“Una scelta”, Liz Lochhead

Liz Lochhead

A cura di Bernardino Nera

Liz Lochhead nasce a Motherwell, Lanarkshire, Scozia, verso la fine del 1947, entrambi i suoi genitori, sposati nel 1944, avevano prestato servizio durante la Seconda Guerra mondiale, la madre come ausiliaria nelle file dell’A.T.S. (Auxiliary Territorial Service) e il padre militare. Da ragazza era stata un’avida lettrice di romanzi e di poesia e nel corso degli anni scolastici nella scuola superiore, aveva mostrato una spiccata propensione per le materie letterarie e per l’arte.

Nel 1965, dopo gli studi secondari non seguì il consiglio del preside e dei suoi insegnanti che le avevano consigliato di immatricolarsi all’università, ma si trasferì a Glasgow per iscriversi alla locale School of Art. Il suo stile figurativo di disegno e pittura, si rivelò però, controcorrente rispetto alla tendenza più in voga in quel periodo: l’astrattismo, a suo parere privo di una dimensione narrativa, così Liz visse l’esperienza accademica con forte disagio personale e un senso di inadeguatezza. Di qui, il passaggio alla scrittura poetica attraverso il tirocinio nell’ambito di un corso di scrittura creativa organizzato da un docente dell’Art School e alla frequenza dei laboratori “extra mural writers” organizzati dal poeta e critico Philip Hobsbaum, che le servirono da corsi di formazione e le permisero di perfezionare il suo stile.

Nel 1971, vinse il premio ad un concorso di poesia indetto da Radio Scotland con due poesie: Revelation (Rivelazione) e Poem for Other Poor Fools (Poesia per altri poveracci) e l’anno successivo pubblicò la sua prima antologia Memo for Spring.
In seguito a questa pubblicazione, la poetessa iniziò un’intensa attività di letture di poesia in molte località della Scozia, compreso il prestigioso Edinburgh Festival, di fama internazionale, che le procurò una certa popolarità e le valse il riconoscimento dello Scottish Arts Council Book Award.

Nel corso degli Anni Ottanta, iniziò la scrittura anche di testi per il teatro, fra cui in particolare: un adattamento del Tartuffe di Molière, rappresentato nel 1986, il rifacimento di Dracula di Bram Stoker nel 1985, e Mary Queen of Scots Got Her Head Chopped Off, nel 1987. Nel 1981, pubblicò l’antologia di poesie The Grimm Sisters e nel 1984, la raccolta Dreaming Frankenstein & Collected Poems.

Tra le sue opere poetiche successive, si segnalano la raccolta The Colour of Black & White: poems 1984-2003, pubblicata nel 2003 e la più recente Fugitive Colours del 2016.
Nel 1986, sposò l’architetto Tom Logan con il quale ha condiviso la sua esistenza fino al 2010, anno della sua scomparsa.

Nel 2011, la poetessa viene insignita del titolo di ‘Makar’, poeta nazionale della Scozia, succedendo al suo amico e mentore Edwin Morgan che era stato il primo a fregiarsi di tale titolo dalla durata in carica di cinque anni. Nel corso dello stesso anno pubblicò A Choosing (proposta da Argolibri in traduzione italiana con il titolo: Una scelta), che raccoglie testi composti in un arco temporale di quasi quarant’anni a partire dalla pubblicazione dell’antologia del 1972. Continua a leggere

