Vittorino Curci, Poesie

Vittorino Curci

si può attraversare la stanza mettendo i piedi nelle bacinelle smaltate piene di acqua. le cassette di legno lungo le pareti sono vuote solo per chi non dà valore alla parola intuizione. gli altri possono girare la testa dall’altra parte dove, in un fascio di luce meridiana, c’è un bambino che fa il bagno in una tinozza di zinco. intorno a lui, disseminati sul pavimento, fogli di giornali appallottolati, bulloni, sassi, torce elettriche e mollette da bucato.
«non è stato un carnevale e non è finito» dice l’artista. «mi duole un braccio… sentite anche voi un ronzio?»
la gallerista è una statua di sale. ha il viso pieno di lipomi.
fa caldo. caldissimo. l’uomo basso e corpulento che è accanto a lei tira fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto sgualcito

*

il commiato che sfugge alla pagina
come di ogni cosa il senso che frana
nel nulla di questa notte di pioggia.
dalle finestre ancora accese
l’eloquenza di uno sguardo fa gelare
il sangue ogni volta che una goccia
di luce si squaglia sull’asfalto

«di me mi duole il dolore che non provo
per tutto quello che non sono stato»

1.

cumuli di spazzatura per le strade, gente sconosciuta e altri fatti inspiegabili hanno eccitato gli animi nelle ultime settimane.
prima di cominciare a bere ha messo al sicuro l’esplosivo

l’enormità della scelta in un paese dove è sempre maggio
«ehi, freccia scoccata, che ne sai tu del fango… domani vedremo se continuerai a parlare…»

in un moto di stizza porta al massimo il fragore dei macchinari.
una casa in disordine rende meglio l’idea

2.

il sospetto è fondato – il non pensare, dopo aver pensato.
non si può negare: il ragazzo rivive le stesse scene. ora corre con una girandola in mano. invece di guidarci oltre il confine svolta all’angolo del primo isolato

per quanto sia, facciamo anche noi delle sciocchezze.
ora siamo soli nella strada, è notte e non sappiamo dove andare

3.

dopo il secondo smottamento non ha più pretesti, non vuole accampare pretese. cerca solo di guadagnare tempo approfittando degli operai che portano le ultime carabattole per completare la scena

restano tre domande: perché restare, a cosa pensano i giocatori di birra davanti a queste porte chiuse con catene e lucchetti, che senso ha parlare di questo in una poesia

il crepitio del fuoco è un’alzata di spalle o un salto del pensiero. verità e menzogna insieme

in queste albe imperturbabili arriva il momento in cui restiamo soli con i nostri genitori, ma loro non ci sono

*

erano spezzature e falsi contrappunti
che gli tempravano le forze
lasciando i battimenti al suo utile idiota.
i balordi in quegli anni
facevano il diavolo a quattro
ma non riuscivano
a mandare in subisso la sua ricchezza.
il presagio chiedeva silenzi di approvazione.
i resistenti avevano il volto paonazzo
degli ubriachi e suonavano a orecchio
davanti a un pannello di lamiera ondulata.
in quell’imbroglio di immagini
i bambini tracciavano con le braccia
ampi cerchi nell’aria. era l’estasi
della loro momentanea immortalità Continua a leggere

I finalisti del Premio Viareggio Rèpaci


Selezionate le terne dei vincitori del premio Giuria-Viareggio nonché finalisti del premio letterario Viareggio-Rèpaci.

Per la narrativa: Edith Bruck con ‘Il pane perduto’ (La nave di Teseo), Gilda Policastro per ‘La parte di Malvasia’ (La nave di Teseo) e Alice Urciuolo con ‘Adorazione’ (66thand2nd).

Per la poesia Andrea Bajani per ‘Dimora naturale’ (Einaudi), Vittorino Curci con ‘Poesie (2020-1997)’ (La Vita Felice) e Flavio Santi per ‘Quanti (truciolature, scie, onde) 1999-2019’ (I&L industria & letteratura).

Per la saggistica Alessandra Necci con ‘Al cuore dell’impero. Napoleone e le sue donne fra sentimento e potere’ (Marsilio), Walter Siti per ‘Contro l’impegno (Rizzoli) e Gianni Sofri con ‘L’anno mancante. Arsenio Frugoni nel 1944-45’ (il Mulino).

