Paul Celan, una poesia nella traduzione di Giuseppe Bevilacqua

Corona

Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde.
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.

Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.

Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten:
wir sehen uns an,
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.

Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.

Es ist Zeit.

Paul Celan

da Mohn und Gedächtnis,  Deutsche Verlags–Anstalt GmbH, Stuttgart, 1952

 

Corona

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio. Continua a leggere

Paul Celan, la pietà della parola

Paul Celan e Gisèle Lestrange

La guerra e la verità della poesia
Considerazioni in margine a una poesia di Paul Celan

di Marco Marangoni

C’è una questione che emerge in ogni guerra e tanto più in queste nostre, moderne e infine in questa ultima, così drammatica, in Ucraina: la perdita delle vite è preceduta e accompagnata della perdita della parola e della verità.

La lingua naturalmente nata per comunicare, per raggiungere l’altro, perde, in guerra, il suo senso, anzi viene contraddetta.

E’ in grado ancora, in guerra, la parola (segnatamente la parola “guerra”) di ospitare l’altro? O invece lo rifiuta?

A regolare i rapporti di belligeranza c’è, prima di tutto, questo rifiuto, questa messa al bando del dialogo. C’è la violenza. Che ne è allora di parole che dicono per non dire, per fingere di dire, avendo di mira la distruzione di ogni vis unitiva che la parola esprime? C’è ancora spazio sim-bolico, spazio linguistico, in una guerra? O siamo piuttosto alla mistificazione della funzione ospitale della parola, al grottesco più dia-bolico?

Ecco che cosa dice la chiacchiera che giustifica una guerra: l’anti-parola, l’anti-poesia; se la poesia è la parola che per definizione cerca di svincolarsi su un sentiero di verità, di trasparenza, di dialogo.

Questo sanno i poeti che della rovina della verità si disperano, ma nella distretta dei loro versi, scuri, ancora sperano?

La poesia alza la posta dei criteri, tra relativamente giusto e ingiusto, polarizzata da un cammino dialogico, inoscurabile, resistente, combattente sul terreno del linguaggio-realtà, per tenere in vita un respiro, nonostante tutto. Giocando la partita magari estrema, tra “Ormai-non più” e “Pur sempre”. Poesia contro antipoesia, ospitalità contro violenza: finchè la “guerra” non sia svergognata.

Questo sanno i poeti?

Nonostante tutto, anche e soprattutto in una guerra, la poesia di certo resta un “cambio di respiro” e intrattenendo un dialogo insperato con le vittime, patisce la loro perdita, si interroga sul loro destino, e le intrattiene in una attenzione, in un dialogo, per quanto tramato questo di una inevitabile oscurità.

L’ultima ospitalità è dunque la pietà della parola? La poesia è, può anche questo? La poesia non si impone, ma si espone, è stato detto. La poesia come un certo cammino.

Leggiamo qui di seguito questa poesia di Paul Celan, nato a Czernowitz, nella Bucovina settentrionale, che oggi fa parte dell’Ucraina: “ una contrada – come ebbe a dire il poeta stesso – di uomini e libri” (Allocuzione, Premio letterario di Brema,1958).

La poesia è tratta dalla raccolta Atemkristall ( 21 testi) pubblicata nel settembre del 1965 ( poi nel ’67 ripubblicata in Atemewende, Suhrkamp, Frankfurt/M), in una edizione di lusso (ottantacinque esemplari), presso l’editore Brunidor di Parigi, con otto incisioni della moglie del poeta Gisèle Celan-Lestrange.

Secondo Giuseppe Bevilacqua, Atemkristall sarebbe “l’opera lirica di Celan più compatta, più essenziale; e può essere considerata il vero culmine del suo operare” (Eros-Nostos-Thanatos, saggio introduttivo a Paul Celan, Poesie, Mondadori, Milano 1998, XCII) .

