-12: incontro con gli studenti
Cristina Annino, Maria Grazia Calandrone, Maria Clelia Cardona, Francesca Matteoni
Libreria Empiria, via Baccina 79
ore 11-13: laboratorio di lettura di poesia ad alta voce / 1
La vocazione poetica, Rosaria Lo Russo
Libreria Empiria, via Baccina 79
ore 15-17: laboratorio di scrittura poetica / 1
Buongiorno Poesia, Anna Lamberti Bocconi
Biblioteca Europea, via Savoia 13/15
ore 17-20: tavola rotonda
Passaggi: la traduzione di poesia
Elena Clementelli, Tiziana Colusso, Vilma Costantini, Rosaria Lo Russo, Loredana Magazzeni, Jacqueline Risset, Annamaria Robustelli, Maria Luisa Spaziani
Circolo delle Quinte, viale 30 aprile 4
ore 21: lettura
Milli Graffi, Jolanda Insana, Anna Lamberti Bocconi, Giulia Niccolai, Bianca Tarozzi, Carla Vasio

Venerdì 15 ottobre

Istituto Statale G. Caetani, viale Mazzini 36, ore 10-12: incontro con gli studenti
Florinda Fusco, Giovanna Marmo, Marilena Renda, Silvia Salvagnini
Libreria Empiria, via Baccina 79
ore 11-13: laboratorio di lettura di poesia ad alta voce / 2
La vocazione poetica, Rosaria Lo Russo
Libreria Empiria, via Baccina 79
ore 15-17: laboratorio di scrittura poetica / 2
Buongiorno Poesia, Anna Lamberti Bocconi
Biblioteca Vaccheria Nardi, via Grotta di Gregna 27
ore 18-20: lettura / dibattito
Poesia/biografia/memoria
Gabriella Musetti, Maria Pia Quintavalla, Lisabetta Serra, Luigia Sorrentino
ESC, via dei Volsci 159
ore 20.30-1: lettura / musica / video
Poetesse & Poete
Cristina Ali Farah, Silvia Bre, Antonella Bukovaz, Maria Grazia Calandrone, Elena Chiesa, Tiziana Colusso (con il soprano Carmen Petrocelli), Biancamaria Frabotta, Florinda Fusco, Francesca Genti, Vivian Lamarque, Mia Lecomte, Rosaria Lo Russo, Giovanna Marmo, Francesca Matteoni, Brenda Porster, Jonida Prifti, Ida Travi, Maria Valente
musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project
spazio video: Genealogie
presentazione di Fragili guerriere (video di Daniela Rossi per romapoesia 2010) e di altri video

Sabato 16 ottobre

Salone degli Affreschi, DSM Monteverde, via Colautti 28
ore 11-13: lettura
Maria Grazia Calandrone, Francesca Genti, Vivian Lamarque, Ida Travi, Maria Valente
Libreria Tuba, via del Pigneto 21
ore 18-20: aperipoesia
Antonella Bukovaz, Elena Chiesa, Annamaria Giancarli, Giovanna Marmo, Rossella Or, Laura Pugno
ESC, via dei Volsci 159
ore 20.30-1: lettura / musica / video
Poetesse & Poete
Maria Clelia Cardona, Geraldina Colotti, Vilma Costantini, Sara Davidovics, Gemma Gaetani, Sonia Gentili, Jolanda Insana, Anna Lamberti Bocconi, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti, Laura Pugno, Maria Pia Quintavalla, Lidia Riviello, Silvia Salvagnini, Paola Sansone, Lisabetta Serra, Ribka Sibhatu
musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project
spazio video: Genealogie
presentazione di Videopoesie (Elena Chiesa, 2006-2009) e di altri video

Domenica 17 ottobre

Libreria Griot, via di Santa Cecilia 1/a
ore 11-13.30: lettura
Sul confine
Cristina Ali Farah, Edith Bruck, Antonella Bukovaz, Moira Egan, Sonia Gentili, Mia Lecomte, Brenda Porster, Jonida Prifti, Jacqueline Risset, Ribka Sibhatu
ESC, via dei Volsci 159
ore18-24: lettura / musica / video
microfono aperto
Poetesse & Poete
Annelisa Alleva, Cristina Annino, Daniela Attanasio, Tomaso Binga, Elisa Davoglio, Francesca Farina, Annamaria Giancarli, Gaia Gubbini, Fiorenza Mormile, Rossella Or, Cetta Petrollo, Gilda Policastro, Marilena Renda, Annamaria Robustelli, Luigia Sorrentino, Sara Ventroni, Sara Zanghì
musica e contaminazioni:[donasonica vs lamusique] Sisterhood is blooming project
spazio video: Genealogie
presentazione di Lo spazio tra le colonne (video-intervista di Bianca Tarozzi a Giulia Niccolai, realizzazione Giannina Longobardi, 2008) e di altri video
I libri delle autrici del festival sono reperibili presso la libreria tuba, via del pigneto 21

Il festival è realizzato grazie al sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione di Roma Capitale.

http://romapoesia.blogspot.com/

Otto donne e un mistero in poesia

Emily Dickinson, Anne, Charlotte ed Emily Bronte, Christina Rossetti, Dorothy Parker, Edna St.Vincent-Millay, Sara Teasdale: otto poetesse angloamericane tradotte da un poeta italiano, Silvio Raffo. Un “unicum” nel panorama letterario contemporaneo.

L’appuntamento è per giovedì 14 ottobre 2010, ore 21, alla Casa della Poesia di Milano: ‘Otto donne e un mistero in poesia’, evento a cura di Milo De Angelis.

Silvio Raffo della Porta, (nella foto), nato a Roma , è docente di Lettere al Liceo Classico E. Cairoli” di Varese e di Letterature comparate presso l’Istituto Universitario di Traduttori e Interpreti (Varese).

La Casa della Poesia, Palazzina Liberty, Largo Marinai d’Italia 1, Milano – Ingresso libero

www.lacasadellapoesia.com

Notte della Cultura a Cesena

Sarà la poesia ad aprire la Notte della Cultura, con Mariangela Gualtieri che reciterà versi tratti da ‘Bestia di gioia’, la sua ultima raccolta pubblicata da Einaudi nel 2010. L’attore Fabrizio Gifuni e lo scrittore Emanuele Trevi insieme a lei, porranno l’attenzione su quel bene sommo che è la nostra cultura: la più vigorosa barricata contro la volgarità e l’abbruttimento attuali. ‘Ogni cosa tesa, nel tentativo di nutrire ciò che nel profondo di noi ora trema di paura e di fame’.
Dalle poesie di ‘Bestia di gioia’ prende il via quello che la Gualtieri chiama un ‘rito sonoro’. La tessitura si basa su un filo lirico, nel quale la natura e le potenze arcaiche della natura sono in primo piano. “Ciò che non muta/ io canto/ la nuvola, la cima, il gambo/…il coraggio dell’animale nella tana/ quando gli esce il nato fra le zampe…”, senza paura vengono cantate le cose più semplici, con l’intento di riportarle alla loro misteriosa, antica potenza. Accanto a questo lirismo si osa a tratti un noi accorato, straziato, rotto o severo, esortativo, secondo lo spirito epico delle più vive opere da lei scritte per il Teatro Valdoca.

Appuntamenti con Mariangela Gualtieri:
Sabato 2 ottobre presso il Chiostro di San Francesco di Cesena
per info:
www.cesenotte.com

venerdì 15 ottobre  presso il Fienile Fluo di Bologna
per info:
www.crexida.it

Radio3 festeggia i suoi primi sessant’anni

Il 1° ottobre Radio3 festeggia i suoi primi sessant’anni, tre volte venti compleanni pieni di idee e di voci. Oggi possiamo dire che è stata un’invenzione straordinaria: la prima radio culturale, la prima emittente in modulazione di frequenza, la prima che non cercasse un pubblico generalista, la prima a proporre programmi differenti. Da allora molte cose sono cambiate, naturalmente. Ma quella vocazione resta intatta. Radio3 deve trasmettere la bellezza del mondo (la musica, l’arte, il teatro, i libri, la poesia, la letteratura, la scienza…) senza considerarla evasiva o decorativa. E senza ignorare la complessità, le contraddizioni, i conflitti del proprio tempo. Così in questi anni Radio3 ha conquistato un pubblico particolare, ampio e attivo (e oggi interattivo).

Con questi ascoltatori Radio3 festeggerà i suoi sessant’anni attraverso una serie di iniziative che partiranno con la mostra fotografica La voce delle immagini all’Auditorium Parco della Musica di Roma e culmineranno il 1° ottobre, giorno esatto di nascita del Terzo Programma, con una maratona/happening in diretta dalla storica sede di via Asiago. Dalle 15.00 fino a tarda notte musicisti, attori, scrittori e poeti e alle 21.00, nell’ora esatta della prima trasmissione del 1950, la riproposizione con i suoni e le parole di oggi della serata a tema dedicata al mito di Orfeo con cui il Terzo Programma iniziò la sua avventura.

Dopo una fitta serie di concerti e trasmissioni speciali (tra cui quattro radiodrammi di ambiente radiofonico commissionati a quattro giovani scrittori italiani) il mese di festeggiamenti si concluderà il 28 ottobre con una Giornata dedicata al futuro delle radio culturali in Europa con la partecipazione di alcune nostre “radio gemelle” (Bbc4, France culture, la tedesca hr2-kultur, la Radio pubblica polacca, la Radio della Svizzera italiana) e l’intervento di scrittori e intellettuali particolarmente interessati al ruolo vitale di questo mezzo di comunicazione. E alla Sempre Nuova Radio3.

Marino Sinibaldi

Il calendario degli eventi
 
Mercoledì 29 Settembre 2010
Auditorium Parco della Musica di Roma

Il 29 settembre, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, si apre la mostra fotografica La voce delle immagini in collaborazione con la Fondazione Fotografia della Cassa di Risparmio di Modena. Sette fotografi italiani, tra i più significativi del nostro tempo (Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Vittore Fossati, Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Walter Niedermayr, Francesco Radino) riflettono attraverso le immagini sul tema dell’ascolto e mettono le loro opere in dialogo con la radio, con le sue parole e i suoi suoni.

Mercoledì 29 Settembre 2010
Via Asiago, Roma

Nella sede storica di Via Asiago, verrà allestita un’altra mostra fotografica Bianco Nero Piano Forte in collaborazione con Ravenna Festival. Le opere, tutte raffiguranti pianoforti, di Silvia Lelli e Roberto Masotti dialogheranno con un’istallazione sonora del compositore Luigi Ceccarelli e con i testi di Mara Cantoni. Sarà l’occasione per ribadire una delle principali vocazioni di Radio3, quella musicale.

Venerdì 1 Ottobre 2010
Ore 15.00-24.00
Via Asiago, Roma

Il culmine dei festeggiamenti sarà naturalmente il 1° ottobre, data di nascita del Terzo Programma. Radio3 festeggia questo importante compleanno con il suo pubblico. Una lunga diretta (dalle 15.00 a notte inoltrata) ospiterà i protagonisti della radio di allora e di oggi in una staffetta di voci e testimonianze, di ricordi e progetti. Musicisti, attori, scrittori e poeti animeranno le varie trasmissioni e sarà questo il loro regalo a Radio3. Alle 21.00, nell’ora esatta in cui nel 1950 cominciò la prima trasmissione Radio3 si sintonizzerà su quella serata di sessant’anni fa dedicata al mito di Orfeo, riproponendolo con i suoni e le parole di oggi.

Domenica 3 Ottobre 2010

Concerto inaugurale della stagione 2010-2011 dei Concerti del Quirinale

Giovedì 7 Ottobre 2010

Concerto inaugurale della stagione 2010-2011 dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai

Lunedì 11 Ottobre 2010
Via Asiago, Roma

Il Dottor Djembé di David Riondino e Stefano Bollani proporrà a Radio3 una serata molto speciale di musica e di ironia.

Sabato 16 Ottobre 2010

Piazza Verdi dedicherà il suo omaggio ai festeggiamenti di Radio3 con un’intera puntata in diretta da Milano ricca di ospiti, letture e musica.

 

Venerdì 22 Ottobre 2010

La Stanza della Musica ospiterà il gruppo Voci di corridoio con un progetto intitolato Edizione Straordinaria e un repertorio di canzoni interamente dedicato alla radio.

Martedì 26 Ottobre 2010 e Martedì 9 Novembre

Saranno messi in scena e trasmessi in diretta quattro radiodrammi, scritti per l’occasione da Carlo D’Amicis, Giosuè Calaciura, Nicola Lagioia e Chiara Valerio, tutti con la radio nel ruolo di protagonista.

Giovedì 28 Ottobre 2010

I festeggiamenti proporranno una Giornata di Studio sulla storia e il futuro della radio. L’incontro dal titolo 1950-2010 SEMPRE NUOVA RADIO3: La cultura e le radio in Europa si terrà nella Sala A di Via Asiago, dalle 9.30 alle 18.00. Parteciperanno i rappresentanti di alcune radio che con Radio3 condividono la stessa vocazione (Bbc4, France culture, la tedesca Wdr, la Radio pubblica polacca, la Radio della Svizzera italiana) ed è previsto l’intervento di scrittori e intellettuali particolarmente interessati al ruolo vitale di questo mezzo di comunicazione.

Nel Mese di Ottobre

Per l’intero mese, alcune trasmissioni saranno dedicate alla storia di Radio3: Chiodo Fisso, La Grande Radio e Memoradio che, sul sito www.radio3.rai.it, proporrà un percorso sonoro di frammenti tratti dalle trasmissioni più belle andate in onda dagli anni cinquanta ad oggi.

www.radio3.rai.it

Un finale d’assedio, De Angelis-Scolamiero

Un finale d’assedio
Venerdì 24 settembre 2010 alle ore 17:00 presso il Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica verrà presentato il libro d’artista: Un finale d’assedio: poesie di Milo De Angelis e tavole originali di Vincenzo Scolamiero. Evento a cura del Direttore della Biblioteca Angelica, Fiammetta Terlizzi.

Un’edizione a tiratura limitata stampata e allestita a mano presso la Stamperia d’arte il Bulino in Roma.

Interventi di: Eraldo Affinati, Francesca Bottari, Plinio Perilli, Stefano Petrocchi e Isabella Vincentini.
Saranno presenti gli autori e l’editore.

Alla Biblioteca Angelica il 24 settembre si parla di arte e di poesia. L’occasione, rara e speciale, è la presentazione di un libro stampato a mano presso la Stamperia d’arte “Il Bulino” in esemplari unici, parte di una collana di trentacinque opere autografe.

Il testo, Un finale d’assedio, è uscito nel gennaio del 2010 e include tredici testi poetici inediti di Milo De Angelis e dodici tavole originali corrispondenti a inchiostri e pigmenti, diverse per ogni volume, dell’artista romano Vincenzo Scolamiero. A fine edizione, le tavole dipinte saranno 420.

Eseguito a regola d’arte sulla preziosa carta Hahnemùhle di gr.300 e rilegato manualmente, il libro conserva in sé sia i caratteri dell’opera figurativa, sia quelli della circoscritta raccolta poetica, sistematica e coerente.

La vicinanza tra le due espressioni appare in questo caso particolarmente felice ed evocatrice di innumerevoli corrispondenze. Tra poesia e pittura non emerge, beninteso, alcuna relazione didascalica, ma solo una comunione scambievole di pretesti espressivi e di soluzioni liriche.

La serrata struttura poetica di De Angelis rimanda con evidenza all’impaginazione cromatica scelta da Scolamiero, e le tante immagini accese dalle singole parole nel chiuso di ogni componimento, sembrano chiamare a sé le sagome oscure che il pittore lascia affiorare dal buio.

Nel prezioso libro i due artisti, con stupore reciproco, si sono imbattuti in un’intesa profonda, trovandosi a comunicare in idiomi diversi ma con affini costruzioni sintattiche, entro le quali evocare quasi all’unisono analoghe suggestioni, che siano forme o stati d’animo. Il metro contratto dei brevi componimenti di De Angelis richiama le stesure a inchiostro dell’artista, chiuse e nitide come campi di proiezione.  

Informazioni Evento:
Data Inizio: 24 settembre 2010
Luogo: Roma, Biblioteca Angelica
Indirizzo: Piazza S. Agostino
Telefono: 0668408049

Daniele Mencarelli, Bambino Gesù

A Stefano Scalise, operaio

non finirai il tuo tatuaggio,
le rose bianche, vedi le foglie e gli steli,
t’avrebbe preso quasi metà braccio
dicevi fiero al primo abbozzo,
e noi draghi alle tue spalle
dicendo fosse più giusto un diavolo
o Lucifero in persona
inciso sulla tua pelle.
Solo i gambi e le prime foglie
verranno con te sotto la terra,
le rose bianche, insieme fiorirete altrove.

Daniele Mencarelli, da: Bambino Gesù (Nottetempo, 2010, euro 7,00)

Daniele Mencarelli (Roma 1974) ha lavorato come operaio all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e da diversi anni si occupa di fiction alla Rai. Ha pubblicato le raccolte di poesia I giorni condivisi (La Nuova Agape, 2001) e Guardia alta (La vita Felice, 2005).

Elena Salibra, il martirio di ortigia

Elena Salibra con il martirio di ortigia (Manni, 2010, euro 10,00) ci presenta una nuova raccolta di versi che conferma il canone poetico già sperimentato nelle due precedenti, vers.es (Diabasis, 2004) e sulla via di Genoard  (Manni, 2007) tutte pubblicate nell’arco di un decennio.
Il titolo rinvia al seicentesco Martirio di Sant’Erasmo, un quadro di incerta attribuzione che la Salibra nella finzione poetica immagina essere di Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Il martirio del santo porta in sé un dolore profondo che sembra accomunare i due artisti su un piano esclusivamente letterario: il tormento e lo strappo del pittore in fuga si tramanda alla poetessa, esule dalla sua Sicilia. Il “martirio” della fuga e dell’esilio diviene però, per l’autrice, anche “consolante”, come capita di leggere in uno dei componimenti della prima sezione del libro dal titolo trittico per il martirio di ortigia in cui la Salibra riesce a vedere un “presente” in cui non si riconosce più: “quelle villette anni sessanta tutte/ abusive condonate per metà/ si preparano alla burrasca d’agosto/ un poco anticipata”.
Anche nella penultima sezione del libro dopo i giorni di tobia – ispirata alla figura materna – la Salibra ricorre ad un elemento visivo richiamando nel titolo, un quadro di Giorgio De Chirico Il sogno di Tobia  e scrive: “Mi rabbonivi mi facevi piccina/ – a sfarinare i colori sulla tela/ – non ero buona – dicevi tanto/ tempo fa (a me la davi l’idea d’un/ al di qua compiuto).
Ed è proprio la visione del “presente” a caratterizzare il martirio di ortigia separando quest’ opera – se così si può dire – dalle due precedenti – già citate – dove lo sguardo dell’autrice era più orientato verso il motivo del viaggio, del separarsi da pur ritraendo momenti di vita vissuta, viaggio inteso come metafora di una raggiunta libertà di giudizio e di espressione. Il “presente” diviene, pertanto, nel nuovo libro della Salibra il pretesto e l’idea dentro cui muovere la lingua della poesia che per l’autrice sembra nascere da un pensiero strutturale, più che dall’azione poetica. Si potrebbe dire, quindi, che in questo libro la poetessa tragga la sua ispirazione dalle grandi opere d’arte del passato all’interno delle quali inscrivere la propria esperienza individuale, il suo stare al mondo, la sua presenza. Si prenda in lettura la prima poesia della sezione dopo i giorni di tobia che ha per titolo da un amore: “ma non viene da te quel consumarsi/ d’occhi nel desiderio del mattino/ quando a impeciare/ il tuo marsupio d’anni è la colla// d’un calore. se mi perdi sai trovarmi/ in una cuccia di foglie e aria. qui/ col tetto laterale hai murato/ le rimanenze d’acqua.// non gabbia pare – forse// è mare senza orizzonte in fondo -/ simmetriche la porta la finestra// e l’ascensore che ha l’ansia di/ salire dove scende il malumore/ di tanti te specchiati da un amore// . L’amore è qui vissuto come un’esperienza che si consuma nel desiderio della luce, di un mattino nuovo. E’ un’esperienza che viene dal “marsupio d’anni impeciato dalla colla”, da corpi che si logorano “in una rimanenza d’acqua murata”. Tutta l’immagine che arriva da questa poesia è riflessa dentro uno specchio, dove la porta e la finestra “sono” – nel presente, nell’essere qui e ora – simmetriche e l’ascensore – anch’esso simmetrico – diviene la metafora del salire e dello scendere del tempo che viene “da un amore”. Si comprende, dunque, che l’autrice pur muovendosi all’interno del “presente”, volga lo sguardo indietro, verso gli Antichi Maestri probabilmente per cercare e definire la sua poetica dello sguardo. Il sogno di Tobia, infatti, come osserva Maria Cristina Cubani nell’introduzione al libro, richiama l’episodio biblico in cui Tobia guarisce il padre dalla cecità ponendogli il fegato di un pesce sugli occhi, un’azione che allude al motivo della Rivelazione. Una Rivelazione che ha consentito a De Chirico di conquistare una nuova visione del mondo e delle cose e all’autrice di avvicinarsi a un nuovo modo di vedere e di comprendere il visibile e l’invisibile.
Il legame tra il martirio di ortigia e le precedenti raccolte della Salibra consiste, invece, nel rimanere in un dettato poetico ritmato che risente degli echi dell’azione sperimentale, utilizzata però – a mio avviso – a fini puramente espressionistici e non di rottura della lingua: “ora è un lamento come/ di piccioni attaccati all’abbaino/ o una meraviglia di qualche A4 / che la laserjet blocca a metà/ perché racconti il suo blackout”/ che collocano la sua ricerca poetica in un’epoca e in un tempo ben definito.
Il plurilinguismo della Salibra sebbene sia assimilabile al clima delle neoavanguardie e dello sperimentalismo, non è da essi dipendente. L’autrice, infatti, in tutta l’opera, avverte la necessità di portare “il passato nel presente” ricorrendo spesso a scene urbane, come nella poesia Neapolis in cui il corpo entra fisicamente nel Museo di Napoli immergendosi nel passato, ma anche nella visione della città nella sua realtà, nel presente, di come appare oggi: “e s’apre ai miei tic d’autunno la new/ polis davanti al volto semiserio/ del filosofo tardoimperiale. un poco di traverso nella sala/ museale la donna con lo stilo/ fermato sulle labbra come me/ combina il mosaico/ dei suoi versi. ma è un alternarsi/ di bitorzoli e rientranze/ anche/ questa città che sulla scena ride/ mentre sale/ la funicolare/ tra la roccia e il mare”…
La Salibra, dunque, conferma con il suo nuovo libro che l’alimentazione immaginativa viene dalle grandi opere di pittura – opere di fatto metafisiche – ma qui utilizzate evidentemente come modello di ispirazione-narrativa. Non è un caso che il tondo (“la donna con lo stilo”) di cui l’autrice parla nell’ultima poesia citata, che fa da sfondo al ritratto, è notoriamente attribuito solo letterariamente a Saffo, nella finzione poetica quel volto di donna, in cui l’autrice torna a specchiarsi, è funzionale, se così si può dire, “combina il mosaico/ dei suoi versi”. Il tondo, è bene ricordarlo, proviene da Ercolano, la cittadina distrutta dall’eruzione del Vesuvio del ’79 dopo Cristo, ed è custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Luigia Sorrentino

Via dell’inizio, Milo De Angelis e Viviana Nicodemo


A volte, sull’orlo della notte, si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
a lungo, nel giorno mai compiuto,
si vede la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con una precisione vicina alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue
fino a qui, fino agli attimi che tornano a capire
e cercano il significato dei corpi e restano
imperfetti e interrogati.

