Semplicemente Emily

Emily Dickinson nel dagherrotipo ripreso fra il 1846 e il 1847. La traduzione delle poesie è di Gabriella Sobrino. Lettura ad alta voce di Luigia Sorrentino. Musica di Johann Sebastian Bach.

 

COMMENTO DI LUIGIA SORRENTINO

Da giovane, nella metà degli anni Ottanta, m’imbattei in una delle tante e mirabili traduzioni delle poesie di Emily Dickinson.  La trasposizione in italiano che maggiormente catturò la mia attenzione, fu quella di Gabriella Sobrino, poetessa, sceneggiatrice e autrice di programmi culturali per la Rai, recentemente scomparsa.
Qualche mese fa, per puro caso, mentre cercavo di mettere in funzione un vecchio mangianastri, ho riesumato alcune registrazioni  su nastro, realizzate in quegli anni, ritrovando, fra le altre cose, la mia lettura di una dozzina di poesie della Dickinson.

Ho riascoltato la lettura, ma non riuscivo proprio a ricordare qual era il libro dal quale i testi erano tratti, né il nome del traduttore o della traduttrice. Alla fine, dopo aver molto cercato, ho scoperto che il libro s’intitolava  DICKINSON Poesie, pubblicato dalla Newton Compton nel 1978 e che la traduzione era di Gabriella Sobrino.

Eppure il libro era lì. Giaceva dimenticato fra gli scaffali della mia libreria. Ma io non lo ricordavo più, né sapevo di aver segnato appunti con la matita accanto alle poesie di Emily.

Oggi ricomincio da quella ragazza e con lo stesso entusiasmo di allora, vi ripropongo quella lettura, le medesime poesie che scelsi una trentina d’anni fa, la stessa sequenza, con una sola aggiunta: il sottofondo di una musica di Johann Sebastian Bach. Una manciata di versi, niente di più. Eppure in essi c’è tutta la grandezza della vera poesia. C’è la crudeltà dell’esilio, la solitudine di una donna che non è mai stata davvero sola, e, al tempo stesso, c’è la bellezza, la visionarietà rivoluzionaria, unica e irripetibile di una grandissima poetessa che aveva anticipato il suo stesso tempo. Una donna-poeta che noi donne-lettrici abbiamo amato e chiamato sempre e semplicemente Emily.

EMILY DICKINSON

1861

I’m Nobody! Who are you?
Are you — Nobody — Too?
Then there’s a pair of us!
Don’t tell! they’d advertise — you know!

How dreary — to be — Somebody!
How public — like a Frog —
To tell one’s name — the livelong June—
To an admiring Bog!

1861

Io non sono Nessuno! Tu chi sei?
Nessuno – pure tu?
Allora siamo in due!
Ma non dirlo! Potrebbero cacciarci! – lo sai!

Che fastidio –  essere – Qualcuno!
Che volgarità — come una Rana
Che dice il suo nome — tutto giugno —
A un pantano che sta ad ammirarla !

Traduzione di Gabriella Sobrino

Emily Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 – Amherst, 15 maggio 1886) è stata una poetessa statunitense, considerata fra i maggiori lirici moderni. Non ebbe alcun riconoscimento in vita perché i suoi contemporanei prediligevano un linguaggio ricercato e le sue poesie, che anticipavano la poesia lirica novecentesca, non risultavano conformi al gusto dell’epoca. La fortuna e quindi il riconoscimento della sua importanza nella letteratura angloamericana, l’arricchirsi delle sue traduzioni, anche in italiano, e di opere di studio su di lei come di quelle a lei dedicate o ispirate, sono tutte piuttosto recenti. Fra le più belle traduzioni, oltre a quella della Sobrino, si cita qui quella drammatica di Nadia Campana, quella di Margherita Guidacci, di Silvio Raffo, Massimo Bacigalupo e la più recente, pubblicata da Einaudi, di estrema fedeltà al testo inglese, della poetessa Silvia Bre.

3 pensieri su “Semplicemente Emily

      • Le parole di Emily, quelle che qui si ascoltano, sono state scritte intorno al 1860.
        Oggi ci appaiono attuali, ma quando furono scritte, erano rivoluzionarie. Asciutte, prive di orpelli, mai sentimentali. Questa è la grande lezione di Emily: il pensiero lucido, carico di visionarietà. L’estrema condizione di esilio nella quale vive non le impedisce di vedere e di esprimere il suo pensiero, anche critico, sulla ricchezza e sul superfluo. La poesia sulla fame, è pazzesca. Emily mi sorprende quando scrive: “Allora capii che la fame è un istinto di chi guarda le vetrine dal di fuori/ l’entrare la disperde.” Lei aveva capito che l’opulenza , l’abbondanza, la ricchezza non sono nulla rispetto alla briciola divisa con gli uccelli nella sala da pranzo della natura…

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