Stefano Vitale, “Si resta sempre altrove”

Stefano Vitale

Nota di lettura di Alberto Fraccacreta

La poesia di Stefano Vitale è un punto sospeso «tra il Tutto e il Niente», ossia un «più profondo osservare l’esistenza nella sua complessa dialettica fra esistere e scomparire», come scrive Alessandro Fo nella prefazione a Si resta sempre altrove (puntoacapo Editrice, pp. 122, € 15,00). È infatti un testo, quello di Vitale, concertato sulla stanzialità caproniana dell’attendere un qualcosa in arrivo, la «sospensione di senso» in grado di «passare oltre».

Lo dimostrano anche i titoli di sezione, così liricamente calcarei: Nella quieta servitù dell’attesa, Si resta sempre altrove (sequenza che si estende su tutta l’opera), La voce, soltanto la voce, Lo stato dell’arte, Effetto notte, Circostanze, Piccolo requiem. Alfredo Rienzi nota, nella postfazione, l’attitudine di Vitale a una «poesia pensante». Eccone un esempio notevole: «Cerchiamo la parola esatta, àncora / che viene dal bene /che ci afferri come un destino. // Cerchiamo la parola esatta, luce / nella piega delle labbra /nel gesto lieve delle dita. // Cerchiamo la parola esatta, argine / che ci renda lo splendore del silenzio / senza vergogna né rassegnazione. // Ma quel che abbiamo è / un alfabeto muto / passo senza cognizione / pieno d’errori / distrazioni, omissioni».

L’ideale stampo di questo brano, costruito su un forte nesso anaforico, è Non chiederci la parola di Montale. Anche in tal caso la “negatività” del dire genera per contrasto il desiderio di una parola poetica alta e altra.

 

*

 

Il tempo di una rosa
quello di una vita

improvviso fiorire
lento disfarsi

nel profumo dell’erba
ricamato di luce

nell’istante del disastro
di petali precipitati

cercare la salvezza
nel taglio estremo

c’è il calore del corpo
dimora in cammino

verso l’altro capo delle cose. Continua a leggere

Angelo Maria Ripellino, “Lo splendido violino verde”

Angelo Maria Ripellino

COMMENTO DI UMBERTO BRUNETTI

 

19. Il cappellaio Aurevoir è morto ieri a Parigi

 

 

Da un’assonanza con il Monsieur Miroir di una poesia di Philippe Soupault (Funèbre) trae origine «il cappellaio Aurevoir» di que­sta lirica, che assume la forma di un fittizio annuncio funebre. L’autunno parigino fornisce una cornice malinconica, che sembra quasi immortalata all’in­terno di un film in bianco e nero («Parigi ricalca i suoi rami nudi / nella cartacarbone del cielo») con un rapido avvicendamento di immagini e una progressiva restrizione del campo: dall’intera città si passa al lungosenna, a rue des Rennes e, infine, all’interno del «negozietto» di cappelli. La scelta del personaggio del cappellaio consente al poeta di costruire una successione di metafore: le pagliette «piangono», il nero dei cilindri «batte le ciglia», «le bombette sono uova di gelo». La climax è costruita su un passaggio dal movimento all’im­mo­bilità e dalla personificazione al ritorno in oggetto, come se la morte abbracciasse anche le creazioni del protagonista. Conferisce struttura circolare al componimento la ripetizione dell’incipit al v. 9 con un’u­nica variante: l’assenza dell’ap­po­sizione «cappellaio». La distanza fra Aurevoir e l’ele­men­to che prima lo caratterizzava, i cappelli, è ora pari alla distanza fra la vita e la morte, e la cesura è ormai insanabile.

Con le note di Cole Porter come sottofondo, quasi in una coda finale senza immagini, si chiude la poesia, che traspone nell’immaginario di una Parigi passata il tema dell’ineluttabilità della morte, colta non nel dramma di chi se ne va, ma nel vuoto e nel dolore di ciò che rimane, in un ‘arrivederci’ che è in realtà un addio.

 

Metrica: strofa di undici versi, principalmente endecasillabi, alternati a un quadrisillabo (v. 11), un decasillabo (v. 4) e due versi composti (doppio ottonario il v. 1, endecasillabo piú trisillabo con ritmo dattilico il v. 2). Rime di vv. 4-8 «cielo : gelo» e, ipermetra imperfetta, di 6-11 «tortore : Porter». Rima identica di vv. 1-9.