Carol Ann Duffy, la poesia e la guerra

Carol Ann Duffy

Introduzione
Bernardino Nera e Floriana Marinzuli

Rileggiamo alcune poesie sulla guerra scritte dalla ex Poet Laureate Dame Carol Ann Duffy nel corso della sua carriera artistica dagli esordi nel 1985 ad oggi. Nel contesto di questi componimenti, ovviamente, non sono rinvenibili riferimenti alla più stretta attualità ma ad avvenimenti storici bellici avvenuti nel secolo scorso, come ad esempio: la tregua di Natale nel 1914, rievocata nella poesia The Christmas Truce, che si instaurò liberamente e spontaneamente tra le truppe tedesche, francesi e inglesi in varie zone del fronte occidentale durante la Prima Guerra Mondiale. Anche la poesia The Last Post richiama nei suoi versi questa guerra e la poetessa la rielabora in chiave utopistica, immaginando di poterne esorcizzare gli effetti più efferati e letali ripercorrendo idealmente a ritroso la dinamica reale degli avvenimenti, invece inesorabile e crudele, della storia. Da rilevare nel testo una citazione tratta da una poesia di Wilfred Owen, poeta morto nel 1918 in un’operazione bellica sul fronte occidentale. Nel contesto della poesia Shooting Star, l’io lirico, una donna ebrea, narra la sua orribile esperienza prima di essere stuprata e poi brutalmente giustiziata in un campo di concentramento nazista. Ma è nel testo della poesia The Wound in Time che si può cogliere il lamento accorato della poetessa contro la guerra ed è da evidenziare che tutte le tematiche trattate e gli scenari evocati nelle poesie precedenti anche se diversi si ripropongono sempre uguali a se stessi e si ripetono drammaticamente nel tempo perché l’uomo non impara niente dalla sua storia. Continua a leggere

La poesia del britannico Jacob Polley

Jacob Polley photo Mai Lin Li

Proponiamo per la prima volta nella traduzione di Bernardino Nera cinque poesie inedite in Italia del poeta e scrittore britannico Jacob Polley (1975).

Jacob nel 2016 ha vinto il T.S Eliot il premio di poesia più prestigioso della Gran Bretagna. Le sue poesie si traducono in opere che sono, allo stesso tempo, impegnative e emotivamente impegnate. In una intervista, la giornalista Aida Edemariam ha descritto la voce di Polley come “di volta in volta maliziosa, demotica, diretta e divertente”. (The Guardian, 2017). Questa è sicuramente una delle voci dei personaggi che Polley porta nelle sue poesie. C’è poi, nei suoi versi, una qualità oscura, nordica, che in qualche modo ricorda Ted Hughes, con una poesia che attinge a scene di vite rurali o marginali.

La poesia The Ruin (The Havocs, 2012), che qui viene proposta nell’inedita versione tradotta in italiano, è ispirata all’omonimo componimento poetico in Old English del VII secolo, contenuto nel manoscritto Exeter Book, risalente al periodo storico inglese della dominazione anglo-sassone del paese. Le altre poesie, sempre inedite in italiano, sono incluse nelle raccolte The Brink del 2003 Little Gods del 2006 e The Havocs del 2012.

Snow (The Brink, 2003)

It survives in quiet places
like a rare species
whose haitat is silence
and closed roads. It upholsters
the empty park bench
with long creaking bolsters
and lags the fields like draughty lofts.
Look up – the night’s in pieces
or the moon’s sieving
its desiccated seas;
there’s a glamour about the roofs
and even the old car
on bricks in the yard seem natural,
tucked up to the axles
in this delicate impasse.
Bridle path and motorway unite
under the wastes of space
each gale force renovates,
and only the cat and the blackbird
betray themselves so neatly
in the lawn’s flawless enamouring
that we’ll forgive their few footnotes
at dawn, when we open our doors
and the hard-packed white light
leant against them falls in.

Neve

Sopravvive in luoghi quieti
come una specie rara
il cui habitat è il silenzio
e le strade chiuse. Imbottisce
le panche vuote dei parchi
con lunghi cuscini a rullo cigolanti
e riveste i campi come solai pieni di refoli.
Sguardo in su – la notte è a pezzi
o la luna setaccia
i suoi mari prosciugati;
c’è un bagliore intorno ai tetti
e anche la vecchia auto
nel cortile senza più le ruote sembra normale,
rimboccata fino ai semiassi
in questo delicato impasse.
Un sentiero e l’autostrada si uniscono
sotto i deserti dello spazio
ogni bufera rinnova vigore,
e soltanto il gatto e il merlo
si tradiscono così bene
nell’incanto immacolato del prato
che perdoneremo le loro poche postille
all’alba, quando apriremo le porte
e la luce bianca compatta
posatasi addosso, cadrà dentro.

