Il tessuto fonico di Eugenio Montale

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
siccome i ciottoli che tu volvi,
mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda
in sé, in altrui, il bollore
della vita fugace – uomo che tarda
all’atto, che nessuno, poi, distrugge.
Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura
d’una leva che arresta
l’ordegno universale; e tutti vidi
gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.
Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi
l’opposto in cuore, col suo invito; e forse
m’occorreva il coltello che recide,
la mente che decide e si determina.
Altri libri occorrevano
a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
ancora i groppi interni col tuo canto.
Il tuo delirio sale agli astri ormai.

da OSSI DI SEPPIA (1925)
Metro: ventiquattro versi nei quali l’endecasillabo vige sovrano, giustapposto ad un più veloce settenario, quasi unico verso corto della lirica. Il lamento prende qui una forma più rimuginativa, sfruttando la misura dell’endecasillabo che si protrae meno velocemente rispetto ai metri brevi e venendo rincalzato dal puntuale tessuto fonico, adornato particolarmente di assonanze (di cui particolarmente quella finale) e abbellito con rime, soprattutto interne.

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