8 dicembre 1980 l’omicidio di Lennon

John Lennon in uno degli ultimi scatti a New York prima dell'omicidio

John Lennon e Yoko Ono a New York negli ultini scatti di Brian Hamill

L’8 dicembre 1980, John Lennon fu assassinato al Central Park di New York, davanti al Dakota Building, sua residenza di allora. “Lo sai che cosa hai fatto?”. “Sì, ho appena sparato a John Lennon”. Fu questa la fredda risposta che Mark David Chapman diede al custode del Dakota Building dopo aver sparato quattro colpi alla schiena di John Lennon, davanti al portone del lussuoso palazzo in cui risiedeva, sulla 72ª strada, nell’Upper West Side di New York, 40 anni fa. Era l’8 dicembre 1980 e, raccontano le cronache dell’epoca, mentre Lennon moriva tra le braccia della moglie, Yoko Ono, l’assassino non scappò subito ma si mise a leggere ‘Il giovane Holden’

Un poeta inglese, molto famoso, Adrian Henri, gli dedicò la poesia New York City Blues.
Per commemorare quel tragico evento, vi proponiamo la poesia a lui dedicata dal poeta inglese nella traduzione di Bernardino Nera.

NEW YORK CITY BLUES
(for John Lennon)

You do not cross the road
To step into immortality
An empty street is only the beginning

The words will still flow through you
Even on this cold pavement,
Are heard in some far place
Remote from flowers or flash-bulbs.

In that city, on Gothic railings
Dark against the snowy park
Still a dead flower, a faded letter,
Already one month old.

“Life is what happens to you
When you’re busy making other plans”.
This empty street
Is only the beginning.

Here, in your other city,
Riot vans prowl the December dark,
Remember angry embers of summer,
Familiar ghost guitars echo from stucco terraces.

Meanwhile, in the Valley of Indecision,
We rehearse stale words, store up expected songs,
Celebrate sad anniversaries.
Flowers and flash-bulbs. Cold pavements.

You do not cross the road
To step into immortality
At the dark end of the street
Waits the inevitable stranger.

NEW YORK CITY BLUES

(per John Lennon)

Non attraversi la via
per entrare nell’immortalità
una strada vuota è solo l’inizio

Le parole ancora fluiranno da te
anche su questo marciapiede freddo,
si sentono in qualche posto distante
lontano dai fiori e dai flash dei fotografi.

In quella città, sulle ringhiere gotiche
scure a ridosso del parco innevato
ancora un fiore morto, una lettera sbiadita,
già vecchi di un mese.

“La vita è quel che ti capita
quando sei impegnato a fare altri progetti”.
Questa strada vuota
è solo l’inizio.

Qui, nell’altra tua città,
camionette antisommossa quatte quatte nel buio di dicembre,
ricordano le braci ardenti rabbiose dell’estate,
l’eco familiare di chitarre fantasma da case a schiera stuccate.

Mentre nella Valle dell’Indecisione,
recitiamo parole stantie, mettiamo da parte le canzoni più ricercate,
celebriamo tristi anniversari.
Fiori e flash dei fotografi. Marciapiedi freddi.

Non attraversi la via
per entrare nell’immortalità
in fondo alla strada, nell’oscurità
l’inevitabile sconosciuto aspetta.

Traduzione a cura di Bernardino Nera

Adrian Henri

di Bernardino Nera

Il 20 dicembre di venti fa, si spegneva a Liverpool il poeta Adrian Henri. Nella primavera del 1998 aveva subito una complicatissima operazione al cuore e in seguito le sue condizioni generali di salute si erano aggravate a tal punto che i medici gli comunicarono che correva il rischio di non poter più né camminare, né parlare. Una situazione oltremodo drammatica per un artista che prima di allora era stato attivo e inesauribile, un viaggiatore instancabile e in continuo movimento, un sostenitore dell’oralità lirica, un grande comunicatore, che per di più aveva elevato proprio il cuore a suo simbolo e logo personale pittorico. Questa tragica condizione è rielaborata poeticamente nel testo della poesia “Je Suis un Autre”, pubblicata postuma.

Adrian era nato il 10 Aprile 1932 a Birkenhead, un centro urbano popolare situato di fronte al porto di Liverpool, al di là dell’estuario del fiume Mersey. Di estrazione sociale modesta, il padre lavorava come impiegato statale e durante l’infanzia e l’adolescenza, la sua famiglia aveva sempre abitato in case popolari. Fino all’età di dodici anni era stato figlio unico, poi nel volgere di alcuni anni si ritrovò ad avere altri cinque tra fratelli e sorelle.

Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, la famiglia Henri si trasferì a Rhyl, località di villeggiatura sulla costa settentrionale del Galles vicino a Llandudno, dove il poeta frequentò la grammar school e durante le stagioni estive lavorava nei baracconi di un luna-park locale.
Terminati gli studi nella scuola superiore, frequentò l’Università di Durham, dove nel 1955 conseguì la laurea in Belle Arti e dove era stato allievo di Richard Hamilton, il maestro che aveva introdotto la Pop Art in Inghilterra. Nell’ambito della mostra This is Tomorrow allestita a Londra nell’estate del 1956 presso l’ICA (Institute of Contemporary Arts), Hamilton presentò il primo quadro Pop europeo, dal titolo: Just what is it that Makes Today’s Homes so Different, so Appealing?.

Henri poi intraprese la carriera di insegnante che interruppe dopo un breve periodo per seguire la sua vocazione artistica di pittore che lo portò a trasferirsi a vivere a Liverpool.

Agli inizi degli anni Sessanta, l’artista venne a contatto con altri due aspiranti poeti, nativi della città: Roger McGough e Brian Patten, attraverso la frequentazione di personaggi che gravitavano in un giro di artisti. I tre, insieme a Spike Hawkins, anche lui di Liverpool e Pete Brown, londinese, diedero vita e animarono una poetry scene locale.

In un articolo pubblicato sul numero di Punch del 15 Ottobre 1986, per presentare una raccolta antologica di sue poesie scritte tra il 1967 e il 1986, il poeta rievocava e rivisitava i suoi esordi artistici: “Penso che tutto è cominciato quando Pete Brown mi presentò a Roger McGough in Church Street a Liverpool nel 1960 […] lo stesso Brown mi fece vedere alcune poesie di un ragazzo prodigio di quindici anni che aveva conosciuto allo Streate’s Coffee Bar: […] Brian Patten aveva appena lasciato la scuola e faceva il cronista del Bootle Times. McGough era appena rientrato dall’Università di Hull e faceva l’insegnante. Brown era un ospite costante e faceva da catalizzatore, diffondendo notizie sulle attività dei suoi vari ospitanti durante i suoi interminabili viaggi in autostop alla Kerouac: io, Roy Fisher, Ian Hamilton Finlay. Spike Hawkins era solito apparire per vendere a prezzo ridotto City Lights e Evergreen Review che aveva rubato in una libreria di Charing Cross a Londra. […] Sebbene pittore per vocazione e formazione culturale, […] avevo provato a scrivere poesie fin da quando mi ero imbattuto in una dai Preludes di Eliot, trovata in un’antologia scolastica. […] Importanti erano […] Mike Evans, poeta e mio amico dai giorni del luna-park a Rhyl […] che era finito a suonare il sassofono coi Clayton Squares, uno dei migliori gruppi del dopo-Beatles. […] E molti altri…”.

A quel tempo, dunque, nel panorama culturale inglese ‘decentrato’ e ‘alternativo’, nel senso di lontano, non allineato e non legato all’establishment e al mondo accademico e alla cultura ufficiale, Liverpool rappresentò un punto di riferimento che per un breve periodo contrastò ed oscurò l’egemonia di Londra.

Tra i poeti e la città si era instaurato un legame molto forte e profondo e in alcune poesie scritte allora da Henri è possibile rinvenire molti riferimenti alla città. Uno dei luoghi maggiormente citati nei testi come sfondo ambientale alle storie evocate dal poeta è il quartiere Liverpool 8, situato nella zona centrale. A quei tempi il quartiere era diventato una specie di città nella città, un microcosmo per giovani artisti e non, attratti dal fermento artistico e dall’energia culturale che fervevano entro il perimetro di quell’area urbana caratterizzata da tinte e atmosfere bohemien ma anche, sotto l’aspetto urbanistico, derelitta a causa delle vaste aree che erano rimaste diroccate dalla Seconda Guerra Mondiale, nel corso della quale la città era stata quasi completamente rasa al suolo dai caccia tedeschi per la sua importanza strategica di porto crocevia dei traffici commerciali e militari con l’America.