October (Little Goods, 2006)

Although a tide turns in the trees
the moon doesn’t turn the leaves,
though chimneys smoke and blue concedes
to bluer home-time dark.

Though restless leaves submerge the park
in yellow shallows, ankle-deep,
and through each tree the moon shows, halved
or quartered or complete,

the moon’s no fruit and has no seed,
and turns no tide of leaves on paths
that still persist but do not lead
where they did before dark.

Although the moonstruck pond stares hard
the moon looks elsewhere. Manholes breathe.
Each mind’s a different, distant world
this same moon will not leave.

Ottobre

Anche se una corrente turbina tra gli alberi
la luna non agita le foglie,
sebbene i camini fumino e il blu ceda
al blu più scuro del buio del rientro a casa.

Sebbene le foglie inondino senza posa il parco
di distese gialle, fino alle caviglie,
e la luna si mostri attraverso ogni albero, mezza
o un quarto o piena,

la luna non ha frutti, né semi,
e non fa agitare la marea di foglie sui sentieri
che ancora resistono ma che non portano
dove conducevano prima del buio.

Anche se lo stagno stregato dalla luna guarda fisso
essa volge lo sguardo altrove. I tombini sfiatano.
Ogni mente è un mondo diverso, distante
che questa stessa luna non lascerà. Continua a leggere

Poesie d’amore di Carol Ann Duffy

Carol Ann Duffy

 

A CURA DI BERNARDINO NERA E FLORIANA MARINZULI

Nata a Glasgow verso la fine del 1955, Carol Ann Duffy è la primogenita di una famiglia cattolica di estrazione sociale operaia, composta dal padre Frank Duffy, dalla madre Mary Black e da altri quattro fratelli. All’età di sei anni Carol Ann si trasferisce insieme alla famiglia a Stafford, nel nord dell’Inghilterra, per motivi di lavoro del padre.

L’esperienza di emigrazione e sradicamento dalle proprie origini scozzesi risulterà decisiva nella formazione del carattere dell’allora bambina Carol Ann. In particolare, lo stato di iniziale esclusione da parte dei coetanei inglesi e la conseguente alienazione nel vivere fra due dimensioni, quella domestica, familiare, rassicurante contrapposta a una dimensione a lei estranea, nuova e alla quale vi è la necessità, seppur con fatica, di integrarsi e adattarsi, la portano a sviluppare una sensibilità singolare nei confronti degli accenti e della lingua in generale.

L’interesse per la poesia nasce tra i banchi della St. Joseph’s Convent School, incoraggiata dalla sua insegnante, June Scriven, che ne aveva individuato la naturale inclinazione, ma è la città di Liverpool, dove Carol Ann Duffy si trasferisce nel 1974 per intraprendere gli studi di filosofia, a iniziarla ai numerosi poetry reading messi in scena in città e a farle da scuola di formazione artistica.

A Liverpool Carol Ann frequenta assiduamente Adrian Henri, e fin d’allora tra i due nasce un intenso rapporto affettivo e artistico che originò la composizione dell’opera poetica scritta in coppia e pubblicata in tiratura limitata nel 1977, con il titolo Beauty and the Beast.

Il 1985 è l’anno dell’esordio letterario con la pubblicazione della prima raccolta poetica, Standing Female Nude, accolta assai positivamente dalla critica. Seguono Selling Manhattan (1987), The Other Country (1990), Mean Time (1993), The World’s Wife (1999), Feminine Gospels (2002), Rapture (2005), e The Bees (2011) che le valgono tra i più importanti riconoscimenti poetici, dal Dylan Thomas Award del 1989 per The Other Country al prestigioso T. S. Eliot Prize del 2005 per Rapture, al Costa Book Awards per la penultima raccolta della poetessa: The Bees (2011). L’ultima antologia poetica pubblicata con il titolo Sincerity, è del 2018 ed è stata tradotta in italiano da Bernardino Nera e Floriana Marinzuli, nel 2020 per l’editore Ladolfi.

