Marco Vitale, “Gli anni”

Originata, e forse sollecitata, da un senso di vuoto e di esilio, dall’inquietudine «che duole / e ridisegna lo spazio» (cfr. L’aria porta la pioggia), inevitabilmente tragica e dolorosa nel suo fondo, la poesia di Marco Vitale è pure tra le poche esperienze poetiche contemporanee che riescono a esprimere un sentimento di autentica gioia interiore, di vitalità degli affetti, di piacere estetico. Nessuno, come lui, sa oggi dire la gioia di leggere un libro, di contemplare una luna, di ascoltare una musica o di ammirare un affresco, magari di un piccolo maestro di provincia, nascosto e perduto anche nel nome. Il compito che il poeta si è dato, nel suo far versi, è in fondo – adesso, dopo tanti anni, lo si capisce – proprio questo: custodire la dolcezza di un incontro, una condivisione di affetti e di pensieri, un sogno luminoso e sprofondato nel suo incerto mistero, o uno scarlatto che «scende esatto / tutto il verde del manto» (L’anonimo pittore) di una pittura remota che prodigiosamente (per via d’amore) si apre al nostro sguardo, ed è ritrovata per tutti, ancora illesa «di tepore e d’enigma».

dal saggio introduttivo di Giancarlo Pontiggia

Marco Vitale, Credits Photo Dino Ignani

In fondo alla radice il lume
che racchiudi e che mi avvicina a te
da quanto caro tempo anima mia
e ti penso e non è foglia
lungo i rami ma teso
nero disegno delle fibre e delle acque

Parco nel gelo, i passi di un amico
luce come inganno di tortora. Tu
se risalivi insieme a me
fino all’idea di Montorio
ma era in che giorno, in quale
anno di trascorsa grazia? – o più giù
del lungotevere girando
per la chiesa degli orafi
e il cuore sente che non cassa
più lo tiene non laccio
che tu a lui non sia

*

Quante care parole e così dense
nodi quasi tra corpi
di desiderio ci siamo detti amore,
era ancor buio e ne vibravano
così lontane stanze, fuori
ancora un transito di stagione
che già riaccende nel brusio i suoi lumi
d’accorato rimpiangere,
di piaga non sanata e avvia
verso un più duro punto. Ma tu
cuore in alto serbato, votivo
giorno di pienezza in ambigui
muri di novembre e più distanti
sortilegi, e fiori
di un’impossibile offerta, tu
segui il tuo corso, al mio pensiero impigli

*

A volte una poesia è soltanto un piccolo
commento su una foto
un soffio fatto di niente come dire
guarda, come sorridevate
qui quando la luce
dorava un giorno senza fine, guarda
come eravate giovani, che buffi
gli abiti di allora. Dove siete?

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Marco Vitale è nato Napoli nel 1958, ha vissuto a Venezia, Roma, Parigi, Charleville, Ferrara e dal 1989 risiede stabilmente a Milano, dove al lavoro di funzionario di biblioteca presso il Politecnico unisce le collaborazioni editoriali e la traduzione letteraria.
In poesia ha pubblicato: Monte Cavo, Edizione del Giano 1993 (testi scelti da Dario Bellezza, prefazione di Alberto Toni); L’invocazione del cammello, Amadeus 1998, con una nota di Gabriella Caramore (premio Alpi Apuane, segnalazione al premio Montale e al premio Gatto); Il sonno del maggiore, racconto in versi con quattro grandi maniere nere di Giulia Napoleone, Il Bulino 2004 (ora in Bona vox, Jaca Book 2010 a cura di Roberto Mussapi); Luna d’eclissi, Lietocolle 2004, con prefazione di Giancarlo Pontiggia; Canone semplice, Jaca Book 2007 (nella collana «I poeti» diretta da Roberto Mussapi), finalista ai premi di poesia Lago di Orta e Frascati; Come da un lungo sonno, Il Bulino 2010, edizione d’arte realizzata dallo scultore Carlo Lorenzetti.
Una sua silloge di testi poetici, tradotta in tedesco da Maja Pflug, è uscita a Mendrisio presso Josef Weiss Editore nel giugno 2008 col titolo Ein Winter. Dallo stesso editore ha pubblicato nel 2011 il racconto Port’Alba.

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