A sette anni dalla scomparsa, ricordiamo il premio Nobel colombiano, Gabriel Garcìa Màrquez

A file picture dated 26 March 2007 shows Colombian Nobel Prize-winning novelist Gabriel Garcia Marquez (R) posing with a special edition of his most famous book ‘One Hundred Years of Solitude’ in Cartagena de Indias, Colombia.
ANSA/Ballesteros

17 APRILE 2014: GRAZIE, GABRIEL GARCIA MARQUEZ

di MONICA ACITO

Quando Gabriel Garcìa Màrquez morì, il 17 aprile 2014, io avevo vent’anni.
Sapevo che Gabo era malato e che non riconosceva più nessuno, ma io lo immaginavo immortale: credevo che sarebbe rimasto per sempre nella sua casa di Città del Messico a scrivere di generali, labirinti e città immaginarie.

Non volevo pensare a Màrquez come a un essere corruttibile, non volevo immaginarlo in una bara che odorava di legno e incenso. Per me, Màrquez non era fatto di carne: era fatto della terra rossa della Colombia, di inchiostro e di farfalle gialle.

Quando Gabriel Garcìa Màrquez morì, nel 2014, io avevo vent’anni e piansi come una bambina.

Tutti mi chiedevano “Perché piangi per uno scrittore? Era vecchio, aveva ottant’anni, e poi non lo hai mai visto”. Sentii che forse nessuno poteva capire, perché quando muore uno scrittore amato, è come se tutti i polmoni della terra smettessero di respirare.

Io piangevo sul corpo di Aureliano Buendìa, sui capelli di Remedios la Bella; piangevo sulla bocca di Rebeca Buendìa e sul sangue di José Arcadio; piangevo su tutti i personaggi che la penna di Gabo aveva saputo evocare, e che erano stati miei genitori, fratelli, amanti: erano stati il mio stesso respiro.

Sarebbe difficile parlare dei personaggi di Màrquez uno per uno, perché lui è un autore corale: i suoi personaggi sono come formiche che si affastellano l’una sull’altra, che creano insieme un discorso comune, come i cori delle grande tragedie.

I volti dipinti da Màrquez sono come insetti intrappolati nell’ambra, sono tipi umani e categorie che si snodano come in una tavolozza; abbiamo il prototipo del colonnello, incarnato Aureliano Buendìa di “Cent’anni di solitudine”; quello della ragazza scandalosamente bella, innocente e fuori dal mondo, ossia Remedios la Bella sempre in “Cent’anni di solitudine”; e non manca nemmeno la fanciulla orfana che gira il mondo senza radici e senza patria, impersonata da Rebeca Buendìa.

Ma le più affascinanti sono le figure ibride, torbide e con un grande respiro narrativo, come la ragazza posseduta dal demonio e poi guarita dall’amore del suo prete esorcista, come Sierva Maria in “Dell’amore e altri demoni”, o l’uomo che si sveglia la mattina della sua morte e accompagna il lettore verso il momento in cui stramazzerà al suolo, ossia Santiago Nasar di “Cronaca di una morte annunciata”.

Conosciutissimo è anche il prototipo del vecchio innamorato, che aspetta la sua amata per cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, sfidando il tempo, la morte e il colera. Non dimentichiamo la figura emblematica del generale intrappolato nel suo labirinto, o anche lo zingaro che porta con sé il gusto del mistero.

Ogni personaggio dei romanzi di Màrquez ha una tonalità e una temperatura diverse, e tutti i creano un vero e proprio arazzo con fili intrecciati. Sfogliando le pagine delle grande opere di Gabo, si ha l’impressione di toccare con mano quei fili colorati, e di riannodarli nel nero dell’inchiostro.

Conobbi Màrquez a quindici anni: forse in quel periodo avevo bisogno di essere salvata. E le sue pagine riuscirono a riportarmi a casa, una casa che si chiamava Macondo.

Macondo è una città che non esiste sulle carte geografiche, perché è scaturita dalla fantasia di Gabo: per me, invece, era l’unica città che esistesse davvero.