Milo De Angelis
Inedita

 

 

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La Galleria Civica di Palazzo Ducale a Pavullo nel Frignano (Modena) ospita la mostra Via dell’inizio, che presenta opere fotografiche e video di Viviana Nicodemo in dialogo con 27 poesie inedite di Milo De Angelis, tratte dalla raccolta poetica in corso di pubblicazione con Mondadori.

La mostra è a cura di Paolo Donini.

Due linguaggi si sfiorano: l’immagine e la parola, le arti visive e la poesia.

Dopo il successo dell’ultimo libro di Milo De Angelis, Tema dell’addio, vincitore del Premio Viareggio 2005, con la mostra a Palazzo Ducale di Pavullo, il pubblico avrà un’anticipazione del nuovo lavoro del poeta, letto in una chiave particolare, quella della vicinanza e consonanza con le immagini fotografiche di Viviana Nicodemo.

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Saranno esposti alcuni scatti della Nicodemo già presentati in Necessità dell’anatomia, serie fotografica pubblicata nel libro omonimo del 2006, insieme a un nutrito nucleo di fotografie del tutto inedite e a due video, tra cui quello realizzato in occasione della mostra, a cui dà anche il titolo: Via dell’Inizio.

Completa la mostra un video della recitazione integrale del ciclo di poesie Finale d’assedio di Milo De Angelis.

 

 

Le fotografie di Viviana Nicodemo prendono forma dalle parole di Milo De Angelis, affrontando temi cari al poeta, come ad esempio il dolore. Il dolore tagliente è espresso dalla Nicodemo dall’ esattezza dell’immagine, ed è un dolore che entra a far parte integrante della visione. La forza dei testi poetici di Milo De Angelis, dai toni inconfondibili e sempre sorprendenti, espandono le immagini fotografiche entrando in contatto con una dimensione di riscatto dal dolore.

I corpi femminili e maschili immortalati dalla Nicodemo, tracciano un dialogo continuo con gli ambienti circostanti, segnati dalla devastazione, alla ricerca di una loro intima essenza, di una ragione che giustifichi la loro esistenza. L’artista disegna il dolore del suo sguardo nel contrasto del bianco e nero, in ogni singolo dettaglio, nella posizione dei corpi essenziali, nella luce livida da cui sono colpiti, nelle rovine degli spazi.

La ricerca di Viviana Nicodemo si muove costantemente fra diverse eredità e passioni che coesistono da sempre nella sua vita: il teatro, la danza contemporanea, la scultura e la poesia.


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Nelle sue ultime opere è accentuato il senso di recinzione e di imprigionamento. Non vediamo cosa arresta i soggetti ritratti, ma sentiamo che non possono fuggire la loro condizione. La luce diventa come filo spinato che impedisce loro di muoversi, ma non esiste alcuna meta da raggiungere, né un inizio, né una fine: corpi naufraghi in un letto, braccia nel vuoto, corpi che nessuna cura custodisce. Tutto avviene lì, senza uscita e senza scampo.

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Nei video i luoghi diventano labirinti di pareti e corridoi, paludi, luoghi di asprezza e attrito, dove le figure umane si aggirano in moti circolari rivivendo giochi infantili come riti senza gioia. L’inquietudine guida le figure presenti nelle opere dell’artista che, abbandonata ormai ogni traccia di narrazione, delinea personaggi che “sono piuttosto le improvvise e abbaglianti emersioni di un mondo sottostante che non viene più restituito, di un terremoto di cui si è persa la visione. Sono i superstiti che vagano nello spazio a loro concesso come incarnazioni di un dolore indicibile e prepotente.” (Milo De Angelis, Quest’andarsene nel buio dei cortili, testo in catalogo).

La Galleria civica di Palazzo Ducale continua con questa mostra il progetto di presentare le voci più interessanti della cultura contemporanea, in un percorso che abbraccia diverse arti trasversalmente, dando spazio ad artisti nazionali ma anche a interpreti della cultura locale, con proposte espositive capaci di promuovere la conoscenza del territorio.
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Il valore storico-culturale del Palazzo e del Parco Ducale, profondamente radicato nelle vicende di molte generazioni di pavullesi e importante risorsa dell’Appennino, fa da corollario alle proposte artistiche riuscendo a costruire un unicum coinvolgente di sollecitazioni visive e intellettuali.

Il palazzo Ducale di Pavullo ha avuto fin dalla sua costruzione, come dimora estiva di Francesco IV d’Este, la vocazione a diventare un luogo eletto alla cultura. Le sue sale, ricche di memoria storica, dialogano perfettamente con le espressioni artistiche contemporanee. Lo spazio architettonico, d’impianto rinascimentale, valorizza la percezione delle opere d’arte nella loro unicità e contemporaneamente crea tra loro relazioni estetiche, in un gioco prospettico di particolare effetto.

Negli anni, attorno alla Galleria Civica di Pavullo, attraverso le mostre d’arte e le tante attività parallele, tra cui pubblicazioni di cataloghi, incontri, presentazioni di libri e tavole rotonde, si è creato un interessante dibattito culturale che sta rendendo Pavullo una meta sempre più interessante per chi cerca di comprendere meglio il presente attraverso i temi e i linguaggi artistici contemporanei e, allo stesso tempo, ama immergersi in un luogo ricco di storia, senza rinunciare a un contatto forte con la natura e l’ambiente.

L’infinito appare nel poco,
come l’ultima nota di un grido
mentre si dilegua. L’attimo ci insegue.
Cosa ho amato? Forse quell’aria,
due centimetri, tra il corpo e l’asticella,
che dà luce a ogni applauso. O quel soffio
invisibile sull’albero
dove sorride fanciulla e non ha fine.
Ci furono poi alcuni moribondi
che videro in questo bar
un interno musicale: Poi basta. Poi,
la parola che presenta se stessa,
l’nterminabile parola data.

Milo De Angelis
Inedita

MILO DE ANGELIS

Milo De Angelis è nato nel 1951 a Milano, dove insegna in un carcere. E’ considerato una delle più grandi voci della poesia italiana. Ha pubblicato diversi libri di poesie, da Somiglianze (1976) a Terra del viso (1985) a Tema dell’addio (2005, vincitore del Premio Viareggio 2005). Ha tradotto dal francese e dalle lingue classiche. Nel 2008 viene pubblicato un volume che raccoglie tutta la sua opera in versi (Poesie, Oscar Mondadori). Alla fine del 2010 uscirà, sempre presso Mondadori, un nuovo libro di poesie.

VIVIANA NICODEMO

Milanese, dopo gli studi classici, si diploma alla Civica scuola d’Arte Drammatica Piccolo Teatro di Milano. Ha recitato con vari registi e ha fatto diverse letture poetiche (Dante,Tasso, Dickinson, Rilke, Pavese). Artista poliedrica, si è dedicata, oltre al teatro, alla danza contemporanea, alla scultura, alla poesia e alla fotografia. Ha pubblicato nel 2007 Necessità dell’anatomia (Ed. Spirali) con sue fotografie e versi di Milo De Angelis. Ha girato alcuni video legati alla poesia del ‘900, tra cui Un nome della via e Via dell’inizio.

La mostra è accompagnata da un catalogo a cura di Paolo Donini.

Galleria Civica di Palazzo Ducale – Via Giardini 3 – Pavullo nel Frignano (MO)

Via dell’inizio fino al 26 settembre
Orari mostra : martedì e giovedì 15.00 – 18.00
sabato 10.00 – 13.00 e 16.00 – 19.00
domenica e festivi 11.00 – 13.00 e 16.00 – 19.00
Info Ufficio Turistico tel. 0536 29964

www.comune.pavullo-nel-frignano.mo.it

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Yves Bonnefoy

Mi svegliai, era la casa natale,
la schiuma s’abbatteva sulla roccia,
non un uccello, solo il vento ad aprire e chiudere l’onda,
l’odore dell’orizzonte da ogni parte,
cenere, come se le colline celassero un fuoco
che altrove divorava un universo,
passai nella veranda, la tavola era apparecchiata,
l’acqua urtava i piedi del tavolo, la credenza.
Bisognava comunque che entrasse, la senza-volto
che sapevo sbattesse alla porta
del corridoio, dal lato della scala scura, ma invano,
tanto alta era già l’acqua nella sala.
Giravo la maniglia, che resisteva,
quasi sentivo i rumori dell’altra riva,
quelle risa dei bimbi nell’erba alta.
Quei giochi degli altri, per sempre gli altri, nella loro gioia.

da Le assi curve (Mondadori, 2007) La casa natale, Traduzione Italiana di Fabio Scotto

Je m’évellai, c’etait la maison natale,
l’écume s’abattait sur le rocher,
pas un oiseau, le vent seul à ouvrir et fermer la vague,
l’odeur de l’horizon de toutes parts,
cendre, comme si les collines cachaient un feu
qui ailleurs consumait un univers.
Je passai dans la véranda, la table, le buffet.
Il fallait qu’elle entrat pourtant, la sans-visage
que je savais qui secouait la porte
du couloir, du coté de l’escalier sombre, mais en vain,
si haute était dejà l’eau dans la salle.
Je tournais la poignéè, qui résistait,
ces rires des enfants dans l’herbe haute,
ces jeux des autres, à jamais les autres, dans leur joie.

da Les planches courbes  (Mercure de France, 2001) La maison natale 

Yves Bonnefoy, nato a Tours, nel 1923, professore emerito al Collège de France di Parigi, è poeta, prosatore e saggista. Ha tradotto Shakespeare, Donne, Keats, Yeats, Petrarca, Leopardi. Più volte candidato al Nobel per la letteratura, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali. In Italia ha pubblicato diverse raccolte: Movimento e immobilità di Douve (1969), Ieri deserto regnante (1978) Pietra scritta (1985), Nell’insidia della soglia (1990), Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve (2001). Il volume di Tutte le poesie di Bonnefoy è in corso di pubblicazione, a cura di Fabio Scotto, nei Meridiani Mondadori.

Addio a Luciano Erba

È morto a Milano Luciano Erba, uno dei più grandi poeti del Novecento e illustre francesista. Aveva 88 anni.
Erba era nato a Milano il 18 settembre 1922. È stato docente di letteratura francese all’Università Cattolica di Milano. Nel capoluogo lombardo Erba ha sempre vissuto, pur allontanandosi per alcuni lunghi periodi (soggiornò in Svizzera durante la seconda guerra mondiale, poi a Parigi e anche negli Stati Uniti). Si laureò alla Cattolica nel 1947 in lingua e letteratura francese, dedicandosi all’insegnamento, prima nelle scuole superiori e poi all’università. Tradusse vari autori francesi tra i quali Sponde, Cendrars, Michaux, Ponge.

Strinse amicizia con il gruppo dei cattolici del dissenso, tra cui Camillo Maria De Piaz e David Maria Turoldo. Esordì con Linea K nel 1951. Seguirono poi le raccolte Il bel paese (1955), Il prete di Ratana (1959), Il male minore (1960), Il prato più verde (1977), Il nastro di Moebius (1980), Il cerchio aperto (1984), Il tranviere metafisico (1987), L’ippopotamo (1989), Variar del verde (1993), L’ipotesi circense (1995), Nella terra di mezzo (2000).

Quartieri solari

Milano ha tramonti rossi oro.
Un punto di vista come un altro
erano gli orti di periferia
dopo i casoni della «Umanitaria».
Tra siepi di sambuco e alcuni uscioli
fatti di latta e di imposte sconnesse,
l’odore di una fabbrica di caffè
si univa al lontano sentore delle fonderie.
Per quella ruggine che regnava invisibile
Per quel sole che scendeva più vasto
in Piemonte in Francia chissà dove
mi pareva di essere in Europa;
mia madre sapeva benissimo
che non le sarei stato a lungo vicino
eppure sorrideva
su uno sfondo di dalie e di viole ciocche.

da L’ippopotamo, (Einaudi, 1989)

Linea Lombarda

Adoro i pregiudizi, i luoghi comuni
mi piace pensare che in Olanda
ci siano sempre ragazze con gli zoccoli
che a Napoli si suoni il mandolino
che tu mi aspetti un po’ in ansia
quando cambio tra Lambrate e Garibaldi.

da Nella terra di mezzo, (2000)

Milano da sera a mattina

Le nuvole hanno smesso di piovere
sta per ricominciare la sera
i cortili avranno voci più chiare
la luna compie un giro in più.

La felicità vive a notte nel sogno
della città labirinto
un monte in periferia
un vagone abbandonato sulle rotaie.

Superstite del primo Novecento
di case d’epoca lungo i bastioni
resto un borghese di tarda mattina:

per svegliarmi ripasso il latino
campestr silvester paluster
esco, cravatta, scarp luster

da Poesie 1951-2001 (Oscar Mondadori, 2002)

«Il male minore, libro riassuntivo che Luciano Erba pubblica nel 1960, è in qualche modo un punto decisivo di confine. Sia per l’esperienza poetica dell’autore, sia per quella della nostra poesia di questi ultimi decenni. Il primo Erba si era già ben manifestato negli anni Cinquanta: nel ’51 con una consistente plaquette (seguita poi da altre) come Linea K, successivamente con la sua presenza fra i sei poeti della Linea Lombarda di Luciano Anceschi nel ’52, e con la partecipazione, in veste di co-autore (assieme a Piero Chiara) e autore nell’antologia Quarta generazione, del ’54, dedicata ai giovani poeti di allora.
La fisionomia, la novità di Erba, trovano dunque un pieno coronamento proprio alla vigilia della prima antologia dei Novissimi (1961) rispetto ai quali la sua posizione appare totalmente estranea. E in questo periodo di sperimentazioni inizia per Erba, forse non a caso, un lunghissimo silenzio interrotto solo alla fine del decennio successivo, con il volumetto Il prato più verde (1977), ripreso poi in un nuovo libro complessivo, Il nastro di Moebius (1980, comprendente anche Il male minore). E’ forse opportuno aggiungere a queste annotazioni che Edoardo Sanguineti, nella sua Antologia della poesia italiana del Novecento (1969), esclude tutti gli autori della quarta generazione non appartenenti all’avanguardia con due sole eccezioni: Pier Paolo Pasolini e, appunto, Luciano Erba.
Anche attraverso questi segnali si può intuire il carattere di coerenza autonoma della poesia di Luciano Erba. Agli esordi è semmai ravvisabile qualche traccia di illustri esempi come quelli di Eugenio Montale e Vittorio Sereni, ma soprattutto risalta netta, naturale, la sua distanza dall’ermetismo degli anni Quaranta, come dai tentativi di opposizione il più delle volte ingenua del neorealismo. Erba appare subito orientato dal dono di una felice leggerezza naturale del tocco, dalla finezza del gusto, con cui esprime il proprio legame con l’esperienza, con la concretezza dei dati, degli oggetti e delle figure, che egli riesce all’istante a sottrarre all’opacità in virtù di una grazia del dire e di un infallibile equilibrio linguistico, che nella loro piena plausibilità, “normalità”, non hanno alcun bisogno di reticenze o astuzie letterarie, da cui anzi rifuggono. La “piccola magia”, la musica sottile e apparentemente pacata della poesia di Erba, come Il male minore evidenzia al livello più alto, consiste dunque nel rendere leggeri, leggiadri, anche, nella loro presenza, nelle loro movenze, dettagli di un reale altrimenti inerte, o greve, o solo indifferente, fino alle più trascoloranti apparenze spesso affidate, ad esempio, al gioco scenico degli abiti (“Lei portava i calzoni del fratello/ una borsa alla cinghia/ un farsetto come un giustacuore”; “in fondo/ avrebbe voluto la Grande Jeanne/ diventare una signora perbene/ aveva già un cappello/ blu, largo, e con tre giri di tulle” ecc.)
Al disegno della sua poesia contribuisce una formazione culturale che incrocia una tradizione lombarda profondamente sentita con esperienze soprattutto francesi, che comprendono Apollinaire e non escludono Prévert.
Erba finge di porsi ai lati, con marginale eleganza, con discreta ironia fantasiste, rispetto ai percorsi dominanti o ai grandi temi dichiarati, per introdurli più di striscio o in sottinteso, o in improvvisi (ma strutturali) scarti interni, che increspano l’ambigua normalità della vicenda.
L’assenza di Erba in una fase della poesia del nostro tempo è probabilmente il sintomo, di un suo disagio, di una sua insofferenza nei confronti di una sperimentazione, dichiarata o meno (e dunque non solo quella della neoavanguardia), a cui non poteva appartenere, e il suo riapparire non vuole certo introdurre un netto mutamento di stile, tant’è vero che nel Nastro di Moebius riprende testi più antichi, compreso, come si diceva, Il male minore forse nell’idea di un unico libro, composto per successivi accumuli, e perciò sempre da aggiornare, che riassuma un percorso poetico. […]»
di Maurizio Cucchi

Brano tratto dall’antologia Poeti Italiani del Secondo Novecento – Volume Primo (Mondadori, 1996)

Tony Harrison

Leggendo i rotoli: un versi-culo
I.
La Pizia sul suo seggio di pietra
inalando marciume imparò a declamare
prima dell’età di Omero i primi
esametri che un essere umano abbia pronunciato.
Inondato di vapore, l’andatura pigra di drago morto,
il rettile sul suo orlo roccioso,
il putrido serpente, fu il vero
incantatore della vera poesia.

Con pensieri così riconciliavo
gli anni passati a scrivere con l’odore
del gas che perde e fantasticavo
di serpenti quando il fuoco del gas sibilava.
Mi aiutava a concentrarmi, il sibilo
come quello della Pitonessa pestata
che Apollo ridusse a un unico livido,
una pelle di serpente il premio del campione,
pestata così che Apollo potesse
essere l’unico nome tutelare di Delfi.
Bastonò fino alla tana del serpente,
poi barattò la sua clava rivestita di pelle con la lira,
ma ancora aleggiano pezzi fetidi di budella di serpente
quando il dio è sull’onda di un assolo magistrale.
La Musa che faceva la sua manicure
dimenticò di pulire le unghie dal sangue.
Così quando Apollo pizzica le corde
ne esce pura musica con olezzi di serpente.

Per oltre trent’anni passati a scrivere
il miasma che saliva dalla carogna del mostro,
gocciante attraverso il parquet e il tappeto di lana,
è stata l’ispirazione che inalavo.
Ho tollerato quella vaga zaffata
ma ora hanno chiuso i miei rubinetti del gas…
fetidi intestini di rettile, un gas malefico fugge
dai miei tubi di piombo bucati e sfigati.
Non più vecchio gas, grazie a Dio! – CO
quel che il suicida più spesso ha scelto
(e una volta quando provai a scegliere quale,
il gas venne al primo posto insieme con Tyne Bridge).
E’ da lungo tempo che sento sibilare quello del Mare
del Nord
come quello della Pitonessa assopita di Delfi
i cui incrostati intestini e ossa
hanno appena scaricato nei miei bidoni della spazzatura,
con tutti i miei fornelli benché io recalcitrassi –

E’ fortunato che non ne sia esploso nessuno.

Agitazione sopra un simile odore
posso fin da molto piccolo rievocare.
C’è roba stecchita sotto il pavimento
diceva nonno Chiama Freddy Flea .
Fred, per cinquant’anni, aveva girato
con il suo circo di pulci. Ora in pensione
veniva chiamato per aiutare a scovare l’esatto punto
dove erano morti i ratti e guadagnarsi una pinta.
Il canile di alati segugi di Fred
erano mosconi in un contenitore di sapone.
Fred li lasciava andare, e tutto quello che faceva
per scoprire dove i ratti erano morti.
Loro ronzavano e si fermavano. Appena Fred
capiva
il punto dove tutti i suoi seguaci correvano
sollevava un asse di pavimento per svelare
un gatto rancido… voilà voilà.
I segugi di Fred avevano il loro babà.
Poi Fred li prendeva in una piccola rete
e spingeva le loro schiene in uno splendido blu faenza
nel contenitore del sapone.

da: Vuoti di Tony Harrison (Einaudi, 2008)
Traduzione italiana di Giovanni Greco

Tony Harrison, è nato a Leeds nel 1937. Ha vissuto in Inghilterra, Africa, Europa orientale e Stati Uniti. Il suo inconfondibile stile graffiante si affermò con The Loiners (1970). Il poemetto V. trasmesso da Channel Four (1987) suscitò polemiche per la durezza del linguaggio. Harrison ha realizzato diversi “poemi-film”, fra cui Il banchetto dei bestemmiatori, su Salman Rushdie, e Margherite nere per la sposa (Premio Italia 1994 per il documentario). Le sue opere teatrali, scritte in gran parte per il National Theatre e raccolte in tre volumi, sono andate in scena in Inghilterra, a Delfi e in altri teatri antichi e moderni. Vive a New-castel upon Tyne.

