Arte e poesia, Giuseppe Capitano

Giuseppe Capitano, grande temperamento tra gli artisti contemporanei,  presenta a Roma Arborea parte seconda, dal 1 aprile alla diagonale/galleria di via in Caterina 83/c, (angolo via Giulia).

“Arborea parte seconda esibisce le ragioni/emozioni di una fuga dal territorio desertificato della contemporaneità verso quello della spiritualità che è atemporale. Il salto che effettua Capitano è quello di spostare l’attenzione dall’oggetto al soggetto , soggetto pensante e in divenire, che si ricollega alla sua interiorità per costruire un mondo di individui liberati.
Le opere parlano del desiderio/azione di evadere da uno stato di prigionia fisico/mentale attraverso il luogo misterioso della creazione, i cui frutti risultano esotici e familiari nello stesso spazio. Nessun intento provocatorio perché consapevole che l’estraneità/mostruosità ci appartiene.
Buona Visione. ”
                                                                               G. C.

“Il profilo di una sedia di legno dipinto. Un oggetto comune, un elemento del mobilio, dell’arredo, dell’abitare. Una parte della nostra casa. Ma c’è qualcosa di diverso, c’è qualcosa in meno, anzi, qualcosa in più. Non possiamo sederci su questa sedia, disponiamo solo del suo fianco. Questa antifunzionale sottrazione cambia lo statuto della sedia, ne fa un oggetto di confine tra tridimensionalità e bidimensionalità. E proprio per questo possiamo considerare questa sedia su cui non possiamo sederci come una sorta di emblema dell’opera di Giuseppe Capitano.

Il fare è da noi inteso come un produrre. Ma anche la fabbricazione di un mezzo è come un produrre. Il lavoro artigianale non produce certo opere d’arte, anche se lo contrapponiamo, come è indispensabile, all’industria.
Per Giuseppe Capitano la contemporaneità è un territorio desertificato. Da questa terra arida si può evadere solo attraverso una fertile e prolifica spiritualità. Le opere parlano del desiderio/azione di evadere da uno stato di prigionia fisico/mentale attraverso il luogo misterioso della creazione, i cui frutti risultano esotici e familiari nello stesso spazio: sono parole dell’artista. Per queste opere si potrebbe utilizzare un termine usato da Sigmund Freud: Unheimlich. Questa parola, che fa da titolo a uno scritto dell’ultimo Freud, è stata tradotta in italiano come ‘il perturbante’, ma questa traduzione non rende affatto il senso più profondo del termine tedesco che ingloba al suo interno il concetto di ‘familiare’ e gli premette una negazione. Tra familiarità ed estraneità, in una dimensione quindi naturalmente perturbante, si situano le opere di Giuseppe Capitano.

A proposito della prima personale di Capitano all’Attico, Cathryn Drake aveva scritto su Artforum: Un piede di canapa senza corpo sospeso su un gradino di specchio –che scompare attraverso il riflesso del pavimento e della parete – sembra rappresentare lo stato tra il fisico e l’invisibile come se procedesse verso il muro all’interno di un mondo sconosciuto alla ricerca infinita dell’altro piede.
 
A prima vista non c’è differenza fra il lavoro dello stovigliaio e quello dello scultore, del falegname e del pittore. La fattura dell’opera d’arte presuppone il fare manuale.
 
Alla diagonale/galleria Giuseppe Capitano presenta pitture e sculture fatte di canapa in una dialettica continua tra bidimensionalità e tridimensionalità. In precedenti lavori Capitano ha utilizzato altri materiali, come pietra, marmo, travertino. Ma la canapa sembra essere per lui un materiale particolarmente confacente. Con il filato di canapa l’artista realizza una scultura morbida, non rigida che si sottrae alle spigolosità dell’angolo.

Un pensiero soft ha sempre attraversato la nostra cultura: dalla leggendaria conquista del Vello d’Oro nella lontana e fiabesca Colchide, impresa portata a termine da Giasone con l’aiuto della maga Medea e poi finita in tragedia. La storia del tessuto si intreccia con la storia dell’arte, tanto è vero che usiamo il termine tessitura a proposito della pittura. E da sempre l’idea del tessere si intreccia con quella dell’abitare.

L’architettura delle origini, la capanna, è costituita dal focolare (fondamento ‘morale’ di un insediamento secondo Joseph Rykwert), dalle pareti, dal pavimento e dal tetto. Le operazioni fondamentali della costruzione sono la muratura, la carpenteria, il modellare e il tessere. Anzi la tessitura sembra essere primaria rispetto alle altre attività umane. Intorno all’invenzione della tessitura sono state avanzate molte ipotesi. Alcuni suggerimenti sembrano giungere dalla natura: fibre di palma intrecciate, fibre di scorza d’albero feltrate, tele di ragno, nidi d’uccello… (Michel Thomas). Nella mitologia greca molti miti sono legati all’idea di tessitura e all’elemento del filo: Aracne, Penelope, Arianna, ma soprattutto le tre Moire, le tre dee filatrici che tessono la trama della vita. In tedesco c’è una parola, ‘Bekleidung’ che significa contemporaneamente vestiario e rivestimento di un edificio. I termini che in tedesco indicano cucitura e nodo sono collegati con la radice latina nec che lega nesso e necessità. Nella nostra lingua architettura e tessitura hanno radici in comune non solo tra loro, ma con la parola testo, che indica una costruzione linguistica.

