Sergej Esenin, il poeta della malinconia

Sergej Esenin

Io vado errando sulla prima neve,
nel cuore mughetti di forze scoppiate.
La sera ha acceso sopra la mia strada
la candela turchina d’una stella.

Io non so se ci sia luce o buio,
se nella selva canti il gallo o il vento.
Forse, invece dell’inverno sui campi,
cigni si sono posati sul prato.

Tu sei bella, o bianca distesa!
Il lieve gelo mi riscalda il sangue!
Ho desiderio di stringere al corpo
i seni nudi delle betulle.

O folta torbidità boschiva!
O gaiezza dei campi nevosi!…
Ho desiderio di serrare tra le braccia
i fianchi di legno delle vétrici.
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Sergej Esenin (1895-1925)

Sergej Esenin

Io vado errando sulla prima neve,
nel cuore mughetti di forze scoppiate.
La sera ha acceso sopra la mia strada
la candela turchina d’una stella.

Io non so se ci sia luce o buio,
se nella selva canti il gallo o il vento.
Forse, invece dell’inverno sui campi,
cigni si sono posati sul prato.

Tu sei bella, o bianca distesa!
Il lieve gelo mi riscalda il sangue!
Ho desiderio di stringere al corpo
i seni nudi delle betulle.

O folta torbidità boschiva!
O gaiezza dei campi nevosi!…
Ho desiderio di serrare tra le braccia
i fianchi di legno delle vétrici.

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Il destino tragico di Esenin

Sergei Esenin

ODORE UMANO

COMMENTO DI FEDERICA GIORDANO

 

La poesia di Esenin ricorda il linguaggio della Bibbia. La semplicità estrema dello stile e la gravità terrena dei temi diventano mezzi per cantare un prodigio più alto, un mistero che appare minuscolo ed enorme creando un capogiro. In questa poesia, Esenin ci mostra un destino tragico. Il testo ci descrive un animale, ma il lettore sente un’appartenenza, un’esperienza che è stata già vissuta dalla specie, una legge antica che odora di umano. Intanto, mentre si svolge quello che Hölderlin chiama “il grande Destino”, rosicchiano i topi in un angolo.

 

Корова

Дряхлая, выпали зубы,
Свиток годов на рогах.
Бил ее выгонщик грубый
На перегонных полях.

Сердце неласково к шуму,
Мыши скребут в уголке.
Думает грустную думу
О белоногом телке.

Не дали матери сына,
Первая радость не впрок.
И на колу под осиной
Шкуру трепал ветерок.

Скоро на гречневом свее,
С той же сыновней судьбой,
Свяжут ей петлю на шее
И поведут на убой.

Жалобно, грустно и тоще
В землю вопьются рога…
Снится ей белая роща
И травяные луга.

(1915)

La mucca

Decrepita, le sono caduti i denti,
sulle corna un mucchio di anni.
Il rozzo mandriano la picchiava
la spingeva in altri pascoli.

Il cuore non ama il rumore,
rosicchiano i topi in un angolo.
Pensa un triste pensiero
pensa a un vitello dalla zampa bianca.

Non le hanno lasciato il figlio, alla madre,
non le fu di vantaggio la prima gioia.
E su un palo sotto una tremula
un venticello fa ondeggiare una pelle.

Presto su un campo di grano saraceno,
con lo stesso destino del figlio,
le legheranno una corda al collo
e la manderanno al mattatoio.

Lamentose, tristi e più esili
le corna s’infileranno nella terra…
Sogna la mucca un bianco boschetto
E dei prati pieni d’erba.

Traduzione di Eridano Bazzarelli

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Sergej Gandlevskij, “Festa e altre poesie”

Сергей Гандлевски – Sergej Gandlevskij

Festa e altre poesie, a cura di Elisa Baglioni, (Passigli Poesia, 2017) raccoglie una ricca selezione dell’opera poetica di uno dei maggiori poeti russi contemporanei, Sergej Gandlevskij. La sua poesia, fiorita negli ultimi anni dell’epoca sovietica e dunque a contatto con le esperienze del “samizdat” dell’undeground moscovita, costruisce un originale ponte con la grande poesia russa dell’Ottocento e del primo Novecento, e tanti sono i richiami espliciti a poeti, da Puskin e Lermontov a Mandel’stam e Chodasevic; mentre un certo tono beffardo e malinconico, e la spregiudicatezza con cui l’io-personaggio si getta nel mondo possono forse avvicinarlo a Sergej Esenin. Ma con Gandlevskij si afferma una personalità poetica nuova, forte e originale, da un lato molto incline alla vita e alla lingua di tutti i giorni, dall’altro profondamente meditativa e di rara eleganza formale nella sua ostinata ricerca lessicale e nella sua grande consapevolezza metrica. Come ha scritto egli stesso: Né la bellezza delle immagini né la profondità di pensiero potrebbe salvare una poesia, se il lettore non provasse semplicemente gioia a pronunciarne le strofe o perfino i versi. Continua a leggere

In memoria di te, Sergej Esenin

Non ho rimpianti, non chiamo, non piango,
Tutto passerà come fumo dai bianchi meli
Afferrato dall’oro dell’appassimento
Io non sarò mai più giovane.

Tu ora non batterai più così,
Cuore, toccato dal freddo,
E il paese intessuto di betulle
Non mi attirerà a bighellonare a piedi nudi.

Spirito vagabondo! Tu sempre più di rado, di rado
Fai muovere la fiamma delle labbra.
O mia freschezza perduta,
Ardire degli occhi e piena di sentimenti.

Ora sono divenuto più avaro di desideri,
Vita mia? O forse sei stata un sogno per me?
Come se io nella risonante primavera
Galoppassi su un cavallo rosato.

Tutti noi, tutti noi in questo mondo siamo morituri
Dagli aceri quieto fluisce il rame delle foglie…
Sii tu per sempre benedetto
Tu che sei venuto per fiorire e morire.

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Cosa significa essere poeta negli anni della rivoluzione russa?

A Milano, giovedì 27 aprile, ore 19:30 al LABORATORIO FORMENTINI (Via Marco Formentini, 10): POETI NELLA RIVOLUZIONE RUSSA, a cura di Milo De Angelis.

Voce recitante: Viviana Nicodemo
Musiche: Bianca Brecce

Alexandr Blok, Marina Cvetaeva, Sergej Esenin, Vladimir Majakovskij, Boris Pasternak.

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