 

Il cappellaio Aurevoir è morto ieri a Parigi.
Lungo la Senna balbetta una folla di foglie.
Parigi ricalca i suoi rami nudi
nella cartacarbone del cielo.
Il negozietto a rue de Rennes è chiuso.                                                           5
Piangono le pagliette come tortore,
batte le ciglia il nero dei cilindri,
le bombette sono uova di gelo.
Aurevoir è morto ieri a Parigi.
Straziante, insulso, disperato autunno,                                                           10
o Cole Porter. Continua a leggere

Alessandro Fo, “Filo spinato”

DAL RISVOLTO DI COPERTINA

Il filo spinato del titolo è quello che, trattenendo il nonno di rientro da un assalto durante la Grande Guerra, gli salvò la vita. Senza quel filo non ci sarebbero stati il padre del poeta, né la zia Bianca, né lo zio Dario, né il premio Nobel di quest’ultimo. Incontriamo poi in questo libro un ricco romano del IV secolo, di cui rimane pressoché solo il nome: ma fu grazie a lui se il giovane Agostino poté studiare. Senza di lui, niente Confessioni. E poi, ancora, una borsetta di perline trovata fra le macerie della Seconda guerra mondiale e conservata durante la prigionia per essere regalata a una futura nipote, che ora l’ha riposta cosí gelosamente da non riuscire piú a trovarla. La consolazione di un declivio fiorito lungo la strada che conduce a un lavoro logorante. Una pagella del 1934, nella quale un 6 in matematica fa ancora recriminare dopo piú di ottant’anni l’alunna che lo ricevette. Un garage da sgomberare, in cui giace un tesoro di lettere di Ripellino. L’avvento salvifico di vecchi libri sbrindellati nella cella di una prigione. Le poesie di Alessandro Fo raccontano piccoli episodi come ripresi da vecchie foto, sempre con la speranza che qualcosa resti, dopo la fine di ogni storia. Sempre con la certezza che tra lo scomparire e il riemergere ci sia un filo sottile, spinato o no, a cui tutti siamo appesi.

 

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Guido Gozzano, da “I colloqui”

Guido Gozzano

La collana «Interno Novecento» ripropone la raccolta che consacrò Guido Gozzano (1883-1916) come un classico: I Colloqui (1911). Il libro si arricchisce di una scelta dei più riusciti e celebri testi dell’altra silloge da lui pubblicata nella sua breve vita (La via del rifugio, 1907), e di quelli rimasti dispersi in rivista o del tutto inediti. Ha scritto Montale che Gozzano «entrò nel pubblico come poi non avvenne più ad alcun poeta: familiarmente, con le mani in tasca». E con questo suo porgere studiatamente svagato, ora affettuoso ora ironico, ha ritratto un universo di piccole cose e di vite ‘minori’ (la signorina Felicita, il vecchio custode analfabeta, ma anche le farfalle e le «disperate cetonie capovolte») con un dettato semplice e musicale, forte di un estro inconfondibile. La cura di un poeta-filologo come Alessandro Fo dispone attorno a questa galleria di piccoli capolavori una rosa di apparati che adeguatamente introduce a una voce divenuta ineludibile nella nostra cultura poetica.

Totò Merùmeni

i

Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei

balconi secentisti guarniti di verzura,

la villa sembra tolta da certi versi miei,

sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura…

Pensa migliori giorni la villa triste, pensa

gaie brigate sotto gli alberi centenari,

banchetti illustri nella sala da pranzo immensa

e danze nel salone spoglio da gli antiquari.

Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,

Casa Rattazzi, Casa d’Azeglio, Casa Oddone,

s’arresta un automobile fremendo e sobbalzando,

villosi forestieri picchiano la gorgòne.

S’ode un latrato e un passo, si schiude cautamente

la porta… In quel silenzio di chiostro e di caserma

vive Totò Merùmeni con una madre inferma,

una prozia canuta ed uno zio demente.

 

 

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Claudio Pasi, “Ad ogni umano sguardo”


LA NAVIGAZIONE INTERNA NELL’88 D.C.

Per queste terre basse, nella nebbia
o sotto il sole a picco, lungo prode
inabitate e astrusi labirinti
di canali e lagune, trasportiamo
derrate e passeggeri da Claterna
agli scali di Spina conficcando
nel fondale melmoso le pagaie.