La canapa è un materiale duttile, morbido, a cui viene sottesa una rete nel lavoro di Giuseppe Capitano. Questa rete metallica , che è una comune recinzione da giardino, viene ricoperta dal’artista da due stoffe e poi da uno strato di canapa nella parte superiore. Una volta definita la struttura gli do una pelle dice Capitano, anche se aggiunge subito che non gli piace la parola pelle, come non gli piacciono molte altre parole, da oggetto a organico. Ellittico nell’opera, Capitano lo è anche nel linguaggio, più che spiegare e raccontare le proprie opere si limita ad accennare a quello che non ama o non condivide. Le sculture di canapa sono fatte di leggerezza. E se questo non può non far pensare a Pino Pascali, Capitano precisa che dal suo punto di vista l’aspetto interessante di Pascali sta nel fatto di aver compreso che l’ oggetto (parola non amata) cela una finzione.

Montagna vulcano (2011) a una sorta di capigliatura in alto, come le fiamme di un vulcano in eruzione. Attraverso la griglia composta da esagoni, che affiora e crea una texture, Capitano ci restituisce la forma naturale di una montagna. Facendo una montagna attraverso l’uso di un materiale vegetale come la canapa, l’artista cerca di sfuggire alla mimesi della natura. Si tratta comunque in qualche modo di un processo di mimesi, ma non è quello che l’artista vuole mettere a fuoco. Un’analoga forma montuosa appare in Poesia della montagna (2010). Anche in una tempera nera su carta intelata, composta dal montaggio di 3 fogli, appaiono sentieri che vanno verso una montagna, verso qualcosa di sconosciuto.
Fino a un’affermazione lapidaria: Considero Bernini una montagna.
 
Si è spesso notato che i Greci, che di opere qualcosa capivano, usassero la medesima parola téchne per il lavoro manuale e per l’arte.
 
Nel ciclo Fiori da combattimento (2011) si raccolgono diversi disegni su carta intelata che possono essere bianchi, multicolori o verdi e blu, come piante subacquee immerse in un ambiente marino. A Capitano interessa l’aspetto mostruoso del fiore.  
Ma c’è sempre una relazione dialettica tra i quadri e i disegni e le sculture. Una tasca di canapa contiene fiori, come un nido che cela all’interno pigne, spore, fiori del deserto. Non hanno bisogno di luce, rappresentano una forma di autonomia nell’esistere. Non mi piacciono le luci, non mi piace il movimento: a parlare è sempre l’artista. Questi elementi vegetali se bagnati effettivamente crescono, si aprono, si trasformano. Capitano utilizza questo materiale ‘organico’ perché bagnandolo si rigenera, e questo ha a che vedere con la rigenerazione e la rinascita. Il mondo creato dalle sculture di Capitano è un mondo vivo, in perpetua metamorfosi. E’ da rilevare anche che questo nido fornisce diverse possibilità di essere mostrato. Può essere racchiuso, in un gesto di protezione, ma può aprirsi come una cornucopia e offrire come frutti i suoi fiori terrosi.  

Guardando un tronco rilevi il segno dell’accrescimento e immediatamente il tempo si trasforma in spazio (L’enigma della crescita).
Tronco gonna raffigura una corona che sta cadendo, coglie l’attimo fuggente di un tragitto declinante.
Phoenix capitana presenta una piccola palma, con la base in marmo. In questo caso il riferimento è all’acaro
che ha attaccato e ucciso tutte le palme. Anche in questo caso l’opera adombra un percorso di trasformazione, un processo temuto e inarrestabile.
 
Téchne  non ha mai  il significato dell’operare pratico.  La parola sta invece a designare una modalità del  sapere.
 
Altri materiali che appaiono nelle opere di Capitano sono il ferro, il legno, il travertino, l’arenaria. Un cubo di legno appare anche all’interno di una sfera di canapa. Le sculture sono oggetti iniziatici che rivelano la presenza dell’altro, riflessi appena percepibili di un’immagine speculare di un’altra dimensione (Martina Cavallarin).

Paesaggio tamburo e Mantellina sono collegate dall’uso che in queste opere Capitano fa dell’elemento stoffa accostato ai fili di canapa. Più che oggetti, Capitano crea meta-oggetti, come questo tamburo che sembra essere composto da una foglia poggiata su un cilindro. Ci si deve girare intorno. L’artista usa un filato di canapa grezza e la canapa viene dalla famiglia erbacea della cannabis, è come se tra le sue proprietà possedesse una forma di euforia.  
 
Con una sorta di maschera da schermidore siamo più prossimi all’illusione che appartiene alla pittura. Per questo lavoro l’artista mira a creare uno spazio illusorio, come appunto nella pittura. A tal fine utilizza l’intercapedine verso la parete. Proprio perché interessato al tutto tondo infatti ragiona intorno a questa maschera come se anche in questo caso ci si dovesse girare intorno, anche se è montata sulla parete.