La giuria tornerà a riunirsi in occasione della serata finale proclamando, per ciascuna sezione, il vincitore della 92/a edizione del premio Viareggio-Rèpaci: la cerimonia si terrà il 28 agosto.

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Vittorino Curci, il poeta e il sassofonista

Vittorino Curci

La parola poetica nasce dal silenzio. Solo dal silenzio. Questo sembra dirci Vittorino Curci in questo nuovo libro in cui certo non mancano spigolosità, spaesamenti, colpi di scure sulla lingua (fino all’utilizzo di parole ed espressioni inventate come “quartali” o “vèrbate collura”). Il tutto però sembra muoversi verso una schiarita, forse per il peso che ogni parola, ogni sillaba, assume nel contesto di una prassi compositiva che, sospinta da
una forza ineluttabile fatta di passione e verità, trova il suo fulcro nel legame indissolubile tra immagine e suono.

TESTUALITA’ DEI CORPI

1.

a te si addice il torpore che festeggia
la vita, il formicolio della quinta ora.
al primo svoltare
è questo il giorno, il vocativo conciso
della macchina del tempo
costruita con le tue mani.
e poi facce, facce una sull’altra.
di ciò che è stato
è rimasto appena un grido

ma anche questo è un tempo
un precipizio di luce
sugli anni che non vedremo.
e sono confusi i pensieri, confusi
i gesti che ci portano alla frontiera
di una terra diversa, ereditata

2.

il pittogramma del buon principio,
come una profezia dei boschi, si fissa
per sempre nei tuoi occhi dove
l’ipnagogico sillabare del fuoco
da luoghi lontani, africani
clessidra la forza lustrale del disarmo
e il magistero intonso dei dannati.
riportati a terra, niente è come prima…
nessun pentimento, neanche un cenno
all’albatros depennato al primo rigo…
alla febbrile assenza di un respiro…
alla piovana sequenza di un nome
tra voci sbussolate e nude sulle dune

3.

nel ventunesimo delle fortune mancate
la nostra terra è un disegno sulle carte,
il dono assente dei quasiversi orchestrati
per violini scacciamosche.
gli oscurati portano semi nel pugno, luce
imperitura di chi mai pensa alla resa
e al vessillo cencioso dei malvagi
che misura il tempo della fuga e il lontanare
dei frammenti rosicchiati al buio.
ieri invocavamo l’infinire del rubato
per disossare completamente il mare.
la notte per le mani spianava il cielo
a apostrofi di comete…

4.

dal corridoio con le luci al neon
scendiamo nell’interrato delle partite
perse, nell’obitorio degli annegati…
l’orecchio buono del silenzio
cade nella pania del talento
e ci esorta a lasciare senza tornaconti
l’andare a capo del braccio e questa
vigilia su cui declina un piccolo sole

 

SEGNALI DI FUMO

 

è giusto che si facciano un’idea del prezzo, che controllino
ogni cosa. hanno solo respirato aria. l’aria
di sempre. l’aria di tutti. ma spesso la luna dei pozzi
ci ripensa. utilizza il tempo a suo piacimento
la città industriale si sveglia al ticchettio di un orologio
[fermo.
memoria dei linfomi. pugno di consonanti in un vicolo
[cieco.
nebbia alle sei del mattino.
le scolaresche, dopo l’appello, sono pronte.
se potessero tornare indietro…

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Vittorino Curci, “La ferita e l’obbedienza”

Vittorino Curci

“Credo che da sempre il principale compito affidato al poeta sia quello di liberare le parole per rigenerare il linguaggio. In questo nostro tempo però il poeta si fa carico di un altro compito, non meno importante: quello di verificare se siamo ancora vivi.”

Vittorino Curci

ESTRATTI

 

Vittorino Curci, “La ferita e l’obbedienza” (Prima edizione 2008, I libri di Icaro).
Dalla seconda edizione ampliata dall’autore sono estrapolati  gli ESTRATTI qui pubblicati, (2017 Spagine).
Spagine è un periodico di informazione culturale dell’Associazione Fondo Verri presidio del libro di Lecce.

 

1. I testi necessari

De quoi souffres-tu?
De l’irréel intact dans le réel dévasté.

René Char

Voglio raccontare queste figure. Non posso ignorarle. Sono figure eloquenti, compatte, intrattabili.
La verità della poesia è nel suo farsi confine e legge della sua stessa inutilità.
Il destino e gli sguardi si sono incrociati. Le ferite cantano.
Il poeta è colui che per debolezza o necessità alza lo sguardo, e così facendo si accorge di non avere più le vertigini.