Il 1 maggio 2009 Carol Ann Duffy viene nominata Poet Laureate del Regno Unito. Oltre a essere consacrata ufficialmente voce poetica più significativa e amata del paese, la sua nomina segna una svolta memorabile nella tradizione letteraria britannica. È difatti la prima donna, omosessuale dichiarata, a rivestire tale carica in 341 anni di laureateship al maschile. Nel succedere ad Andrew Motion, Duffy si dichiara onorata dell’incarico e non nasconde di aver umilmente accettato a nome di tutte le donne, proprio perché nessun’altra prima di allora era stata insignita di tale onorificenza.

La nomina a Poet Laureate di Carol Ann Duffy segna finalmente l’agognato riconoscimento da parte delle istituzioni della poetessa a figura pubblica.

L’incarico conferitole dalla Regina Elisabetta, che prevede la composizione di versi in occasione di eventi ufficiali, ha dato nuova linfa al suo genio creativo e ha messo fine a un lungo periodo di silenzio, segnato dalla grave perdita della madre e dalla separazione dalla poetessa scozzese Jackie Kay.

L’antologia Lo splendore del tempio, pubblicata dall’editore Crocetti nel 2012, dalla quale sono tratte alcune delle poesie tradotte in italiano da Bernardino Nera e Floriana Marinzuli che presentiamo ai lettori del blog, include in maniera completa ed esaustiva gran parte delle poesie d’amore pubblicate dal 1985, compreso l’intero indice di un’antologia pubblicata nel 2010 con il titolo Love Poems. L’opera, insignita nel 2013 con il Premio Achille Marazza per la traduzione poetica, rappresenta una silloge i cui testi di volta in volta trattano i molteplici volti dell’amore, nelle sue diverse declinazioni e manifestazioni di passione, brama e struggimento che si tramutano in stati di sofferenza, separazione, perdita e lutto, e al contempo giocano sull’elemento dell’ambiguità nei riguardi dell’oggetto del desiderio, al quale sovente non è dato né un nome né un’identità specifici, innescando in tal modo un’opera di esplorazione e rinegoziazione dei rapporti tra innamorati con l’intento, da parte della poetessa, di sovvertire la divisione sbilanciata di potere tra uomo e donna, amante e amata su cui da sempre la tradizione lirica amorosa si è basata. Continua a leggere

Brian Patten e la “poetry scene”

Brian Patten

di Bernardino Nera

Non ho mai conosciuto mio padre. Mia madre l’aveva sposato ma si erano separatati prima che io potessi ricordare. Sono cresciuto in una piccolissima casa con una nonna mutilata: lei e mio nonno non si parlavano mai. Era uno spazio molto angusto, deprimente, da claustrofobia. E c’era una zia sempre seduta su una sedia: ci viveva su quella sedia in cucina e mia madre che si chiamava Stella. Ero del tutto convinto che se avessi aperto bocca o detto qualcosa, avrei smosso le acque. E non volevo proprio farlo.” (Cit. Phil Bowen, A Gallery to Play to; Stride, 1999; pag. 42).

 

Subito dopo la nascita di Brian Patten il 7 febbraio 1946, a Liverpool, sua madre Stella, di 18 anni, si separò dall’uomo con cui lo aveva concepito, e il piccolo, trascorso un breve periodo in un istituto, andò a vivere con lei dai nonni, in un’angusta casa a schiera al numero 100 di Wavertree Vale, una zona popolare della città abitata in prevalenza dalla classe operaia.

 

Da giovane la nonna era stata ballerina di varietà, durante la Seconda guerra mondiale era rimasta gravemente ferita alle gambe in un bombardamento aereo tedesco, e in seguito i suoi arti mutilati furono incassati dentro tutori ortopedici per consentirle di muoversi sostenuta da stampelle. La paralisi fisica della nonna diventerà il simbolo della dimensione interiore del poeta, sia esistenziale sia spirituale, di allora, fortemente condizionata da fattori ambientali e socio-culturali di povertà e privazione.
Nel 1975 Patten commentava in un articolo del “Liverpool Daily Post”: “Da bambino i miei campi da gioco erano i terrapieni e gli argini lungo la ferrovia; i vicoletti nascosti, le zone della città devastate dai bombardamenti e le case diroccate”.
Brian aveva un temperamento irruento e una personalità problematica: “C’era una componente violenta nella mia natura con cui ho dovuto combattere a lungo, ma ora è scomparsa”, confessa. Il poeta ricorda le zuffe con altre bande rivali di ragazzi per le strade del suo quartiere: “Prendevamo le catene delle cisterne dai bagni all’aperto e andavamo a cercare altre bande. Era una zona violenta. Ecco come bisognava essere per sopravvivere”.