Mariangela Gualtieri

Ritorna silenzio
placa tutto di me
in un ascolto teso
mani che lasciano la presa
rombo vuoto di tua intesa
silenzio d’oro d’oro
per più riposo celebrale un calabrone
si posa in cima all’aurora
siamo spezzati dentro la mano
genuflessi nell’ora della costellazione
redenta. Siamo costipati
in questo mondo peno
un giorno migliora questo pilotame
d’argento e dentro ci sono
papaveri e una insonnia per loro.

Fa di me la tua mano.
Prendi questa intesa e getta
piume nella festa de re
piume e un anello prezioso.
Saremo solo schiuma, saremo
un fruscio un velame
quando andremo via.

da: Bestia di Gioia di Mariangela Gualtieri (Einaudi 2010)

Mariangela Gualtieri (nella foto di Rolando Paolo Guerzoni) è nata a Cesena nel 1951. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro della Valdoca. Fra le sue precedenti raccolte di versi, Antenata (Crocetti 1992), Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro (Einaudi 2003), Senza polvere e senza peso (Einaudi 2006), Paesaggio con fratello rotto (Sossella 2007), Bestia di gioia (Einaudi 2010).

www.teatrovaldoca.org

Cesare Viviani

 

Si internerisce il cuore
di fronte all’immobilità di un corpo.
“Oh non mi riconosco nelle parole
di chi gusta il potere!”
Passarono le guerre,
ma non sulla terra, in aria.
E la distruzione fu immaginata, non fatta.
La ferocia induce l’amore,
è bene dirlo.
Così, in un interrogativo, si racchiude
la vita: qual è il mio dio,
qual è il mio nemico?

da: Credere all’invisibile (Einaudi 2009)
(Nella foto, Cesare Viviani a cui è stato conferito, tra gli altri, il Premio P.E.N 2009)

Cesare Viviani è nato a Siena nel 1947. Vive a Milano. I suoi libri di poesia sono: L’ostrabismo cara (Feltrinelli, 1973), Piumana (Guanda 1977), L’amore delle parti (Mondadori 1981), Summulae (Scheiwiller 1983), Merisi (Mondadori 1986), Preghiera nel nome (Mondadori 1990), L’opera lasciata sola (Mondadori 1993), Cori non io (Crocetti, 1994),  Una comunità degli animi (Mondadori 1997), Silenzio dell’universo (Einaudi 2000), Passanti (Mondadodori 2002), La forma della vita (Einaudi, 2005),  un’antologia dei suoi testi poetici, Poesie, (Oscar Mondadori 2003), Credere all’invisibile (Einaudi, 2009).

Residenze Estive 2010

Dal 24 al 27 giugno 2010 si è tenuta a Duino (Trieste) e nella Regione Friuli Venezia Giulia la XI edizione di “Residenze estive, Incontri residenziali di poesia e scrittura” a cura dell’Associazione e rivista Almanacco del Ramo d’Oro in collaborazione con il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico e Il Ramo d’Oro Editore.
Il Festival di poesia e Laboratorio culturale attraversa varie espressioni e contaminazioni artistiche. Un progetto che comprende visioni e prospettive diverse tra loro, ne coglie gli aspetti specifici e crea occasioni di confronto e scambio attraverso rapporti formali e informali, con poeti, scrittori e artisti di diverse tendenze , attraverso letture, seminari, video, esposizioni, performances.
Caratteristica del progetto è la residenzialità “aperta” degli ospiti che soggiornano a Duino (Trieste) nella Foresteria del Castello (Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico) e incontrano il pubblico e gli appassionati di letteratura in diverse occasioni e luoghi, condividendo molti momenti e spazi della vita quotidiana. Il progetto punta sulla riappropriazione di un tempo più disteso, nel quale l’incontro con l’autore non avviene solo nel momento pubblico e già organizzato dello spettacolo. Le letture pubbliche si svolgono in diversi luoghi della Regione Friuli Venezia Giulia e in Istria (Montona-Montovun-Croazia).

“Residenze Estive”, la sfida di Gabriella Musetti
E’ difficile parlare di qualcosa che hai fatto con amore, con dedizione, quasi un figlio che nasce ogni anno dalle viscere di un profondo amore. Questo è per me Residenze Estive: ogni anno una sfida, una scelta di programma, un combattimento con l’incomprensione di chi dovrebbe comprendere. Sono stata insegnante per sei anni al Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico di Duino, comandata dal Ministero della Pubblica Istruzione, ho vissuto con passione questa immersione in un contesto internazionale, con studenti di altissima qualità, provenienti da oltre sessanta Paesi del mondo. Ho imparato da loro, ho scambiato con loro il mio sapere. Mi è rimasta l’utopia pregnante del progetto, la voglia di conoscere gli altri con attenzione, la sfida che non trova limiti. Da quando sono uscita dal Collegio ho il privilegio di poter contare sulle sue strutture per far incontrare poeti e scrittori, nazionali e internazionali, per alcuni giorni in questi magnifici luoghi, carichi di cultura e di storia. Ogni anno è una sfida diversa, ogni anno è una esperienza diversa perché le combinazioni alchemiche della situazione si creano e si vivono nella dimensione che le contiene. L’idea che sorregge tutta la costruzione è quella di far incontrare per alcuni giorni persone che si occupano di poesia e letteratura in modo informale, vivendo insieme in un Collegio per studenti, condividendo le operazioni della vita quotidiana nella massima libertà e calore. Ci sono, certamente, le letture pubbliche degli autori e delle autrici in varie parti della regione e anche in Croazia e Slovenia, data la vicinanza dei territori, e la relazione con diverse associazioni culturali, istituzioni e comunità linguistiche che negli anni hanno consolidato un rapporto con la manifestazione, come la Comunità degli Italiani d’Istria (Croazia), l’EDIT, Casa Editrice degli Italiani di Fiume (Croazia), la Manifestazione itinerante Acque di Acqua che lega poeti provenienti dalla macro regione Alpe Adria (Italia, Slovenia, Austria, Croazia). Quest’anno è stato interessante attraversare la cultura degli Italiani d’Istria nella Comunità di Montona, dove ci siamo recati il giorno 27 giugno, come negli anni passati a Rovigno, e a Grisignana d’Istria, senza contare Tomaj e Sezana, in Slovenia, luoghi del poeta Kosovel, che abbiamo conosciuto nelle sue dimore e scritture. Come è stato bello leggere poesia sul sentiero Rilke di Duino, attraversare con letture poetiche realtà particolari come l’ex Ospedale Psichiatrico di Trieste, o Casarsa della Delizia, negli spazi speciali di affetto e di linguaggio materno di Pasolini. La parte più significativa delle Residenze, tuttavia, è proprio nell’incontro delle persone invitate e ospiti, in quelle sezioni informali che sono i “caffé e libri sul prato” dove si parla a ruota libera di progetti in fieri, dove si propongono letture ancora in progress, dove ci si sbilancia in un confronto alla pari tra chi è presente, sia esso ospite o pubblico convenuto. Questo aspetto che consente un rapporto discreto, informale, spontaneo e nello stesso tempo organizzato, che si può protrarre a pranzo, o facendo una passeggiata sulla costiera a picco sul mare, o assaggiando un frutto o prendendo un caffé insieme ad altri, consente spazi di conversazione non rubati all’efficienza perfomativa degli eventi, e rappresenta il succo di questa esperienza, a mezza strada tra una residenza di scrittura vera e propria e un festival tradizionale. Quest’anno la manifestazione ha festeggiato il suo undicesimo anno: non so dire quali esperienze siano state più significative in questi anni trascorsi, ogni anno rappresenta una caratteristica a sé, con i suoi bagliori e le sue specificità. Posso dire che ogni anno è una scoperta nuova, un modello che si rinnova completamente anche se l’impronta è la medesima, tanto è vero che numerose autrici e autori ripropongono la propria presenza, da affezionati, nel rinnovamento generale delle presenze.


Juan Octavio Prenz
Radici

Parliamo una lingua che qualcuno ci ha portato
da tempo e da un luogo lontano.
Forse ci ricordiamo appena il colore delle labbra
e la voce del donatore o invasore.

Il mondo è pieno di portatori di lingue
come riconoscerli?

Pervertiti da ideologie e storie
trasformiamo in doni gli oggetti imposti,
li modifichiamo con garbo
(per salvare qualche antica colpa?)
per avere anche noi il diritto
di essere

donatori.
da: Antologia poetica, Hammerle Editori, Opicina (Trieste) 2006

Sui passi di Rilke
di Enzo Santese
Il Festival Residenze estive è una proposta culturale che si presenta come un caleidoscopio di moduli espressivi e di umori caratteriali (ben evidenti nelle opere dei partecipanti), aggregati per l’occasione in un complesso che, nell’eterogeneità degli invitati e nella qualità delle “voci” impegnate, esibisce il tratto di un evento importante per questa zona centrale d’Europa, eppure ancor poco considerato (a torto!) dalle istituzioni in rapporto alle potenzialità di confronto e approfondimento di cui è capace.
Sui passi di Rilke si consuma un rito ogni anno sempre diverso (si è svolta quest’anno l’XI edizione), che ha proprio nell’assenza di ripetitività il suo slancio di seduzione e di novità: persone che nella scrittura trasfondono la propria tensione di conoscenza e di comunicazione con se stessi e con gli altri, uscendo dalla referenzialità, che è la “turris eburnea” in cui spesso si genera il rischio di un atteggiamento solipsistico. Ecco, con l’auspicio forte e intenso di Gabriella Musetti – che delle lettere conosce le potenzialità di gioie e sofferenze, frequentandole con un costante approccio al fatto creativo e a quello critico – nella foresteria del Castello di Duino, solitamente sede di un’internazionalità scritta nella vocazione del luogo e della sua collocazione geografica, si struttura una temporanea coesione di stili, forme espressive, tensioni intellettuali e lungo il sentiero Rilke, nel concerto di falesie emergenti dal suolo del sentiero, nei piazzali che consentono di provare la vertigine dello strapiombo, intellettuali molto differenti tra loro hanno percorso l’incanto della coesione in un coro variegato di umori e di pensieri.
L’occasione, come poche in regione, ha uno spessore culturale leggibile non solo nelle presenze, ma negli approfondimenti effettivi che si realizzano nei giorni di svolgimento; le più varie calibrature (formative, professionali e umane) entrano in un circuito dove le frequenze intellettuali, emotive e sentimentali talora si attestano a un livello di corposa efficacia nella persistenza del ricordo, che se ne mantiene anche dopo la conclusione della kermesse.
L’apertura del festival con la “passeggiata collettiva” sul sentiero Rilke ha mostrato ampiamente come la poesia e la letteratura in genere (quella che sfugge alla logica della ricerca spasmodica di effetti “a tutti i costi” sull’uditorio), quando escono dai luoghi deputati a contenerne ufficialmente le risonanze, riesce a intercettare l’attenzione di un pubblico eterogeneo. Lo ha dimostrato anche la curiosità dei turisti che sul medesimo sentiero si sono ritrovati sulla “rotta” di poeti e scrittori, impegnati a leggere alcuni personali pensieri affidati all’armonia della poesia oppure alle cadenze della prosa.
 
Più di tutto i volti, le voci, le parole
di Nicoletta Buonapace
Più di tutto i volti, le voci, le parole.
Più di tutto la luce che cade sui corpi, che illumina gli occhi, che rivela e insieme confonde.
Poesia di parola e di gesti, di espressioni improvvise e misteriose, di nuovo stupore.
Più di tutto il sogno d’un sentiero a picco sul mare, illuminato da una luna che sorge, rossa, nella notte. Più di tutto, uno stupore di bambini.
L’emozione di parole che si sollevano sulla strada, coraggiose e che attraversano il rumore, insinuandosi tra i piedi e le teste.
E il risuonare d’un canto antico.
Strade di memoria amata: Rilke, Joice, Svevo.
Trieste magica e bianca, che  vedevo per la prima volta.
Un mare così profondo e blu da immaginare subito altro mare, altre terre, altre lingue, come confini da attraversare più che da segnare, da ascoltare più che possedere: vivere e costruire la pace.
Ricordo mille suoni di-versi tra le rose.
Ricordo occhi liquidi e chiari, una saggezza timida.
Ricordo la fragilità dentro la forza, il coraggio e il pudore e il sorriso, moneta rara in questo tempo di voci gridate, senza pudore, violente.
Ricordo voci e parole e corpi di donne.
Un’intelligenza del mondo che si fa tenerezza, ribellione, coscienza lucida.
Una parola che ho sentito incarnata sempre, nel segno dell’originalità, la conquista mai gratuita d’una parola che ha trovato per sé libertà e che si è data esistenza nel mondo.
Il senso del limite, della parzialità cui ci consegna il corpo, così preziosa per poter incontrarsi nell’autenticità, di là dalla prepotenza e dalla bugia dell’universalità.
Più di tutto i volti, le voci, le parole.
Più di tutto, l’intervallo del silenzio all’ombra degli ippocastani.
Più di tutto il misterioso incontrarsi, la tessitura leggera di pensieri, di risate, di strada percorsa insieme che rimane come una specie di filo d’aquilone lieve e leggero tra noi e che scompare, tra le nuvole, per un altrove dove c’incontreremo forse ancora, le parole che ancora nasceranno.
Più di tutto, l’amore per la parola che vuol dire, oggi, per me, ancora, amore del mondo.

Marco Marangoni
Ad un presente aperto, ad un risveglio
guardi, pensi e affidi il giorno,
uno ti senti
col vicino

che non conosci, ma ti è dentro
com’ogni cosa è mondo, inesausto
desiderio. Pioggia, sole

ti seminano un raccolto,
ti fanno serio…
chi lavora a un sorriso, chi ad un sogno
Da: Per quale avventura Raffaelli Editore, 2007

Poesia con gli altri, poesia negli altri
di Monica Pavani
Più cerco di star vicino alla poesia e più mi rendo conto che è una strana bestia: se la si legge, o la si scrive, è inevitabile sentire la mancanza di qualcuno lì a fianco, che ascolta, o che a sua volta legge. E a volte, in mezzo a tante persone, o a tanto parlare, si sente la mancanza di quel silenzio assoluto, di quella solitudine che si riempie senza le parole.
Le Residenze estive hanno il grande pregio di consentire entrambi questi momenti, che vengono ugualmente rispettati. Il maggiore equilibrio, e la maggiore intensità, io li sento durante le letture: quando ognuno offre quello che ha, si denuda fin dove può e dove vuole, con umiltà e con coraggio. È un momento impagabile, ciascuno prende possesso di un frammento di tempo, prova a riempirlo di qualcosa che sia condivisibile, con serietà o con ironia, con acume o innocenza poco importa. Importa il mettersi a nudo. Ed essere pronti ad accettarlo dagli altri, con felicità e grandissima festa: la poesia è libertà. È una porta sempre aperta a patto che si sia leali con sé e con gli altri. Se non è questo a cosa ci serve?
Quello che – dall’altra parte – avverto subito è invece la pesantezza dell’ideologia, di qualsiasi ideologia. O filosofia. Per me sono equivalenti e ugualmente estranee a ciò che sento essere il territorio franco della poesia: le porte si chiudono, la verità sembra una cosa e non un’altra, una cosa e non il suo contrario, un colore e non il suo complementare. E i conti tornano, ma la poesia è quel foglio da partita doppia che si moltiplica all’infinito o si annulla, dove i conti non solo non tornano mai ma soprattutto non importano.
Ringrazio Octavio Prenz, che mi ha detto: “Per me la poesia deve cantare”. Questa frase racchiude tutto quello che vorrei dire, quello che vorrei avere da dare e da mettere in comune, sullo stesso tavolo. Uno stesso pane di cui si mangia tutti, con grande commozione e grande euforia, perché grande è la fortuna di averlo.
Quello che canta unisce, fa sentire. Quello che pensa divide, fa ragionare.

Stefano Guglielmin
18.
sui negri non ha nulla da dire, ma per principio
a nessuno volta la schiena. nemmeno al giallo crespo del tatto
quando lei, dolce, lo scuote. vorrebbe il suo cane obbediente
invece la bestia sbava dal labbro, lascia le feci in cucina.
di notte, tutto questo lo sfianca, gli bagna il nervo spinale.

23.
poi c’è l’anima universale, la ghisa su cui tutto cresce.
anche l’azzardo in bilico sul vuoto, che è altro modo d’intendere
lo spazio, quel solido nulla dove la vita trottola e canticchia.
pare che sotto ci sia un formicolio di gente, una teppa scura
che ringhia. lui però vede la luce ovunque, paga da bere ai cani.

28.
teme la morte perché non viene a mezzadria. dopocena, poi
lascia i vermi sul piatto e non dà il resto. lui preferisce
il negozio: dare e avere, comprare. ma la morte è una bocca
impagabile, una ciste che va in fregola appena la sfiora.
quando la tocca, tutta la madre trema.
da: C’è bufera dentro la madre, l’Arcolaio, Forlì 2010

Come muore la nostra lingua a due passi da casa Italia
di Loredana Magazzeni
Scrive Margaret Atwood in “Marsh languages (Lingue di palude)”che le lingue sono l’humus della terra e che esse lottano come i popoli per non morire: “Le lingue dolci e scure vengono zittite:/Madrelingua Madrelingua Madrelingua/ una dopo l’altra ricadono nella luna”.
Questo accade a due passi da casa nostra, nella verde e accogliente Croazia, dove la minoranza italiana fa sentire la sua voce attraverso editori e riviste (la casa editrice Edit di Fiume, la rivista La Battana, ad esempio), nell’indifferenza generale della madre patria, che pure si è impegnata, per legge, a garantire la salvaguardia di ogni minoranza linguistica al suo interno, ma anche fuori dai confini. Francia e Inghilterra ci hanno insegnato in passato l’orgoglio della lingua ed il senso di appartenenza che ne scaturisce. Hanno favorito una letteratura oggi fiorente di studi postcoloniali, sono impegnate a garantire la salvaguardia della lingua d’origine fuori dai confini, inglobandola nel sistema letterario nazionale.
Cosa sappiamo invece noi degli italiani di Croazia? Delle opere, dei libri di poesia e dei romanzi da essi prodotti? Quasi nulla, se non per alcuni (pochi) nomi eccellenti della letteratura istro-quarnerina che hanno fortunatamente varcato i confini (Anna Maria Mori, Nelida Milani, Giacomo Scotti, Fulvio Tomizza, Osvaldo Ramous, Mario Schiavato, Lucifero Martini, Alessandro Damiani, Ester Barlessi, ad esempio).
“I confini noi li attraverseremo”, scrive Ingeborg Bachman, sapendo che i confini si scrivono e si riscrivono continuamente, sulla pelle dei confinanti, che qui hanno casa e di là hanno parenti, che qui vivono e di là pensano, in madrelingua. Schengen è una porta enigmatica dentro la casa Europa, una porta invisibile e soprattutto culturale, una porta dell’immaginario che ancora una volta separa un qui da un fuori di qui, un noi da un altro da noi. Anche quando l’altro da noi parla la nostra stessa lingua, oltre all’altra lingua in cui è immerso, la padroneggia in modo impeccabile, ha dunque gli stessi nostri padri e madri letterari, le nostre stesse radici.
Queste brevi riflessioni mi sono scaturite dall’incontro con Silvio Forza, direttore della casa editrice Edit, a Fiume, che ci ha accolto a Montona d’Istria, in Croazia, all’interno delle intense giornate culturali di Residenze Estive 2010, organizzate ogni anno dall’Associazione Culturale e Rivista Almanacco del Ramo d’Oro in collaborazione con Il Ramo d’Oro Editore e il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico di Duino (Ts), durante le quali si sta insieme, si parla di poesia e letteratura, ospiti nella Foresteria del Collegio, si visitano luoghi letterari topici delle culture di questi luoghi di confine (la casa materna di Pier Paolo Pasolini, a Casarsa della Delizia, quest’anno, ma anche la casa natale del poeta Srečko Kosovel a Tomaj, frazione di Sežana, in Slovenia, lo scorso anno), si incontrano poeti e scrittori in lingua italiana, slovena, croata, grica e nei dialetti locali.
La Comunità degli Italiani d’Istria, di cui Forza ci ha portato in prima persona la testimonianza, sta sperimentando sulla propria pelle la “possibilità di vivere una identità multipla” (sono parole di Forza), di praticare dunque la condizione moderna per eccellenza, quella del nomadismo culturale, crosspassando da una cultura all’altra, ed in questo esercitando una elasticità mentale e una produzione in assenza che ne fa per noi un fenomeno cui guardare con vivo interesse.
Manca, a detta di Forza, un mito fondativo di questa nuova cultura italiana istriana. Mentre la Croazia ha coltivato il topos dell’incomprensione e dell’ingiustizia, del sentirsi “umiliati e offesi”, gli italiani d’Istria hanno accarezzato a lungo il tema del nostos, della nostalgia dolorosa per la casa persa ed il tema altrettanto doloroso dell’esodo. Ecco che l’Istria, da luogo di confine, praticato solo come piacevole meta vacanziera dalle nostre pacificate e inconsapevoli coscienze, ci offre un’altra chiave di lettura, più complessa e articolata, ci apre a un’altra esigenza esistenziale, fatta di recupero linguistico ed identitario: fare i conti col passato per capire un presente sempre più multiculturale.

Luigia Sorrentino
il cerchio legato alle caviglie batte
alla forma del piede
che imprime da sé fino all’altro
non ci sono che piedi,
camminamenti
come obbedendo

avvicinandomi
ogni volta mi hanno detto allontànati
non distendere la lingua
sullo steccato

forma ripetuta molte volte sulla muratura
ho sbagliato la pronuncia
le gambe
hanno tenuto
il nome della ferita
palpebre chiuse hanno asciugato
il fiore del mandorlo o più lontano
il movimento nella corteccia
nel feretro,
con la bocca piena di terra
(Inedito)



Il programma
Giovedì 24 giugno
Ore 18:00 Duino (Trieste) – Sentiero Rilke
Conversazioni letterarie e letture poetiche di Marina Giovannelli, Giulia Ciarpaglini, Monica Pavani, Marina Moretti, Christian Sinicco, Luciana Tufani, Roberto Dedenaro, Luca Visentini, Marko Kravos, Enzo Santese, Melita Richter, Silvio Cumpeta, Alberto Princis, Cristina Miceli, Maurizio Mattiluzza e altri. 
Ore 19:00 Duino (Trieste) – Lecture Room del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico
(In collaborazione con la Fondazione Cesare Pavese)
Visione del documentario “Cesare Pavese. Ritratto” di Andrea Icardi.
La breve vita dello scrittore piemontese, nato a Santo Stefano Belbo (nelle Langhe) il 9 settembre 1908 e morto suicida a Torino il 26 agosto 1950, raccontata da amici, parenti e colleghi, nel centenario della sua nascita.
 