Non sto qui con la faccia da scemo di chi vive in un mondo bellissimo che vorrebbe spiegare agli altri.
Il pianeta è ammalato e altro non ci è dato conoscere che il punto in cui ci troviamo.
Tra le cose più giuste da fare, quell’immergersi e imparare di cui parla Benn nel primo verso di Aprèslude.

Di che soffri?
Dell’irreale intatto dentro il reale devastato.

Parole condotte alla luce, battute sul corpo. I frantumi di un vaso che nessuno può mettere insieme.

“Faccùlo faccùlo” gridò più volte il ragazzo ritenendo che un solo “faccùlo” non rendesse a sufficienza l’idea di quanto fosse arrabbiato.

La stanchezza dei nostri conflitti è diversa. L’irreale ci è scoppiato addosso.
Noi siamo lanciatori di coltelli.

Con Rimbaud e Mallarmé la poesia moderna ha avviato un processo spirituale che non ha precedenti nella storia dell’umanità, una vera e propria rivoluzione incentrata sul linguaggio a cui, per la prima volta, viene data la possibilità di parlare apertamente di se stesso.
Le parole infatti non sono del poeta. Anche se egli arriva al punto di inventarle, esse di fatto non gli appartengono. E allora, se le parole non sono del poeta, di chi sono? Della comunità linguistica cui il poeta appartiene? Oppure dell’umanità nella sua interezza?
Se queste domande hanno senso – e se hanno un senso, indicano una direzione nella quale cercare – io dalla mia esperienza ho imparato che nella vita di ogni giorno si usano le parole per dire qualcosa.

In poesia invece sono le parole che vogliono dire qualcosa. Scrivere poesia perciò vuol dire essenzialmente ascoltare.

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Vittorino Curci, “L’ora di chiusura”

Vittorino Curci

COMMENTO DI ALBERTO FRACCACRETA

La poesia di Vittorino Curci – come quella del tedesco Jan Wagner e del cubano Víctor Rodríguez Núñez – parte da un elemento (grafico) che potrebbe sembrare trascurabile, ma che invece nasconde in sé una decisa dichiarazione di poetica: la presenza pressoché totale di lettere minuscole (anche e soprattutto dopo segni d’interpunzione forte). Ciò sta a evidenziare l’umiltà (jaccottettiana) della parola, del linguaggio lirico. Non la sfiducia e l’inaffidabilità à la Pessoa, ma il suo essere oggetto modesto e discreto. La poesia stessa appare come qualcosa di trascurabile, di infimo addirittura, di profondamente terrigno.

La sua celestialità risiede proprio nel contatto ancestrale con l’humus, con le piccole cose al di là di ogni significanza minimale (e senza alcuno spettro crepuscolare, ma con una notevole carica metafisica).

Dal piccolo, da ciò che è deferente, nasce quella magnificenza che il poeta sa cogliere e vuole offrire agli occhi del lettore, rovesciando ogni razionale prospettiva e delineando un inatteso “stacco” verticale che collega d’emblée la natura stessa della letteratura agli universali. Curci, amante di Trakl e del pensiero filosofico, musicista jazz e teorico della poesia, si inserisce in questo solco di dimessa oracolarità, cercando di trarre conoscenza ed ethos dalle esperienze che la poesia – con la sua incerta circumnavigazione dell’esistenza – pone allo sguardo interrogatorio e orante di chi è disposto all’ascolto.

brancola ogni forma di obbedienza
in questa sera bituminosa di febbraio.
tutto sarà fatto con calma,
dalla veglia in poi, dalle istruzioni
al ventottesimo giorno.
il nostro sabotaggio del reale
procede senza intralci.
abbiamo lune tatuate sul petto
e la capacità di intuire
il significato di parole sconosciute.
stiamo facendo il possibile
per adattarci ma non è facile.
ieri, domenica, mentre
traslocavamo per la terza volta,
abbiamo ricostruito a memoria
la nostra casa Continua a leggere

Expò 2015, Sentieri di-versi

 

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30 poeti per un itinerario di poesia nel Parco Reale di Monza nel programma EXPO MILANO 2015 – realizzato da La Casa della Poesia di Monza in collaborazione con l’artista Maria Micozzi e la Casa editrice La Vita Felice. Continua a leggere