Stefano Raimondi, “Tremare”

Stefano Raimondi

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Stefano Raimondi 

 

Eppure mi ero svegliato presto. Il sole aveva ancora il sapore dello zucchero filato appena fatto. Niente si muoveva smodatamente. Tutto aveva ancora un contorno pulito.  Lavandomi il viso sapevo che tutto era nel sogno: quello che avevo vissuto, quello che avevo visto. Un paese di invisibili viveva invisibilmente quello che dall’invisibile era stato colpito. Uno strano corpuscolo puntiforme stava attaccato ai respiri degli umani e quando colpiva qualcuno, faceva sparire la visibilità al malcapitato oltre che il fiato. Tutto diventava affannatamente pesante e tutto era come dentro una faticosa corsa. Nessuno più né si vedeva, né si riconosceva. Si camminava invisibili come si poteva nel tentativo disperato di farsi vedere. Ma più nessuno sapeva come ritrovarsi! Restavano le case a proteggere l’Invisibilità di ognuno. Lì ci si proteggeva dal fuori, dagli sguardi vogliosi di vedersi e repressi nel non riuscirci più. Le strade si sbendavano veloci tra le luci e per qualche ora sembravano aprirsi a qualcosa che sarebbe comparso. Ma poi ritornavano a raggomitolarsi nei cassetti e le città sbattevano ripetutamente le ante delle credenze, le assi delle loro bare di luce. Ogni mattina era un tentativo per ognuno: ognuno cercava disperatamente di farsi vedere. Ogni ricominciare nei giorni era una manovra per rendersi visibili e avvicinabili. Ma le distanze erano peggio delle menzogne. Tutti sospettavano, tutti presumevano, tutti iniziavano a non credere più a nessuno. Ma quello strano corpuscolo puntiforme teneva tutti ben nascosti nelle loro invisibilità ed oltre tutto, si era subito e arditamente dimostrato molto contagioso. Chi riusciva a farsi vedere forse diventava immune, ma anche questa era forse una bugia. Ma la questione era proprio quella: riuscire a farsi vedere senza fare paura. Continua a leggere

“Ad Patrem”, carme elegiaco di Gianluca Fùrnari

Il carme che qui ci presenta Gianluca FùrnariAd Patrem” è scritto secondo la tradizione elegiaca: si alternano esametri e pentametri seguendo una tradizione inaugurata in Grecia nel VII secolo a. C., una tradizione che raggiunge la vetta nel I secolo d.C. con poeti come Catullo, Tibullo, Properzio e Ovidio.  In particolare, il rappresentante al quale Gianluca  si ispira per scrivere il suo carme, è Mimnermo di Colofone, un poeta elegiaco greco antico vissuto, molto probabilmente, tra il VII e il VI sec. a. C. ed è  impostato come dialogo con il padre morto. La lingua che sceglie Fùrnari è però il latino da lui stesso definito “una lingua metastorica che, fino al secolo scorso, si è rivolta a tutte le generazioni con un linguaggio che non ha mai perso la sua lucidità”.
Me ne sono andato quando ho scoperto / che soffrivi di atropia, si legge in esergo al testo, e qui la parola atropia assume il significato della malattia della morte, della tenebra, in una caratterizzazione genetica, programmata. Poi nella sua nota Gianluca ci riferisce di un sogno, come a voler spiegare, a chi legge, che scrivendo in latino egli abbia cercato di entrare nella “metastoria”, mettendo in comunicazione la sua generazione con quelle che lo hanno preceduto attraverso un codice, una lingua, appunto, atropica:  una lingua che da un lato recide la vita e dall’altro ce la restituisce in un’elegia, un carme,  trasportato dalle ali di una farfalla notturna, come l’ Acherontia atropos che ha sul dorso il disegno di un teschio, ed emette, ogni tanto, uno stridìo, un verso, simile a un lamento.

