Golan Haji, “L’autunno, qui, è magico e immenso”

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Golan Haji: una rihla tra le ombre

Golan Haji, poeta, traduttore in inglese, medico patologo. La sua lingua madre è il curdo, ma compone le sue poesie in arabo, e talvolta le traduce in inglese. Ha abbandonato Damasco nel 2011. Nella sua poesia si trova l’epica, l’eco dell’antica versificazione araba, la mistica, il mito, insieme alla poesia contemporanea di tutti i paesi, di cui si nutre. Tutte queste componenti riescono a mantenere il carattere corale in una visione individuale in cui tuttavia è bandita la prevalenza dell’ego e dell’individualismo da contemplazione ombelicale.
La poesia si pone nei confronti della guerra come Perseo di fronte alla testa della Gorgone, così come la evoca Calvino nelle sue Lezioni Americane: perché il poeta non rimanga pietrificato dall’orrore con tutto il suo corpo o la poesia divenga incapace di dire, la scrittura deve guardare non la testa, ma i suoi riflessi nello scudo. Front-coverE vi sono riflessi, veri e propri cammei, di guerniche quotidiane, in paesaggi che includono il corpo del poeta. Orizzonti, corpi e anime paiono fatti della stessa materia.

Nell’incontro descritto da Jean Ristat tra Perseo e Ermes, il dio rivela all’eroe che Medusa non è nient’altro che un’ombra. Viene allora da domandarsi se Medusa, che pietrifica il linguaggio poetico, con le pietre che mi galleggiano tra le costole, o le pietre delle nuvole, come scrive nei suoi versi Golan Haji, non vada trattata alla stregua delle altre ombre che popolano l’orizzonte siriano…

A proposito del rapporto tra la scrittura e la guerra il poeta curdo afferma: “Per uno scrittore in una situazione, come quella della Siria, usando l’uscita di sicurezza dell’incubo per superare le lacrime e il dolore, è importante riuscire a vedere noi stessi in modo diverso, la nostra memoria e il nostro passato. Dobbiamo meditare e contemplare il passaggio di tempo degli ultimi due anni e interrogarci.” In questo senso Golan Haji è un poeta fortemente ancorato ad una contemporaneità antica. Egli descrive ciò che è dentro il suo tempo come se ne fosse al di fuori, rappresentando ciò che nella terra non è scalfito dalla temporalità. […]

dalla nota d’introduzione di Costanza Ferrini

– 

الخريف، هنا، ساحر وكبير L’autunno, qui, è magico e immenso

 

لمعَ تحت بابنا

الشعاعُ الدامي بين بوصلتهم ونجمِ الشمال

فاجتازتِ الطريقُ بيتنا راحلةً إلى المصبّ.

أحجارُها دموعُنا التي تراكمت في الصدور حتى لفظناها.

الطريقُ هشّمتِ المرآة ذات الوجهين وقواريرَ العطّارين

ولم تتركْ لنا إلا الغيومَ نسكنها

*

علَّمَتْهُ الأمطارُكيف سيتبخّرُ من جسدِ الأرض.

علَّمَهُ القطُّ النومَ في ظلالِ الورد.

أرشدَتْهُ البئرُ إلى الكتمان.

تصفرُّ الأوراق، تصرخُ وتتطاير،

فينصتُ إلى نبضِ الشجرة.

العالمُ خارقٌكالحِراب،

أسمالٌ ترفرفُكالراياتِ في الحلبة

حيث سَبَحَ المجانينُ في جراحِنا واستعطفوها لكيلا تندمل

ولا شيء سيرقأكلَّ هذا الدم سوى الشمس والريح.

الخريف، هنا، ساحر وكبير

*

Il raggio sanguinoso risplendeva

sotto la nostra porta tra la loro

bussola e la stella polare.

Così passò la strada per la nostra

casa nel viaggio verso la foce.

Pietre son le lacrime in petto

da noi infine versate.

Spezzò lo specchio doppio la strada

e le ampolle di profumo, lasciandoci

le nuvole come dimora e le bocche

come le tasche ricolme di sabbia.

*

Dal corpo della terra evaporare

le piogge gli avevano insegnato,

all’ombra delle rose addormentarsi

i gatti gli avevano insegnato;

e il pozzo lo guidava ad occultarsi.

Gialle le foglie in giro volano ed urlano;

e l’affanno dell’albero lui ascolta.

Il mondo è lacerante come le punte delle lance,

brandelli sventolano come stendardi nell’arena

dove i folli nuotavano nelle nostre ferite

pregandole di rimanere aperte;

e nulla questo sangue fermerà

escluso il sole e il vento.