Venerdì 25 giugno
Ore 10.30 Casarsa della Delizia (Pordenone) – Casa materna di P. P. Pasolini
(In collaborazione con il Centro Studi Pier Paolo Pasolini)
Itinerari nei luoghi della vita del giovane Pasolini. A cura di Angela Felice e Piera Rizzolatti.
Visita della mostra “Scatti per Pasolini” di Mario Dondero. Trentun foto in mostra, in cui il fotografo ha fissato l’ amico Pier Paolo, nel fervore creativo della Roma degli anni Sessanta, sul set del film “La ricotta” nelle riprese per l’inchiesta “Comizi d’amore”, alla moviola nel 1963 per il dibattuto film-documentario “La rabbia”, o ancora, in momenti di silenziosa rilassatezza privata, con l’amata madre Susanna e con i confidenti di una vita, Moravia, Parise, Penna, la Maraini e, naturalmente, Laura Betti.
Letture poetiche. Partecipano, tra gli altri, Octavio ed Elvira Prenz.
Ore 19:00 Trieste – Parco di San Giovanni – Roseto del Parco
(In collaborazione con Oh, Poetico Parco e festival Itinerante della poesia “Acque di Acqua”)
Letture poetiche di: Mila Bratina, Marco Marangoni, Miha Obit, Brenda Porster, Maria Pia Quintavalla, Giacomo Sandron, Luigia Sorrentino
Ore 20:00 – Spazio Rosa
Visione del cortometraggio “La taranta” di Gianfranco Mingozzi (Italia, 1962).

Il primo documento filmato dal tarantismo salentino. Commento poetico alle immagini di Salvatore Quasimodo. Breve introduzione del volume di Giuseppe Pinna, “Lo sguardo della taranta, il Salento nelle fotografie di Franco Pinna” (Edizioni Kurumuny, Archivio Franco Pinna, Calimera/Roma 2010).
 
Sabato 26 giugno
Ore 10:00 – 12:00 Duino (Trieste) Prato della Foresteria del Collegio
Caffè e libri sul prato, coversazioni letterarie, presentazioni di libri e letture poetiche informali.
Ore 17:30 Trieste – Antico caffè Tommaseo
Conversazioni su “Poesia contemporanea italiana e traduzione di poesia”
Introducono: Fabrizio Fantoni, Stefano Guglielmin e Marco Marangoni
Con: Mariella Grande, Marko Kravos, Loredana Magazzeni, Gabriella Musetti, Monica Pavani, Brenda Porster, Aleksij Pregarc, Octavio Prenz, Maria Quintavalla, Luigia Sorrentino, Mary Barbara Tolusso.
Intermezzi musicali di Adriana Giacchetta – voce, percussioni, Max Jurcev – fisarmonica.
 
Riportiamo la poesia in strada e in piazza per far comprendere ai politici che è cosa viva, davanti alla libreria di Umberto Saba.
 
Domenica 27 giugno
Ore 10:30 Montona-Motovun (Croazia)
Visita alla cittadina istriana e incontro con la Comunità degli italiani in Croazia.
Ore 16.30 Piazza Municipale
“Panorama sulla letteratura degli italiani in Croazia e Slovenia” a cura di Silvio Forza. Letture poetiche dei partecipanti con la partecipazione di Giacomo Scotti, Laura Marchig, Nelida Dilani.
Ore 18:00 Comunità degli italiani
Visione del cortometraggio “Appunti inutili” (Italia, 2006) di Diego Cenetiempo e Daniele Trani. Liberamente tratto dall’omonimo diario poetico (1946-1955) di Virgilio Giotti.
 
Hanno partecipato: Mila Bratina, Nicoletta Buonapace, Diego Cenetiempo, Giulia Ciarpaglini, Silvio Cumpeta, Roberto Dedenaro, Claudio Domini, Fabrizio Fantoni, Silvio Forza, Marina Giovannelli, Mariella Grande, Claudio Grisancich, Stefano Guglielmin, Loredana Magazzeni, Marco Marangoni, Laura Marchig, Maurizio Mattiuzza, Cristina Miceli, Nelida Milani, Jolka Milic, Marina Moretti, Gabriella Musetti, Miha Obit, Marko Kravos,  Monica Pavani, Brenda Porster, Aleksij Pregarc, Octavio Prenz, Alberto Princis, Maria Pia Quintavalla, Melita Richter, Giacomo Sandron, Enzo Santese, Giacomo Scotti, Christian Sinicco, Luigia Sorrentino, Mary Barbara Tolusso, Luciana Tufani, Luca Visentini.
 
Con il patrocinio della Casa della letteratura di Trieste

Premio Lampedusa alla memoria di Francesco Orlando

“La doppia seduzione” (Einaudi) di Francesco Orlando, il noto francesista siciliano allievo dell’autore de “Il Gattopardo” scomparso lo scorso 22 giugno, è il vincitore della settima edizione del Premio Letterario Internazionale “Giuseppe Tomasi di Lampedusa”.
“Romanzo d’intimità sofferta che esalta il valore liberatorio della parola scritta. Raffinata narrazione, fatta di allusioni, di pulsioni emozionali, di erotismo represso ed inespresso filtrati da una cifra di scrittura elegante e colta”, così si esprime la giuria del Premio, presieduta da Gioacchino Lanza Tomasi, che si avvale della preziosa collaborazione di Salvatore Silvano Nigro, Mercedes Monmany Molina De La Torre, Gea Schirò e Pasquale Hamel.
Francesco Orlando, riconosciuto e apprezzato come raffinato intellettuale, critico letterario, musicologo e docente universitario di rara intelligenza, sensibilità e carisma, aveva da poco deciso di pubblicare “La doppia seduzione” (pp. 156 – euro 13,00), un romanzo che l’autore aveva già in mente sin dagli anni Cinquanta, la prima stesura risale infatti al 1956, ma che negli anni ha subito varie riscritture prima di essere dato alle stampe nella primavera di quest’anno.

Una lunga gestazione che ha attraversato più di mezzo secolo, un libro che raccoglie le due anime di Orlando, quella giovanile e quella senile, un romanzo d’esordio a settantasei anni, su un tema delicato qual è quello dell’omosessualità.

“La doppia seduzione” è ambientato nel secolo scorso, alla fine degli anni Quaranta, in una città del Sud, un meridione che Orlando conosce molto bene, protagonisti del libro Ferdinando e Mario, due giovani con tendenze sessuali opposte, legati da un indissolubile affetto che li farà precipitare in una spirale di drammatica violenza.

“Trovo magistralmente ben narrata la squallida storia, perfettamente collegati i movimenti psicologici. Gli ultimi tre capitoli sono i migliori: vi è una reale progressione drammatica, come dicevano gli antichi; e in tutta l’opera del resto, la sensazione “temporale” è eccellentemente resa. I capitoli finali sono avvolti in una luce di grigia poesia”.

Così scrisse di questo libro, letto inedito in un abbozzo giovanile, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Per aggiungere, dopo una serie di osservazioni stilistiche costruttive: “Queste mende sono poche; il riferimento a loro occupa molta carta, ma il loro valore è minimo in confronto della salda bellezza dell’opera”. Il celebre critico e teorico letterario scrisse ventenne un romanzo idealmente suggerito dall’autore del Gattopardo, lo lasciò quarant’anni in un cassetto, l’ha riscritto dai 65 ai 75 anni. I decenni intercorsi trasformano oggi in un romanzo storico quello che non lo era nei primi anni Cinquanta.

Il riconoscimento al romanzo e alla memoria di Francesco Orlando avverrà sabato 7 agosto, (ore 20.30), nel corso della cerimonia di premiazione che si terrà a Palazzo Filangeri di Cutò a Santa Margherita di Belice. A ritirare il Premio Luciano Pellegrini, figlio adottivo dello scrittore palermitano.

Anche quest’anno a far da prologo alla serata del 7 agosto ci saranno quattro appuntamenti legati agli eventi
culturali della “Settimana Gattopardiana”, con proiezioni, dibattiti, presentazioni di libri e spettacoli teatrali.

Mario Benedetti, Materiali di un’identità

In “Materiali di un’identità” (Transeuropa Edizioni 2010, euro 9,50) – prefazione di Antonella Anedda – Mario Benedetti ci presenta una nuova poetica, di forte impatto emotivo.
L’autore calandosi nella sua relazione più intima – l’esperienza della poesia – smaterializza, decompone, disintegra, l’identità dell’uno per consegnare al lettore un corpo poetico dai molteplici significati, chiusi all’interno dell’opera.
Il libro è suddiviso in sei sezioni, La lacerazione del vertice, Ti ricordi?, A metà sulla terra, a metà nel cielo, Maggio 2009 (Intervista con Claudia Crocco), Mi ricordi?, Biosfere.
Ne La lacerazione del vertice scritto in una tipologia testuale saggistica, Benedetti spezzetta frammenti di identità che sospendono il materializzarsi di una sola – di soltanto una – identità e, al tempo stesso, compatta e aderisce a un percorso poetico assoluto che l’identità contiene e ricompone, attraversamento che si realizza a partire da un’iniziazione, un reclutamento.
Chi è veramente quella persona in cui vive e si muove la poesia?
Benedetti sa e non sa.
L’identità del poeta è e rimane un’entità misteriosa. Di essa si può dire solo che è nascosta nel fondo dell’essere e che viene rivelata dalla parola che si fa poesia.
Come accede Benedetti a quel fondo?
“So da chi iniziare e come”, scrive, “ma fino a un certo punto”.
Dopo questa ammissione e presa di distanza (so-non so) Benedetti spalanca il suo laboratorio segreto: il filosofo Michaelstaedter innanzitutto, ma anche Apollinaire, Bataille, Rilke, Celan, Bonnefoy e, Beppe Salvia. Tutti i reclutati hanno un comune denominatore, parlano della stessa cosa, l’anima del mondo.

La “trasparenza” produce “frammenti” scrive Benedetti. Eppure e da lì che viene il dato concreto, esperienziale. Il discorso parte da questi materiali e procede per brandelli – assonanze, interruzioni, intermittenze – fino a raggiungere “la scossa estetica”, il brivido che percorre la colonna vertebrale quando ci si trova di fronte a un’apparizione, a un’immagine divina.

Da quel lontano arriva il timbro inconfondibile della parola che innalza il corpo della poesia: “Gente passava e vi cercavo il mio corpo./ Tutti quelli che sopraggiungevano e non erano me stesso portavano a uno a uno (forse a due a due, coppia amante) i pezzi (gli arti) di me stesso. Mi costruivano a poco a poco come si innalza una torre. Popoli si accatastavano e io apparivo / formato da tutti i corpi e le cose umane.” Qui Benedetti riprende e traduce la prima strofa della poesia Cortège dalla raccolta Alcools di Guillaume Apollinaire. Il discorso però si interrompe bruscamente: “Mi fermo al primo corpo”, scrive Benedetti, “oltre non so andare”. Un atto di rinuncia dopo un’estrema tensione nel corpo della poesia, nell’angoscia-lacerazione, il silenzio, la parola che si chiude, il sacrificio – rendere sacro – il separarsi da – atto propiziatorio – non proseguire, non andare oltre, perché in quel primo corpo c’è già tutto. “Addio versi di Cortège”, scrive Benedetti, “addio torre innalzata. Popoli. Ho le pastiglie per la notte. Guardo i comignoli mentre altri guardano altro. Vado a letto tra poco. E’ tutto.”
Ed è proprio là, nella battuta di arresto, in quello spazio e in quel tempo indefinito, che il vertice si lacera.

“Spiel mit mir ein Spiel, Spiel mit mir ein Spiel” (gioca con me un gioco , gioca con me un gioco) scrive Benedetti riportando una frase tratta da Sehnsucht dei Rammstein. “Tutto si fa diverso – registra il poeta – in questo fragore. Persecutorio. Ossessione compulsiva che non libera. Accompagna. Si ripete.”

Vi è esposizione del corpo in questo libro, materia, ma anche eccedenza della materia. Perché è traboccando, debordando, che si vanifica il senso del nostro limite, la finitude di cui scrive Benedetti richiamando Bonnefoy che “è tutta dappertutto”. Ecco che i materiali del poeta sfiorano o fuoriescono da altri materiali senza mai del tutto concedersi a uno solo. Materiali che sono, ancora una volta, riconoscimento – so da dove vengo – ma anche separazione – non so chi sono -.

“Terrore per la dismisura” scrive Benedetti “di fronte a cui la via seguita non è l’eccedere, l’ ‘ esplodere’ di Bataille ma l’implodere…” E ancora è il “bianco” di cui parla Beppe Salvia a “snebbiare le parole”, ad avere l’effetto di annullare ogni relazione tra le cose, fino a renderle equivalenti, a placare la tensione dall’interno, a scaldare la misura , “la bianca bianca eroina”…

Il corpo tragico di Benedetti si spezza, più e più volte, nel silenzio: “L’intimo della cosa è la sua discrezione, riservatezza, il suo saper mantenere un segreto, ed è pure il suo incantesimo, il suo rimanere ‘incantata’, in qualche modo un suo particolare silenzio.”
Chiuso nell’invisibile, nel vuoto della parola, il corpo indomabile precipita: “Riguardo al mio morire è stato per me un difendersi, un difendersi strenuamente. Non più. Ma non faccio fatica. Come dentro un’epidemia vivo nel casuale.”
La materia viva si contrappone o si sovrappone a altra materia, fino a diventare crosta, strato su strato, come nei gretti di Burri, ma essa è anche materiale umano nel suo disfarsi, che si porta verso il morire.

Figure si schiariscono in forme e essenze che non ci sono, o che non ci sono più: “Essere qui è molto”, scriveva Rilke nella nona elegia, la penultima, “tutto qui ha bisogno di noi”, ma questo stato, questo stato terreno, non sembra revocabile, ci accade una sola volta. Mai più. L’essere transitorio, perituro, caduco di cui parla Benedetti è il non revocabile, il terreno, di cui parla Rilke. Ecco dunque che nell’ultima sezione Biosfere, il poeta ci parla di un fegato “appuntato con gli spilli”, prima di cadere nella malattia del “poco respiro”, dove si soffoca: “… lo so,/ che tutto è qui, adesso, con tutto quello che c’è, di me e di noi.”

di Luigia Sorrentino

«Sono uscito di mattina prima di partire, di corsa fino alla chiesa per vedere l’interno. Ho preso del vino, delle caramelle per il viaggio. Ho fatto colazione. Non so, cosa dovevo fare?
Che cosa si deve fare? Dico anche i vestiti, il caldo alle mani, il guardare le mani rigirandole…»
Da ‘Materiali di un’identità’ di Mario Benedetti

Mario Benedetti è nato a Udine nel 1955. Vive a Milano.
Ha pubblicato fra l’altro le raccolte I secoli della Primavera, Sestante, Ripatransone 1992, Umana gloria, Mondadori, Milano 2004 e Pitture nere su carta, Mondadori, Milano 2008 (Premio “Stephen Dedalus” 2009).
Ha tradotto il volume antologico delle poesie di Michel Deguy, Arresti frequenti, Luca Sossella, Roma 2007. Ha curato per gli Oscar Mondadori l’antologia Bloggirls – Voci femminili dalla Rete. Collabora all’Almanacco dello Specchio di Mondadori.

Ingeborg Backmann e Paul Celan

Ognuno parla con la colpa dell’amore: è il titolo del convegno sulla profonda e tormentata relazione tra due dei più grandi poeti del Novecento, Ingeborg Bachmann e Paul Celan.
Il 15 e il 16 giugno 2010, presso la Villa Sciarra-Wurts sul Gianicolo (via Calandrelli 25, Roma), sono previste due giornate di studio e discussione sull’intenso carteggio tra i due autori, appena pubblicato dalle edizioni nottetempo con il titolo Troviamo le parole. Lettere 1948-1973 (pagine 336, euro 25,00).
Promosso dall’Istituto Italiano di Studi Germanici e dall’Università Sapienza di Roma, in occasione della pubblicazione del libro, il convegno ospiterà gli interventi di traduttori, scrittori, germanisti, latinisti, curatori, filosofi ed editori: da Franco Serpa, latinista e musicologo, al filosofo Giorgio Agamben; dallo studioso Clemens Härle al germanista Franz Haas; da Ginevra Bompiani di nottetempo a Thomas Sparr di Suhrkamp Verlag.
Durante gli incontri si parlerà dell’intensa storia d’amore e d’amicizia che legò Ingeborg Bachmann e Paul Celan per quasi 25 anni, dal loro incontro a Vienna nel 1947 al tragico suicidio del poeta nella Senna nel 1970. Il legame tra i due fu senza dubbio uno dei capitoli più drammatici della storia della letteratura contemporanea, testimoniato icasticamente dal quel loro primo, folgorante incontro: lei era una diciottenne austriaca, “in fuga” dalle ingombranti colpe di una patria e un padre nazisti; lui un giovane ebreo, fuggito dalla Romania e scampato ai campi di concentramento, dove aveva appena perso tutta la famiglia.
Oltre al dibattito, il convegno sarà arricchito da una mostra fotografica e documentaria, a cura di Christine Koschel e Inge von Weidenbaum, con le fotografie di Garibaldi Schwarze.

Il programma
Martedì 15 giugno, ore 15.30
Francesco Maione (traduttore, Napoli)
Urs Faes (scrittore, Zurigo)
Clemens Härle (germanista, Università di Siena)
Franz Haas (germanista, Università di Milano)
Rita Svandrlik (germanista, Università di Firenze)
Camilla Miglio (germanista, Sapienza Università di Roma)
Inge von Weidenbaum (curatrice dell’opera di Ingeborg Bachmann, Roma)

Mercoledì 16 giugno 2010, ore 15.30
Ginevra Bompiani (nottetempo, Roma)
Giorgio Agamben (filiosofo, Roma)
Franco Serpa (latinista e musicologo, Roma)
Thomas Sparr (Suhrkamp Verlag, Berlino)
Marianne Ufer (germanista, Roma)

Ingeborg Bachmann e Paul Celan, due fra le più grandi figure letterarie e poetiche del ‘900, si sono scritti per 19 anni tra amore e dissapori, amicizia e incomprensione, silenzi e disperazione, sempre alla ricerca delle parole che li facessero incontrare. Quegli anni tormentati furono, per Celan, anche i più cupi: il poeta affondava lentamente nel suo dolore, chiuso in se stesso per l’incomprensione dei critici, l’infedeltà degli amici e per «hitleria, hitleria…», fino al tragico suicidio nella Senna. All’intenso carteggio tra la Bachmann e Celan, si uniscono, verso il 1960, le voci di Gisèle Lestrange, sposa di Paul, e Max Frisch, nuovo compagno di Ingeborg. Leggere queste lettere vuol dire assistere impotenti e abbagliati alla nuda vita di uomini e donne straordinari, autentici, straziati. Il lettore accederà con impudicizia ai loro pensieri ed emozioni segreti. Con meraviglia e, forse, con timorosa vergogna.
Ingeborg Bachmann (1926-1973) è autrice di romanzi, poesie e opere teatrali. Tra i suoi libri ricordiamo Malina, Il trentesimo anno e Invocazione all’Orsa Maggiore. Per nottetempo nel 2008 è uscito Lettere a Felician.

Paul Celan (1920-1970), figlio di genitori ebreo-rumeni morti in un lager nazista, e sopravvissuto lui stesso a un campo di lavoro, è un altissimo poeta di lingua tedesca e grande traduttore. Le sue opere sono raccolte in Poesie, Mondadori, 1998.
Il convegno Ingeborg Bachmann – Paul Celan. Ognuno parla con la colpa dell’amore è promosso dall’Istituto Italiano di Studi Germanici e dall’Università Sapienza di Roma, in collaborazione con Casa di Goethe, Forum Austriaco di Cultura, Istituto Svizzero di Roma ed Edizioni nottetempo.

Parola di poeta: Giovanni Raboni

Martedi 8 giugno ore 21:00 alla Casa della Poesia di Milano (Palazzina Liberty, Largo Marinai d’Italia 1) “Parola di poeta, Giovanni Raboni”, a cura di Maurizio Cucchi.
Una serata dedicata alla figura del poeta e intellettuale milanese.
Interventi di: Maurizio Cucchi, Giancarlo Majorino, Patrizia Valduga, Cesare Viviani.
Letture di: Fabrizio Bernini, Amos Mattio, Mary Barbara Tolusso.

AUTORITRATTO
di Giovanni Raboni
Quando io sono nato, i miei genitori abitavano in via San Gregorio. Era una casa né vecchia né nuova, credo che risalisse – come tante altre case in quella zona di Milano – agli anni intorno alla prima guerra mondiale. Una volta, da quelle parti, c’era la stazione ferroviaria; credo che dalle finestre di casa mia si vedessero i binari. Ma nel 1932, quando io sono nato, i binari non si vedevano più, non c’erano più: e dalla finestra della stanza dove dormivo con mio fratello più grande si guardava su un terreno vago che ricordava la periferia anche se, in realtà, non eravamo in periferia. Questo terreno vago si animava – soprattutto di pomeriggio, e soprattutto di sabato pomeriggio – di giochi di ragazzi. Giocavano al pallone, alla guerra, agli indiani. Forse dovrei dire: giocavamo; mi sembra molto probabile di aver partecipato a quei giochi, ma non ne ho nessun ricordo preciso. Quello che ricordo, invece, è di aver guardato altri ragazzi giocare. Erano giochi deliziosi. Quella finestra è, sicuramente, uno dei luoghi, o meglio delle situazioni, che mi hanno spinto a voler essere un poeta, a voler scrivere delle poesie. Per molto tempo ho pensato che una poesia dovesse essere come quella finestra. Mi sembrava che una poesia fosse un vetro attraverso il quale si potevano vedere molte cose – forse, tutte le cose; però un vetro, e il fatto che il vetro fosse trasparente non era più importante del fatto che il vetro stesse in mezzo, che mi isolasse, mi difendesse. I giochi erano al di là del vetro, mentre io ero al di qua. Credo che non riuscirò mai a far capire la straordinaria delizia di questa situazione. Quello che è certo, comunque, è che quando ho cominciato a scrivere poesie la mia più grande aspirazione era di ritrovare quel tipo di delizia o, se si vuole, di privilegio. Di ogni poesia avrei voluto fare un osservatorio difesissimo e trasparente, un osservatorio per guardare la vita – cioè, forse, per non viverla. Naturalmente, la storia di quella che io considero adesso la mia poesia comincia dopo; comincia, immagino, proprio con la negazione, con la rinuncia a tutto questo: la finestra, l’osservatorio, la trasparenza. Ma la faccenda non dev’essere ancora del tutto risolta, almeno nel mio inconscio, se ancora pochi anni fa mi è capitato di scrivere questa poesia dopo averla, credo, almeno in parte, veramente sognata.

