Centenario della nascita di Giorgio Manganelli

Giorgio Manganelli narratore, critico, giornalista, saggista. Demistificatore, visionario. Mai solo ed esclusivamente scrittore. Scrittore della scrittura. Scrittore della menzogna della letteratura. «Buffone», come ogni scrittore che sceglie «in primo luogo di essere inutile».
Nato a Milano nel 1922, quello di Manganelli, scomparso a Roma nel 1990, fu come un «ricatto dalle parole», come egli stesso lo definì in Laboriose inezie (1986), un’immersione completa nella letteratura, un mondo di segni costruito come un gioco geometrico di ripetizioni. Un entretien erudito, un io autobiografico mentre si costruisce e distrugge nelle combinazioni. Quasi a scrivere sempre lo stesso libro, fin dal 1964, anno in cui uscì nella collana I narratori di Feltrinelli la sua prima opera, Hilarotragoedia. Dalla gestazione complessa, come la storia delle sue numerose edizioni: in origine un piccolo quaderno di appunti su volere dello psicoanalista Ernst Bernhard, poi due edizioni per Feltrinelli e in ultimo la ristampa per Adelphi nel 1987.

Giorgio Manganelli

Libro e non romanzo, “trattatello” e non storia, come era nello spirito delle tesi del Gruppo 63 a cui Manganelli partecipò, dove il romanzo provocava “ripugnanza” e “fastidio”.

Cos’è dunque questa prima opera che segnò l’esordio letterario di un uomo di 40 anni? In qualche modo un’autobiografia, un viaggio negli inferi per la «natura discenditiva» dell’uomo, per l’eredità «sciamanica» della letteratura che ha a che fare con gli spiriti, con l’Ade — «Dall’infima cima sporgiti, abbandónati al tuo precipizio. Sii fedele alla tua discesa, homo. Amico». Da un’origine sicuramente psicologica, il materiale di quest’opera risale agli anni milanesi dal 1947 al 1949, anni in cui Manganelli, come Alda Merini, conobbe la “tragedia” della malattia mentale e della follia.

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Giorgio Manganelli da “Poesie”


Io mi divido

in giacca e calzoni e cintura
e ancora mi disgiungo
in cravatta e camicia
e mi scindo in cranio, in polmoni,
in visceri e pube,
e mi distinguo
in ogni cellula
che senz’amore s’accosta
ad altra cellula.
Così, casualmente, sussisto:
poi chiedo in prestito
la forza che congiunge
l’uno all’altro i miei volti possibili
all’improvviso sacramento
d’una chitarra,
al riso dell’amico,
allo squillo consueto del telefono,
nell’attesa distratta
d’una voce che perdoni la mia spalla,
la mia gamba, la mia dolce cravatta:
nell’oziosa attesa

del sacramento della nascita.

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Giorgio Manganelli & Viola Papetti


viola_papetti-d235In Lettere senza risposta Giorgio Manganelli e Viola Papetti (nottetempo, 2015)  sono raccolti due gruppi di lettere senza risposta, che dialogano da lontano in modo obliquo e inatteso: le lettere d’amore inedite indirizzate da Giorgio Manganelli a Viola Papetti; e quelle che Maria Corti, la grande italianista, chiese a Viola Papetti dopo la morte dello scrittore per raccontarle Manganelli: un Manganelli privato, se cosí si può definire un essere tanto ostico e irriducibile, riottoso e originale. Ne nasce una serie di istantanee, colte da una testimone non sempre imparziale, di uno degli uomini piú insoliti e geniali della nostra letteratura.

Sono un capolavoro le lettere d’amore scritte da Giorgio Manganelli a Viola Papetti, anglista di valore e per tanti anni abitatrice delle sue stanze segrete“.

Simonetta Fiori, la Repubblica Continua a leggere