Filippo Strumia, “Pozzanghere”

Anticipazione Editoriale: Pozzanghere di Filippo Strumia, (Einaudi, Torino, aprile 2011)
Ho conosciuto Filippo Strumia a “Ritratti di poesia” nella bella cornice del Tempio di Adriano, a Roma, ed è stato un bell’incontro. Mi è apparso immediatamente schietto, diretto, e ha subito stabilito con me – nella conversazione che facevamo e con il pubblico che ci seguiva – una buona relazione. Abbiamo parlato del suo rapporto con la poesia. Un rapporto tenuto per lunghi anni segreto, e vissuto in modo solitario. Fino a poco tempo fa, infatti, l’unica attività che svolgeva Filippo Strumia era quella di medico, di psichiatra e di psicoanalista.

Perché hai tenuto nascosto per così lungo tempo il tuo rapporto con la poesia?

“Siamo tanti personaggi, stati d’animo, visioni del mondo, spesso inconciliabili e reciprocamente scandalosi. Siamo individui e moltitudini. “In ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente” diceva Pessoa. La psicoanalisi mi ha aiutato a dare voce, dignità, possibilità espressiva ai diversi aspetti di me stesso. Comprese le corde mute, quelle che non hanno mai risuonato e attendono l’occasione per esprimersi. Il lavoro mi ha permesso di diventare una specie di politeista. Rumi, il poeta persiano, nell’introduzione alla sua opera racconta di una canna strappata. Il vento, soffiando nella canna, suscita una vibrazione che vola in cerca di un cuore. Ha bisogno, cioè, di una cassa armonica che la tramuti in musica, emozione: la nostalgia del canneto. La poesia, credo, agisce fra l’indicibile e il suono. Siamo zeppi di vibrazioni mute, pensieri non pensati, sentimenti non percepiti che attendono e premono, misconosciuti. Abbiamo gli occhi stipati di usignoli, che premono, sbattono contro le pareti, quasi a farle esplodere. La psicoanalisi e la poesia aiutano a percepire le nostre corde, anche le più recondite. Ma questo laboratorio emotivo, o forse alchemico, richiede anche la privatezza e il silenzio.”

Spesso accade che le persone scrivano poesie ma non lo dicono, le tengono nascoste, quasi a sancire un’indicibilità, qualcosa che non può essere rivelato agli altri. Come ti spieghi questo fenomeno, tu che sei anche psicanalista… Perché la poesia viene vissuta come un segreto?

“Il laboratorio dell’anima, il crogiolo, richiede privatezza, deve essere protetto. Ma non questa è l’unica ragione. Credo che sia molto difficile per gli esseri umani dare valore a ciò che proviene davvero da sé, che non derivi, cioè, da segnali condivisi di branco. La soggettività, essere se stessi, è l’ultima conquista dell’evoluzione di noi ex scimmie. Ogni volta che diciamo Io, diamo un morso alla mela d’Adamo, attingiamo all’albero della conoscenza. E’ un atto scandaloso, colpevole e magnifico. Continua a leggere