La forma archetipica per l’Albero di Natale somiglia più a una scultura di Brancusi che a una forma vegetale. Ma Martina Cavallarin ci mette in guardia: le forme di Capitano passano dal somigliante al dissomigliante.
Nel lavoro con il limone e il travertino, nonostante l’apparente poverismo, a vincere sul travertino è il limone. Qualcosa di giallo, come recita il titolo della sua mostra al MART, qualcosa di vivo, un alimento che dà energia, qualcosa che si trasforma in energia spirituale Ricordiamo che a Capri Joseph Beuys realizzò uno dei suoi lavori più icastici inserendo una spina elettrica in un limone. L’energia più forte è quella del pensiero. Il pensare una forma la costruisce (Capitano).
 
Per il pensiero greco l’essenza del sapere consiste nell’alétheia, cioè nel disvelamento dell’ente. La verità regge e guida ogni atteggiamento verso l’ente.
 
Un quadro del 2011 mostra una cornacchia che cerca l’amore e balla un demenziale tango in solitudine.
Appare accanto a un grande pappagallo di canapa, dal movimentato piumaggio. C’è un bestiario fantastico tra le opere di Capitano: già nella sua prima personale all’Attico apparivano un gigantesco ratto e un serpente di canapa, ma con una pesante testa di marmo e labbra d’acciaio. Il pappagallo appariva in un disegno dalla vivace cromia realizzato dall’artista in età infantile. Non mi interessa l’anatomia del pappagallo, cerco altro dice l’artista, tanto è vero che si tratta di un pappagallo bifronte. Con il trespolo l’artista apre lo spazio dell’intercapedine tra il piano e la scultura. Ali di canapa leggere e vibranti assumono il nome di Foglia (2010). E’ una struttura fluttuante, per la quale l’artista si preoccupa dell’occhio dello spettatore, lavorando sullo spessore come se guardasse il muro dall’interno. Una foglia che ha l’instabilità, la leggerezza, la fragilità di una farfalla che (come sappiamo dalla teoria della serendipity) con un battito d’ali può cambiare il mondo. Nell’intersezione tra una foglia e una farfalla l’elemento vegetale e quello animale hanno labili confini. Rappresentano comunque la parte più spirituale, mentre a terra il pezzo degli scacchi si chiama Pedone (2010). Il pedone è in travertino, e a volte si dispone tra due quinte, disposte a dischiudersi come il manto della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca. Nella fase di una partita contano poco i primi pedoni che perdi. Gambe di uccello (2010) è la rappresentazione della parte inferiore dell’animale, ma ha una connotazione arborea di un tronco con radici. Mondo animale e mondo vegetale sconfinano l’uno nell’altro e sembrano fondersi.
 
La téchne come comprensione greca del sapere è un produrre… essa non è affatto un’attività pratica.
Tutti i processi del fare sono praticati da Giuseppe Capitano. Come nel concetto greco di téchne si tratta di un fare che è una modalità del sapere. In un bel testo sull’artista, Achille Bonito Oliva ha citato Barthes: sapore e sapere, sottolineando anche come nel lavoro di Capitano: tutto è costruito a mano, con le distanze di una mano capace di implicare lo sguardo.

I lavori di Arborea parlano di una perdita dell’umanità. Il simbolo è sempre in agguato ha detto Capitano fin dall’esordio e ha anche definito la sua operazione ai limiti dell’indefinibilità come un lambire l’installazione senza caderci (citazioni riportate da Antonietta Benestare). Non di incomunicabilità, ma di voglia di non comunicare si dovrebbe parlare. Tutto il lavoro di Capitano è visionario. I disegni a carbone su carta da pacchi mostrano una progressione dalle forme vegetali. Spesso sembrano disegni preparatori, ma non lo sono (come nota Domenico Parisi). Sono paesaggi della mente. Alcuni sono realizzati con malva su carta da pacchi. Mentre vengono realizzati sono di un verde intenso, poi interviene il processo di ossidazione per cui il colore vira al giallo. Utilizzare le erbe certamente limita più del carbone, ciononostante l’artista le usa comunque come il carbone. Sulla seta questo crea un maggior contrasto. Siamo sempre in presenza di forme vegetali e animali. Il disegno lo utilizzo molto perché è un sistema veloce per fissare l’idea.
Contro la desertificazione dello spirito Giuseppe Capitano stravolge le abituali distinzioni e coordinate di tempo e spazio, superficie e tridimensionalità, regno minerale, animale e vegetale per calarci in un diverso mondo. La sua dimensione è quella dell’instabilità, sempre in bilico tra scultura e antiscultura.” 

di Laura Cherubini, testo tratto dal catalogo 

(Le citazioni tra i vari paragrafi sono tratte da Martin Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968)

Giuseppe Capitano, Arborea parte seconda
Catalogo con testo di Laura Cherubini
dal 1 aprile – maggio 2011
inaugurazione 1 aprile – ore 18
diagonale/galleria 
via in Caterina 83/c, (angolo via Giulia) Roma

ladiagonale@ladiagonale.it
www.ladiagonale.it

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