Trascorrevo le giornate distesa sul letto ad abbeverarmi di Macondo, e quando leggevo Màrquez io non ero soltanto felice, ma qualcosa di più: io ero dissetata.

Leggevo, chiudevo gli occhi e mi immaginavo nel patio di una casa colombiana, su una sedia a dondolo: mi immaginavo sospesa tra l’odore delle begonie e l’umidità dell’ora della siesta.

Nella mia mente prendevano forma le voci di tutti i personaggi di Màrquez, e ognuno di loro ha nutrito un aspetto della mia personalità che si stava formando. Non riuscivo a smettere di leggere, ero percorsa da una strana febbre: quando leggevo di quei riti primordiali dell’America Latina, come i combattimenti tra galli, pensavo a tutte le tradizioni arcaiche del Cilento dove ero cresciuta. Continua a leggere

Czesław Miłosz

di Fabio Izzo

Czesław Miłosz descrive la condizione divisa dell’individuo all’interno di un regime totalitario, attribuendone la libertà di pensiero e parola ad una pratica eretica, il ketman, che basa i suoi principi sulla dissimulazione, sulla perfetta comprensione e conversione dei meccanismi di censura in cui viene applicata.

Nell’inverno del 1948-49 un funzionario polacco, navigando in un fiume della Pennsylvania in canoa, prima del tramonto, stava in attesa della comparsa dei castori, animali in via di estinzione in Europa. Allo stesso modo si mise a contemplare la scomparsa del suo mondo, il mondo dell’essenza e dell’eterna verità, considerando la sconfitta del governo stalinista dove si formò culturalmente. Così deciderà poi di lasciare il partito. Scriverà in seguito: “stare in America voleva dire scegliere la vita al suo livello biologico.

Quest’ uomo fu anche un poeta conosciuto con il nome Czesław Miłosz e descrisse la sua esperienza in “Natura”…In America,
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Paul Cezanne, "Vue sur l'Estaque et le Château d'If"

 A Christie's staff member poses for a photograph next to "Vue sur L'Estaque et Le Chateau d'If" by Paul Cezanne in London
Uno dei capolavori del grande pittore francese Paul Cezanne (1839-1906), tra i suoi più intensi paesaggi della Provenza, dal titolo “Vue sur l’Estaque et le Château d’If”, sarà battuto all’asta da Christie’s a Londra il  4 febbraio 2015. Continua a leggere

Margaret Atwood e Thomas Pynchon

Due anteprime editoriali
a cura di Luigia Sorrentino

di Nicola D’Ugo

Roma, 19 settembre 2013. Sono usciti in questi giorni negli Stati Uniti due romanzi importanti nel panorama della narrativa internazionale: Margaret Atwood con “MaddAddam” e Thomas Pynchon con “Bleeding Edge”.

Entrambi trattano il tema della società digitale in cui viviamo. Il romanzo di Atwood chiude (forse) il ciclo della triade romanzesca che era cominciata nel 2003 con le questioni della clonazione in “Oryx and Crake” (“L’ultimo degli uomini”) e dell’ambientalismo rispetto alla modificazione estetica dei corpi in “The Year of the Flood” (L’anno del Diluvio). “MaddAddam” è ambientato nell’imminente futuro e riprende il nucleo dei ‘ribelli’ del romanzo precedente. Continua a leggere

L’Urlo di Munch esposto al MoMa di New York

Il collezionista che lo ha comprato lo dà in prestito a uno dei più importanti musei d’arte  del mondo, il MoMa di New York. L’opera sarà in esposizione dal 24 ottobre 2012 e per sei mesi, fino al 24 aprile 2013 ed è una delle quattro versioni dell’Urlo di Edward Munch, venduta da Sotheby’s per quasi 120 milioni di dollari. Un record mondiale: è l’opera d’arte più costosa mai venduta a un’asta.

Per la prima volta anche il pubblico di New York potrà ammirare il capolavoro dell’artista norvegese, un pastello su tavola del 1985. Continua a leggere