Marco Vitale, “Gli anni”

Originata, e forse sollecitata, da un senso di vuoto e di esilio, dall’inquietudine «che duole / e ridisegna lo spazio» (cfr. L’aria porta la pioggia), inevitabilmente tragica e dolorosa nel suo fondo, la poesia di Marco Vitale è pure tra le poche esperienze poetiche contemporanee che riescono a esprimere un sentimento di autentica gioia interiore, di vitalità degli affetti, di piacere estetico. Nessuno, come lui, sa oggi dire la gioia di leggere un libro, di contemplare una luna, di ascoltare una musica o di ammirare un affresco, magari di un piccolo maestro di provincia, nascosto e perduto anche nel nome. Il compito che il poeta si è dato, nel suo far versi, è in fondo – adesso, dopo tanti anni, lo si capisce – proprio questo: custodire la dolcezza di un incontro, una condivisione di affetti e di pensieri, un sogno luminoso e sprofondato nel suo incerto mistero, o uno scarlatto che «scende esatto / tutto il verde del manto» (L’anonimo pittore) di una pittura remota che prodigiosamente (per via d’amore) si apre al nostro sguardo, ed è ritrovata per tutti, ancora illesa «di tepore e d’enigma».

dal saggio introduttivo di Giancarlo Pontiggia

Marco Vitale, Credits Photo Dino Ignani

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