Proponiamo la poesia in una duplice versione: più concettuale di Franco Camera e più liricamente intensa di Giuseppe Bevilacqua. Continua a leggere

Paul Celan, “È tempo”

Paul Celan, foto del passaporto

CORONA
di Paul Celan
di Luigia Sorrentino

La poesia che vi proponiamo oggi Corona è di Paul Celan (1920-1970) uno dei maggiori poeti di lingua tedesca nato a Czernowitz, nella Bucovina, oggi Ucraina, da genitori ebrei.

Corona è una poesia che agisce sul significato musicale del termine. Lo stesso utilizzo musicale Celan lo adotta in altre poesie, ad esempio “Fuga di morte”, che si riferisce a un tempo musicale, alla forma musicale polifonica della fuga.

Ma mentre in Corona – suggerisce Luigi Reitani – “il tempo della poesia di Celan equivale a una fermata, a una sospensione del tempo – nel linguaggio musicale la corona è un segno grafico (un puntino dentro un semicerchio) che sovrapposto a una nota ne prolunga indefinitamente la durata” -,  in Fuga di morte il tempo musicale diventa quello della fuga: un tempo veloce, rapidissimo.

Corona, inoltre, oltre ad essere un simbolo regale, è anche la corona del fiore, la corona formata dai petali rossi del papavero (simbologia ricorrente nella poesia di Celan) simbolo di oblio e di memoria.

“E’ tempo che sia tempo” scrive Celan in questa memorabile poesia, “è tempo che la pietra accetti di fiorire”. Questo scrive Celan. E’ tempo che si fermino le guerre, i conflitti. È tempo che l’aridità, la violenza del potere, si trasformino in amore, nel più puro sentimento della vita. “E’ tempo”. Scrive Celan.

“Corona” di Paul Celan viene qui proposta in due diverse traduzioni dal tedesco: quella di Giuseppe Bevilacqua e quella di Luigi Reitani, purtroppo recentemente scomparso.

 

CORONA

Aus der Hand frißt der Herbst mir sein Blatt: wir sind Freunde.
Wir schälen die Zeit aus den Nüssen und lehren sie gehn:
die Zeit kehrt zurück in die Schale.

Im Spiegel ist Sonntag,
im Traum wird geschlafen,
der Mund redet wahr.

Mein Aug steigt hinab zum Geschlecht der Geliebten:
wir sehen uns an,
wir sagen uns Dunkles,
wir lieben einander wie Mohn und Gedächtnis,
wir schlafen wie Wein in den Muscheln,
wie das Meer im Blutstrahl des Mondes.

Wir stehen umschlungen im Fenster, sie sehen uns zu von der Straße:
es ist Zeit, daß man weiß!
Es ist Zeit, daß der Stein sich zu blühen bequemt,
daß der Unrast ein Herz schlägt.
Es ist Zeit, daß es Zeit wird.

Es ist Zeit.

Paul Celan: “Mohn und Gedächtnis” , Deutsche Verlags–Anstalt GmbH, Stuttgart, 1952

CORONA

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

Traduzione di Giuseppe Bevilacqua

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Paul Celan, “Di soglia in soglia”

NOTA DI PIETRO ROMANO

Il senso della soglia come condizione liminare che soddisfa il ricongiungimento con un’idea di origine trova nella poesia di Paul Celan il massimo della sua rappresentazione. In particolare, la raccolta di 47 poesie del 1955, Von Schwelle zu Schwelle, in Italia riproposta nella traduzione einaudiana dal titolo Di soglia in soglia a cura di Giuseppe Bevilacqua, sottolinea il bisogno di riallacciarsi alla «soglia non rimossa», al di là della quale tutto ciò che ha preso congedo dall’esistenza possa vedersi riunito.

Tuttavia, per capire la pregnanza di cui l’immagine della soglia appare intrisa, occorre rifarsi alla vita del poeta il quale, perduti i familiari nei lager nazisti, si trova a dovere cercare nella parola un luogo che faccia propriamente «casa» e colmi così lo sradicamento che lo accompagna.