Su queste onde scorre lentamente
tutto il tempo del mondo, e allora smettano
di farci fretta consoli e mercanti
o poeti venuti da lontano.
Vanno così le nostre vite e senza
né dolore né gioia proseguiamo,
pigri Argonauti verso nessun dove.
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SOPRA LA COROGRAPHIA DI G. B. ALEOTTI STAMPATA NELL’ANNO 1603

Qui è dove convergono le piene
dei torrenti discesi dai calanchi
franosi d’Appennino che, travolti
gli sbarramenti e le fragili dighe
fatte di malta e di fascine, vanno
a spagliare per tutta la pianura. Continua a leggere

Nella poesia di Fornaretto Vieri

Fornaretto Vieri

LUCE E DESTINI NELLA POESIA DI FORNARETTO VIERI

SCELTA DEI TESTI E COMMENTO DI ALESSANDRO FO

È appena uscita con Interno poesia una cospicua e notevole silloge di Fornaretto Vieri: Teologia familiare e altre poesie, Latiano (BR), 2019, 154 pp., euro 15. Nel titolo si scorge già una sorta di stemma della poesia di Vieri, i cui temi fondanti sono appunto il ricordo intenerito dei molti doni d’affetto ricevuti in seno alla famiglia e quella ricerca di Dio che sembra configurarsi come un mai appagato desiderio di risalire alle sorgenti ultime di ogni amore e di ogni grazia, l’Archetipo da cui si sono ripetute nella sua vita tutte le inesprimibili meraviglie di cui sono capaci le creature. Quella di Vieri è una prospettiva lirica che corre con impressionante, musicale naturalezza dal privato all’universale, sulle ali di un verso limpido e fastoso (sono soprattutto endecasillabi a dare corpo al «pentagramma/ segreto ch’è nel cuore dei poeti»: Il Lanco,p. 124), impreziosito da scelte lessicali ora eccentriche e ardite («contrade strinate dal rovaio», «gusci barlacci», «fruciandolo/ del crepuscolo») e ora tali da farsi luce esse stesse («l’azzurro, il verde, il libro smeraldino»: p. 26). Come specimen si propongono qui L’ordine delle cose (p. 137), il brano IV della sezione La luce dell’essere, e due poesie dal canzoniere d’amore e delusione Al margine dei sogni: di queste ultime, la XVII è un virtuoso esercizio sul bianco, inteso come colore di un gelido spegnersi in un’irraggiungibilità lasciata in sospeso, mentre la XVIII completa sia tematicamente il quadro, sia grammaticalmente il periodo, facendo di quel trionfo polare il campo di sempre più pallide epifanie destinate a un artico naufragio. Continua a leggere

Pierluigi Cappello, “Un prato in pendio” Tutte le poesie 1992-2017

 

PAROLE POVERE

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande. Continua a leggere

Giovanna Cristina Vivinetto, “Dolore minimo”

Per anni ho provato a stanarti
dal doppiofondo umido delle mie
ossa. Sarebbe stato uno spremerti
via dagli occhi se solo ti avessi
trovata in tempo – invece è stato
un chiedere invano senza risposta.

Sarà che certe cose a quindici anni
non si possono ancora capire
– mentre tu in silenzio già strisciavi
nelle stanze disabitate
incorrotte del mio corpo.
Sarà che la voce interna fiorisce
solo a forza di strappi e toppe
mal ricucite – da lì sguscia l’anima.

Eppure seppellito sotto mucchi
di foglie secche un indizio c’era
– un debole presupposto
inavvertitamente esisteva:
il rifiuto del padre, il rigetto
della sua assenza – la sua voragine,
la preponderanza del ruolo
materno – l’ombra femminile
troppo a lungo riflessa.

Fu nel vuoto che ti conficcasti:
una scheggia di legno mentre
si chiudono le finestre
che sbattono sole al vento.
Fosti il compromesso da accettare,
la voce interna da nutrire,
la preghiera da salmodiare
in ginocchio, l’ultima toppa
sgraziata da ricucire – sul cuore. Continua a leggere

UMANA, TROPPO UMANA

marilynPoesie per Marilyn Monroe
A cura di Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo

Il 1° giugno del 2016 Marilyn Monroe avrebbe compiuto novant’anni. Questa raccolta intende ricordarla con un omaggio alla sua (ferita) grandezza. Sulla scia dei versi che le dedicarono Pier Paolo Pasolini e Dario Bellezza, molti poeti italiani di oggi si sono qui ritrovati per celebrarla con una tenera e partecipata ‘offerta musicale’ nella forma di una ghirlanda di liriche. Ne scaturisce un ritratto di Marilyn Monroe a più dimensioni. Continua a leggere