Infatti Adrian Henri descrive lo stato di decadenza di quest’area cittadina nelle poesie “Liverpool 8” e “Poem for Liverpool 8”, con toni intensi e appassionati che rivelano una profonda empatia con la città. Nel testo “Poem for Liverpool 8”, Henri contestava con accenti fortemente critici e polemici anche il processo di ristrutturazione e modernizzazione urbanistiche operate allora dai politici e dagli imprenditori e urbanisti locali. Essi, secondo il poeta, con le loro iniziative miravano a distruggere l’identità più viva e originale di Liverpool per darle un’immagine omologata e appiattita ai canoni e ai valori post-industriali che si stavano diffondendo nel campo dell’urbanistica nei paesi occidentali più avanzati a livello tecnologico, e in quel periodo la connotavano come una wasteland che evocava e riecheggiava suggestioni eliotiane. Pertanto le operazioni di demolizione, smantellamento e sventramento urbani, effettuate in città su vasta scala in quegli anni, per far posto ai “non-luoghi” (imponenti e sofisticati centri commerciali di cemento e nuove arterie e diramazioni stradali), stavano cancellando per sempre tutta una serie di connotati espressivi che, sempre secondo Henri, tratteggiavano la dimensione più vera e pittoresca di Liverpool. Il poeta esprimeva attraverso la poesia un sentimento di nostalgia e di doloroso senso di perdita per un mondo che stava scomparendo a cui apparteneva e a cui si sentiva indissolubilmente legato, e di odio-amore per la nuova immagine che la città stava assumendo.

La poetry scene originatasi a Liverpool agli inizi degli anni Sessanta si venne sempre più configurando come il prodotto di un contesto socio-culturale decisamente caratterizzato dall’esplosione, in America prima, in Inghilterra poi, di una controcultura o sottocultura giovanile etichettata Pop e/o Underground. All’interno di questa cornice, l’elemento più originale e innovativo si estrinsecò nella comunicazione orale della poesia che veniva non più soltanto pubblicata sulla pagina, ma letta e recitata direttamente ad un pubblico di ascoltatori durante i poetry readings.

L’espansione del contesto artistico in una dimensione multimediale venne realizzata con il lavoro di gruppo, attraverso la sperimentazione, fusione, inte(g)razione e contaminazione della poesia con altre forme d’arte, quali la musica, la pittura, la drammatizzazione e la danza. A livello locale il processo di transcodificazione artistica della poesia venne elaborato e realizzato in forma di spettacolo denominato event, per la cui progettazione e attuazione i poeti si ispirarono agli happenings, ideati e realizzati in America qualche tempo prima da un gruppo di giovani pittori esponenti della Pop Art: Jim Dine, Allan Kaprow e Claes Oldenburg.

Questo modo di comunicare poesia provocò una profonda trasformazione sia dell’identità e del ruolo artistico del poeta, sia del suo rapporto con il suo pubblico di ascoltatori. Il poeta diventava soprattutto uomo di spettacolo, un performer e intrattenitore, alla stessa stregua del musicista pop o rock quando si esibiva in concerto. Nel 1967 Adrian Henri costituì il gruppo musicale The Liverpool Scene con il quale si esibì in tour fino al 1970, formato da Mike Hart, voce e chitarra, Andy Roberts, prima chitarra, Mike Evans, al sassofono, Percy Jones, al basso e Brian Dodson, alla batteria.

La Liverpool Scene, fu recepita e classificata prevalentemente come il prodotto di una cultura popolare o sottocultura giovanile, perciò di caratura “bassa”, anche per la sua contiguità e commistione con l’entertainment. Si trattò, a mio avviso, di una valutazione globale dogmatica, eccessivamente condizionata e dettata dal pregiudizio e da una prospettiva critica che allora, al contrario di quanto sosteneva in linea di principio Raymond Williams, non comprendeva e non includeva nella propria sfera d’interesse voci ibride e marginali emergenti da altri contesti artistici che non fossero quelli convenzionali e tradizionali più canonici. Inoltre quel giudizio critico non considerava appieno il tentativo di ricerca da parte soprattutto di Henri, di rinnovare e modernizzare nell’ambito letterario inglese, il linguaggio poetico, le sue forme espressive e la sua comunicazione ad un pubblico composto non solo da lettori.

La fine degli anni Sessanta, comunque, registrò l’esaurirsi della carica vitale della poetry scene locale e l’avvio di percorsi artistici e carriere individuali che ciascuno dei tre poeti intraprese separatamente dagli altri.

Nel 1968 Henri diede alle stampe l’opera Tonight at Noon, che in appendice includeva il saggio Notes on Painting and Poetry, nel quale il poeta argomentava alcune riflessioni sul suo retaggio artistico-culturale e sul suo stile di pittore e poeta. Questo scritto venne a configurarsi come il manifesto artistico-letterario della poesia di Liverpool e conferì al poeta la leadership artistica e la connotazione carismatica di teorico e caposcuola del gruppo dei poeti locali.

