Maria Borio & Dario Bellezza

dario_bellezza_1(Foto di Dino Ignani)

Invettive e licenze e la poesia degli anni Settanta. Analisi di Il mare di soggettività sto perlustrando… di Dario Bellezza

di Maria Borio

 

Il mare di soggettività sto perlustrando
immemore di ogni altra dimensione.

Quello che il critico vuole non so dare. Solo
oralità invettiva infedeltà

 

codarda petulanza. Eppure oltre il mio io               5
sbudellato alquanto c’è già la resa incostante
alla quotidianeità. Soffrire umanamente

 

la retorica di tutti i normali giorni delle
normali persone. Partire per un viaggio

 

consacrato a tutte le civili suggestioni:                  10
pensione per il poeta maledetto dalle sue
oscure maledizioni.[1]

 

La prima raccolta poetica delle giovani generazioni che si afferma nel panorama letterario italiano dopo la rivoluzione culturale del Sessantotto è Invettive e licenze di Dario Bellezza («giovane poeta interamente post-sessantottesco»[2]), pubblicata nel 1971, lo stesso anno di Satura di Montale, Trasumanar e organizzar di Pasolini e Viaggio d’inverno di Bertolucci. Il libro è il «primo segno»[3] della nuova generazione e marca probabilmente la linea di confine tra l’espressione dei giovani autori e degli autori maturi. È un esordio poetico in tensione tra il bisogno sottaciuto di mantenere la scia delle forme tradizionali e le spinte della libertà espressiva sciolte con il Sessantotto.

Pasolini, che nella quarta di copertina presenta l’autore come «il miglior poeta della nuova generazione», proietta su Bellezza una sorta di fiduciosa filiazione, consapevole che fare letteratura per i giovani che hanno vissuto il Sessantotto è diventato un compito estremamente critico. Come spiega nell’articolo I giovani che scrivono (1973), essi sono circondati da un panorama letterario rinnovato, ma molto fragile alle fondamenta, scosso dal mito dell’antiletteratura che la Neoavanguardia ha propagato nel quinquennio 1963-68, dal materialismo politico rilanciato dal movimento per il ruolo dell’intellettuale e dal potere della cultura di massa, della civiltà dei consumi che relega la letteratura ad uno spazio marginale[4].

dario_bellezza1In questo contesto, Il mare di soggettività sto perlustrando… può essere letto come un interessante esempio di testo metapoetico che descrive il modo in cui la nuova poesia acquisisca i riferimenti culturali di un immaginario mutato e che fa luce sugli sviluppi della scrittura degli anni Settanta.

Nell’andamento del testo, articolato in riuso libero di distici e terzine, si delinea la condizione di un soggetto che, direttamente o indirettamente, si trova a fare i conti con fenomeni come quello del nuovo irrazionalismo (che fiorisce, ad esempio, sulla scia dei sentimenti neo-umanistici ispirati dai lavori di Marcuse e della cultura beat hippy), del neo-individualismo (come lo chiamava Calvino[5] e come lo approfondisce in termini psicologici e sociologici Lasch in La cultura del narcisimo[6]), con l’acquisizione che l’espressione letteraria non può più avere misure di giudizio sovrastrutturali e collettive, sostituite da una forte autonomia dell’individuo per la quale l’io si è trasformato nella principale, e spesso unica, misura di se stesso. Il centro semantico del testo è solo l’io, attorno a cui viene costruita una sorta di mitologia metapoetica.

Questa mitologia è composta, da un lato, tramite la rielaborazione in chiave contemporanea della figura del poeta maledetto di ascendenza romantica. Dall’altro lato, attraverso un contrasto ossimorico tra il piano di un assoluto, invocato con molti termini astratti che spesso compaiono come nomi propri, che piomba in modo straniante e teatrale tra le pieghe del quotidiano, e il piano della vita ordinaria che gravita intorno alla psiche e ai sentimenti individuali, espressi con un lessico e una sintassi prosaici, con punte di una banalità meccanica e stridente. Tale contrasto è inserito in un’intelaiatura tonale e metrica che si riaggancia, con un ironico manierismo provocatorio, ad alcune forme tradizionali. Il risultato è «un’incessante altalena di simulazione e dissimulazione»[7] che crea un cortocircuito barocco attorno alla figura di Bellezza, tracciando tutto il perimetro della sua poesia, dagli esordi fino a Proclama sul fascismo (1996)[8]. E l’autore, come un Amleto tortuoso e romantico nella postmodernità, resta fascinosamente prigioniero di un «messaggio invivibile»[9].

 

L’«io sbudellato»

 

La traccia principale da seguire nell’analisi della poesia è quella che delinea la fisionomia contemporanea dell’io, sviluppata attraverso alcune espressioni e termini chiave («mare di soggettività», «dimensione», «io sbudellato», «viaggio»,  «pensione»), suddivisi in due unità semantiche contrastive dall’enjambement «io / sbudellato» dei vv. 5-6, centro strutturale e semantico.

Attraverso un richiamo alla tradizione del dérèglement di tutti i sensi, che a partire da Rimbaud ha costituito un modello di rappresentazione del viaggio dell’io nei luoghi dell’irrazionale e dell’inconscio, il «mare di soggettività» appare nei primi distici la nuova «dimensione» feconda per il soggetto. Liberato dalle imposture dei giudizi critici («Quello che il critico vuole non so dare», v. 3) – che sono presi di mira esplicitamente anche da Montale nel testo incipitario di SaturaI critici ripetono / da me depistati, / che il mio tu è un istituto», Il tu, vv. 1-3) e che nello specifico di Bellezza fanno riferimento all’impostazione intellettuale, ideologica e politica richiesta dalla critica sulla scia del Sessantotto -, il soggetto può presentare la forza della sua immaginazione e della sua presenza esistenziale come una facoltà assoluta. La parola poetica assomiglia a una «preda verbale ancora calda e animata»[10] che irrompe dalla pagina con una carica emotiva pulsante, in cui si trovano congiunti il deragliamento sensoriale di Rimbaud e una visionarietà come quella di Dylan Thomas, ma con accenti più fisici e carnali.

