domenica 23 novembre 1980, ore 19:34

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“Le onde della terra”, di Luigia Sorrentino

sventola lo scirocco fuori stagione riverbera
nel tardo pomeriggio di novembre io ero appena
di quel tormento che nulla sa del grande fuoco
dal centro
del fuoco che scuote la pietra dall’entroterra
nella grande ventata
che annunciava già molti giorni prima
quell’ondeggiare lento
ho solo il tempo di voltarmi ho solo il tempo
di ondulare anch’io come il grande palazzo grigio
alle mie spalle
del boato
ho solo il tempo di schizzare al centro dell’asfalto
quando tutto si spegne
e aspetti la crepa la voragine
quando solo gli antifurti suonano
i ragazzi si chiamano l’uno chiama l’altro uno arriva
al centro nella corsa uno afferra la mia mano
io vedo una gran decina addensarsi e poi decine e decine
moltiplicarsi donne e uomini alcuni seminudi
bambini avvolti in coperte e sistemati nelle auto in sosta 


del cuore che nulla sa
tenendo il lato della strada a scansare
la scossa nella corsa
l’isola di calce e cemento sul piazzale
denso in quel centro che io non credevo
quel brivido
intorno alla mezzanotte comincia dalla bocca
dalla saliva che si addensa ancora
durante la corsa giù per le scale sotto le palpebre
l’esplosione ci raggiungerà forse dalla montagna
qualcuno dice siamo stati risparmiati
ché la massa vulcanica ha frenato il propagarsi dell’onda
poi è tutto un vociare di donne listate a lutto
tutto è un lamento
la roccia-scoglio da raggiungere per la notte
come naufraghi
bruciamo rami secchi di castagni e nocciolo
per alimentare i falò
le radio sono accese 

o sole nato dal mare ti ho visto cancellato
bianco nella montagna
nei nostri passi in salita stretto raggiare
miraggio e ombra canto
sghembo
o mattino
o geranio iodato dove la terra è lievemente
scomposta ecco la mia sorgente
vivida esplosione da un milione di tonnellate di tritolo
risplende nitida d’acqua nelle crepe dei muri
che ti hanno chiamato
o voragine dei bàsoli infuocati
o sole che non conosci scorciatoie
alba interamente gelida luce netta incanto e segno
luce disperata che segui la mia ombra
vienimi innanzi a fendermi il cuore 

in fondo alla valle c’era un paese
al di là della nebbia tra terra e monti
i tornanti che sbucano in faccia al sole
strade cancellate dalla pietra
sulla pietra
in fondo alla valle c’era un paese che non esiste più
neve e calce sui nostri morti adagiati sui cartoni
in fondo alla valle c’è il paese schiacciato dalle nenie
terrestri
tra le macerie una sonda per sentire la vita
ho attraversato l’inferno della polvere
ho chiamato mamma nelle labbra mescolando
fuoco e cenere
e superstiti
tra rovine e lamenti da sotto livida
luce di cellule fotoelettriche tra pietre e fumo
una pila legata alla corda per sentire la vita

qui vicino al mare con i morti nell’ossario comune
il monte vestito di bianco eccolo
certi del mare sotto la pietra a semicerchio
qui rivolti appena
alla forma della croce alta nel sole di pietra bianca
e di pietra nera
vicino alla palpebra alla palma vicino al mezzogiorno
alla fontana vedi,
vedi la procellaria
torneremo qui sprofondandoci e saremo un po’
bianchi vicino al sole
polvere con altra polvere
sia benedetta l’acqua, l’acqua che noi porteremo a casa
sia benedetta l’acqua dal diluvio, dal sangue d’acqua

Le onde della terra, (parte prima), tratto da “La nascita, solo la nascita” di Luigia Sorrentino (Manni, 2009). 
Liberamente ispirato al terremoto del 23 novembre 1980 (terremoto in Irpinia) che colpì la Campania e la Basilicata. 
La scossa, di magnitudo 7 secondo Richter, alle 19:34, sussultoria e ondulatoria, con epicentro nella dorsale appenninica tra Avellino e Potenza, durò poco più di un minuto. Causò la morte di circa tremila persone.

7 pensieri su “domenica 23 novembre 1980, ore 19:34

  1. ‘luce disperata che segui la mia ombra/vienimi innanzi a fendermi il cuore’….
    non conoscevo la tua poesia.
    ‘decorum’ e intensità di incredibile livello.
    Grazie!

  2. Sì Stefano.
    Capisco.

    Colgo l’occasione per dirti pubblicamente che Per Opere Inedite mi arrivano innumerevoli richieste. Le poesie, però, non sempre sono di alta-buona qualità. Alla base, c’è un enorme desiderio di affermazione del sé: ‘io ci sono/ esisto/ sono qui/’ e alla luce di questa riflessione, tendo orientativamente, a dare visibilità a tutti – quasi tutti – quelli che me lo chiedono.

    L’egotismo di molti però a volte mi spaventa. E’ cosa diversa dalla richiesta di affermazione… e credo tu possa comprendere.

