DAL RISVOLTO DI COPERTINA
Scarabicchi è morto nell’aprile del 2021 e questo libro esce purtroppo postumo. È uno dei suoi piú belli, senz’altro il piú commovente. Queste sue ultime poesie vanno alla ricerca dei sogni, delle cose, delle idee avute e scomparse nel corso degli anni («Si decida il contabile del tempo | a restituirci gli anni non vissuti»). Con uno sguardo al mondo che andrà avanti, alle generazioni che, come sempre, si succedono alle precedenti. Il lirismo sommesso ed essenziale tipico del poeta marchigiano è qui al servizio di un libro testamentario in cui il poeta fa pacatamente i conti con la fine della vita, avvertita ormai come imminente. Senza mai indulgere al pathos, attenendosi a quella sobrietà linguistica, a quel «monachesimo lessicale», come scrisse Enrico Testa, che chi ha letto Il prato bianco e gli altri suoi non numerosi libri ha imparato a interpretare come indicazione etica non meno che come scelta stilistica.
Con una Notizia bio-bibliografica di Massimo Raffaeli.
La Moja
a Franco Cordelli
e a Massimo Raffaeli
I
Così la luce delle soglie è notte,
così è giorno, se la tocca l’aria,
se la divide l’ombra delle porte
o il silenzio pesante delle pietre
mentre la via deserta s’allontana
dall’erba e dal confine della selva
a un’ora di settembre, luci basse,
o dopo quella pace della neve,
alberi radi, una panchina, il cielo
dove di me l’infanzia sa a memoria
i nomi che non dice e che conserva
dai vetri d’un negozio, da una tenda.
II
Questo luogo del mondo è argine e onda,
palude, via ferrata, sostantivo,
destino d’una riva, ansa, sponda,
stagione della fertile pianura,
tempo del tempo che scompare lento,
legna che si fa brace e dopo spegne,
presente che dell’umile contrada
seguita la bellezza che non grida,
la verità del sole al primo gelo.
III
Rade auto al confine della notte,
insegne, chiuse imposte,
la fornace che arde di parole.
Nel silenzio, il paese cede al sonno. Continua a leggere