Il suo profilo scolastico non poteva che essere quello di un bambino chiuso, schivo, asociale, disadattato, relegato all’ultimo banco della classe, sempre bisognoso di interventi didattici di sostegno e di recupero.

Il suo accidentato percorso di studi nella scuola superiore non cambiò affatto quando passò alla Sefton Park Secondary Modern School, la stessa frequentata da John Lennon, da dove un giorno scappò via. La sua insofferenza e l’avversione per la scuola e il sapere di stampo conformista, insulso, banale, non autentico, che a suo dire riceveva, pervadono in particolare le poesie giovanili “Little Johnny’s Change of Personality” e “Schoolboy”, incluse nella raccolta Little Johnny’s Confession, oppure “The Minister for Exams”, parte del volume Armada, del 1996.

Durante l’ultimo anno di scuola, nel 1960, si verificò un’inaspettata inversione di tendenza: il preside lesse per caso un tema scritto dallo studente quattordicenne, dal quale trasparivano un talento e un’immaginazione che andavano incoraggiati.

Lo stimolo ricevuto a scrivere poesia, si rivelò decisivo per il ragazzo quattordicenne: “Scrivere poesie diventò un’ossessione durante il mio ultimo anno di scuola…quando mi sentivo infelice scrivevo sui miei sentimenti, mi aiutava a capirli meglio…ovvio che non ero sempre insoddisfatto ma vedendo molta infelicità attorno a me, cominciai a scriverci su.” (Cit. Linda Cookson, Brian Patten; Northcote, 1997; pag. 4)

Scrivere poesie ebbe sul poeta una funzione liberatoria, di sblocco psicologico, e rappresentò un momento di svolta e di riscatto personale sia nella sua crescita intellettuale sia sul piano comportamentale: “Prima ero un ragazzo molto isolato e veramente ho cominciato a scrivere poesia per dar voce chiara al caos che sentivo dentro a quindici anni. La gente con cui ero cresciuto aveva difficoltà a spiegarsi e l’unico modo che sentivo per poter provare ad esprimere qualsiasi cosa dentro di me, era scrivere poesia.” (Cit. Phil Bowen, op. cit.; pag. 43) Continua a leggere

Carol Ann Duffy, “Sincerity”

In un’intervista rilasciata il 27 ottobre 2018 al quotidiano The Guardian, per presentare al pubblico di lettori la sua raccolta di poesie, intitolata Sincerity, Carol Ann Duffy spiegava la scelta del titolo dato all’opera che sarebbe stata pubblicata qualche settimana dopo e che è stata l’ultima alla successiva conclusione del ciclo decennale del suo mandato di Poet Laureate del Regno Unito che le era stato conferito il 1 maggio 2009: “Mi piace la parola ‘sincerità’, nel senso di parlare e comportarsi secondo le proprie convinzioni e i propri pensieri e sentimenti”. Inoltre la poetessa si
dichiarava ispirata anche dalla versione etimologica del termine, mutuata dalla vulgata, riferita alla pratica adottata da scultori mediocri e maldestri, ai tempi dell’antica Grecia e di Roma, nel tentativo di coprire con la cera, pecche e imperfezioni altrimenti visibili sulle proprie sculture. Da qui, appunto, il significato popolare del termine “sincerità”, dal latino sine cera, ossia senza cera, quindi genuino, autentico, non falso.

(Dall’introduzione di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera)

Clerk of Hearts

As they step from the path onto the boats,
I am there at my place under the trees,
listing the Categories. Humility. Shame.