In quelle pagine Henri evidenziava in primo luogo la sua versatilità, che si manifestava soprattutto nella sua duplice natura di poeta e pittore: elementi inestricabili che formavano la sua identità di artista. Il suo modo di fare poesia era profondamente condizionato da questa inclinazione eclettica e trasversale e non poteva che collocarsi, appunto, in linea di discendenza e di continuità con la tradizione artistica delle avanguardie storiche del XX secolo, Dada e Surrealismo, e della Pop Art della seconda metà del Novecento.

La modalità di comunicazione della sua poesia ad un pubblico di ascoltatori era, comunque, per il poeta l’elemento prioritario e per rafforzare la sua tesi, citava una dichiarazione di T.S. Eliot: “Eliot una volta ha detto: ‘La vera poesia può comunicare prima di esser capita’. […] L’importanza di questa affermazione sta nella differenza tra ‘comunicazione’ e ‘comprensione’…”

A proposito della funzione del poeta, Henri inoltre, scriveva: “Una delle affermazioni più importanti e fondamentali a proposito della funzione del poeta sta nel verso di Mallarmé “donner un sense plus pur aux mots de la tribu” […], che Eliot citò in una sua poesia. […] Per me, ovviamente, ciò significa: purificare il dialetto della mia tribù. […] Poiché viviamo in un’epoca in cui si è verificata un’esplosione dei mezzi di comunicazione, certi usi specialistici del linguaggio mi sembrano particolarmente importanti: quello della pubblicità (manifesti, slogan, annunci televisivi) o dei titoli dei giornali ,il cui scopo è trasmettere un messaggio (o sentimento-sensazione) quanto più rapidamente la percezione consenta; o quello delle canzoni pop e dei ritornelli televisivi il cui scopo principale è di fissare una parola nella memoria il più rapidamente possibile. Entrambi richiedono una considerevole economia di mezzi e una riformulazione delle idee sulla sintassi.”

L’obiettivo di purificare il linguaggio della propria tribù portò il poeta di Liverpool a teorizzare quella che lui stesso definì come l’operazione retorica e linguistica di “revaluation of the cliché”, il punto d’arrivo delle sue riflessioni, che diventò un vero e proprio programma retorico-stilistico da formalizzare artisticamente e da realizzare nella sua funzione artistica di poeta: “Il cliché è un frammento di linguaggio morto per il troppo uso che se n’è fatto, che può essere risuscitato e rivitalizzato in qualsiasi momento ponendolo in un contesto differente e dandogli un significato in contraddizione con il suo significato apparente.”

Stando a quanto scriveva Henri, il tentativo di distruzione/ricostruzione simultanee operato nel contesto sintattico-semantico dei versi di una poesia avrebbe dovuto provocare nella mente del lettore/ascoltatore un processo di ripensamento del linguaggio e del suo uso. L’obiettivo primario di questa operazione era di estrapolare il linguaggio stesso dalla sfera del cliché convenzionale e dagli schemi sintattici precostituiti e stereotipati e liberarlo dall’impoverimento e inaridimento causatigli dalle stratificazioni dell’abitudine dell’uso comune quotidiano. Il poeta, così, avrebbe fatto riscoprire e restituito al lettore/ascoltatore la sua vitalità e duttilità, la sua polisemia, la sua dimensione di elemento creativo non ripetitivo.

Sempre nel suo saggio Henri teorizzava l’uso nella poesia del linguaggio della pubblicità e delle tecniche di creazione/composizione/comunicazione dei mass-media per elaborare un testo poetico poiché questi offrivano una vasta gamma di nuove tecniche di sperimentazione che consentivano all’artista di disporre di un potenziale linguistico-comunicativo da utilizzare in campo artistico.

Nella composizione di alcuni testi poetici, Henri si era ispirato ai contenuti divulgati dai mass-media, ponendo però, ad esempio, fuori dal suo contesto originario il messaggio pubblicitario preso come modello da imitare e trasferendolo in un contesto poetico e intertestuale in cui gli attribuiva un significato che era in contraddizione con il significato precedente. Mediante questa operazione di decontestualizzazione, il poeta non intendeva soltanto recuperare la vitalità del linguaggio, o del cliché, ma anche criticare gli ideali promozionali del materialismo consumistico che esigeva l’utilizzo dei mass-media come strumenti di persuasione e manipolazione delle masse.

