Guido Gozzano, da “I colloqui”

Guido Gozzano

La collana «Interno Novecento» ripropone la raccolta che consacrò Guido Gozzano (1883-1916) come un classico: I Colloqui (1911). Il libro si arricchisce di una scelta dei più riusciti e celebri testi dell’altra silloge da lui pubblicata nella sua breve vita (La via del rifugio, 1907), e di quelli rimasti dispersi in rivista o del tutto inediti. Ha scritto Montale che Gozzano «entrò nel pubblico come poi non avvenne più ad alcun poeta: familiarmente, con le mani in tasca». E con questo suo porgere studiatamente svagato, ora affettuoso ora ironico, ha ritratto un universo di piccole cose e di vite ‘minori’ (la signorina Felicita, il vecchio custode analfabeta, ma anche le farfalle e le «disperate cetonie capovolte») con un dettato semplice e musicale, forte di un estro inconfondibile. La cura di un poeta-filologo come Alessandro Fo dispone attorno a questa galleria di piccoli capolavori una rosa di apparati che adeguatamente introduce a una voce divenuta ineludibile nella nostra cultura poetica.

Totò Merùmeni

i

Col suo giardino incolto, le sale vaste, i bei

balconi secentisti guarniti di verzura,

la villa sembra tolta da certi versi miei,

sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura…

Pensa migliori giorni la villa triste, pensa

gaie brigate sotto gli alberi centenari,

banchetti illustri nella sala da pranzo immensa

e danze nel salone spoglio da gli antiquari.

Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,

Casa Rattazzi, Casa d’Azeglio, Casa Oddone,

s’arresta un automobile fremendo e sobbalzando,

villosi forestieri picchiano la gorgòne.

S’ode un latrato e un passo, si schiude cautamente

la porta… In quel silenzio di chiostro e di caserma

vive Totò Merùmeni con una madre inferma,

una prozia canuta ed uno zio demente.

 

 


Un rimorso

i

O il tetro Palazzo Madama…

la sera… la folla che imbruna…

Rivedo la povera cosa,

la povera cosa che m’ama:

la tanto simile ad una

piccola attrice famosa.

Ricordo. Sul labbro contratto

la voce a pena s’udì:

«O Guido! Che cosa t’ho fatto

di male per farmi così?»

Le golose

Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine –

le dita senza guanto –

scelgon la pasta. Quanto

ritornano bambine!

Perché nïun le veda,

volgon le spalle, in fretta,

sollevan la veletta,

divorano la preda.

C’è quella che s’informa

pensosa della scelta;

quella che toglie svelta,

né cura tinta o forma.

L’una, pur mentre inghiotte,

già pensa al dopo, al poi;

e domina i vassoi

con le pupille ghiotte.

Un’altra – il dolce crebbe –

muove le disperate

bianchissime al giulebbe

dita confetturate!

Un’altra, con bell’arte,

sugge la punta estrema:

invano! ché la crema

esce dall’altra parte!

L’una, senz’abbadare

a giovine che adocchi,

divora in pace. Gli occhi

altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,

non crema e cioccolatte,

ma superliquefatte

parole del D’Annunzio.

Fra quegli aromi acuti,

strani, commisti troppo

di cedro, di sciroppo,

di creme, di velluti,

di essenze parigine,

di mammole, di chiome:

oh! le signore come

ritornano bambine!

Perché non m’è concesso –

o legge inopportuna! –

il farmivi da presso,

baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte

di giovani signore,

baciarvi nel sapore

di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore

che mangiano le paste nelle confetterie.

(Torino, confetteria Baratti.)

Elogio del sonetto

Lodati, o Padri, che per le Madonne

amate nel platonico supplizio,

edificaste il nobile edifizio

eretto su quattordici colonne!

Nulla è più dolce al vivere fittizio

di te, compenso della notte insonne,

non la capellatura delle donne

non metri novi in gallico artifizio.

Nessuna forma dà questa che dài

al sognatore ebbrezza non dicibile

quand’egli con sagacia ti prepari!

O forma esatta più che ogn’altra mai,

prodigio di parole indistruttibile

come i vecchi gioielli ereditari!

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Guido Gozzano nasce a Torino il 19 dicembre 1883 da genitori di Agliè Canavese, suo paese-‘rifugio’. Dopo la morte del padre (1900), si iscrive a Giurisprudenza (1903), ma non giungerà alla laurea. Debutta con versi in rivista nel 1904. La prima raccolta, La via del Rifugio, è dell’aprile 1907, e occasiona una sofferta vicenda sentimentale con Amalia Guglielminetti. Proprio allora scopre una lesione polmonare che lo costringerà a molte pause di soggiorni di cura. Dal 1909 le condizioni della madre lo portano a farsi carico della gestione economica della famiglia. È del 1911 la raccolta più importante, I colloqui. Un viaggio in India (1912) non ferma la tubercolosi. Muore a Torino il 9 agosto 1916. Oltre alle due sillogi di versi ha pubblicato un libro di fiabe (I Tre Talismani, 1914). Fra le opere postume che hanno raccolto sue varie prose: Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India, 1917; La Principessa si sposa. Fiabe, 1917; L’altare del passato, 1918; L’ultima traccia, 1919.

Alessandro Fo (1955) insegna Letteratura Latina all’Università di Siena. Ha tradotto e curato, per Einaudi, Rutilio Namaziano, Il ritorno (19942); Apuleio, Le Metamorfosi (20102) e La Favola di Amore e Psiche (2014); Virgilio, Eneide (note di Filomena Giannotti, 2012; lettura integrale: https://www.spreaker.com/show/3285688); Catullo, Le poesie (testo critico, introduzione, traduzione e commento, 2018). Si è occupato anche di fortuna dei classici, e di letteratura italiana contemporanea (in particolare di Angelo Maria Ripellino). Fra i suoi libri di versi: Otto febbraio (Scheiwiller 1995); Piccole poesie per banconote (Polistampa 2002); Corpuscolo (Einaudi 2004); Vecchi filmati (Manni 2006); Mancanze (Einaudi 2014: Premio Vareggio-Rèpaci); Esseri umani (L’Arcolaio 2018). È prevista per Einaudi (2021) la nuova raccolta Filo spinato.

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