Anna Elisa De Gregorio, “Un punto di biacca”

un-punto-di-biacca-314407Nota di Francesco Scarabicchi

I versi che porta con sé domanda indiretta o affermazione. Non bastano, «dentro un nero di anni», eppure si scrivono, come conferma Un punto di biacca di Anna Elisa De Gregorio che compone, nelle quattro sezioni del nuovo libro, una partitura in cui abitano le parole (il loro compito, il fare luce col suono) alle quali è affidato quel che resta dentro il precipitare e lo sparire, nulla che ha il suo sosia in niente. La lingua del lessico è un “sommesso” che si accosta all’ascolto come volesse confidare un segreto, l’impronta vocale della scrittura che conserva e trattiene quel che è possibile e necessario («Volontà di salvezza delle cose»), precarietà del mondo che vacilla ad ogni istante. Dolore degli addii, il viaggio, il sensibile annotare a memoria le “scene” del labirinto della mente, l’amore che siamo stati, il tempo scomparso, tutta la vita incontrata e persa, malinconia dell’ironico, consapevole che il lessico della lingua si fa pane amaro e bianco, meraviglia e strazio che non grida. Continua a leggere

Intervista a Alessandro Canzian

CANZIAN_NUOVA

foto di Dino Ignani

Alessandro Canzian: Che cos’è  la poesia

A cura di Luigia Sorrentino

In questi giorni nella rubrica di poesia Il Teeteto che sto curando per la rivista on line Zest (neonata rivista che conta però già una redazione d’eccezione: Mariangela Camocardi, Federica D’Amato, Otello Marcacci, Alessandra Nenna, Giovanni Nuti, Paolo Risi, Davide Rondoni, Carlotta Susca)  diversi poeti di ottimo livello stanno rispondendo alla medesima domanda: la poesia, per me, è un’esperienza del mondo (Giovanna Rosadini); è solo quest’ultima che davvero “inventa” la lingua, che realmente la rinnova (Franco Buffoni); la poesia esprime il superfluo per eccellenza (Maria Grazia Calandrone); la poesia è un estremo tentativo di riparazione (Luigia Sorrentino); lo strumento che cerca il senso delle cose e lo strumento che (a tratti, per illuminazioni) scopre quel segreto e lo segnala (Alessandro Fo). Continua a leggere

MARIO LAGHI PASINI, “SPAZIOTEMPI MINORI”

Laghi Pasini, Spaziotempi minori 180Dalla Prefazione di Alessandro Fo

Quaderno azzurro, Quaderno rosa, Quaderno giallo e Quaderno inesistente sono i “taccuini” su cui ha appuntato i suoi versi, lungo moltissimi anni, un poeta longevo qual è Mario Laghi Pasini. Senza mai pubblicarli. «Piccoli oggetti per me cari, concretizzati dal nulla. Che mi davano coraggio, nel flusso altrimenti poco comprensibile della vita. Una buona vita, peraltro, se mi guardo indietro. Incomprensibile, appunto». La «buona vita» di un ingegnere, con la passione della letteratura. Autore di racconti, anche pubblicati. E di versi tenuti invece chiusi nei «quaderni», per incertezza e pudore. Ora, venuto a sera del vivere concesso dalle stelle, Mario Laghi Pasini si risolve a ripassare in rassegna quegli oggetti, spolverarli, ricomponendo i quaderni in due sezioni (più una terza che, mutati il tempo e la fantasia… non ha conosciuto quaderni, neppure «inesistenti»), e poi disporli in una vetrina di pagine, in cui siano colti da lontani amatori di spaziotempi minori e minimi. Continua a leggere

Alessandro Fo, “Attenzioni”

Alessandro Fo RITAGLIATA (foto Gianfranco Negri) Foto di Gianfranco Neri

Nota di Alessandro Fo

Una piccola composizione in versi nasce all’incrocio fra la storia personale, le vicende quotidiane, le sensazioni, le letture, le musiche interiori di una persona. Il punto ‘esatto’ (per quanto lo possano essere le cose poetiche) in cui tutta questa complessità ‘condensa’ un gesto espressivo è quello che chi tenta le vie dell’arte chiama di solito ispirazione. È per lo più questione di un istante: qualcosa come un improvviso convergere di vari fili che traversavano, isolati, la mente, per poi precipitare in inchiostro su un foglio. A me piace pensare che il momento poetico consista appunto nella capacità di fissare la percezione inconsueta che, delle cose, questa finestra schiude quasi a sorpresa. E nella capacità di raggiungere questo scopo in una forma a sua volta inconsueta e stilizzata, ma contemporaneamente autentica e persuasiva. In tutto questo processo agisce naturalmente anche la tradizione, ciò di cui ci siamo nutriti leggendo e ascoltando, ciò in cui ci siamo maggiormente riconosciuti. E queste sono tutte, se si vuole, forme differenti di attenzione: una categoria ritenuta fondante, per il fare poetico, anche nell’appassionata e profonda, così cruciale, conferenza di Elsa Morante, Pro o contro la bomba atomica. Continua a leggere

