Else Lasker-Schüler, “Il mio pianoforte blu”

Else Lasker-Schüler

An meine Freunde

Nicht die tote Ruhe –
Bin nach einer stillen Nacht schon ausgeruht.
O ich atme Geschlafenes aus,
Den Mond noch wiegend
Zwischen meinen Lippen.

Nicht den Todesschlaf,
Schon im Gespräch mit euch
– himmlisch Konzert –
Ruhe ich aus ….
Und neu’ Leben anstimmt
In meinem Herzen.

Nicht der Ueberlebenden schwarzer Schritt!
Zertritt den Schlummer, zersplittert den Morgen.
Hinter Wolken verschleierte Sterne
Ueber Mittag versteckt ….
So immer neu uns finden.

In meinem Elternhause nun
Wohnt der Engel Gabriel.
O ich möchte mit euch dort
Selige Ruhe in einem Fest feiern:
Sich die Liebe mischt mit unserm Wort.

Aus mannigfaltigem Abschied
Steigen aneinander geschmiegt die goldenen Staubfäden,
Und nicht ein Tag ungesüsst bleibt
Zwischen wehmütigem Kuss
Und Wiedersehn!

Nicht die tote Ruhe,
So ich liebe im Odem sein;
Auf Erden mit euch im Himmel schon
Allfarbig malen auf blauem Grund –
Das ewige Leben.

 

Ai miei amici

«Non la morta quiete –
Son già riposata dopo una placida notte.
Oh, espiro il soffio del sonno,
Mentre ancora cullo la luna
Tra le mie labbra.

Non il sonno della morte –
Già discuto con voi
Celestiale concerto…
E prorompe di nuovo la vita
Nel mio cuore.

Non il nero passo dei sopravvissuti!
Sonni calpestati frantumano il mattino.
Stelle coperte da un velo di nubi
Nascoste al mezzogiorno –
Ritrovarci così ancora e ancora.

Nella casa dei miei genitori
Abita ora l’angelo Gabriele…
Vorrei proprio celebrare lì con voi
In una festa la beata quiete –
Si mischia l’amore con la nostra parola.

Dal molteplice addio
salgono stretti l’un l’altro i filamenti dorati,
E non c’è giorno che non sia dolce
Tra il bacio melanconico
E il rivedersi!

Non la morta quiete –
Così amo essere nell’alito divino…!
Sulla terra con voi già in cielo.
Dipingere di mille colori su sfondo blu
La vita eterna!».

 

Else Lasker-Schüler, da “Il mio pianoforte blu”, Traduzione a cura di Michele Giardoni, Edizioni FT FinisTerrae, 2022

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Alessandro Bellasio, “Chi persegue la via dell’arte è vissuto, vive e vivrà segregato”

Alessandro Bellasio credits ph Dino Ignani

ARTE ADIABATICA
La linea di faglia tra bios e pneuma

di Alessandro Bellasio

E’ ormai trascorso quasi un secolo da quando, inanellando fulminanti saggi dedicati allo studio comparato di letteratura e biologia, arte e medicina, un grande poeta e frequentatore per professione delle scienze della vita, Gottfried Benn, stringenti argomentazioni e nutrita casistica alla mano, era giunto a una conclusione sconcertante e lapidaria: lo spirito, e quella sua manifestazione par excellence che è l’arte, si dà esclusivamente come istanza bionegativa.

Tradotto nel gergo più familiare del riduzionismo biologista del nostro tempo: l’arte non offre alcun vantaggio evolutivo. (Non offre alcun vantaggio e basta, avrebbe verosimilmente sentenziato Benn, guardando al proprio e a molti altri, ben documentati casi). A modo suo e per vie assai diverse, Marina Cvetaeva doveva avere in mente qualcosa di analogo quando, in uno dei suoi appunti epistolari indirizzati a Boris Pasternak, e riferendosi nello specifico a Rilke ma pensando soprattutto a sé stessa, sosteneva che «è dal marchio della randagità che sempre riconoscerai il poeta». Per la scrittrice russa, fare letteratura significava parlare per sempre dal confino e al confine – del silenzio, di Dio, dei morti. Stando così le cose, potremmo dire allora che non solo dal fare arte non sembrerebbe derivare alcun particolare agio o tornaconto adattivo, ma che, al contrario, l’arte esporrebbe più frequentemente a un rischio, il più delle volte assoluto.