    Ed è per questo che ti dico: se non si legge ‘la poesia degli altri’ (non mi riferisco a ma, ma ai poeti che esitono, – che sono esistiti – che sono ‘visibili’, a prescindere dal fatto che pubblichino con piccoli o medi editori), credo che qualcosa non funzioni. E quindi, ogni tanto, invito qualche poeta famoso a inviarmi le proprie poesie per Opere Inedite…

    Non si può guardare solo il proprio ombelico. Questo un po’ il senso generale del discorso fin qui fatto. Ma non è riferito a te. Mi hai solo offerto lo spunto per dire questa cosa.
    Grazie
    Luigia Sorrentino

  3. (23 novembre 1980- 23 novembre 2011)

    Stava facendo notte, in Irpinia, ma a ripensarci ora era un buio strano, come se qualcosa fosse nell’aria. Qualcosa di brutto. Il buio di una notte che non sarebbe mai finita per sempre. Rivedo con la mente la mia gente, il sacrificio, la miseria, il silenzio. Un mese dopo l’altro. Sotto l’intarsio delle macerie, ogni volta diverse, ogni volta le stesse. Così ritorno sui resti espulsi, divisi, rapidi e ciechi. Spalmata con la gelatina del dolore. In questo meccanismo che fa marcire anche i frutti migliori. Finché mi sarà dato di ricordare fra lo sgocciolare veloce del tempo io ricorderò.

    Anche oggi c’è un silenzio profondo. Un silenzio che bussa forte tra la mente di chi può ancora testimoniare il sisma del 23 novembre del 1980. Un silenzio appuntito come le lame di tanti coltelli in fila. Io mi rivedo con i miei dieci anni nel corridoio di casa, quando per motivi che non ricordo fui l’ultima ad uscire, il buio e una paura nuova crescevano in me: la paura di morire. I miei ricordi sono disegnati sul corpo dei miei anni. La ragazzina di quella sera è imprigionata dentro di me come un fantasma. Mi segue con la sua paura. Mi segue con il suo freddo. Scosto la coperta del ricordo e sento il gelo di quella sera che mi entra nelle ossa. Mi rivedo al gelo con i rumori insistenti che graffiavano la nostra auto. Era il nostro cane che aveva più paura di noi. Io mia madre, zio Antonio e i miei fratelli Giovanni dodici anni, Massimo cinque e Angelo di appena tre, restammo abbracciati nella notte più lunga delle nostre vite. Quella sera ci siamo voluti bene come non mai. Eravamo senza papà e forse avevamo più paura degli altri bambini. Papà si trovava negli Stati Uniti d’America per lavoro e ci raggiunse con la sua voce dopo qualche giorno. Tornò dall’America con la paura nel cuore. Il suo terremoto l’aveva vissuto dai notiziari. Ancora oggi mi chiede di parlargli di quella sera. Io gli racconto di una paura che non ho mai più provato. Gli racconto della nostra gente sepolta dalle macerie. Gli racconto dei soccorsi che arrivarono tardi. Gli racconto della luna di quella notte che mutò per sempre i nostri sogni. I sogni dei bambini dell’Ottanta.

    Antonietta Gnerre

  4. Cara Antonietta,
    Grazie per il tuo racconto.
    la vedo quella bambina, vedo quella sua paura.
    Ti ascolto … e ricordo.

    Ricordo che per molti anni la domanda tra i giovani in Campania – la prima domanda quando si conosceva qualcuno di nuovo – era questa: “tu dove ti trovavi quando c’è stato il terremoto?”

    Ognuno aveva il suo ‘racconto’… il suo ricordo…

    C’era un senso di amicizia, di solidarietà che legava le nostre storie, ognuno per l’altro, insieme all’altro.

    Grazie

  5. cara Luigia
    non sono assolutamente interessato alla visibilità delle mie…
    mi piacerebbe comunque sapere cosa ne pensi…in una riga.
    il tuo blog è ottimo. poesia e cultura…un pò di ossigeno.
    di nuovo grazie.
    Stefano

  6. Complimenti Luigia per le tue poesie, che rimandano certo al terremoto del 23 novembre, alla catastrofe che colpì la nostra terra. Ma che sono riferibili alle catastrofi che , purtroppo, stanno sconvolgendo l’Italia, da Genova a Messina.
    Il terremoto ha qualcosa di più, è un sussulto che viene dal profondo, lo senti che percorre il tuo corpo, che ti scuote,prima di manifestarsil di scomporre l’ordire delle cose.
    Lo sento, l’ho sentito anche quel 23 novembre, una irrequietudine, un mal di testa feroce, e poi una elettricità inspiegabile. L’Irpinia non è più stata la stessa, purtroppo non c’è stato sviluppo, in questa terra così colpita, dopo 31 il bilancio è amaro. Emigrazioni intellettuale, fabbriche che chiudono, disoccupazione e tanto spreco di territorio.
    Alla pietra si è sostituito il cemento, troppo cemento e a casa non abbiamo portato acqua benedetta. Un bacio

  7. Emilia, ‘io non credevo che morte tanta n’avesse disfatta’.
    E’ il sommo poeta che dice questo (Dante) e prova ‘maraviglia’ davanti a ‘tanta morte’. Non c’è n’è mai abbastanza…Insomma, ogni tragedia ha una sorella, nell’attualità, nel vissuto.

    Grazie

    Luigia

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