Claudio Pasi

claudio_pasiA cura di
Luigia Sorrentino
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Nota di Alessandro Fo  

Tutta la lirica di Claudio Pasi è un’articolazione musicale di una profonda pietas. È segnata cioè da un costante e innamorato rispetto di un passato che corre dall’antichità classica al cerchio dei luoghi in cui è cresciuto l’autore. Il ‘narratore onnisciente’ – che però conquista spesso la sua scienza con un paziente lavoro d’archivio su sperdute fonti – guarda a oggetti anche piccoli o storie molto ‘minori’ del passato con una proiezione nostalgica che chiama tutto a nuova vita, in un concerto di melodie per lo più regolate su elegantissimo endecasillabo. Lo si coglie bene in queste ‘fughe’ su ricordi di guerra. Nulla di eclatante sul piano della grande Storia che travolse il Mondo: ma minimi, delicati frammenti di quello stesso mondo travolto, studiati con infinita partecipazione, e consegnati, nel loro breve respiro, alla universale, commossa memoria della poesia.

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Claudio Damiani vince il Premio Camaiore 2013

È Claudio Damiani (nella foto di Dino Ignani) con “Il fico sulla fortezza” (Fazi editore) il super vincitore del Premio Letterario Camaiore 2013 – XXV Edizione.

Lo hanno deciso i voti della giuria popolare composta da cinquanta persone (votanti 47) che avevano precedentemente letto i cinque libri arrivati in finale selezionati dalla giuria tecnica. Sabato 14 settembre 2013 alle 21:30 presso l’UNA Hotel di Lido di Camaiore, a inizio della serata, i voti sono stati depositati  in un’urna chiusa  da ogni singolo componente della giuria popolare. Lo spoglio delle schede al termine della manifestazione, ha decretato il vincitore assoluto dopo che tutti i finalisti in concorso erano stati premiati dalla giuria presieduta da Francesco Belluomini e composta da: Corrado Calabrò, Emilio Coco, Vincenzo Guarracino, Paola Lucarini, Mario Santagostini. I giurati, che hanno seguito con viva partecipazione tutte le fasi della serata, prima di conferire il premio a ciascun finalista hanno letto la motivazione della giuria. Continua a leggere

I finalisti e i vincitori del Premio Camaiore 2013

Appuntamento

Il 15 giugno 2013, alle ore 10:00, presso la Sala Giunta del Palazzo Comunale si è riunita la Giuria Tecnica del XXV Premio Letterario Camaiore, presieduta da Francesco Belluomini, (nella foto). Giuria composta da Alberto Bevilacqua, Corrado Calabrò, Emilio Coco, Vincenzo Guarracino, Paola Lucarini e Mario Santagostini.

Sono cinque i libri finalisti che verranno sottoposti alla valutazione della Giuria Popolare nell’ambito della cerimonia conclusiva di premiazione fissata per sabato 14 settembre 2013 all’interno della quale verrà designato il libro finalista.

Il Presidente Francesco Belluomini ha ufficializzato le sue scelte in merito al conferimento dei “premi speciali e menzione”.

La Giuria all’unanimità, ha espresso grande soddisfazione per l’ampia partecipazione al Premio, per l’altissimo profilo letterario delle opere presenti, nonché per la partecipazione di autori di respiro mondiale e di autrici donne. Continua a leggere

Cinque finalisti al Gregor Van Rezzori

Appuntamento

Jennifer Egan con “Guardami” (Minimum Fax), Etgar Keret con “All’improvviso bussano alla porta”  (Feltrinelli), Atiq Rahimi con “Maledetto Dostoevskij” (Einaudi), Juan Gabriel Vasquez con “Il rumore delle cose che cadono” (Ponte alle Grazie) e Jeanette Winterson con “Perché essere felice quando puoi essere normale?” (Mondadori). 

Sono questi i libri che compongono la cinquina del Premio Gregor von Rezzori – Città di Firenze per la migliore opera di narrativa straniera tradotta in Italia, giunto alla sua settima edizione. Continua a leggere