Seamus Heaney, la potenza di Virgilio e del libro VI dell’Eineide

SEAMUS HEANEY E LA DISCESA AGLI INFERI

COMMENTO DI BIANCA SORRENTINO

 

Il fascino che alcuni maestri sono in grado di esercitare sui propri allievi suscita, da parte di questi ultimi, una devozione che si traduce in costante pensiero e che, a volte, innesca una scintilla di creatività. Proprio in nome della pietas nutrita nei confronti del suo insegnante di discipline classiche, poche settimane prima di morire, nel 2013, Seamus Heaney firma un’appassionata resa inglese del VI libro dell’Eneide. Non si tratta di un esercizio di stile fine a se stesso, né di un inopportuno sfoggio di erudizione, bensì di un gesto gentile compiuto per onorare la memoria del passato e riscattare quel capriccio del destino in virtù del quale da studente egli dovette tradurre per l’Esame di Maturità il libro IX.

Il sospiro del suo professore di Latino, padre Michael McGlinchey, – «Oh, ragazzi, vorrei che fosse il libro VI» – è il poetico pungolo che irresistibile strega il giovane Heaney e lo incita da adulto a fare i conti con i ricordi.

Questo dialogo mai concluso con l’antico, che non si limita a una riproposizione impersonale, scaturisce in prima istanza dalla radicata consapevolezza che il mito classico fonda l’occidente e che accostarsi a Virgilio vuol dire scoprire il significato profondo della discesa agli Inferi. Se nella produzione poetica del bardo di Bellaghy il confronto con l’Eneide si era finora caricato di allusioni al particolare contesto irlandese, reso incandescente dalla guerra civile, quest’estremo richiamo del classico si nutre di un’esigenza biografica privata: così, dall’urgenza pubblica di dar voce alla Storia cantando i troubles dell’Irlanda del Nord a quella intima di elaborare la perdita del padre e misurarsi a sua volta con il mistero della morte, la poetica di Heaney si lascia pervadere dalla potenza del capolavoro virgiliano. Continua a leggere

Maria Borio, la poesia dalla potenza calma

Maria Borio, ph Dino Ignani

di Leonardo Guzzo

Fin dal primo approccio – come un contatto elettrico – L’altro limite di Maria Borio rivela un’innata, suadente “complessità”. Ricchezza, efficacia di immagini, sapiente architettura metrica, profondità di pensiero formano un disegno a strati che si muove con l’armonia inesorabile di un gorgo. Si guarda dentro, si comincia a girare nelle spire e si finisce avvinti.

Per il momento che separa la notte
restavi allo scoperta nell’erba alta e azzurra.
Gli occhi la scrivevano in qualche spazio
e l’obiettivo della macchina fotografica la catturava
nuda e magra: qualsiasi vita voglia apparire.

Se scrivi l’istante si di stende? Ma la camera
di ciò che scrivi molto lentamente raggiunge
la vita degli altri e questa fotografia come una bocca
vera più del vero già a tutti farebbe chiedere
dove sei, l’ora, perché raccogli
il cielo impallidito tra gambi cerulei. Continua a leggere