Tutto questo con buona pace di certo velato, ambiguo provvidenzialismo, presente in larga parte delle teorie evoluzioniste susseguitesi da Darwin ai nostri giorni. Nelle quali, in effetti, il deus ex machina di un’agenzia sottesa al divenire biologico – si chiami essa selezione naturale, equilibri punteggiati o deriva genetica, sia essa finalisticamente orientata, neutra o diplomaticamente a metà fra le due – sta in agguato dietro l’angolo. E d’altronde, nessuna di queste agenzie sembra giocare il ruolo decisivo, quando si tratta di vite consacrate all’arte.

Perché il punto è esattamente questo: vita e arte sono sfere separate, e al limite antagoniste. Continua a leggere

Georg Heym (Hirschberg 1887 – Berlino 1912)

George Heym

Apparsa postuma nel 1913, un anno dopo la scomparsa del suo autore – annegato pattinando sul giaccio mentre cercava di salvare un amico –, ma ideata assieme all’editore Ernst Rowolth (socio di Kurt Wolff) sin dal 1911, questa raccolta di sette novelle si inserisce a pieno titolo nella bibliografia poetica di Georg Heym (Hirschberg 1887 – Berlino 1912), tra i principali esponenti, accanto a Georg Trakl, a Ernst Stadler e, sotto un altro versante, a Gottfried Benn, della poesia espressionista in lingua tedesca del primo Novecento.

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Portrait di Georg Heym (1887 – 1912)

Georg Heym

Nel centenario della storica antologia degli Espressionisti, Crepuscolo dell’umanità, vi proponiamo il terzo e ultimo contributo di Alessandro Bellasio su Georg Heym, dopo essere entrati nell’esperienza estetica di Gottfried Benn e di George Tralk.

COMMENTO DI ALESSANDRO BELLASIO
Traduzioni di A. Bellasio

Quando, risucchiato dalle correnti gelide dello Havel, dove si è tuffato per salvare l’amico Ernst Balcke, Georg Heym muore, non ha ancora 25 anni, ma si lascia alle spalle un corpus di centinaia di poesie, oltre alle prose.
La morte per annegamento è un motivo ricorrente della sua opera, attestata anche dall’unica raccolta pubblicata in vita, Der ewige Tag (accanto al riferimento classico di Ofelia, ne abbiamo testimonianza in poesie come Schwarze Visionen, o Die Tote im Wasser). E d’altra parte, il motivo si rivela presagio di un destino. L’espressionismo perde di colpo il proprio enfant prodige, il suo giovanissimo, implume Baudelaire (tale era considerato Heym ai suoi esordi). Il poeta della Berlino irrequieta e ipertrofica di inizio novecento se ne andò talmente presto che di lui a malapena poterono registrare le cronache, eccezion fatta per quelle letterarie.
Heym che fu, probabilmente, il più espressionista fra tutti gli espressionisti – o meglio: un caposcuola, il poeta in cui certe distillazioni simbolico-metaforiche, comuni a un’intera generazione, vennero aggregandosi secondo una chimica divenuta poi classica: la metropoli patibolare e predatrice, lo scatenamento delle forze distruttive nell’uomo moderno, orfano di dio quanto di sé stesso, la perdita del baricentro, il dissidio tra malinconia e rivolta, e quel peculiare senso di catastrofe imminente che avvolge i suoi versi di una inconfondibile luce violacea – quel perimetro livido entro cui vaga e precipita un’umanità debilitata, spettrale. Continua a leggere

Portrait di Gottfried Benn (1886 – 1956)

Gottfried Benn

Nel centenario della storica antologia degli Espressionisti, Crepuscolo dell’umanità,  vi proponiamo un secondo contributo di Alessandro Bellasio su Gottfried Benn,  dopo essere entrati nell’esperienza estetica di George Tralk.