Infatti, come nota Bevilacqua, se si tiene conto delle origini ebraiche del poeta, appare doveroso segnalare la cifra simbolica che, nella tradizione giudaica, assume la soglia in quanto luogo iniziatico dei valori familiari. L’uso sineddotico di tale immagine, nella quale peraltro paiono condensarsi due componenti fra loro strettamente correlate, ovvero il ricordo e la lingua materna, non toglie però valore alla soglia in quanto spazio pregno di evento, oltre il quale si staglia la dimensione del possibile: al contrario, i due significati si trovano compenetrati all’interno di una visione che, a cominciare dalla dedica nuziale all’amata Gisèle de Lestrange, intende il travalicamento come una vera e propria esperienza di apertura cosmologica. Le scelte cromatiche che tinteggiano le atmosfere del primo ciclo di Von Schwelle zu Schwelle suggeriscono l’ingresso dell’io all’interno di un percorso iniziatico chiamato a prospettargli la visione di due soglie e il legame che le sottende al fine di rivelare una realtà inafferrabile e comunque in continua metamorfosi. Al lucore del bianco e ai rossori serali si contrappone sempre lo spazio della notte, che è luogo dell’ombra e dei sommersi e come tale dimensione percepita temporalmente eterna.

È l’incrocio fra due mondi in costante comunicazione a fare della parola poetica l’unico canale percorribile tra la vita e la morte: Celan se ne serve per assistere alla propria immersione nel «mondo pietrificato dei sommersi» e a un tempo consacrare l’esperienza del passaggio, la vita nuova:

Sentii dire che nell’acqua
vi era una pietra ed un cerchio
e sopra l’acqua una parola
che dispone il cerchio attorno alla pietra.

Vidi il mio pioppo calare nell’acqua,
ne vidi il braccio tastar giù nel profondo,
e, protese al cielo, le radici ad implorar notte.

Io non gli tenni dietro,
soltanto colsi da terra quella briciola,
che ha del tuo occhio la nobile forma,
dal collo ti tolsi la collana dei motti
e ne orlai la tavola, ove adesso stava la briciola.

Ed il pioppo sparì alla mia vista

Ogni immagine in questo componimento assurge a simbolizzazione del possibile: l’acqua, in quanto colma di significato liminare e situata a metà tra la vita e la morte; la pietra, come ombra di un passato non ancora dissolto, e il cerchio che la parola dispone intorno a essa; il pioppo, le cui radici capovolte in direzione del cielo implorano notte. Sono tutte figure attinenti a un’idea di origine, cui l’io accede sprofondando entro di sé e riconoscendone la sacralità che le abita.

L’inabissamento acquista i connotati di una vera e propria tentazione cui il poeta alla fine decide di non cedere abbracciando il preludio a una soglia nuova, che si invera nella vita: «io non gli tenni dietro, / soltanto colsi da terra quella briciola, / che ha del tuo occhio la nobile forma, / dal collo ti tolsi la collana dei motti /e ne orlai la tavola, ove adesso stava la briciola». Peraltro, l’immagine del pioppo come figura simbolo di un sé scisso ancorato al passato ricorre anche in componimenti presenti nelle sezioni successive, come in Campi: Continua a leggere

Paul Celan, “Svolta del respiro”

Paul Celan

PAUL CELAN
ATEMWENDE

FA’ PURE, se a un pasto di neve
tu vuoi invitarmi:
ogni volta che spalla a spalla
col gelso percorsi l’estate,
il suo fogliame più fresco
vociava.

DU DARFST mich getrost
mit Schnee bewirten:
sooft ich Schulter an Schulter
mit dem Maulbeerbaum schritt durch den Sommer,
schrie sein jüngstes
Blatt.

