Brian Patten e la “poetry scene”

Brian Patten

di Bernardino Nera

Non ho mai conosciuto mio padre. Mia madre l’aveva sposato ma si erano separatati prima che io potessi ricordare. Sono cresciuto in una piccolissima casa con una nonna mutilata: lei e mio nonno non si parlavano mai. Era uno spazio molto angusto, deprimente, da claustrofobia. E c’era una zia sempre seduta su una sedia: ci viveva su quella sedia in cucina e mia madre che si chiamava Stella. Ero del tutto convinto che se avessi aperto bocca o detto qualcosa, avrei smosso le acque. E non volevo proprio farlo.” (Cit. Phil Bowen, A Gallery to Play to; Stride, 1999; pag. 42).

 

Subito dopo la nascita di Brian Patten il 7 febbraio 1946, a Liverpool, sua madre Stella, di 18 anni, si separò dall’uomo con cui lo aveva concepito, e il piccolo, trascorso un breve periodo in un istituto, andò a vivere con lei dai nonni, in un’angusta casa a schiera al numero 100 di Wavertree Vale, una zona popolare della città abitata in prevalenza dalla classe operaia.

 

Da giovane la nonna era stata ballerina di varietà, durante la Seconda guerra mondiale era rimasta gravemente ferita alle gambe in un bombardamento aereo tedesco, e in seguito i suoi arti mutilati furono incassati dentro tutori ortopedici per consentirle di muoversi sostenuta da stampelle. La paralisi fisica della nonna diventerà il simbolo della dimensione interiore del poeta, sia esistenziale sia spirituale, di allora, fortemente condizionata da fattori ambientali e socio-culturali di povertà e privazione.
Nel 1975 Patten commentava in un articolo del “Liverpool Daily Post”: “Da bambino i miei campi da gioco erano i terrapieni e gli argini lungo la ferrovia; i vicoletti nascosti, le zone della città devastate dai bombardamenti e le case diroccate”.
Brian aveva un temperamento irruento e una personalità problematica: “C’era una componente violenta nella mia natura con cui ho dovuto combattere a lungo, ma ora è scomparsa”, confessa. Il poeta ricorda le zuffe con altre bande rivali di ragazzi per le strade del suo quartiere: “Prendevamo le catene delle cisterne dai bagni all’aperto e andavamo a cercare altre bande. Era una zona violenta. Ecco come bisognava essere per sopravvivere”.

Il suo profilo scolastico non poteva che essere quello di un bambino chiuso, schivo, asociale, disadattato, relegato all’ultimo banco della classe, sempre bisognoso di interventi didattici di sostegno e di recupero.

Il suo accidentato percorso di studi nella scuola superiore non cambiò affatto quando passò alla Sefton Park Secondary Modern School, la stessa frequentata da John Lennon, da dove un giorno scappò via. La sua insofferenza e l’avversione per la scuola e il sapere di stampo conformista, insulso, banale, non autentico, che a suo dire riceveva, pervadono in particolare le poesie giovanili “Little Johnny’s Change of Personality” e “Schoolboy”, incluse nella raccolta Little Johnny’s Confession, oppure “The Minister for Exams”, parte del volume Armada, del 1996.

Durante l’ultimo anno di scuola, nel 1960, si verificò un’inaspettata inversione di tendenza: il preside lesse per caso un tema scritto dallo studente quattordicenne, dal quale trasparivano un talento e un’immaginazione che andavano incoraggiati.

Lo stimolo ricevuto a scrivere poesia, si rivelò decisivo per il ragazzo quattordicenne: “Scrivere poesie diventò un’ossessione durante il mio ultimo anno di scuola…quando mi sentivo infelice scrivevo sui miei sentimenti, mi aiutava a capirli meglio…ovvio che non ero sempre insoddisfatto ma vedendo molta infelicità attorno a me, cominciai a scriverci su.” (Cit. Linda Cookson, Brian Patten; Northcote, 1997; pag. 4)

Scrivere poesie ebbe sul poeta una funzione liberatoria, di sblocco psicologico, e rappresentò un momento di svolta e di riscatto personale sia nella sua crescita intellettuale sia sul piano comportamentale: “Prima ero un ragazzo molto isolato e veramente ho cominciato a scrivere poesia per dar voce chiara al caos che sentivo dentro a quindici anni. La gente con cui ero cresciuto aveva difficoltà a spiegarsi e l’unico modo che sentivo per poter provare ad esprimere qualsiasi cosa dentro di me, era scrivere poesia.” (Cit. Phil Bowen, op. cit.; pag. 43) Continua a leggere

In memoria di te, Adrian Henri

Adrian Henri

Quest’anno (20 dicembre 2020)  ricorre il ventennale della morte del poeta e artista britannico Adrian Henri. Per commemorarlo, pubblichiamo un’ampia pagina con alcune delle sue poesie più significative con le versioni in italiano tradotte da Bernardino Nera.
Alla fine due poesie dedicate da una giovanissima Carol Ann Duffy al suo mentore, Adrian HenriLa traduzione delle poesie della Duffy è di Bernardino Nera e Floriana Manzuli.