COMMENTO DI ALESSANDRO BELLASIO
Traduzioni di A. Bellasio e  F. Masini

«Esistenza vuol dire esistenza nervosa, cioè eccitabilità, disciplina, enorme conoscenza di fatti, arte. Soffrire vuol dire soffrire nella coscienza, non già per decessi. Lavorare vuol dire innalzamento verso forme spirituali. In una parola: vita vuol dire vita provocata.» Sarebbe forse sufficiente la breve, fulminante sintesi di questo giro di sentenze per definire l’esperienza esistenziale e artistica – esistenziale in quanto artistica – di Gottfried Benn (1886 – 1956). Se non fosse che, come in un gioco di specchi e rifrazioni interiori, dietro il saggista raffinatissimo e sornione c’è il prosatore ellittico e allucinato, e dietro questo il lirico dalle immagini sulfuree e il sottile teorico della poesia statica. E se non fosse che il saggista, il prosatore, il lirico e il teorico a loro volta venissero sempre, accuratamente celati dietro l’impeccabile camice del dermatologo brillante e up to date, che firma studi scientifici per le riviste di settore e raccomanda pomate di zinco per le dermatiti più ostinate. 

L’accolito, insieme a Ernst Jünger, della “emigrazione interiore”, l’asceta del Doppelleben e il discepolo dell’Artistik, iperconsapevolmente scisso tra laboratorio medico e microscopio lirico, fu di certo la figura intellettualmente più complessa (e politicamente più ambigua) dell’espressionismo. E d’altronde, fu anche colui che, davvero e proprio superstite, a giochi ormai compiuti, contribuì a mantenere vivo il ricordo di ciò che il movimento aveva significato per l’arte europea, scontando sulla sua persona, è bene ricordarlo, il rifiuto di abiurare i propri trascorsi, allorché tutto ciò che era stato espressionismo iniziò a puzzare, sempre più pericolosamente, di “arte degenerata”.

Dai tetri affreschi di Morgue ai preziosi mosaici di poesia statica della produzione tarda, dalla prosa assoluta distillata nelle psichedeliche vicissitudini del più celebre dei suoi alter-ego, il sifilopatologo Werff Rönne, fino alle iridescenti stilizzazioni delle prose mature (Romanzo del fenotipo, Il tolemaico), colui che elesse Pallade a nume tutelare (e spettrale) in un mondo disertato tanto dalla ragione quanto dagli i, per tutta la vita seguì il fil rouge di una sola, inaggirabile, primaria intuizione: «in pace o in guerra, al fronte o nelle retrovie, da ufficiale come da medico, fra trafficanti ed eccellenze, davanti alle celle dei manicomi e a quelle delle prigioni, accanto ai letti e alle bare, nell’ora del trionfo e in quella della caduta, non mi ha mai abbandonato la trance che questa realtà non esista.» Di sé avrebbe forse detto – chiosando con un celebre passaggio di Gehirne«vivevano tutti con il centro di gravità fisso su meridiani, tra rifrattori e barometri, lui solo gettava sguardi oltre le cose, paralizzato dalla nostalgia di un azimut, gridava invocando una chiara pulizia logica e una parola che finalmente lo afferrasse.» Continua a leggere

Lettere d’amore sull’arte e la poesia

 

 

Giovedì 31 gennaio 2019
ore 18.30 (in lingua italiana)
Presentazione libro
FLORIAN ILLIES
L’invenzione delle nuvole. Lettera d’amore sull’arte e la poesia
In occasione dell’uscita della traduzione italiana, in collaborazione con Marsilio Editore
Con l’autore interviene il giornalista Dario Pappalardo

Casa di Goethe
Via del Corso, 18
00186 Roma

Dall’Ottocento di Caspar David Friedrich, passando per l’espressionismo di Gottfried Benn fino alla tragedia della Prima guerra mondiale con Georg Trakl e alla Pop Art di Andy WarhoI, Illies ci accompagna attraverso due secoli d’arte e letteratura. Ad affascinarlo non sono solo le vite dei pittori e le loro opere: come nella tradizione di un novello Warburg lo sguardo dello storico dell’arte tedesco è capace di trovare percorsi latenti, fili nascosti, rimandi e simboli che mostrano in una nuova luce i segni del passato. Si scopre così, in una personalissima e suggestiva camera delle meraviglie, perché nel loro Grand Tour i pittori dell’Ottocento scegliessero di fermarsi in piccoli e dimenticati borghi italiani per studiarne la luce e il panorama unici, o in che modo, da Goethe in poi, il Vesuvio sia diventato un’ossessione per molti artisti tedeschi, fino a domandarsi se il Romanticismo non fosse davvero una malattia e, nel caso, se fosse curabile. Nel racconto di Illies immagini quotidiane e luoghi d’elezione di scrittori e artisti riemergono pieni di luce, colore, di struggente bellezza.

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