My dealings with life have been so long ago,
I imagine I resemble shadow or watermark.
I am unanswered prayer, like poetry. Dread.
Whatever I did – it might have been that – now,

I watch each one depart, perceive their hearts;
old diaries I read at a glance. Acceptance. Disdain.
They will forget, but I take Time, devoted,
clerk of hearts. Sometimes I stand on the bridge

as they drift away, being more and more dead…
a kingfisher arrowing upriver, joy as colour;
then thunder above, a boiling of last words,
and their crafts vanishing into the heavy rain.

Addetto ai cuori

Mentre salgono sulle barche, dal sentiero,
io sono lì al mio posto sotto gli alberi,
a elencare le Categorie. Umiltà. Pudore.

Le mie pratiche con la vita sono state sbrigate tanto tempo fa,
immagino di somigliare all’ombra o alla filigrana.
Sono una preghiera non esaudita, come la poesia. Terrore.
Qualunque cosa abbia fatto – può essere stato quello – ora

le osservo tutte andar via, percepisco i loro cuori;
vecchi diari letti in un batter d’occhio. Accettazione. Disprezzo.
Dimenticheranno, ma prendo il Tempo, devoto,
addetto ai cuori. A volte sosto sul ponte

mentre se ne vanno alla deriva sempre più morte…
un martin pescatore sfreccia controcorrente, gioia come colore;
poi un tuono in alto, un ribollire di ultime parole,
e le loro barche svanire nella pioggia fitta.

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Jackie Kay, “Compagna”

Jackie Kay, per gentile concessione dell’autrice

Anteprima editoriale: Jackie Kay, Compagna, Giuliano Ladolfi, Collana Zaffiro, 2018. Poesie con testo originale a fronte, tradotte in italiano da Floriana Marinzuli e da Bernardino Nera.

Strawberry Meringue

for Edwin Morgan

The time before the last time I saw you
my mum and I bought you a strawberry meringue,
a vanilla slice and a cream fancy
and round your bed we three
had our own wee tea party;
a nice auxiliary, Nancy, brought the tea,
and we thought of words to rhyme with meringue.
Did you say harangue? Am I right or am I wrong?

The old Home used to take you to Dobbies
on Mondays when they did marvellous meringues,
you said, your boyish eyes gleaming.
Then you asked me if I’d read Orhan Pamuk’s
Snow, or Red, which was open on your bed,

and told me of a poem
you were translating from the Russian,
and asked me after my son, and Carol Ann.
Love, you said, Ah love, wistfully.
If you can be friends you’re doing not bad.
In your room today are perhaps a dozen books
and a few favoured paintings; life pared down,
clean as an uncluttered mind.
Friendship, dear Edwin, a scone, a meringue,
and your poems hovering like old friends too,
or old lovers – Strawberries, that last thrilling line –

Meringhe alle fragole

per Edwin Morgan*

La volta prima dell’ultima di quando ti ho visto
mia madre ed io ti abbiamo comprato una meringata alle fragole,
una fetta di millefoglie e una brioche glassata alla crema
e noi tre attorno al tuo letto
abbiamo fatto una piccola festa;
un’infermiera gentile, Nancy, ha portato il tè,
e abbiamo pensato alle parole che rimassero con meringhe.
Hai detto arringhe? Mi sbaglio o no?

All’altra Casa, ti portavano da Dobbies** di lunedì,
quando facevano delle meringhe deliziose
hai raccontato con occhi luccicanti da bambino.
Poi mi hai chiesto se avessi letto i romanzi di Orhan Pamuk
Neve, oppure Il mio nome è Rosso, che era aperto sul letto,
e mi hai parlato di una poesia
che stavi traducendo dal russo,
e mi hai chiesto di mio figlio e di Carol Ann.
L’amore, hai detto, Ah l’amore, con nostalgia.
Se restate amiche va bene così.

Oggi nella tua stanza c’è forse una dozzina di libri
e alcuni quadri preferiti; una vita ridotta all’essenziale,
limpida come una mente sgombra.
L’amicizia, caro Edwin, uno scone, una meringa,
e anche le tue poesie tutte intorno come vecchi amici,
o vecchi amanti – Fragole, quell’ultimo verso intrigante –

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