Il ritorno di Beppe Salvia

lettere musive io desto, ignote
cifre che compongono un fregio, tesse
una trama questo disegno, rete
di tessere in questo quadro crette
magia figura di regale soglia
oltre cui accedo ospite senza
credo ai sopiti luoghi della veglia,
voglio saper la meta e chiedo lenza
per il diniego trarre dal mare, le
fughe d’inospiti sirene l’ale
m’apprendono, volo ove è chiave chiara
di questi nodi di noci d’ardesia,
sale una savia siepe a dimorare
dove chiudon la corte due scalee.

*

A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.

*

viva le lunghe ore della scuola
il banco celeste come il cielo
serviva a non guardare la lavagna
viva le povere ore di malinconia
viva quel tuo mugugno
viva la veste bianca e le bugie
viva la via deserta tutta
fiocchi bioccoli

*

Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non v’ho messo mano
ancora. Tutta grigia e malandata,
con tutte le finestre rotte, i vetri
infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo
ch’è ancora tutto ingombro di ferraglia,
e perché da qui si può vedere quasi
tutta la città. E la sera al tramonto
sembra una battaglia lontana la città.
Io amo la mia casa perché è bella
e silenziosa e forte. Sembra d’aver
qui nella casa un’altra casa, d’ombra,
e nella vita un’altra vita, eterna.

da Cuore (Interno Poesia, 2021), a cura di Sabrina Stroppa

Beppe Salvia nasce nel 1954 a Potenza. Nel 1972 si trasferisce a Roma con la madre e il fratello, cambiando spesso casa e alternando la vita romana con alcuni viaggi in Sicilia. Inizia a pubblicare poesie in rivista nel 1976 (su «Lettera» e «Nuovi Argomenti»), diventando ben presto protagonista di quel clima vivace e alternativo animato nella capitale da poeti e pittori suoi coetanei. Frequenta i laboratori di poesia di Elio Pagliarani, occasione fondamentale per i giovani poeti sul volgere degli anni Settanta. Fonda nel novembre 1980 la rivista “Braci” insieme a Claudio Damiani, Giuseppe Salvatori, Arnaldo Colasanti e Gino Scartaghiande, ma allo stesso tempo, fin dall’ottobre del 1980, pubblica sulla rivista “Prato pagano” di Gabriella Sica le sue Lettere musive e partecipa a riunioni redazionali. In entrambe le riviste vengono pubblicate sue sillogi poetiche o ‘corone di sonetti’, che si distinguono subito per la spiccata individualità, alternante elegia e tragedia. Muore tragicamente il 6 aprile 1985. Alcuni degli amici più stretti ne ricordano la figura, qualche giorno dopo, sulla pagina culturale del «Paese sera», dando inizio a una sua tenace leggenda che in tempi recenti si è nutrita di studi e pubblicazioni di taglio anche accademico. Nel 1985, dopo l’improvvisa scomparsa, esce subito il suo primo libro, Estate, con lo pseudonimo di Elisa Sansovino, nei “Quaderni di Prato pagano”. Alla fine del 1987, presso Rotundo, esce Cuore (cieli celesti); nel 1989, nelle Edizioni romane della Cometa, il diario poetico Elemosine eleusine.

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