(di Luigia Sorrentino)

 

Nota di Gianluca Furnari

Nei sogni dolorosi mi scoprivo spesso afono: non solo ero circondato da sagome monodimensionali, appena uscite dalle mani della mia coscienza, ma mi si toglieva persino il diritto di entrarvi in comunicazione. Sperimentavo una solitudine concentrica, e il tentativo di alzare la voce non faceva che esacerbarla. Continua a leggere

Oggetti naturali e supernaturali nel sogno

Macbethdi Giampaolo Lai

Sabato 6 giugno dalla 16.00 alle 19.00 avrà luogo il seminario dell’Accademia delle Tecniche Conversazionali dal titolo “Oggetti naturali e supernaturali nel sogno”, che si terrà a Milano, Palazzo Cusani  (ingresso da via del Carmine 8).

Sospesi tra il cielo e la terra, tra il soprannaturale e il quotidiano, ci sentiamo troppo spesso strattonati o spinti dagli oggetti della paura e dell’orrore, verso i quali corriamo o che da una parte e dall’altra ci vengono incontro anche quando non sono invitati. La storia di Macbeth continua a ricordarcelo.  Continua a leggere

Fernando Pessoa, "Messaggio"

 

messaggio_pessoaDall’Introduzione di Giulia Lanciani
Mensagem, Messaggio, è l’unica raccolta poetica pubblicata da Fernando Pessoa durante la sua vita. L’atto della pubblicazione segna, agli occhi del poeta portoghese, la rinuncia alle infinite potenzialità di metamorfosi di un testo. È per questo che, nonostante la concezione precoce (almeno dal 1913), Messaggio è stato edito solo nel 1934, un anno prima della morte dell’autore.
In questo libro araldico, che vuol essere monumento, in questa “cattedrale testuale” dalla struttura profondamente unitaria e insieme composita, mista di epica, lirica e dramma, Pessoa racchiude quarantaquattro componimenti. Continua a leggere

“Il sogno e la sua infinitezza”

Ninnj di Stefano Busà, L’arc-en-ciel
di Sandro Angelucci

Nell’immaginario di chi sta scrivendo, Il sogno e la sua infinitezza di si è rivelato un subitaneo manifestarsi, l’immediato formarsi di un arcobaleno. L’itinerario tracciato dall’autrice ha, in effetti, nei suoi punti di partenza e d’arrivo, e nel suo svilupparsi, i tratti caratteristici di un luminosissimo arc-en-ciel.
Ci spieghiamo meglio: la raccolta si apre (già prima del suo vero e proprio inizio) con un esergo, dell’autrice stessa, che recita così: “La Poesia è nel destino. / Sinapsi ascensionale che sublima. / (Come a un cielo l’ala), / dagli abissi del male, spicca il volo / e il mondo viene avvolto / di assoluto.”. Bene, ci è parso di scorgere in questa “sinapsi ascensionale”, in questa congiunzione – come anche l’ètimo suggerisce – lo sfocato contorno, perché “avvolto di assoluto” e, dunque, di mistero, della genesi di un che d’inafferrabile ma sufficiente a legare la terra al cielo: allo stesso modo del sorgere dell’iride, così nasce il sogno di questa scrittura.
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Pascoli, ‘Il sogno di Rosetta’ in scena dopo 111 anni

Andò in scena per la prima volta il 14 agosto del 1901 al Teatro dei Differenti di Barga (Lucca), facendo il tutto esaurito anche nei due giorni successivi. A distanza di 111 anni, “Il sogno di Rosetta”, unico libretto scritto da Giovanni Pascoli e musicato dal compositore spezzino Carlo Alfredo Mussinelli, torna nella cittadina della valle del Serchio, proprio per la manifestazione d’apertura del centenario di Giovanni Pascoli.

A riproporla, per il concerto di Capodanno che si terrà all’auditorium de Il Ciocco (1 gennaio ore 18, ingresso libero con invito), l’Ensemble del Maggio Musicale Fiorentino, diretto dalla dal maestro Giovan Battista Varoli.

“A Pascoli sembrava assurdo che nelle opere liriche, il testo consistesse in puri fattacci di cronaca – si legge in un libro dedicato all’argomento da Gian Luigi Ruggio – per lui un’opera doveva basarsi su un testo poetico”. Così il poemetto (contenuto nella raccolta ‘Odi e inni’), finì nelle mani di un musicista spezzino Carlo Alfredo Mussinelli, trentenne e cieco dall’eta’ di tre anni. Il compositore, pur non del tutto convinto, pensò che fosse un’occasione unica unire il suo nome a quello di un poeta già molto noto. Continua a leggere