*

أحلامُنا تتذكّرُ أحلامَنا.

كقططٍ مبتلّة احتمينا بالشجرة حين أمطرت

وأطفأتْ قطراتٌكبيرة سجائرَنا.

أضواءُ الكشافات دارَتْ على مسرحِ الغيم.

غرقتِ المناديل. خلتِ الكراسي

حيث انتظرتُ يدكِ.

رفعتِ الجذورُ حجارةَ الأرصفةِ أمامنا

وأخفيتُ علىكتفي وحامَكِ

وشمَ رغبةٍ لم تتحقّقْ.

*

الغرقى عادوا بالحصى، والموقدُ أسودُكقيعانِ القدور.

المقصُّ في يدكِ ذيلُ سنونوةٍ ميتة

وقلبُكِ يغزلُ الشعاعاتِ والقشَّ في سجادةٍ واحدة.

قمرُ صلاتِكِ اكتمل،

سيقاسمُكِ رغيفَ جسده

ويدورُكرحى الطباشيرِ على قماشةِ المساء.

سنرتدي ما يرتديهِ العميان،

بينما التجاعيدُ التي يرفعها الألمُ بكلاليبهِ من أحشائك

تزدحمُ في زوايا الفمِ والعينين:

لا مكانَ إلا وجهكِ.

*

I sogni ricordano i sogni.

Sotto l’albero durante la pioggia,

gatti zuppi ci eravamo riparati

e grandi gocce ci spensero le sigarette.

Le luci dei riflettori giravano

nel teatro delle nuvole.

Fradici i fazzoletti

e le sedie abbandonate,

mentre attendevo la tua mano.

Le radici sollevarono il lastrone

del marciapiede davanti a noi,

nascosi sulla spalla la tua voglia,

tatuaggio d’un desiderio non realizzato.

*

Gli annegati tornarono con i ciottoli,

e il forno era nero

come il fondo d’un tegame bruciato.

La forbice che hai in mano

è la coda d’una rondine morta,

e il tuo cuore intreccia raggi e paglia

in un solo tappeto.

Piena è la luna della tua preghiera,

spartirà con te il pane del suo corpo

e come una mola di gesso

girerà sul tessuto della sera.

Ci vestiremo come i ciechi,

mentre le rughe che il dolore alleva

con gli artigli dalle viscere

si affollano agli angoli della bocca

e degli occhi:

non v’è posto che il tuo viso.

Golan Haji, Trad. di Patrizia Zanelli

Glossario

Rihla, o al-Riḥlah (in arabo: , letteralmente “viaggio”) è un termine dell’arabo classico per ricerca, con connotazioni di un viaggio intrapreso per amore della divina conoscenza dell’Islam. Un viaggio mistico, in qualche modo. Poi è anche una forma di letteratura di viaggio basata sull’esperienza dei viaggiatori. Alla base della scelta del titolo, “una rihla tra le ombre”, c’è l’intenzione di voler includere entrambe le forme di viaggio, anche se non esattamente nelle connotazioni classiche sopra descritte. Infatti il senso del viaggio per Golan Haji, che conduce il lettore nelle sue poesie, sembra doppio: un’esperienza come essere umano, ma che non dismette mai la sua veste poetica. Ma anche una ricerca spirituale perché egli crede, che l’intero, incluse le ombre, sia sacro e che si manifesti in ogni forma di vita. Come scriveva anche Pasolini alla fine degli anni ’60, ogni manifestazione del sacro è espressa dal linguaggio, tutto il mondo diviene così manifestazione linguistica del sacro.

Golan Haji è nato ad ʿĀmūdā, una cittadina curda nel nord della Siria, e ha studiato medicina all’Università di Damasco. È patologo di professione, ma ha una presenza letteraria importante che include diverse raccolte di poesie: la prima Nādà fī’l-ẓulumāt (Chiamò nelle tenebre, 2004) ha ottenuto il premio “Muḥammad al-Maghūṭ”; la seconda Thammata man yaraka wahshan (C’è qualcuno che ti vede come un mostro) è apparsa nel 2008 in occasione dell’evento internazionale “Damasco città della cultura”; la terza Baytī al-bārid al-baʿīd (La mia casa fredda e lontana) è stata pubblicata a Beirut nel 2012 dalla casa editrice Dār al-Ğamal; la quarta Adulterers, è stata pubblicata a Copenhaghen dalla casa editrice Forlaget Korridor, 2011. Ha tradotto in arabo classici inglesi tra cui Lo strano caso del Dr. Jekyll eMr. Hyde. Collabora regolarmente con la stampa libanese occupandosi di questioni culturali.

 

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