Come cieco, con ansia, contro
il temporale e la grandine, una
dopo l’altra chiudevo
sette finestre.
Inportava che non sapessi quali.
Solo all’alba, tremando,
con l’orrenda minuzia di chi si sveglia o muore,
capisco che ho strisciato
dentro il solito buio,
via San Gregorio primo piano.
Al di qua dei miei figli,
di poter dare o prendere parola.

La vera storia della mia poesia comincia con la rinuncia al sogno di felice autoemarginazione che ha dominato la mia adolescenza e che appartiene, forse, agli inizi di ogni poeta. È inutile precisare che questa rinuncia ha coinciso, per me, con l’ingresso nell’età adulta. Piuttosto vorrei cercare, e non solo per civetteria o per nostalgia, di legare anche questa fase diversa e più matura della mia poesia e della mia vita al luogo dove sono nato – alla mia città e, dentro la mia città, alla mia casa. Nel 1821, quando morto, il grande poeta milanese Carlo Porta è stato sepolto nel cimitero di San Gregorio. E io vorrei ricordare di sfuggita che proprio con Porta comincia, nella poesia italiana, quella tradizione lombarda che passa attraverso Manzoni e arriva fino a Tessa, a Sereni, a Rebora, che credo sia qualcosa di sostanzialmente diverso da quella che la storiografia dei Novecento intende come “linea lombarda” – che non ho mai capito bene cosa sia.

Poi, sul conto di via San Gregorio, c’è stata un’altra scoperta: la scoperta che, per un tratto, la via dove vivevo coincideva con il perimetro del Lazzaretto – il Lazzaretto della grande peste di Milano, quella di cui parla Manzoni nei Promessi Sposi e nella Storia della colonna infame. Un pezzo del muro di cinta del Lazzaretto è ancora visibile. Sono convinto che questa seconda scoperta sia stata, per me, ancora più importante della prima. Grazie al Lazzaretto, al fatto di essere nato, per così dire, ai suoi margini, credo di essermi reso conto in un modo concreto, fisico – un modo che nessun libro, nessuna lettura mi avrebbe consentito – che la mia città non era solo quella che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era anche piena di storia, cioè di case, strade, piazze che non c’erano più e di gente che non era più viva, di gente morta. Mi sono reso conto, insomma, che la mia città visibile era piena di storia invisibile, e che questa storia era, a sua volta, piena di dolore, di minacce, di paura. Da quel momento, credo, è entrato nella mia poesia il tema della peste: peste metaforica, si capisce: peste come contagio e condanna, come circolarità e anonimato dell’ingiustizia. (“L’approdo letterario”, XXII, n. 77-78 n.s., giugno 1977)

Manzoni deve esserci, non può non esserci, nelle mie poesie – esserci, è chiaro, come un tenue, degradato riflesso, o solo come un rimorso. Se non ci fosse, vorrebbe dire che non ci sono neanch’io, che le mie poesie sono, letteralmente, di qualcun altro. Ma al di là di questa fede o, se si vuole, di questa petizione di principio, suppongo che sia possibile rintracciare qualche indizio, qualche elemento più oggettivo. I temi dell’ingiustizia, della persecuzione, del processo iniquo, dell’innocenza ingiustamente perseguitata e punita; l’immagine, esplicita o implicita, della città come teatro della peste, come contenitore di ogni possibile contagio fisico e morale; il gusto di nominare luoghi, circostanze e documenti con scrupolosità impassibile e segreta passione; l’attenuazione, la reticenza e l’ironia usate per rendere pronunciabili l’indignazione, lo sgomento e la pietà: tutte queste cose (…) vengono, non ho dubbi, da Manzoni, sono le prove, le stigmate della mia passione manzoniana, della mia manzonità (o, parafrasando Gianfranco Contini: le spie d’attività, nel mio sentire e scrivere, della “funzione Manzoni”). Senza contare, per un eccesso di evidenza, gli omaggi letterali, le citazioni: gli untori di “Una città come questa” per esempio. (Raboni-Manzoni, Il ventaglio, 1985)

Una città come questa

non è per viverci, in fondo: piuttosto
si cammina vicino a certi muri,
si passa in certi vicoli (non lontani
dal luogo del supplizio) e parlando
con la voce nel naso
avidi, frettolosi si domanda: non è qui
che buttavano loro cartocci gli untori?

Le mie poesie più remote (…) risalgono all’infanzia, all’adolescenza. Sono poesie scritte intorno agli anni Cinquanta, quando avevo 18 anni, che raffigurano episodi della Passione di Cristo. Intorno al 1950, quando l’adolescenza stava diventando maturità sono successe per me delle cose fondamentali. Alla Scala c’è stata una stagione di concerti stupenda in cui si sono ascoltati tutti i capolavori della musica sacra, da Vespro della Beata Vergine fino al Requiem tedesco di Brahms. Esperienza per me assolutamente fondamentale. Poi si respirava nel campo letterario, e nel campo della poesia in particolare, quella voglia di rottura, di uscire dal lirismo degli anni Trenta su cui mi ero formato. Si sentiva l’esigenza di una poesia più discorsiva, più narrativa, più dentro la realtà. E in quel periodo, oltre alla straordinaria esperienza della musica sacra, oltre alle prime esperienze di appassionato di pittura e di scultura – per cui l’aver visto per la prima volta il portale di San Zeno a Verona o i bassorilievi di Chartres rientra in questo apprendistato – c’è stata soprattutto la lettura di grandi poeti anglosassoni, soprattutto Eliot, che in tutta la sua opera dimostrava la possibilità e l’esigenza di fare poesia parlando di sé e del proprio tempo, ma attraverso il correlativo oggettivo, qualcosa oggettivamente già esistente o già raccontato. Tutte queste cose mi hanno messo sulla strada del Vangelo come fonte di ispirazione, come possibilità di ri-racconto e di ri-espressione. Poi ho scritto altre poesie in cui c’è il ripercorrere la narrazione evangelica spiazzandola, inserendo degli elementi di contemporaneità, facendone anche uno specchio dell’oggi. Era uno stratagemma, un modo di parlare di me, finalmente, e del mio tempo e di quello che vedevo intorno a me senza tuttavia ancora espormi a un’esplorazione diretta della realtà, cioè, appunto, valendomi di un potente correlativo oggettivo che tanto era già servito nella storia dell’umanità in pittura, in scultura, in musica. Ecco, questa iniziazione al coraggio di parlare con la mia voce e non più prendendo in prestito le voci dei poeti che ammiravo e che amavo, credo mi sia venuta da questa idea di ripercorrere il racconto evangelico con quella distanza, quella lontananza, quelle diverse angolazioni, quella tendenza a prendere di sbieco, a inquadrare diversamente e anche, a poco a poco, a tagliare fuori il personaggio principale e puntare sui personaggi di contorno come avevo imparato dai grandi modelli del passato.
E’ stato poi importantissimo il fatto di scoprire la città come metafora, diciamo, come metafora della vita, come contatto con tutto quello che l’esistenza offre di problematico, di inquietante, di esaltante. E sono diventato a quel punto, dopo esser stato, nei primi anni di scrittura poetica, un… un ri-raccontatore di storie già raccontate, sono diventato un poeta di storie urbane, di racconti legati alla città, ai suoi problemi, ai suoi drammi, alle sue inquietudini. È il periodo che probabilmente ha segnato definitivamente la mia personalità di scrittore e di poeta. (Lo stratagemma della Passione, in Le parole del sacro. L’esperienza religiosa nella letteratura italiana, Atti del convegno, S. Salvatore Monferrato, 8-9 maggio 2003)

Cinema di pomeriggio

Quasi sempre a quest’ora
arriva gente un po’ speciale (però
di buonissimo aspetto). Chi si siede
ma poi continua a cambiar posto,
chi sta in piedi, sul fondo della sala, e fiuta,
fiuta rari passaggi, la bambina
mezzo scema, la dama ch’entra sola,
la ragazza sciancata… Li guardo per sapere
che storia è la loro, chi li caccia. Quando
viene la luce penso come il cuore
gli si deve contorcere cercando
d’esser salvo più in là, di sprofondare
nel buio che torna tra un minuto.

Ecco, un esempio di… di poesia urbana, insomma di poesia in cui l’inquietudine della vita di una grande città, le sue stranezze, i suoi aspetti anche sordidi, a colte, le sue figure di emarginati, di infelici, di spostati eccetera, prende, direi, prende il primo piano, ecco. È di nuovo, se si vuole, un modo di raccontare se stessi attraverso altro, attraverso quello che c’è intorno a noi. Ancora in quegli anni – siamo alla fine degli anni ’50, primi anni ’60 – ancora stento a parlare di me in prima persona, ancora quello che mi interessa è certificare il mio rapporto con la realtà: come prima attraverso la sublime metafora del racconto evangelico, così adesso attraverso le figure, attraverso la realtà della città riscoperta, della città amata, anche, perché, come dicevo prima, effettivamente è stato un innamoramento per me quello della città: un innamoramento che dura ancora adesso, a distanza di tanti anni, anche se la città è cambiata, anche se è molto meno vera (almeno mi sembra) di quanto fosse allora, molto meno ricca di umanità e anche di drammi. Però appunto è ancora il luogo in cui non riesco a non vivere.(Pantheon. Le ragioni della vita, intervista a G. Raboni, RAI Nettuno SAT 1, 4 gennaio 2004)

Se passo per via Andegari penso che lì abitavano i miei nonni che non ho mai conosciuto, tutti morti prima che nascessi. Questo fatto di non aver mai vissuto con i vecchi scombussola un po’, non si hanno istruzioni per la vecchiaia. E sono già nonno. (“la Repubblica”, 3-4 febbraio 1991)
I morti e i veri

Nella casa umida, il poco
ch’è asciutto sembra più asciutto ancora:
nelle stanze da letto al primo piano
il pavimento d’assi quasi bianche
non lucidate con la cera e
un po’ distanti; sotto, nella sala
del bigliardo, l’avorio dei birilli
messi in croce… (Prima o dopo ci torno
a vedere la casa degli amici
dove a momenti ti nasceva un figlio
– è nato due giorni dopo – e s’aspettava,
di sera, che il temporale portasse
un po’ di fresco anche a Milano. Smorti
lungo i muri, con facce da lenoni
o da tartufi, oscuri
antenati lombardi
controllavano il conto delle uova
e dei formaggi: usando astuzia, e quantità
di penne d’oca. Si rideva di loro
con ribrezzo. Ma in fondo, che sia giusto
così? Meglio dei nostri veri, gente
distratta, malinconica
per vizi più sottili, chi può dire
che non sia quello il tipo d’antenati
che nostro figlio fingerà d’avere, ridendo
di loro, voltandogli le spalle
come nessuno è mai riuscito a fare!)

Milano continua a essere lo scenario della mia vita e dunque della mia immaginazione, della mia sensibilità, del mio modo di reagire a ciò che accade nella realtà e nella mia mente. Ma rispetto ai tempi de Le case della vetra penso che questo scenario si sia molto interiorizzato, che abbia perso, se così si può dire, gran parte della sua “letteralità” e, dunque, della sua pronunciabilità immediata; e questo, credo, perché – come succede a tutti, forse, quando si invecchia – da alcuni anni tendo a guardare molto di più dentro di me e molto meno fuori di me, ossia, in altri termini, perché la Milano che più mi riguarda e mi emoziona la ritrovo, ormai, soprattutto nella memoria. (Milano, la città e la memoria, 2001)

La poesia La guerra è assolutamente autobiografica, è un ricordo di mio padre, dello straordinario spirito di sacrificio con cui, lui che non poteva abbandonare la città, viaggiava continuamente ogni sera e ogni mattina fra la città e la campagna dove eravamo rifugiati, pur di non interrompere la vita in comune. Questo spirito di sacrificio, di dedizione, che mi commuove sempre, è messo a confronto con le mie personali inadempienze nei confronti dei miei figli. In generale la mia vita entra nella poesia, e ci è entrata in maniera crescente: quando ero molto giovane da una parte avevo meno vita da mettere nella poesia, dall’altra avevo più paure a mettercela. Questo spiega il sistema di correlativi oggettivi di cui è impastata la prima fase della mia poesia. Poi la mia vita è entrata o come ricordo, ripensamento del passato, o in presa diretta come registrazione di emozioni. Adesso torno invece un po’ a rispecchiarmi, forse a nascondermi, dentro storie già codificate”. (Conversazioni d’autore. Dialoghi fra scrittori e studenti di un liceo, a cura di G. Prosperi, prefazione di G. Armellini, Bologna, Pendragon, 2003):

La guerra

Ho gli anni di mio padre – ho le sue mani,
quasi: le dita specialmente, le unghie,
curve e un po’ spesse, lunate (ma le mie
senza il marrone della nicotina)
quando, gualcito e impeccabile, viaggiava
su mitragliati treni e corriere
portando a noi tranquilli villeggianti
fuori tiro e stagione
nella sua bella borsa leggera
le strane provviste di quegli anni, formaggio fuso, marmellata
senza zucchero, pane senza lievito,
immagini della città oscura, della città sbranata
così dolci, ricordo, al nostro cuore.
Guardavamo ai suoi anni con spavento.
Dal sotto in su, dal basso della mia
secondogenitura, per le sue coronarie
mormoravo ogni tanto una preghiera.
Adesso, dopo tanto
che lui è entrato nel niente e gli divento
giorno dopo giorno fratello, fra non molto
fratello più grande, più sapiente, vorrei tanto sapere
se anche i miei figki, qualche volta, pregano per me.
Ma subito, contraddicendomi, mi dico
che no, che ci mancherebbe altro, che nessuno
meno di me ha viaggiato fra me e loro,
che quello che gli ho dato, che mangiare
era? non c’era cibo nel mio andarmene
come un ladro e tornare a mani vuote…
Una povera guerra, piana e vile,
mi dico, la mia, così povera
d’ostinazione, d’obbedienza. E prego
che lascino perdere, che non per me
gli venga voglia di pregare.

Credo che questo sentimento di inadempienza, che a un certo punto si è focalizzato sul rapporto con i figli, fosse in qualche modo preesistente. In effetti anche prima di essermi allontanato da loro avevo il sentimento, del tutto irrazionale, di aver mancato qualche appuntamento importante, con i miei genitori ad esempio, con cui pure ho avuto un rapporto molto buono. Forse il fatto che mio padre e mia madre siano scomparsi così rapidamente ha fatto sì che inconsciamente io mi sentissi un po’ in colpa, come se non fossi stato in grado di trattenerli. Poi questo senso di inadempienza si è concretizzato più ragionevolmente sui miei figli, nei confronti dei quali sono stato veramente manchevole. Però credo che qualcosa, sia pure irrazionalmente, si fosse formato prima”. (Intervista in “Poesia”, XVI, n. 168, gennaio 2003):

Parti di requiem (…) è dedicato alla memoria di mia madre e si chiude con una poesia che si riconnette anch’essa, in qualche modo, al dilemma fra responsabilità e irresponsabilità della poesia di fronte alla vita (e alla morte, naturalmente). (“L’approdo letteraio”, cit.)

Amen

Quando sei morta stavamo
in una casa vecchia.L’ascensore non c’era. C’era spazio
da vendere per pianerottoli e scale.
Dunque non t’è toccato di passare
di spalla in spalla per angoli e fessure,
d’essere calcolata a spanne, raddrizzata
nel senso degli stipiti. Sparire
era più lento e facile quando tu sei sparita.
Parecchie volte, dopo, mi è sembrata
una bella fortuna.
Eppure, se ci pensi, in poche cose
c’è meno dignità che nella morte,
meno bellezza. Scendi a pianterreno
come ti pare, porta o tubo, infìlati
dove capita, scatola di scarpe
o cassa d’imballaggio, orizzontale
o verticale, sola o in compagnia,
liberaci dall’estetica e così sia.

Questa poesia scritta pensando, ripensando alla morte di mia madre è in qualche modo conclusiva di una serie di testi diciamo di carattere familiare: sulla storia della mia famiglia, sulla scomparsa dei miei genitori. È anche una poesia in cui in qualche modo tento di uscire da questo viluppo di emozioni e di ricordi, come se sentissi il bisogno di avvicinarmi di più alla vita non riflessa, alla vita “in diretta”, si direbbe oggi, o in prima persona. (Pantheon. Le ragioni della vita, cit.)

Pensavo
polvere, non cenere; non
arso, pensavo, né centrifugato;
polvere: e diventarlo
a poco a poco, a poco a poco sperdere
il duro delle ossa. E che la terra
non fosse poca né tanta,
né pesante né lieve a cancellare
lo scempio della fossa.
E che la terra fosse consacrata…
E che la terra fosse consacrata
e condivisa, lotto
numerato e introvabile
d’uno dei fiochi immensi cimiteri
che da nord, da nord-ovest
assediano Milano, che ci salvano,
barricate di croci,
d’angeli mutilati, dall’orrore
di marcire in privato, in un giardino.

Uno dei pochi pilastri della mia fede – ammesso che di fede si possa parlare – è l’idea della comunione dei vivi con i morti, che non vuol dire che io pensi che c’è un oltrevita nel quale si incontrino i morti. Penso che i morti ci siano, cioè penso che si continui a vivere anche con le persone che non ci sono più, che continuino a fare parte della nostra vita… Attraverso la memoria, attraverso la continuità dei pensieri e delle emozioni. Se li coinvolgevano quando erano vivi, perché non dovrebbero coinvolgerli poi quando sono morti? Noi non cambiamo perché una persona non la vediamo più, rimaniamo noi stessi. Quindi, non ci sono dubbi. Non ho dubbi su questo… o, comunque, voglio non averne”. (Intervista a Giovanni Raboni, Firenze, 29 maggio 2003)

La commemorazione dei defunti

Con i tuoi, lo sappiamo, un modus
vivendi l’hai trovato. Non era né facile
né difficile, quasi non c’era scelta. ma quei tizi di cui
non ti frega niente, carbonizzati
nella carcassa di un caccia sbocconcellati dall’uomoleone falciati
dal tifo sull’altipiano, che
salvezza c’è per te in loro? che sugo
per loro nel tuo strizzar gli occhi e indugiare
a fitte sul giornale?
Siano rimessi, dico (i morti) nel nostro impasto quotidiano, piega il giornale,
lascia che lontano i vivi seppelliscano i vivi.
Pensare all’anima – non per salvarla: per goderne.

È impossibile guardare il tempo senza vedere la morte, così come è impossibile guardare il mare aperto senza vedere l’orizzonte. Uno, per non vederla, dovrebbe passare tutta la vita di profilo come l’ one-eyed jack, il povero fante monocolo delle carte da gioco. E il bello è che anche la morte, come l’orizzonte, è sempre alla stessa distanza.

Ho sempre pensato che l’ultimità (so che questa parola non esiste, ma per il momento non sono disposto a rinunciarvi o a sostituirla) sia la più preziosa, la più inebriante delle dolcezze. Ma come calcolarla senza spavento? Un condannato a morte potrebbe essere per una notte il più felice degli uomini se la felicità non gli fosse nascosta o per dir meglio ostruita dall’immaginaria traumaticità e “oscenità” della morte. Insomma, è probabile che il dono dell’indeterminatezza – la facoltà che a ogni uomo è concessa, ma che non molti possono o sanno sfruttare sino all’ultimo, di vedere la morte sempre alla stessa distanza – non sia indispensabile soltanto per vivere senza tormento, ma anche per avvicinarsi con gioia alla morte. Si può assaporare la fine solo a patto di percepirla come un bene esiguo ma non contato, uno spazio breve e ultimo ma infinito.

Sono quello che eravate, sarò
quello che siete, sussurro a chi spia
i miei passi da un letto di corsia
d’un padiglione di Niguarda o

del vecchio policlinico di via
Sforza, mi sopravalutate, ho
un rene solo, presto perderò
l’ultima battaglia con la miopia

e il cuore, eh, il cuore…No, perdono, care
anime, perdono! non posso fare
l’unto della Morte qui, non si deve

insegnare a morire a chi già tanto
muore e così poco spera, soltanto
un’altra primavera, un’altra neve.

Solo adesso comincio forse a intravedere il significato di un’immagine che da molti anni inesplicatamente nutro e mi nutre, quella di mio padre che dopo il primo attacco cardiaco (il secondo, pochi mesi dopo, lo avrebbe ucciso) se ne sta a letto, di buonissimo umore, ben appoggiato a due cuscini, e legge, legge ininterrottamente, legge o rilegge tutti i romanzi possibili… Rivedo le pile di libri sul comodino, l’azzurro dei vecchi Einaudi, il verde della “Romantica”, il giallo dei Classiques Garnier… E ricordo la mia sorpresa, il mio superstizioso sgomento: perché leggere tanto, perché impadronirsi di tante storie, di tante verità se gli restava così poco tempo per “usarle”, per metterle a profitto? Forse, pensavo, legge soltanto per “passare il tempo”… Ma no: finito un libro, diceva sorridendo che era contento, che ne era “valsa la pena”… Ma come? era la mia stessa reazione – ma io avevo vent’anni, e se ero contento d’aver letto un nuovo libro o d’averne capito meglio uno che avevo letto troppo presto, con troppa foga e innocenza, era perché ogni volta mi sentivo un po’ più forte, più ricco, perché sentivo di avere qualcosa in più da smerciare, da investire, da far fruttare nel corso del mio vergine e inesauribile futuro, a profitto del mio orgoglio e a edificazione del genere umano: tempus edificandi… Beh, adesso comincio a capire – forse, più semplicemente, comincio a essere mio padre. Quest’anno lui avrebbe cento anni, l’anno prossimo io avrò la sua età, l’età di quando è morto. Se mi sono trascinato dietro, di casa in casa, tanti libri era, comincio a rendermene conto, per metterli un giorno o l’altro in pila – gli azzurri, i verdi, i gialli – sul comodino. A proposito, dovrei avere un comodino accanto al letto. Dovrei avere un letto, un vero letto – un letto con una spalliera di noce a cui appoggiare due cuscini. Non assaporo ancora, ma già immagino la gioia di accumulare silenziosamente dentro di me beni infruttiferi e intrasmissibili e sento che potrebbe essere la più pura, la più sottile, la più perfetta delle gioie. (“Legenda”, aprile 1992)

Ombra ferita, anima che vieni
zoppicando, strisciando dal tuo fioco
asilo a cercare nei sogni il poco
che rosicchio per te all’andirivieni

dei risvegli e degli incubi, agli osceni
cortei delle sciarade, così poco
che qualche volta quando arrivi il fuoco
è già spento, divelte le imposte, pieni

di insulsi intrusi o infidi replicanti
l’immensità della cucina, il banco
di scuola, il letto, dammi tempo, non

svanire, il tempo di chiudere i tanti
conti vergognosi in sospeso con
loro prima di stendermi al tuo fianco.