LIVERPOOL 8

Liverpool 8…A district of beautiful, fading, decaying Georgian
terrace houses…Doric columns supporting peeling entablatures,
dirty windows out of Vitruvius concealing families of happy
Jamaicans, sullen out-of-work Irishmen, poets, queers, thieves,
painters, university students, lovers…

The streets named after Victorian elder statesmen like Huskisson,
the first martyr to the age of communications whose choragic
monument stands in the tumble-down graveyard under the cathedral…
The cathedral which dominates our lives, pink at dawn and grey at sunset…
The cathedral towering over the houses my friends live in…

Beautiful reddish purplish brick walls, pavements with cracked
flags where children play hopscotch, the numbers ascending in silent sequence
in the mist next morning…Streets where you
play out after tea…Back doors and walls with names, hearts,
kisses scrawled or painted…

Peasants merrymaking after the storm in Canning Street, street
musicians playing Mahler’s Eight in derelict houses…White
horses crashing through supermarket windows full of detergent
packets…Little girls playing kiss-chase with Mick Jagger in
the afternoon streets…

A new cathedral at the end of Hope Street, ex-government surplus
from Cape Kennedy ready to blast off taking a million Catholics
to a heaven free from Orangemen…Wind blowing inland from Pierhead
bringing the smell of breweries and engine oil from ferry boats…

LIVERPOOL 8

Liverpool 8…Un quartiere di case a schiera in stile georgiano, belle, fatiscenti
in rovina…Colonne doriche che sorreggono architravi scrostati,
sudice finestre fuori dai canoni vitruviani che nascondono
famiglie di giamaicani felici, ombrosi irlandesi disoccupati,
poeti, omosessuali, ladri, pittori, studenti universitari, amanti…

Le strade intitolate ai maggiori statisti vittoriani come Huskisson,
il primo martire dell’età delle comunicazioni il cui imponente
monumento si erge nel cimitero diroccato sotto la cattedrale…
La cattedrale che domina le nostre vite, rosa all’alba e grigia al tramonto…
La cattedrale che torreggia sulle case dove vivono i miei amici…

Bei muri dai mattoni rossastri, marciapiedi dai lastroni scheggiati
dove i bambini giocano a campana, i numeri crescenti in silenziosa sequenza
nella foschia del mattino seguente…Strade dove vai
a giocare fuori dopo la merenda…Porte di servizio e muri graffiati
o dipinti con nomi, cuori, baci…

A Canning Street contadini festosi dopo il temporale,
musicisti di strada che suonano l’Ottava di Mahler in case abbandonate…
Cavalli bianchi che sfondano le vetrine dei supermercati
piene di pacchi di detersivo…Nel pomeriggio ragazzine che giocano
con Mick Jagger a rincorrersi a caccia di baci…

Una nuova cattedrale in fondo a Hope Street, retaggio del governo passato
pronta a decollare da Cape Kennedy con un milione di cattolici
diretti verso un paradiso senza protestanti…Il vento soffia all’entroterra da Pierhead portando l’odore delle distillerie e della nafta dei traghetti… Continua a leggere

8 dicembre 1980 l’omicidio di Lennon

John Lennon in uno degli ultimi scatti a New York prima dell'omicidio

John Lennon e Yoko Ono a New York negli ultini scatti di Brian Hamill

L’8 dicembre 1980, John Lennon fu assassinato al Central Park di New York, davanti al Dakota Building, sua residenza di allora. “Lo sai che cosa hai fatto?”. “Sì, ho appena sparato a John Lennon”. Fu questa la fredda risposta che Mark David Chapman diede al custode del Dakota Building dopo aver sparato quattro colpi alla schiena di John Lennon, davanti al portone del lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada, nell’Upper West Side di New York, 40 anni fa. Era l’8 dicembre 1980 e, raccontano le cronache dell’epoca, mentre Lennon moriva tra le braccia della moglie, Yoko Ono, l’assassino non scappò subito ma si mise a leggere ‘Il giovane Holden’

Un poeta inglese, molto famoso, Adrian Henri, gli dedicò la poesia New York City Blues.
Per commemorare quel tragico evento, vi proponiamo la poesia a lui dedicata dal poeta inglese nella traduzione di Bernardino Nera.

NEW YORK CITY BLUES
(for John Lennon)

You do not cross the road
To step into immortality
An empty street is only the beginning

The words will still flow through you
Even on this cold pavement,
Are heard in some far place
Remote from flowers or flash-bulbs.

In that city, on Gothic railings
Dark against the snowy park
Still a dead flower, a faded letter,
Already one month old.

“Life is what happens to you
When you’re busy making other plans”.
This empty street
Is only the beginning.

Here, in your other city,
Riot vans prowl the December dark,
Remember angry embers of summer,
Familiar ghost guitars echo from stucco terraces.

Meanwhile, in the Valley of Indecision,
We rehearse stale words, store up expected songs,
Celebrate sad anniversaries.
Flowers and flash-bulbs. Cold pavements.

You do not cross the road
To step into immortality
At the dark end of the street
Waits the inevitable stranger.

NEW YORK CITY BLUES

(per John Lennon)

Non attraversi la via
per entrare nell’immortalità
una strada vuota è solo l’inizio

Le parole ancora fluiranno da te
anche su questo marciapiede freddo,
si sentono in qualche posto distante
lontano dai fiori e dai flash dei fotografi.

In quella città, sulle ringhiere gotiche
scure a ridosso del parco innevato
ancora un fiore morto, una lettera sbiadita,
già vecchi di un mese.

“La vita è quel che ti capita
quando sei impegnato a fare altri progetti”.
Questa strada vuota
è solo l’inizio.

Qui, nell’altra tua città,
camionette antisommossa quatte quatte nel buio di dicembre,
ricordano le braci ardenti rabbiose dell’estate,
l’eco familiare di chitarre fantasma da case a schiera stuccate.

Mentre nella Valle dell’Indecisione,
recitiamo parole stantie, mettiamo da parte le canzoni più ricercate,
celebriamo tristi anniversari.
Fiori e flash dei fotografi. Marciapiedi freddi.

Non attraversi la via
per entrare nell’immortalità
in fondo alla strada, nell’oscurità
l’inevitabile sconosciuto aspetta.

Traduzione a cura di Bernardino Nera

Adrian Henri

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