*

(TI CONOSCO, sei colei che sta ricurva,
io, il trafitto, ti sono soggetto.
Dove divampa un verbo, che sia d’entrambi
testimonianza? Tu – interamente,
interamente vera. Io – pura follia.)

(ICH KENNE DICH, du bist die tief Gebeugte,
ich, der Durchbohrte, bin dir untertan.
Wo flammt ein Wort, das für uns beide zeugte?
Du – ganz, ganz wirklich. Ich – ganz Wahn.)

*

PRESSO I CALPESTATI
segni, nella
tenda dell’olio, con pelle di parole.
Al termine del Tempo,
lamentandosi
senza un suono
– Tu, aria regale, inchiodata
alla Croce della Peste, ora
tu fiorirai -,
con occhi porosi.
con squame di dolore, a
cavallo.

BEI DEN ZUSAMMENGETRETENEN
Zeichen, im
worthäutigen Ölzelt, am Ausgang
der Zeit,
hellgestöhnt
ohne Laut
– du, Königsluft, ans
Pestkreuz genalgelte,
blühst du -,
porenäugig,
schmerzgesschuppt, zu
Pferde.

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Paul Celan, “Parla anche tu”

Paul-Celan

Paul Celan. La poesia “Parla anche tu” letta da Luigia Sorrentino nella traduzione di Giuseppe Bevilaqua con una sola variante nell’ultimo verso: “wandernder” che Bevilacqua ha tradotto con “errabonde parole” Luigia Sorrentino l’ha trasformato in “migranti parole”.

di Luigia Sorrentino

Nel 1955 esce  in Germania con la casa editrice Detsche Verlags-Anstalt  Di soglia in soglia, (Von Schwell zu Schwell) il primo ciclo di liriche interamente composte da Paul Celan a Parigi, città dove vive, dedicate alla moglie Gisèle. La raccolta è composta da 47 poesie suddivise in tre sezioni: Sette rose più tardi, Con alterna chiave, Alla volta dell’isola.

 

Parla anche tu (Sprich auch du) la poesia qui proposta nella lettura di Luigia Sorrentino, nella traduzione di Giuseppe Bevilacqua è contenuta nell’ultima sezione del libro ed è la nona di tredici poesie. E’ “incastrata” tra la precedente Cenotafio e la successiva, Con labbra rosse di tempo. Continua a leggere

Maddalena Lotter & Paul Celan

Paul-CelanLa vostra voce
a cura di Luigia Sorrentino
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Corona, di Paul Celan: l’amore per rivivere una morte

di Maddalena Lotter

Celan scrive Corona nel 1948, probabilmente a Parigi. Questa lirica concentra dentro di sé la risposta a un conflitto secolare della letteratura, che è quello fra Eros e Thànatos, a cui qualsiasi poeta, prima o poi, è chiamato ad assistere. L’amore nascituro è sempre legato a una morte precedente.

Corona conclama la forza viva dell’amore che vince la morte e il ricordo della strage. Solo l’amore può sostituirsi all’abominio che è stata la guerra, un abominio che ha portato con sé due tragedie: quella dei morti e quella dei sopravvissuti, come Paul Celan è stato. La struttura dialogica insita nella poesia di Celan si rivela dunque sotto due profili: il primo, un dialogo di tenerezza fra il poeta e l’amata (la scrittrice Ingeborg Bachmann), e il secondo, un confronto turbato dell’Io con se stesso, costretto a fare i conti con il suo passato.

Solo attraverso l’amore il poeta trova la forza di dare voce all’orrore che è stato, e dargli tempo, dargli spazio perché esso non vada perduto nella colpa imperdonabile della dimenticanza. E’ tempo che si sappia. E’ tempo che la pietra accetti di fiorire.

 

 

La traduzione della poesia “Corona” di Paul Celan letta da Maddalena Lotter è di Giuseppe Bevilacqua. La musica è di Gustav Mahler. Continua a leggere