Comunque è un tema, questo dei rapporti familiari, dei ricordi familiari, che poi è continuato, anche andando avanti, anche fino alle ultime cose. Però in qualche modo sentivo il bisogno di uscirne, di affrontare forse un modo più autobiografico di frequentare e di usare la poesia. E probabilmente quello che doveva succedere era che entrasse, con forza, con violenza, nella mia ispirazione e nella mia pratica poetica il tema dell’amore. Alle poesie di pietà familiare, diciamo così è subentrata poi negli anni successivi una poesia di racconto amoroso, di autobiografia amorosa.

“Canzonette mortali”. Sono poesie d’amore, e a questo punto direi che il privato, e il racconto di me, è entrato addirittura in modo spudorato nella mia poesia. Non sono, queste, le prime poesie d’amore, sono in un certo senso le ultime, cioè quelle dell’ultimo amore, quello che continua a essere nella mia vita. Però sono in qualche modo la conclusione di un avvicinamento alla confessione diretta, diciamo così; e probabilmente occorreva proprio questo rapporto traumatico che si ha con l’oggetto del proprio amore, con la persona amata, per farmi uscire così allo scoperto. Da questo punto in poi in un certo senso anche le mie poesie di argomento non amoroso, le mie poesie di argomento… riflessivo, meditativo, o addirittura civile sono decisamente poesie in prima persona. Ho in qualche modo rotto il diaframma del correlativo oggettivo; sono diventato uno che parla di sé, sono diventato un poeta in prima persona. Io non credo che questo sia un progresso; credo che la poesia possa essere altrettanto sincera, altrettanto autentica, altrettanto rivelatrice anche se si mantiene, appunto, al coperto, se mantiene la finzione o… il gioco di sponda con la realtà oggettiva. A me è successo questo; ed è abbastanza probabile che sia qualcosa che riguarda anche proprio le età di una persona, cioè che ci sia qualcosa di… addirittura di biologico, no? in questo andare da un rapporto privilegiato con la realtà esterna, con la realtà oggettiva, con le immagini del mondo, diciamo così, verso una… verso la meditazione sempre più interiore, sempre più in prima persona. Alla fine si rimane soli di fronte alla solitudine, alla morte, questo è il destino credo di tutti noi; e quindi che anche la poesia segua in qualche modo questo tracciato – dalla vita alla morte, dal collettivo al drammaticamente individuale – credo sia abbastanza nella natura, nella natura delle cose”. (Pantheon. Le ragioni della vita, intervista a G. Raboni, RAI Nettuno SAT 1, 4 gennaio 2004)

Canzonette mortali

Io che ho sempre adorato le spoglie del futuro
e solo del futuro, di nient’altro
ho qualche volta nostalgia
ricordo adesso con spavento
quando alle mie carezze smetterai di bagnarti,
quando dal mio piacere
sarai divisa e forse per bellezza
d’essere tanto amata o per dolcezza
d’avermi amato
farai finta lo stesso di godere.

Le volte che è con furia
che nel tuo ventre cerco la mia gioia
è perché, amore, so che più di tanto
non avrà tempo il tempo
di scorrere equamente per noi due
e che solo in un sogno o dalla corsa
del tempo buttandomi giù prima
posso fare che un giorno tu non voglia
da un altro amore credere l’amore.

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…

Non questa volta, non ancora.
Quando ci scivoliamo dalle braccia
è solo per cercare un altro abbraccio,
quello del sonno, della calma – e c’è
come fosse per sempre
da pensare al riposo della spalla,
da aver riguardo per I tuoi capelli.

Meglio che tu non sappia
con che preghiere m’addormento, quali,
parole borbottando
nel quarto muto della gola
per non farmi squartare un’altra volta
dall’avido sonno indovino.

Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene che mancarti,
non perderti, era l’ultima sventura.

Ti muovi nel sonno. Non girarti,
non vedermi vicino e senza luce!
Occhio per occhio, parola per parola,
sto ripassando la parte della vita.

Penso se avrò il coraggio
di tacere, sorridere, guardarti
che mi guardi morire.

Solo questo domando: esserti sempre,
per quanto tu mi sei cara, leggero.

Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.

Non ho grandi letture, scientifiche, ma mi ha sempre colpito, in quelle poche cose che ho letto di fisica, l’idea che l’irreversibilità del tempo non possa essere dimostrata. Viviamo rispettando questa realtà, però la fisica non è in grado di dimostrare che il tempo sia irreversibile. E questo mi ha sempre molto colpito: un po’ terrorizzato, un po’ consolato. Siamo sempre in bilico. Non è detto che non si possa tornare indietro, a visitare il passato. Credo di averlo anche scritto da qualche parte, in una poesia di A tanto caro sangue, Scongiuri vespertini, dove si parla di tornare a visitare sepolcri e lazzaretti. Questa idea, che ho trovato anche in libri di fisici famosi, che si può anche viaggiare nel tempo, non con le macchine del tempo, ma in qualche luogo del possibile… Questa è forse la volta in cui sono riuscito a dirla meglio”. (C. Di Franza, intervista a Giovanni Raboni ,Venezia-Napoli, 2002-2003)

Dopo la vita, cosa? ma altra vita,
si capisce, insperata, fioca, uguale,
tremito che non si arresta, ferita
che non si chiude eppure non fa male

– non più, non tanto. Lentamente come
risucchiati all’indietro da un’immensa
moviola ogni cosa riavrà il suo nome,
ogni cibo apparirà sulla mensa

dov’era, sbiadito, senza profumo…
Bella scoperta. E’ un pezzo che la mente
sa che dove c’è arrosto non c’è fumo
e viceversa, che fra tutto e niente

c’è un pietoso armistizio. Solo il cuore
resiste, s’ostina, povero untore.

Ho cominciato a riflettere sulla morte… direi prima addirittura sul racconto evangelico, sulla morte di Cristo, poi sulla morte dei miei, sulla morte che ha colpito molto presto la mia vita con la scomparsa prima di mio padre e poi di mia madre. E quindi era in un certo senso la morte degli altri, era la morte come scomparsa di persone care, di riferimenti indispensabili. Poi col tempo, credo naturalmente, è diventata la riflessione sulla mia morte, su che cosa significa, su che cosa significherà; e direi che è diventata però, almeno credo, sempre più serena, la mia riflessione, nel senso che insieme all’idea della morte come… come traguardo che si avvicina, come esperienza che si fa sempre più prossima, si è fatta sempre più forte in me l’idea della comunione dei vivi e dei morti, per dirla in modo sintetico. Cioè non faccio più molta distinzione tra vivi e morti, non soltanto nelle persone della famiglia ma nelle persone care, negli amici che a un certo punto scompaiono. Io non li sento, devo dir la verità, più lontani di quando erano vivi, e quindi mi si è, appunto, fatta sempre più essenziale, sempre più cara l’idea che esiste non so se un aldilà o un aldiquà o un dentro-di-noi in cui i morti continuano a vivere con noi. Questo è diventato uno dei temi proprio anche espliciti del mio ragionamento e della mia poesia”. (Pantheon. Le ragioni della vita, intervista a G. Raboni, RAI Nettuno SAT 1, 4 gennaio 2004)

Ho sempre pensato che la vita non sia qualcosa da cui si entra e si esce, qualcosa che si attraversa come uno spazio finito, ma come qualcosa in cui si sta indefinitamente. Questo non implica, secondo me, per forza di cose, un’idea di trascendenza: semplicemente la vita è questa cosa, la cosa in cui si sta, in cui non si può non continuare a stare anche quando teoricamente la vita finisce. Questa è la mia – se volete – la mia fede. Non so se sia una fede nel senso plausibile della parola. È il mio modo di stare dentro questa realtà che secondo me non può chiamarsi in altro modo che la vita. Una volta in una poesia ho scritto che “cerco” a volte “di immaginare la felicità dei morti” e penso che anche per i morti la felicità sia la vita. (Rai, estate 2003)

Tanto difficile da immaginare,
davvero, il paradiso? Ma se basta
chiudere gli occhi per vederlo, sta
lì dietro, dietro le palpebre, pare

che aspetti noi, noi e nessun altro, festa
mattutina, gloria crepuscolare
sulla città invulnerata, sul mare
di prima della diaspora – e si desta

allora, non la senti? una lontana
voce, lontana e più vicina come
se non l’orecchio ne vibrasse ma

un altro labirinto, una membrana
segreta, tesa nel buio a metà
fra il niente e il cuore, fra il silenzio e il nome…

L’importante è essere ben convinti che la poesia non è né uno stato d’animo a priori né una condizione di privilegio né una realtà a parte né una realtà migliore. È un linguaggio: un linguaggio diverso da quello che usiamo per comunicare nella vita quotidiana e di gran lunga più ricco, più completo, più compiutamente umano; un linguaggio al tempo stesso accuratamente premeditato e profondamente involontario capace di connettere fra loro le cose che si vedono e quelle che non si vedono, di mettere in relazione ciò che sappiamo con ciò che non sappiamo.

Svegliami, ti prego, succede ancora
d’implorare in un sogno a questa tenera
età, aiutami, fa’ che non sia vera
l’oscena materia del buio. Sfiora

allora davvero una mano il mio
corpo assiderato e di colpo so
d’averti chiamata e che non saprò
più niente

in “Almanacco dello Specchio”, Mondadori 2006

Bob Dylan al Festival di Parma

Scrittori, artisti e musicisti dal 15 al 19 giugno a Parma porteranno il pubblico alla riscoperta della parola poetica esplorata in tutte le sue straordinarie potenzialità espressive.
Uno degli appuntamenti più attesi è quello di venerdì 18 giugno, alle 21.30. Ospite d’eccezione il cantautore americano Bob Dylan che si esibirà al Parco Ducale per un’imperdibile tappa del suo “Never Ending Tour”. Un concerto spettacolo in cui il menestrello del rock proporrà brani storici della propria carriera artistica che lo hanno reso simbolo della protesta contro il sistema americano degli anni Settanta. Un intreccio di musica e poesia, in equilibrio tra parole, folk e rock.Ad accompagnarlo ci saranno Denny Freeman (chitarra), Tony Garnier (basso), Donnie Herron (pedal steel/violin) e Stu Kimball (chitarra). Le sue canzoni ormai sono di fama leggendaria, basti pensare a Blowin in the wind, Mr Tambourine Man, Knockin’ on Heaven’s Door, Maggie’s Farm.
Per la poesia internazionale, ogni giorno all’interno del Cortile del Guazzatoio (Palazzo della Pilotta), alcuni dei più celebri nomi della poesia internazionale offriranno al pubblico letture dei propri versi in lingua originale, tradotti e reinterpretati da attori professionisti. Saranno presenti la poetessa e scrittrice canadese Janice Kulyk Keefer e il poeta e traduttore statunitense Jonathan Galassi (entrambi il 15 giugno), il Premio Nobel per la letteratura 2009 Herta Muller, il poeta, scrittore e traduttore di etnia e lingua mapuche Elicura Chihuailaf Nahuelpan (entrambi il 17 giugno), il drammaturgo e poeta nigeriano Wole Soyinka (Premio Nobel per la letteratura nel 1986) e il poeta e saggista spagnolo Luis Garci’a Montero (entrambi il 16 giugno).
Per i poeti italiani, Giuseppe Marchetti condurrà l'”Almanacco dei Poeti” (tutti i giorni alle ore 11.30 in piazza Garibaldi): incontri che vedranno ospiti i poeti italiani Alba Donati, Elena Salibra, Franco Buffoni, Tiziano Rossi, Alberta Bigagli ed Ennio Cavalli.

Il Fuoco, l’Ombra, la Morte

Il Fuoco, l’Ombra, la Morte: nove incisori e nove poeti a confronto.
Adalberto Borioli, Italo Bressan, Elisabetta Casella, Piermario Dorigatti, Valeria Manzi, Pierluigi Puliti, Luciano Ragozzino, Elena Strada, Luiso Sturla e Maurizio Cucchi, Nicola De falco, Roberto Dossi, Paolo Frigerio, Giancarlo Majorino, Elio Pecora, Fabio Pusterla, Silvio Ramat, Arturo Schwarz.
Incisioni di grande formato realizzate con varie tecniche calcografiche (acquaforte,acquatinta, puntasecca) e testi poetici di nove voci diverse per sensibilità e espressione.
(Nella foto Roberto Dossi e Luciano Ragozzino nella ex  Gelateria di Via Guinizelli, 14 a Milano)Galleria della Biblioteca Angelica di Roma – Via Sant’Agostino, 11-  dal 12 giugno al 9 luglio

I
naugurazione
: sabato 12 giugno ore 17:00
Introducono Silvia Bordini e Fabrizio Fantoni
Letture di  Elio Pecora

Orari di apertura
Lunedì, venerdì e sabato 10:30 -13:30
Martedì, mercoledì e giovedì: 10:30 – 13:30, 15:30 – 18:30

“La mostra Il Fuoco l’Ombra La Morte propone una sinestesia originale tra l’arte incisoria e la poesia. Artisti di formazione diversa si confrontano su tre grandi temi che, se da una parte sono stati a lungo indagati per la loro ancestralità archetipica, dall’altro dimostrano di non aver affatto esaurito la loro potenzialità nel saper evocare nuove prospettive nell’immaginario moderno.
Le parole di Maurizio Cucchi, Nicola dal Falco, Roberto Dossi, Paolo Frigerio, Giancarlo Majorino, Elio Pecora, Fabio Pusterla, Silvio Ramat ed Arturo Schwarz si fondano e trovano completamento nelle immagini di Adalberto Borioli, Italo Bressan, Elisabetta Casella, Piermario Dorigatti, Valeria Manzi, Pierluigi Puliti, Luciano Ragozzino, Elena Strada e Luiso Sturla, in un dialogo di Prometei contemporanei che si esprimono in filosofie personali ed insieme universali, scoprendosi nel fuoco, nascondendosi nell’ombra, negandosi nella morte.
Nata attorno alla piccola casa editrice milanese “Il ragazzo innocuo”, che da anni ormai promuove l’arte incisoria nel suo rapporto con l’espressione poetica, la mostra è stata inaugurata alla Palazzina Liberty – Casa della Poesia di Milano ed ha iniziato la propria esposizione itinerante presso la Villa Bertarelli di Galbiate, in provincia di Lecco; approda adesso alla Galleria della Biblioteca Angelica di Roma, dove si inaugurerà il 12 giugno 2010 alle ore 17.00 e dove rimarrà fino al 7 luglio, per poi spostarsi a Trento.
L’idea del progetto è apparentemente semplice: a nove poeti vengono richieste tre poesie, una per ogni tema trattato; allo stesso modo, nove incisori illustrano i tre temi. Tuttavia il risultato è notevole: non solo per il forte impatto delle incisioni, tutte di grande formato, ma anche per la grande varietà poetica, tecnica ed espressiva. Le voci che si sollevano sono molto differenti, le letture personali molteplici, le rese calcografiche diversificate, dando vita ad una galleria completa e curiosa che tocca tutte le corde interpretative, come in un concerto armonico che si recita e si illustra sinergicamente. Si crea così un’esegesi tematica a più voci, dove l’astratto ed il figurativo perdono i propri confini, dove la poesia soggettiva sfuma in quella generale e generalizzabile, dove l’arte della parola e quella del tratto si compendiano e si descrivono vicendevolmente, si richiamano e si sostengono.
Fuoco , ombra e morte si rivelano come il desiderio, il dubbio e la rassegnazione o, in un processo inverso come la follia, la presa di coscienza e il raziocinio, in un andamento evolutivo intimo e personale che corre parallelo al procedimento individuale della produzione artistica.
Forse è proprio questa la chiave del fascino dell’esposizione: la capacità di proiettare l’osservatore in un immaginario che è allo stesso tempo nuovo eppure condiviso, dove lo spettatore può trovare nuovi stimoli ed ugualmente sentirsi rassicurato nell’universo emozionale di un sentire comune.”
(Gabriella Ragozzino)

Addio a Edoardo Sanguineti, Il poeta dell’ideologia

Nel trigesimo della morte di Edoardo Sanguineti – maestro novecentesco – sodali discepoli compagni di strada, amici e dialettici nemici, si riuniscono in assemblea commemorante a Roma, presso ESC Atelier Autogestito (Via dei Volsci 159, quartiere S. Lorenzo). Giovedì 17 giugno dalle 20.30 in avanti.

Non la posa di una pietra tombale e nemmeno la celebrazione di un’icona, ma il segno di una viva permanenza. Una maratona di letture, ricordi e contributi multimediali aperta a tutti coloro che vorranno essere esserci. Ognuno dei presenti introdurrà o eseguirà un testo di Edoardo Sanguineti, scritto o audiovisivo, da lui scelto: per una durata massima di cinque minuti ciascuno. (16 giugno 2010)


Hanno aderito sinora:

Annelisa Alleva, Antonio Amendola, Brunella Antomarini, Luca Archibugi, Nanni Balestrini, Uliano Balestrini, Gianfranco Baruchello, Sonia Bergamasco, Francesca Bernardini Napoletano, Paolo Bertetto, Tomaso Binga, Ginevra Bompiani, Maria Grazia Calandrone, Simone Caltabellota, Luisa Capelli, Simone Carella, Laura Cingolani, Arnaldo Colasanti, Andrea Cortellessa, Fabrizio Crisafulli, Sara Davidovics, Elisa Davoglio, Riccardo De Gennaro, Raffaella D’Elia, Pablo Echaurren, Fabrizio Fantoni, Giulio Ferroni, Michele Fianco, Giovanni Fontana, Stefano Gallerani, Bruno Galluccio, Sergio Garufi, Enrico Ghezzi, Enzo Golino, Gaia Gubbini, Angelo Guglielmi, Nicola Lagioia, Filippo La Porta, Letizia Leone, Mario Lunetta, Bianca Madeccia, Massimiliano Manganelli, Raffaele Manica, Nina Maroccolo, Aldo Mastropasqua, Giordano Meacci, Francesco Muzzioli, Matteo Nucci, Tommaso Ottonieri, Francesco Pacifico, Paolo Pagnoncelli, Marco Palladini, Melissa Panarello, Francesco Piccolo, Plinio Perilli, Alexandra Petrova, Gilda Policastro, Jonida Prifti, Christian Raimo, Franca Rovigatti, Piero Sansonetti, Ruggero Savinio, Ivan Schiavone, Siriana Sgavicchia, Gabriella Sica, Sparajurij (Francesco Ruggiero), Luigia Sorrentino, Carla Subrizi, Emanuele Trevi, Filippo Tuena, Carla Vasio, Sara Ventroni e Paolo Zanotti. Più contributi a distanza di: Altri Luoghi (Marco Berisso, Guido Caserza, Paolo Gentiluomo), Gian-Maria Annovi, Simone Barillari, Gabriele Frasca, Canio Loguercio e Andrea Zanzotto.

Serata a cura di Andrea Cortellessa, Raffaella D’Elia, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Gilda Policastro

Edoardo Sanguineti, professore universitario, insigne dantista, ha perseguito con straordinaria coerenza il filone di una creazione letteraria, che puntando sulla destrutturazione linguistica, rendesse al tempo stesso – spesso con effetti parodici e grotteschi – la condizione di alienazione dominante nel nostro tempo (con un fondo di ortodossia marxista, tenacemente difesa contro le disillusioni della storia). Sia nelle poesie (Laborintus, 1958; Erotopaegnia, 1960; Wirrwar, 1972; Postkarten, 1978); sia nelle prose narrative (Capriccio italiano, 1963; Il giuoco dell’oca, 1967), emergono come caratteristiche sue più brillanti e persuasive il genio delle associazioni stilistiche-semantiche e la forza del suo sincopato metrico, che rinvia, appunto, a una diversa sarcastica visione del mondo.

di: Alberto Asor Rosa
In: Storia europea della letteratura italiana III. La letteratura della Nazione, Einaudi, 2009

Nicola Vitale, Le (n) meraviglie del mondo

“Le (n) meraviglie del mondo”, The White Gallery via Felice Casati, 26 – Milano – Inaugurazione: 13 maggio ore 19:00 (fino al 10 giugno 2010)
“Animali da Lettura”, Palazzo Sormani, Via Francesco Sforza, 7 – Milano – in data da definire.Nicola Vitale, poeta e pittore, è nato a Milano, dove vive, nel 1956. Nella forza lirica dei dipinti riesce a meravigliarsi delle cose apparentemente comuni di un mondo naturale umanizzato, fino agli scenari cittadini e domestici. Dai turbamenti della contemporaneità, fino agli elementi minimi di stereotipi trasfigurati dal gioco immaginativo, l’artista apre lo sguardo verso una nuova possibilità di guardare il mondo, uno straniante stupore che rivela una sofferta gioia di vivere. 

Luigia Sorrentino
Intervista a Nicola Vitale
*
Le (n) meraviglie del mondo. Perché?