Un esempio tipico di costruzione e comunicazione di un testo poetico tramite l’uso delle tecniche dei mass-media e la decontestualizzazione del linguaggio/messaggio pubblicitario è la poesia “Bomb Commercials”, che fu scritta dal poeta per essere recitata a due voci nel corso di un event dedicato alla bomba atomica, allestito a Liverpool agli inizi degli anni Sessanta. Nel comporre il testo poetico, Henri reimpiegava noti messaggi pubblicitari di allora relativi ad altrettanti prodotti commerciali di largo consumo ma li decontestualizzava e li adattava per ‘reclamizzare’ la bomba atomica.

Un altro aspetto che certifica l’influenza esercitata dalla Pop Art sui poeti di Liverpool è rinvenibile nella composizione di poesie ispirate al linguaggio e ai personaggi del mondo dei fumetti, considerati icone della società delle comunicazioni di massa dagli esponenti della corrente artistica post-modernista. Anche la poesia “I Want to Paint”, che rappresenta un esempio di sperimentazione di ‘action painting’, consente a Henri di creare un contesto di simbiosi tra la pittura e la poesia ed esprimere contenuti di impossibile rappresentazione pittorica. Il componimento rivela una sequenza di situazioni, eventi, personaggi e oggetti proiettati in dimensioni fantastiche, surreali e talvolta assurde che il poeta di Liverpool vorrebbe dipingere ma riesce soltanto ad evocare e fissarne le immagini nella poesia.

Il 1970 fu per il poeta un annus horribilis a causa della perdita sia dei nonni materni, sia dei genitori, sopravvenute nell’arco di tempo di più di un mese tra circa la metà di maggio e la fine di giugno di quell’anno. Subito dopo questi eventi luttuosi Henri fu colpito da una grave crisi cardiaca che lo costrinse a rinunciare drasticamente ai frenetici ritmi di vita e agli eccessi a cui si era abbandonato in precedenza. Il poeta si ritirò a vivere in isolata tranquillità, lontano per un certo periodo dalla scena artistica ma le sue energie creative e la sua fecondità artistica erano sempre vive e proficue. Infatti la pausa forzata gli consentì di comporre Autobiography, pubblicata nel 1971, che a tutt’oggi è considerato dai critici il suo capolavoro, e di pubblicare nel 1972 il romanzo I Want, scritto in collaborazione con Neil Dunn, sempre per l’editore Jonathan Cape.

Nel 1977 Henri fece stampare in edizione limitata un’opera poetica intitolata Beauty and the Beast, ideata e composta in collaborazione con un’aspirante poetessa ventiduenne di origine scozzese: Carol Ann Duffy. Alcuni anni prima la ragazza si era trasferita a Liverpool per studiare Filosofia presso la University of Liverpool, dove si laureò nel 1977, lo stesso anno di pubblicazione del testo. Il poeta aveva conosciuto Carol Ann nel corso di uno dei suoi numerosi tours in giro per la Gran Bretagna agli inizi degli anni Settanta, quando lei era ancora studentessa di scuola superiore a Stafford, nei pressi di Manchester. La sua famiglia proveniente da Glasgow si era trasferita a vivere in quel luogo quando lei era ancora in tenera età. Tra i due si intrecciò un intenso legame affettivo e si instaurò anche un rapporto artistico che durò fino agli inizi degli anni Ottanta, quando la poetessa andò a vivere a Londra. Il sodalizio non produsse altre collaborazioni artistiche effettive ma ha continuato a stimolare ed influenzare profondamente la Duffy nel suo percorso di formazione. Il 1 maggio 2009 la poetessa è stata insignita del titolo di Poet Laureate del Regno Unito.

L’8 dicembre 1980, John Lennon fu assassinato al Central Park di New York, davanti al Dakota Building, sua residenza di allora, e Henri gli dedicò la poesia New York City Blues.

Nello 1986 il poeta conobbe Catherine Marcangeli, allora studentessa francese all’estero per un anno per motivi di studio: i due sarebbero rimasti legati affettivamente fino alla morte del poeta, come già detto, avvenuta a Liverpool il 20 dicembre 2000.

Nel 2007 la Marcangeli ha fatto pubblicare un’antologia che raccoglie in retrospettiva alcuni testi del poeta dal 1967 al 2000 e di recente ha lanciato sul web un sito: www.adrianhenri.com dedicato a lui e alla sua opera artistica.

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