Si tratta della parafrasi a “Le sette meraviglie del mondo” mitica enumerazione cominciata in epoca classica delle più stupefacenti opere dell’intera umanità che vanno dalla piramide di Cheope alla tomba di Mausoleo, dal faro di Alessandria al Colosso di Rodi, fino allo Zeus di Fidia. In questo caso (n) è un numero ipotetico, al quale si può attribuire qualsiasi entità e dunque alle “meraviglie del mondo” qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa esistente e non, guardata in un particolare modo, in questo caso attraverso le risorse della pittura, diventa meravigliosa per il solo fatto che esiste o che è immaginata. E’ l’inversione di senso tra soggetto e oggetto che sento come necessario passaggio dei nostri tempi: l’oggetto è ormai svuotato di ogni potere di significazione e di potenzialità estetica, mentre è il soggetto che deve ridare senso al mondo attraverso discipline costruttive.
Con quale prospettiva nasce questa personale a Milano?
Giovanni Policastro, giovane ma valido gallerista napoletano, milanese di adozione, mi ha cercato per una collettiva: Wake up! 60 artisti una Moka, che si sarebbe svolta nella sua galleria milanese The White Gallery. E’ nata subito un’intesa, così quando mi ha chiesto di fare una personale sono stato ben contento di accettare. Ha scelto i quadri tra quelli degli ultimi anni che gli sembravano avere una certa omogeneità, mentre ho fatto per l’occasione una serie di piccoli dipinti che costituiscono una specie di mostra nella mostra.
Da almeno vent’anni lei dipinge e scrive poesie. L’ultimo libro, “Il condominio delle sorprese” edito da Mondadori, ha in copertina una sua opera di pittura… Questo significa che le due attività sono complementari l’una all’altra?
Ho da sempre fatto entrambe le cose, quindi hanno preso strade autonome; tuttavia non mi sono mai preoccupato di separare o unire ufficialmente le cose, a volte è capitato di presentare le cose insieme, altre no. Così come critici e giornalisti a volte ne hanno parlato congiuntamente, ma nella maggior parte dei casi separatamente. In questo caso dalla Mondadori è arrivata la richiesta di mettere un mio quadro in copertina, e non mi sono certo tirato indietro.
Nella poesia l’immagine resa non è sempre definitiva, categorica, ma in continua evoluzione. Nell’arte visiva l’immagine resa appare fissa, assoluta,  rappresenta “la cosa in sè” e la definisce. Come risolve la relazione tra ciò che sta fuori e ciò che avviene dentro? Come risolve il rapporto esterno e interno tra l’artista e il mondo?
L’espressione in poesia come in pittura, segue un lungo iter di acquisizione dei mezzi formali, la così detta tecnica, che è in se stesso un sentire, un sentire formale, quel momento e punto misterioso in cui si uniscono forma e contenuto, esteriorità e interiorità. Dunque posso ispirarmi a cose che vedo o che immagino, ma questo è sempre in funzione della resa estetica, del processo espressivo che è fatto di particolari forme e modalità. E’ la pittura e la poesia che danno senso alla vita e non viceversa: senza una coltivazione, senza una cultura la vita non è nulla: è istinto animale, nessuna percezione e nessuna conoscenza.
In particolare la differenza della resa di una visione o contenuto interiore, tra poesia e pittura, segue questo iter di interiorizzazione dei mezzi espressivi: certo la poesia è uno scorrere anche di immagini che si mischiano tra loro e con altro, l’immagine della pittura è fissa, ma non credo che sia una limitazione riguardo l’espressione dell’interiorità, in quanto quei valori in pittura si sommano si stratificano sensibilmente, così l’immagine è solo apparentemente “oggettiva” e “fissa”, anche qui c’è una gradualità, la scoperta della sua essenza come in poesia è un iter di conoscenza, è un lungo cammino dello sguardo che deve approfondire, e i dipinti realmente validi ogni volta che li guardi mostrano cose diverse.
Si può dire, nel suo caso, che poesia e immagine sono la stessa cosa?
Sono due cose molto diverse, in quanto sono linguaggi diversi, per cui nell’una spesso emergono cose di me che non emergono nell’altra o se emergono questo accade in modo recondito, e viceversa. Tuttavia l’essenza profonda è la stessa, ma è una radice, dunque non percepibile da tutti.
Nelle sue opere vi è una forte connotazione cromatica. Che cosa significa per lei il colore?
Come nell’arte antica: egizia, greca arcaica, medievale, ma anche nella prima arte moderna, il colore è essenziale, allo stesso modo lo è nella mia pittura. L’arte qui protende a un’esteticità della forza interna, della radiazione, dello splendore: questione opposta a un’esteticità mimetica classica, contenutistica o linguistica, come nel caso dell’arte contemporanea. Al centro del processo espressivo c’è qui la sublimazione trascendente dell’immagine, per cui essa ha un fondamento sacro, qualsiasi cosa rappresenti, siano i supplizi della pittura medievale, sia gli dei egizi, i campi di Van Gogh e Cezanne, o le sintesi astraenti di Picasso e Kandinsky.
Come definirebbe la sua pittura? (Vi è sempre qualcosa di allegro, di giocoso, forse anche di ironico nei suoi dipinti… ) opere come “Acrobazia” , “Il melo”… cosa raffigurano?
Sono anni che cerco una definizione, cerco di collocare nelle categorie della nostra cultura il mio lavoro come quello di pochi artisti a me affini in ambito internazionale, e da qualche anno pubblico saggi e faccio conferenze su questo tema. Ho chiamato questo tipo di immagine “Figura solare” riferito proprio a quanto ho detto prima, la riabilitazione di una figura al limite dello stereotipo illustrativo, ad opera dello splendore dell’immagine, e sottili elaborazioni formali in cui sono filtrati elementi intellettuali, come giochi prospettici, particolari isolati in primo piano, tagli compositivi inconsueti. Negli stereotipi c’è un prezioso mondo di sensibilità, di tenerezza, sentimenti desueti, o anche orrore grottesco, che sono stati banalizzati dall’uso più popolare: l’alchimia della pittura può farlo risorgere sempre in una nuova chiave, rimuovendo in parte il muro doloroso che oggi giorno divide inconscio e coscienza, indebolendo o addirittura impedendo un senso più profondo della nostra vita. Il carattere allegro, a tratti giocoso è questa necessità di portare su un piano diverso ogni cosa del mondo, e il gioco, l’umorismo, sono quel piano che se da una parte allontana il fondamento drammatico delle cose, dall’altra le eleva ad un piano ontologico superiore di meraviglia: in fin dei conti la cosa straordinaria è che siamo vivi, che siamo come siamo, che sentiamo, vediamo, capiamo… e risvegliare questo stato è il compito principale dell’arte; per il resto ci sono tanti altri linguaggi come la filosofia, la psicologia, la politica, ecc.
In ogni quadro cerco una situazione apparentemente comune che possa diventare spettacolare grazie ai miei mezzi pittorici, dunque Acrobazia, Melo e tutti gli altri quadri, non rappresentano nulla di più di quello che sono, ma è la pittura che dice di più, non sul piano del significato, sul piano estetico, parlano sempre della meraviglia del bello.
Nelle sue opere di poesia vi sono alcune parole chiave come “corpo e casa” tempo e sentimento”. Accade così anche nelle sue opere di pittura?
Sono parole “mana” che hanno in se qualcosa di compiuto, magico, che avverto come centri espressivi totalizzanti da cui si diramano lunghe radici che chiamano il linguaggio, chiamano altre parole, che ruotando intorno a queste ne assorbono la forza e il senso.
In pittura accade qualcosa di simile, il soggetto e la forma realizzano qualcosa di simile: anche qui cerco oggetti universali, semplici, che siano acquisiti nella nostra vita come una sorta di natura. Anche ad esempio un telefono o un’automobile possono assumere questo ruolo quando perdono la loro particolarità, sono oggetti talmente acquisiti da diventare cose naturali come un albero o una casa. Cerco dunque di trovare forme che si prestino a diventare una sorta di mito-concetti, idee formali primarie.
Chi nasce prima in lei, il poeta o il pittore?
All’asilo mi avevano messo a disposizione grandi fogli di carta e tempere e pennelli, con cui dipingevo in totale libertà, poi intorno ai 10 anni in montagna portavo il cavalletto e copiavo le cime, qualche anno dopo fu la volta degli interni realizzati con la matita e ricalcati con la china.
Per quanto riguarda la poesia, mi ricordo, molto piccolo, in una notte di insonnia la forte necessità di alzarmi dal letto e con la prima matita che mi sono trovato tra le mani scrissi una poesia su un’astronauta che si perdeva nel cosmo. (era una matita verde) poi più niente fino ai vent’anni dove sono di nuovo emerse istanze espressive poetiche.
Qual è stata la sua formazione in poesia e pittura?
In pittura a 12 anni frequentavo lo studio di un pittore: Eugenio Tomiolo (mi affascinava la sua percezione magica della materia e del colore) poi a 15 anni frequentavo il liceo artistico. Poi passai qualche mese all’accademia di belle arti, ma preferii presto la strada dell’autodidatta, guidato dai grandi maestri del passato. A 25 anni decisi di diventare pittore affrontando una durissima disciplina, dipingendo anche dieci ore al giorno, tenendo un diario degli errori: ripensamenti, pentimenti e mea culpa, molto pochi compiacimenti.
Per quanto riguarda la poesia poco dopo i vent’anni frequentavo Franco Loi, amico dei miei genitori, e da lui ebbi le prime indicazioni, furono i primi confronti utilissimi. Poi fu la volta di Milo de Angelis che frequentai per qualche anno. Quindi Franco Fortini, Giuseppe Pontiggia e infine Maurizio Cucchi con cui feci un lungo cammino, che fece nascere un’amicizia basata sulla stima reciproca. 
Come vorrebbe essere ricordato ?
Semplicemente per quello che sono e non per quello che gli altri credono che sia, ma mi rendo conto che forse per ora è chiedere troppo.
Mostre personali
2010 Le (n) meraviglie del mondo, White Gallery, Milano
2009 Wake up! L’arte si risveglia, Withe Gallery, Milano – 100 in giro, Cento artisti per il centenario del giro d’Italia, Galleria Mandelli, Seregno – *Condominio delle sorprese, a cura di E. Pontiggia, Archivi del ‘900, Milano, – *La quieta visione (con Knap e Minuesa) Galleria Mandelli, Seregno 2008 Arte Padova, Galleria Mandelli, Seregno – Nerazzurra, Cento artisti per 100 anni di Inter, Galleria Mandelli, Seregno – *Università Bocconi, a cura di Elena Pontiggia 2007 *Arte ed altro, Gattinara (VC), presentazione in catalogo di Elena Pontiggia – Mi Art, Ermanno Tedeschi Gallery, Torino 2006 Operazione Colomba, Ermanno Tedeschi Gallery, Torino – Idee, I Studio 76, Milano (Fuorisalone, Salone del mobile, Milano) – Artissima, Torino, Ermanno Tedeschi Gallery, Torino – Mi Art, Ermanno Tedeschi Gallery, Torino – Slalom gigante, Ermanno Tedeschi Gallery, Torino 2005 Flash art Show, Bologna, Galleria Toselli – Flash art Show, Milano, Galleria Toselli, Milano – Blog on Artur Rimbaud, Castello di Rivara (To) – Blog on Artur Rimbaud, Chiesa di San Carpoforo, Milano – *Studio Forese, Milano, a cura di Lisa Ponti 2004 Mi Art, Galleria Toselli, Milano – A ruota libera, Salone del ciclo, Fiera di Milano (a cura di Franco Toselli) – Coppi e Picasso, Galleria Toselli, Milano 2003 RipArte, Hotel Ripa, Roma, Galleria Ca’ di Frà, Milano – Mi Art, Galleria Toselli, Milano – Quasi arte, Galleria Toselli, Milano (a cura di Franco Toselli) 2002 Col sale, Galleria In Arco, Torino (a cura di Norma Mangione) – Carte truccate, E-Studio, Milano – Artissima, Torino, Galleria Toselli, Milano 2001 *Galerie Gangurinn, Reykjavik, Islanda (a cura di Helgi Fridjonsson) – Pikin’ up cherryes, E-Studio, Milano 1999 *Nicola Vitale pittore e poeta, Studio D’Ars, Milano, Presentazione di Pierre Restany 1997 *Studio D’Ars, Milano (a cura di Pierre Restany) – 2′ Premio Trevi Flash Art Museum, Borgo Trevi (PG) Selezionato – *Arte Solare, Nicola Vitale, Retrospettiva 1987/1997, Abazia di Chiaravalle (MI), Ars Chiara, Eventi d’Arte, Milano 1996 *Arte Solare, Studio D’Ars, Milano (Catalogo a cura di Pierre Restany) – Dal pallone al pennello, 19 artisti per il Calcio, Forte Crest, Milano – Arteanima, Fondazione Mazzucconi, Milano, 2′ classificato 1995 Milano, Cento artisti per la città, La Permanente, Milano (Italia Nostra, catalogo Mazzotta) – *Dissemination, Milano (a cura di Pierre Restany) Conferenza di presentazione P. Restany, R. Bossaglia, A. Riccardi 1994 *New York University, New York (Catalogo a cura di Pierre Restany) – Buon compleanno TV, Studio D’Ars, Milano – Buon compleanno TV, NEC Ente Arte, Treviso 1993 *Dipinti e Poesie, Palazzo Recalcati, Milano (presentazione in catalogo R.Bossaglia, M.Cucchi, E.Frigerio) – Media life, Ward Nasse Gallery, New York – *Atelier AAA, Lugano (Ch) (a cura di R.Bossaglia) – *Odeonart, Biasca (Ch) 1992 Summer Salon 92, Ward Nasse Gallery, New York 1991 Arte giovane in Lombardia, S. Maria della Pietà, Cremona 1989 Catalogo Arte Moderna 1989 (G. Mondadori e Ass., Milano) 1988 *Studio Steffanoni, Milano (Catalogo a cura di Rossana Bossaglia) 1987 *Portnoy, Milano (Catalogo a cura di F.Gallo)


Opere di poesiaLa città interna, Primo quaderno Italiano, Poesia contemporanea (Guerini e Associati, Milano, 1991)
Progresso nelle nostre voci (Lo Specchio, Mondadori, Segrate, 1998)
La forma innocente (La Collana, Stampa, Varese, 2001)
Condominio delle sorprese (Mondadori, Segrate, 2008) 

 

 

 

 

 

 

 

Nicola Vitale (poesie inedite) 2010

Ho deciso questa gita
in bicicletta
in strade che mimano il canale
e lo costeggiano
entrano in paesaggi di traverso
sezionano il mondo per noi
in questo passare ad altro
come emigranti in fuga
da noi stessi.
Ecco un ponte, una chiusa
che si apre all’evidenza
dello sfondo
quando non c’eravamo che tu ed io
sognanti un quartiere
oltre le costrizioni della città regressa.
Ma poi la strada ritorna
in percorsi obbligati
che riportano il nostro desiderio
di capirsi
ad argomenti che opprimono
a paesaggi desueti
di un tempo che non si estingue.
Eppure pedalando
sul confine
degli ultimi campi
sembra levarsi
un paesaggio riconosciuto
e la grazia di un dubbio
di fatica non sprecata.

*

Quando tutto è fermo
e anche il sole
pare avere sospeso l’attimo
in un punto del cielo
ecco il vero spettacolo:
la vista da lassù che insegna
un modo di esser tra le cose
confuso nel verde
delle foglie, nei canti degli uccelli
che cantare non sanno.
E solo ora so
di essere passato
per pensieri inopportuni
prima che cominciasse
che la storia della mia vita
cedesse
per presentarsi alla stagione vera
del non ritorno.
E ora che è tardi
e la distesa del mondo
sembra ferma
nell’onda dei campi
e la pianura è irraggiungibile
mi siedo nell’erba
ascolto il pianto delle cicale
e si ferma anche …

 

Arte e Poesia, Michaela Maria Langenstein

In mostra alla Diagonale/Libreria a Roma, in Via dei Chiavari 75, una serie di 14 opere inedite di Michaela Maria Langenstein (stampe uniche baritate).

La ricerca dell’artista bavarese si basa sull’osservazione dell’immensa varietà che presenta la natura nella sua diversità di forme e di luce incluso il suo processo continuo di fugacità. Un lavoro raffinato e ricercato, frutto dell’accurata sperimentazione fotografica tra pittura e fotografia, tra figurazione e astrazione.

I lavori sono pubblicati in un catalogo presentato all’inaugurazione e disponibile in libreria.

La diagonale/Libreria
Via dei Chiavari,75 Roma 00186
mart – sab 11.00 – 20.00
Tel/Fax 06 45432226 – 3334551125
info@ladiagonale.it

 

 

 

 

 

 

 

 

MICHAELA MARIA LANGESTEIN
( Munchen, 1952 )
1978 – Hamburg, Tuc-Tuc
1979 – Hamburg, Tuc-Tuc
1985 – Roma, Libreria Adria
1986 – Roma, soc.Dante Alighieri
1986 – Hamburg, Alcademie
1986 – Roma, Galleria Rondanini
1987 – Winterthur Galerie
1988 – Schleswig,Schleswig – Holsteiniscles Landesmuseum

1989 – Milano, Galleria La Diaframma
1992 – Hamburg, Gnosa
1993 – Modena, Galleria Aperta
1996 – Modena, Circolo Fotografico Modenese
1997 – Hambourg, Akademie
1999 – Modena, Riv. N. 24
2002 – Pescara, Fuori Uso, Ferrotel
2002 – Roma, Galleria Ugo Ferranti
2005 – Dusseldorf, Galerie Thomas Flor
2005 – Roma, Galleria Paolo Bonzano
2006 – Roma, Galleria Ugo Ferranti
2007 – Roma, Galleria Ugo Ferranti “Indifferente”
2007 – Roma, Galleria Ugo Ferranti “Petit Format”
2008 – Catania, Libra
2009 – Roma, La Diagonale/Libreria “Omaggio a Ezra Pound” Ritratti e altro

Officina Italia

Dal 5 al 7 maggio a Milano, nella palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia, si svolgerà la quarta edizione del Festival Letterario ‘Officina Italia, Il mondo che verrà’ ideata da Antonio Scurati e Alessandro Bertante (ore 21:00, ingresso libero).

Quest’anno ‘Officina Italia’ chiede a sedici scrittori contemporanei di riflettere sul ‘mondo che verrà’: un giovane critico presenta al pubblico un autore a suo parere meritevole di attenzione e non ancora adeguatamente apprezzato. Si comincia con Andrea Cortellessa che introduce Giorgio Falco, nella seconda serata Daniele Giglioli presenta la narrativa d’inchiesta di Luca Rastello, nella terza serata Gabriele Pedullà dà la parola a Paolo Zanotti.

Nella serata inaugurale, oltre a Vinicio Caposela, reading del milanese Luca Doninelli.  Seguono Sergio Altieri ed Helena Janeczek.

Giovedì sera Gabriele Pedullà, Luigi Guarneri e Francesco Piccolo leggeranno i loro inediti con Michela Murgia. Chiude la seconda serata l’attore Filippo Timi, da un anno in tournée con lo spettacolo ‘Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche’ e autore di diversi romanzi.

Venerdì a mostrare la sua ‘Officina’ sarà la scrittrice romana Chiara Valerio con  Diego De Silva, Antonio Moresco e Mauro Covacich.

Paolo Poli, in ricordo di Sandro Penna

Il poeta Sandro Penna rivive in un “ricordo” che Paolo Poli con il compositore e pianista Andrea Farri gli dedica in occasione dell’ultimo appuntamento della quarta edizione di TEREAMOPOESIA, giovedì 22 aprile 2010. I lirici greci, ma anche Leopardi e Rimbaud, fanno sicuramente parte della sua cultura poetica, e poi Saba. Ma quella di Penna – dice Paolo Poli – è una poesia pura e senza tempo unica nel Novecento.

«Poeta esclusivo d’amore», come egli stesso si è definito, Penna canta con ossessiva levità l’amore per i ragazzi («i bianchi marinai», «il tenero garzone di fornaio», «l’adolescente odoroso di fichi»…), mai – però – l’amore per uno solo.

La sua poesia è popolata di figure di ragazzi, ritratti nella grazia inquieta dell’adolescenza – «Tu morirai fanciullo ed io ugualmente/ma più belli di te ragazzi ancora/dormiranno nel sole in riva al mare», «Fuori il vento toccava le case degli uomini, le lente migrazioni dei fanciulli…».

La poesia di Penna – ha osservato Pasolini – è costituita da «un delicatissimo materiale fatto di luoghi cittadini, con asfalto ed erba, intonaci di case povere, interni con modesti mobili, corpi di ragazzi coi loro casti vestiti, occhi ardenti di purezza innocente […]».

Anche i luoghi, i paesaggi cantati da Penna ritornano in modo ossessivo – sempre gli stessi, indimenticabili: le strade e le piazze di Roma, le sale buie dei cinematografi, i bar anonimi della periferia, i tram affollati, i «neri treni», la verde e umida campagna, i bianchi marmi dei ponti, e ovunque il respiro del mare, il mormorio del fiume nel quale si riflettono le luci tremolanti della sera.

E’ pur dolce il ritrovarsi
per contrada sconosciuta.
Un ragazzo con la tuta
ora passa accanto a te.
Tu ne pensi alla sua vita
– a quel desco che l’aspetta.
E la stanca bicicletta
ch’egli posa accanto a sé.

A Nathan Zach il Premio Gabriele D’Annunzio

E’ Nathan Zach, nato a Berlino nel 1930 da famiglia ebraica, il vincitore del VII Premio Internazionale di poesia Gabriele D’Annunzio.
Stefano Trinchese, preside della facoltà di Lettere dell’Università “D’Annunzio” di Chieti, ha sottolineato come “Nathan Zach rappresenti la cultura ebraica nel mondo, con una visione anche critica del conflitto fra Israele e Palestina”.
Nato da padre tedesco e madre italiana, dopo l’avvento del Nazismo, Zach fu costretto a lasciare Berlino ed emigrare in Palestina con la famiglia, un evento che segnò la sua vita, configurandosi come fatto traumatico nella sua opera.
Nel 1993 Natan Zach ha vinto il Premio Feronia di Roma, nel 2000 il Premio Internazionale di poesia Camaiore. Numerose le onorificenze ricevute in Israele.
In conferenza stampa a Pescara, presso Casa D’Annunzio, il presidente del Centro studi Dannunziani, Edoardo Tiboni, ha ricordato i nomi dei vincitori delle precedenti edizioni del Premio: Yves Bonnefoy (2003), Mario Luzi (2004), Adonis (2005), Hans Magnus Enzensberger (2006), Mark Strand (2007), Evgenij Evtushenko (2008).

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=WJ9v_k4muZ4[/youtube]

“E’ stato l’amore – non io”

Giovedì 8 aprile 2010 alle 21:00 alla Casa della Poesia di Milano, nella Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia 1, “È stato l’amore – non io” Emily Dickinson e Antonia Pozzi lette da Viviana Nicodemo, a cura di Sofia Pelczer. Accomunate da un drammatico isolamento, la Dickinson e la Pozzi cantano l’amore da una condizione di esilio esistenziale che rende ancora più lucida e affilata la parola poetica.
Riflessioni critiche di Gabriela Fantato e Silvio Raffo
Videoproiezione Ora sospesa
Con la collaborazione di Milo De Angelis

Almanacco dello specchio 2009

Giovedì 1 Aprile alle 18:00 Il Centro Culturale Bibli di Via dei Fienaroli, 28 a Roma presenta: Almanacco dello specchio 2009 (Mondadori, euro 16,00). Introducono: Maurizio Cucchi, Fabrizio Fantoni, Antonio Riccardi. Letture dei poeti Francesco Accolla, Nanni Balestrini, Mario Benedetti, Maria Borio,
Anna Buoninsegni, Anna Maria Carpi, Azzurra D’Agostino, Gabriela Fantato,
Biancamaria Frabotta, Marco Massimiliano Lenzi, Michela Miti, Guido Monti,
Umberto Piersanti, Maria Pia Quintavalla, Gabriella Sica, Matteo Zattoni. Un’intera raccolta inedita di Piero Bigongiari, risalente ai primi anni quaranta e ritrovata da Andrea Kerbaker, apre questo nuovo numero dell’Almanacco dello Specchio, che comprende anche cinque poesie disperse di Amelia Rosselli, un autoritratto in versi di Nanni Balestrini, un breve saggio di Antonio Prete su Giancarlo Majorino, un’intervista a Franco Branciaroli sul suo rapporto con la poesia, il Diario critico 2008-2009 di Biancamaria Frabotta e Alberto Bertoni. Parte centrale e molto sostanziosa, un’antologia di dodici poetesse: Marica Larocchi, Anna Maria Carpi, Maria Attanasio, Daniela Attanasio, Annalisa Manstretta, Anna Buoninsegni, Maria Pia Quintavalla, Michela Miti, Paola Loreto, Gabriela Fantato, Azzurra D’Agostino, Letizia Dimartino. Tra gli inediti italiani, ecco nuovi versi di autori affermati come Giovanni Orelli e Milo De Angelis, Umberto Piersanti e Luigi Fontanella, o di altre personalità emergenti quali Giovanni Nadiani, Marco Massimiliano Lenzi, Massimo Dagnino, Guidi Monti, Giovanni Francesco Accolla. Le sezioni dedicate agli stranieri presentano una scelta di versi del grande poeta ungherese Miklós Radnóti, dell’irlandese Patrick Kavanagh, dell’argentino Arturo Carrera, del canadese Serge Patrice Thibodeau e dell’iracheno Kadhim Jihad Hassan. La vitalità della nostra poesia d’oggi è qui infine confermata dalla presenza di tre giovani autori, introdotti da Mario Benedetti: Maria Borio, Lorenzo Caschetta e Matteo Zattoni.

A volte , sull’orlo della notte si rimane sospesi
e non si muore. Si rimane dentro un solo respiro,
a lungo, nel giorno mai compiuto,
si vede la porta spalancata da un grido. La mano feriva
con una precisione vicina alla dolcezza. Così
si trascorre ignoti dal primo sangue
fino a qui, fino agli attimi che tornano a capire
e cercano il significato dei corpi e restano
imperfetti e interrogati.

di Milo De Angelis

Omaggio a Tonino Guerra

Grande successo di pubblico a Verona per le celebrazioni della Giornata Mondiale della Poesia proclamata dall’Unesco organizzate dall’Accademia Mondiale della Poesia e dedicate quest’anno a Tonino Guerra (nella foto).
La manifestazione, patrocinata fra gli altri dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal ministero degli Affari Esteri, dalla commissione nazionale italiana per l’Unesco e da Rai Teche, ha visto la partecipazione, oltre a Tonino Guerra, di star internazionali del mondo del cinema quali i registi Theo Angelopoulos e Wim Wenders, oltre a Francesco Barilli, Bustric, Paolo Paoloni e Andrea Guerra, figlio di Tonino, compositore. Molti i contributi video con messaggi di auguri al festeggiato da parte di Gian Luigi Rondi, presidente del Festival del Cinema di Roma, Felice Laudadio, direttore della Casa del Cinema, i fratelli Taviani e Francesco Rosi.
Il cancelliere Nadir M. Aziza ha consegnato la medaglia realizzata da Riccardo Cassini e il diploma d’onore dell’Accademia Mondiale della Poesia a Tonino Guerra “in considerazione del suo contributo al rinnovamento della poesia italiana e alla valorizzazione della sua espressione dialettale, per aver inciso sul cinema italiano e mondiale del XX secolo col suo apporto multiforme e geniale”. Consegnato a Tonino Guerra anche un altro premio speciale realizzato dall’artista informale Marcello Lo Giudice: una scultura realizzata con delle farfalle in omaggio alla poesia scritta dal poeta sceneggiatore.

Pier Paolo Pasolini, l’autore in cerca di fortuna

Va all’asta un carteggio di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), all’epoca in cui era un poeta trentenne che si affermava tra narrativa e cinema, indirizzato a un grande poeta dialettale, il friulano Biagio Marin (1891-1985). La collezione di 21 lettere dattiloscritte, con firma autografa, indirizzate dalla capitale a Marin, tra 1953 e il 1964, sarà battuta dalla casa Bloomsbury martedì 23 marzo, a Roma, in Palazzo Colonna, con una stima che oscilla tra i 4 mila e i 6 mila euro.

Il 6 febbraio 1956 Pasolini scriveva: “E tu non angosciarti: davvero hai bisogno del riconoscimento di questa bolgia di imbecilli? La tua poesia è una delle più belle, pure, appassionate di questo cinquantennio: tu lo sai. E sai che i migliori lo sanno”.

Era questo il sintetico giudizio che Pasolini dava della poesia dell’amico Marin, amico, confidente, suggeritore di emozioni, sodale vero nel difficile percorso dell’officina poetica.

E insieme a lui, nelle pagine di questo epistolario, compaiono gli amici di sempre, ad esempio lo scrittore Carlo Emilio Gadda: “Quanto a Gadda, è molto giù: si sente solo e sfortunato. L’altra
sera mi diceva, con una certa angoscia, malgrado il suo solito humour, che aveva paura di morire come De Gasperi” (lettera del 1 settembre 1954).

Giornata mondiale della poesia, a Radio3 la voce dei poeti

Domenica 21 marzo, in occasione della Giornata mondiale della poesia, Radio3 sarà per un giorno interamente affidata ai poeti. Le trasmissioni rispetteranno il palinsesto, ma le voci che accompagneranno gli ascoltatori dalle sei del mattino fino a notte inoltrata non saranno quelle familiari dei conduttori, ma quelle, forse radiofonicamente meno esperte e comunque forti e intense, di un gruppo di poeti tra i più rappresentativi del panorama contemporaneo.

Se la sveglia alle 6.00 di Qui comincia avrà la voce di Maria Grazia Calandrone, la buonanotte di Radio3 Suite sarà con Silvia Bre affiancata da Andrea Zanzotto, Valerio Magrelli, Gianni D’Elia e Edoardo Sanguineti, mentre la rassegna stampa di Prima Pagina si trasferirà a Milano con Maurizio Cucchi.

A3, la trasmissione d’arte, si arricchirà della partecipazione di Antonella Anedda e Radio3Mondo, Pagina3 e File urbani saranno condotte, rispettivamente, dalla poetessa greca Helen Paresheva, da Lidia Riviello e da Sara Ventroni.

Domenica in Concerto avrà come guida musicale d’eccezione Maria Luisa Spaziani e Zazà, il contenitore culturale in diretta da Napoli, ospitera’ in studio Gabriele Frasca.

Anche Uomini e Profeti di Gabriella Caramore, nella sua versione domenicale dedicata alla Bibbia, Le musiche della vita, che per il mese di marzo ospita il grande direttore d’orchestra Antonio Pappano, e La Grande Radio avranno al loro centro riflessioni legate alla poesia.

In effetti ogni poesia
potrebbe intitolarsi ‘Attimo’.
Basta una frase
al presente,
al passato o perfino al futuro:
basta che qualsiasi cosa
portata dalle parole
stormisca, risplenda,
voli nell’aria, guizzi nell’acqua,
o anche conservi
un’ apparente immutabilità,
ma con una mutevole ombra.

di Wislawa Szymborska

Una serva dei servi, Silvia Bre Antonio Capaccio

Alla Casa delle letterature di Roma quinto appuntamento di  “Doppio passo. Incontri di Arte e di Letteratura”, rassegna a cura di Maria Ida Gaeta.
Si tratta di un confronto diretto tra due opere di differenti discipline artistiche che entrano in dialogo, ciscuna con le proprie peculiarità espressive e stilistiche, e permettono prospettive di lettura consonanti e inedite, suscitando interpretazioni eterogenee e articolate sia nell’ambito della parola che dell’immagine.
Il progetto di quest’anno, “Una serva dei servi”, vede protagonista l’artista Antonio Capaccio e la poetessa, Silvia Bre, che si sono confrontati a partire dall’omonimo poemetto “A servant to servantes” di Robert Frost, tradotto per l’occasione, da Silvia Bre e interpretato attraverso i lavori inediti di Antonio Capaccio (nella foto).

Il poemetto di Robert Frost affronta il tema della solitudine domestica di una donna dell’America dei primi decenni del Novecento con tale profondità da sollevarlo a figura di una condizione universale.

Da: Una serva dei servi di Robert Frost

Non può sapere come ero contenta
che venisse ad accamparsi sulla nostra terra.
Mi dicevo che sarei scesa un giorno o l’altro
a vedere in che modo viveva, ma non so,
con una casa di uomini affamati da sfamare
credo s’immagini… Mi sembra
di non poter esprimere quello che sento
più di quanto non possa alzar la voce
o tirar su la mano (oh, la sollevo eccome quando devo)
Lei lo ha provato? Spero mai.
Sono al punto di non sapere più nemmeno
se sia contenta, o triste, o chissà cosa.
Dentro mi resta solo una specie di voce
che pare dica come dovrei sentirmi,
come mi sentirei se non fossi tutta fuori fase.
Il lago, per esempio. Lo guardo e lo riguardo.
Vedo che è un chiaro e bello specchio d’acqua.
Sto lì, continuo a dire a voce alta
le qualità che ha, così stretto e lungo,
come un tratto profondo d’un vecchio fiume
troncato alle estremità. Per cinque miglia
s’infila dritto nella gola del monte
dalla finestra dove lavo i piatti
e tutte le nostre tempeste salgono verso la casa
gonfiando le onde più bianche e più bianche e più bianche.

(Traduzione di Silvia Bre)

Fino al 22 marzo, a Roma, alla Casa delle Letterature (piazza dell’Orologio 3).

Per ulteriori informazioni: Casa delle Letterature – Roma
Tel.: 06.68134697 – Fax: 06.68301896

Email: infocasadelleletterature@comune.roma.it.

Giorgio de Chirico, “Uno sguardo nell’invisibile”

Dal 26 febbraio al 18 luglio 2010 una grande mostra a Palazzo Strozzi di Firenze racconta la straordinaria avventura artistica di Giorgio de Chirico e la duplice influenza che la sua pittura ebbe nell’arte moderna e su pittori come Carrà e Morandi, o Max Ernst, Magritte e Balthus.Attraverso 100 opere, provenienti da esclusive raccolte private e da alcuni dei più importanti musei del mondo, la rassegna mette in evidenza “la rivoluzione copernicana” operata da de Chirico nell’arte del XX secolo, che aprì la strada a tutti quei movimenti che costituiscono la parte più interessante e vitale dell’esperienza artistica europea tra le due guerre, dal Dada al Surrealismo, dal Realismo Magico al Neo-Romanticismo dando un taglio netto alle prospettive di ricerca ormai esaurite del cubismo e delle avanguardie formali.

Responsabili del progetto scientifico sono Paolo Baldacci e Gerd Roos, curatori tra l’altro della mostra monografica dedicata a de Chirico nel 2007 a Padova, e inoltre Guido Magnaguagno, fra i curatori della mostra Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Max Ernst tenutasi nel 1998 a Zurigo, Monaco e Berlino.

La mostra riunirà alcune tra le più celebri opere del periodo metafisico di de Chirico, dipinti di Carrà e Morandi, capolavori di René Magritte, Max Ernst e Balthus. In dialogo con questi quadri verranno presentate opere estremamente significative di artisti come Niklaus Stöcklin, Arturo Nathan, Pierre Roy e Alberto Savinio, che sulla strada aperta da de Chirico si mossero in un ambito espressivo in bilico tra Metafisica, Realismo Magico, Surrealismo e Neo-Romanticismo.

La mostra
Il sottotitolo della rassegna: “Uno sguardo nell’invisibile”, prende spunto da un’affermazione di Giorgio de Chirico, che sin dall’inizio del suo percorso scrisse che lo scopo della pittura non doveva essere di riprodurre più o meno bene ciò che già vediamo in natura, ma soprattutto «far vedere ciò che non si può vedere». Non solo, quindi, trasferire e ricreare emozioni, ma indurre nello spettatore, attraverso un sofisticato sistema di selezione e di riproduzione delle immagini, le stesse intuizioni sperimentate dall’artista sul significato profondo del mondo e delle cose.

A questo proposito la sede di Palazzo Strozzi è particolarmente significativa perché la prima completa “rivelazione” del misterioso rapporto che intercorre fra le cose che appaiono e il loro significato colse il ventunenne de Chirico proprio durante un viaggio a Firenze nell’ottobre del 1909. È da questa esperienza che ha origine l’intuizione dechirichiana degli aspetti enigmatici e inesplicabili dell’esistenza e del mondo, tradotta in forma plastiche nei suoi celebri “enigmi” degli anni Dieci e negli inquietanti accostamenti iconografici degli anni Venti.

Il percorso per famiglie bambini: Tutte le mostre di Palazzo Strozzi mirano ad abbattere le barriere tra arte e scienza: per De Chirico, Max Ernst, Magritte, Balthus, l’itinerario per famiglie e bambini inviterà a esplorare la psicologia attraverso speciali didascalie e una sala interattiva che accompagneranno il visitatore in un viaggio nel mondo dei sogni, degli spazi e delle paure (agorafobia e claustrofobia).
I visitatori avranno la possibilità di raccontare i propri sogni attraverso narrazioni o disegni che potranno lasciare direttamente in mostra oppure inviare attraverso il sito della mostra www.palazzostrozzi.org, via Twitter o via e-mail.

La mostra è posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero degli Affari Esteri, ed è promossa e realizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi con il sostegno della Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Associazione Partners Palazzo Strozzi e con la collaborazione di Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Firenze e l’Archivio dell’Arte Metafisica di Milano.

Io non sogno mai, scrittura e sguardo in Giorgio Messori

Il 23 e il 24 febbraio 2010 l’Università La Sapienza di Roma e il Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dedicano due giornate di studio a Giorgio Messori “Io non sogno mai”, Scrittura e sguardo in Giorgio Messori, Facoltà di Lettere e Filosofia, Aula III (piano terra).
L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Reggio Emilia, propone uno sguardo sullo scrittore reggiano scomparso nel 2006.
Giorgio Messori: L’ultimo buco nell’acqua, scritto con Beppe Sebaste (Aelia Laelia, 1982); Nella città del pane e dei postini (2005), romanzo che è insieme riflessione sul mondo contemporaneo, diario, cronaca d’amore e libro di viaggio; e Storie invisibili, volume – postumo – di racconti (Diabasis, 2009).
Uomo sempre alla ricerca di sé stesso, Giorgio Messori è stato particolarmente sensibile alle arti figurative, realizzando una felice interazione con l’attività di numerosi fotografi: con Luigi Ghirri ha realizzato Atelier Morandi (Palomar, 1992), e successivamente Il senso delle cose. Luigi Ghirri-Giorgio Morandi (Diabasis, 2005); con Vittore Fossati Viaggio in un paesaggio terrestre (Diabasis, 2007), esplorazione fotografica e letteraria sulla scia dei grandi pittori e paesaggisti europei.

Il Programma

23 febbraio, ore 9:30
Giulio Ferroni, Saluto – Presiede Giorgio Patrizi – Carlo Bordini, Perché abbiamo deciso di fare queste giornate – Primi anni: Descrizioni della via Emilia, Aelia Laelia e L’ultimo buco nell’acqua – Intervengono: Pietro Bevilacqua, Daniela Rossi, Gino Ruozzi, Beppe Sebaste – Proiezione del video di Aelia Laelia, a cura di Daniela Rossi – Discussione – Lettura dell’intervento di Gianni Celati

ore 15:00
Testimonianze su Giorgio Messori docente, a cura di Saiyora Ismailova – Lettura delle “Dieci regole d’oro” di Giorgio Messori – Paolo Morelli, Lettura di testi di Giorgio Messori
La narrativa: Storie invisibili – Tavola rotonda – Francesco Pontorno (coordinatore), Massimo Barone, Fabio Ciriachi, Giuseppe Crimi, Giorgio Patrizi – Discussione – Rocco Brindisi, Lettura di uno scritto su Giorgio Messori del pittore svizzero Jurg Tanner e un suo racconto tratto da Il bambino che viveva nello specchio, (Diabasis 2010) che ha come protagonista Giorgio Messori

24 febbraio, ore 9:30
Paolo Morelli, Lettura di testi di Giorgio Messori – La narrativa: Nella città del pane e dei postini
Tavola rotonda: Emanuele Trevi (coordinatore), Carlo Bordini, Silvia Bordini, Filippo La Porta, Francesco Pontorno, Beppe Sebaste – Discussione – Rocco Brindisi, Lettura

ore 15:00
Il rapporto con la fotografia e con il paesaggio. La collaborazione con Luigi Ghirri. Il Viaggio in un paesaggio terrestre – Tavola rotonda. Olivier Favier (coordinatore), Fabio Boni, Fabrizio Cicconi, Andrea Cortellessa, Paolo Di Paolo, Vittore Fossati, Paola Ghirri, Gianni Leone, Maurizio Magri – Discussione – Gino Ruozzi,  Conclusioni

André Frénaud, “Amour d’Italie”

Prosegue alla Casa della Poesia di  Milano presso la Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia 1, il ciclo di lezioni sui “POETI EUROPEI” con una serata dedicata a uno dei maggiori poeti francesi del Novecento, André Frénaud (nella foto), uno dei più significativi della generazione che, nella seconda metà del XX secolo, ha seguito il movimento surrealista.

L’appuntamento è per giovedì 11 febbraio 2010 alle 21:00 con Maurizio Cucchi e Marc Le Cannu.

 

 

Niente aglio niente stringhe
niente acqua di sante niente almanacchi
niente pacchetti per le donne
niente regoli e compassi lisci
niente cavoli rossi niente veleni
niente adulterii né ferri né muschi
niente stelle di mare o d’amore
né semi dal polline burroso
niente annunci di nascite nuove
Il mondo è vuoto più niente da vendere.

da: “Aria del venditore ambulante” di André Frénaud
Traduzione di Diego Valeri

La nuova poesia americana. New York

A Roma, mercoledi 27 gennaio 2010, alle ore 17:00 nel Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana (p.za Chiesa Nuova, 18) la direttrice della Biblioteca, Maria Concetta Petrollo Pagliarani, introdurrà la presentazione del libro ‘La nuova poesia americana. New York’ (Mondadori, euro 22,00) a cura di Luigi Ballerini, Gianluca Rizzo e Paul Vangelisti, relatore Ugo Rubeo.
Prosegue la mappatura dell’intera poesia americana contemporanea iniziata da Ballerini e Vangelisti con i poeti californiani e ora pervenuta alla sponda opposta, quella newyorchese. In questo volume vengono antologizzati una quarantina di poeti di varie generazioni e tendenze, a partire da nomi molto illustri di grandi personaggi della letteratura americana del Novecento, come John Ashbery, Kenneth Koch, Franck O’Hara, Amiri Baraka, Louis Zukofsky, insieme a numerosi altri autori, a noi più o meno noti, che vengono a comporre un quadro tanto vario quanto interessante.

Autori
Bruce Andrews, John Ashbery, Amiri Baraka, Bill Berkson, Charles Bernstein, Anselm Berrigan, Ted Berrigan, Paul Blackburn, Brian Blanchfield, Joseph Ceravolo, Jordan Davis, Ray Di Palma, Timothy Donnelly, Barbara Guest, Victor Hernandez Cruz, Robert Kelly, Kenneth Koch, Ann Lauterbach, David Lehman, Tinothy Liu, Lisa Lubasch, Jackson MacLow, Ted Mathys, Bernadette Mayer, Ryan Murphy, Charles North, Alice Notley, Frank O’Hara, Rochelle Owens, Ron Padgett, Nick Piombino, Charles Reznikoff, James Schuyler, David Shapiro, Gilbert Sorrentino, Tony Towle, Paul Violi, Anne Waldman, Lewis Warsh, Marjorie Welish, John Yau, Louis Zukofsky

Il fuoco, l’ombra, la morte (Incisioni e poesie)

Martedì 26 gennaio 2010, ore 21 presso la Casa della Poesia di Milano, poesia e arte figurativa si affiancano in un’esposizione di incisioni e poesie dal titolo ‘Il fuoco, l’ombra, la morte’. Nove incisori e nove poeti si illustrano e si spiegano a vicenda, invitando il pubblico a percorrere una mostra inedita nella storica sede della Palazzina Liberty.


Incisioni
: Adalberto Borioli, Elisabetta Casella, Elena Strada, Italo Bressan, Luciano Ragozzino, Luiso Sturla, Pierluigi Puliti, Valeria Manzi.
Poesie: Arturo Schwarz, Elio Pecora, Fabio Posterla, Giancarlo Majorino, Maurizio Cucchi, Nicola Dal Falco, Paolo Frigerio, Roberto Dossi, Silvio Ramat.
Presentazione di Marco Rota.