Con l’enjambement dei versi centrali si ha una torsione di prospettiva, marcata anche dalla concentrazione allitterante sulla vocale chiusa o («Eppure oltre il mio io / sbudellato alquanto») rispetto alla frequenza delle vocale aperte a ed e nei primi versi. L’io «sbudellato» è, infatti, un campo aperto che ha perso ogni autorialità tradizionale. Cerca, attraverso l’autonomia d’espressione che ha conquistato, di rifondare una forma di comunicazione abbassata, quotidiana, modificando in direzione prosaica la figura romantica del poeta maledetto («Bellezza […] colmava l’ansia di un’attesa, quella di una poesia che ci fosse prossima e quotidiana», ha scritto Francesco Scarabicchi[11]). Perciò, in una dinamica speculare, la «dimensione» che al v. 2 evoca scoperte suggestive si trasforma in un terreno «viaggio»; e il «mare», che in apertura proietta il lettore in una spazialità quasi magica, è con ironia trasformato, al penultimo verso, in una «pensione per il poeta maledetto».

 

Tutti quelli che hanno parlato di sé, miei cari, sempre hanno dato una camuffata visione dei loro piani o intenti, anche nel rigore spietato del masochismo: sono stati pieni di riguardo, insomma, per il loro io sbudellato alquanto; io invece lo so di tramortirmi nella confessione piena…[12]

 

dario_bellezza2Così scrive Dario Bellezza, pochi anni dopo Invettive e licenze, nel romanzo Il carnefice (1973). L’«io sbudellato» diventa il fondamento della sua poetica: l’io «nudo e crudo» che «in Italia la reticenza piccolo-borghese ha sempre trasformato in favola o apologo» e che invece hanno saputo esporre con molta più fiducia i francesi, come Gide, Proust, Bataille o Sarte[13]. Questa attitudine di confessione dissacratoria, vicina alle critiche sociologiche di Pasolini – anche se in forma molto più estetizzante rispetto alla caratura del maestro -, non costruisce un vero senso etico e storico oltre l’immanenza espressiva del testo e spesso sembra non andare oltre «una specie di furente investitura narcisistica»[14].

L’inquieta ironica eleganza di Invettive e licenze si trasforma in una magmatica eloquenza con Morte segreta (1976)[15] e in un’interrogazione tra il viscerale e il metafisico in io (1983)[16], ma in tutte le raccolte l’espressione emozionale e sensibile domina su ogni possibilità di dare una contestualizzazione storica intellegibile. I fondamenti di integrità linguistica del “grande stile” appaiono remoti. Il mare di soggettività… costruisce così una metapoetica intorno alla visceralità dello stato del soggetto, ingabbiata in un andamento asseverativo che tiene insieme la sensibilità autoriale del neo-individualismo con una forma in cui «la letteratura e il suo linguaggio […] sono dissolti con l’uso, ritorti su se stessi: sono il bersaglio verso cui mira un sentimento esistenzialmente piagato»[17].

Questo sentimento e la nuova sensibilità autoriale, schiacciati sulla situazione personale e percettiva del soggetto, manifestano anche lo stato generale degli autori negli anni Settanta. Il giovane scrittore, infatti, si trova ad avere una Bildung sempre più «disturbata, destrutturata, lacunosa», che lo proietta in un orizzonte in cui «lo spazio occupato dalla coscienza letteraria all’interno della complessiva autocoscienza socioculturale (e di classe) tende a ridursi»[18]: è spinto ad attingere risorse creative più dalla sua interiorità, dal suo mondo individuale e psichico, piuttosto che dalla socialità, da punti di vista condivisibili collettivamente.

 

 

Lo stile confessionale

 

La forma metapoetica che può avere Il mare di soggettività… riproduce i caratteri dello stile confessionale che si diffonde ampiamente nella letteratura post Sessantotto. Così come per Bellezza, è comune incontrare testi coevi, in poesia e in prosa, dove il soggetto

 

vede il mondo, anche nel suo squallore, come specchio di se stesso. Nel registrare le esperienze ‘interiori’, non cerca di presentare un resoconto obiettivo della realtà, ma mette in atto un’opera di seduzione per ottenere attenzione, consenso o indulgenza su cui puntellare il suo cavillante senso  di identità[19].

 

Il processo di confessione seducente è costruito nel Mare della soggettività… attraverso un incontro tra l’autobiografismo esibito dell’io, che abbassa la figura del poeta maledetto, e reminiscenze formali di derivazione classica sottoposte anch’esse ad abbassamento. Ne risulta una tonalità di malinconia esistenzialista resa accessibile nella «retorica di tutti i normali giorni / delle normali persone» (vv. 8-9), che diventa la dominante di tutta la raccolta.

Questa tonalità si sviluppa attraverso modi ripetitivi, martellanti, in perfetto accordo con la struttura stessa del libro. Composta da testi privi di titolo (ad eccezione delle poesie Quale sesso ha la morte? e Preghiera, nelle altre si itera la formula dedicatoria: Ad A. R., Per un rifiuto, A Elsa Morante, A Pier Paolo Pasolini, Alla rivoluzione, A Carlo Betocchi, All’Ambra Jovinelli e A Braibanti uscito di prigione), la raccolta ha infatti una struttura che, nonostante la suddivisione in cinque sezioni cui segue un’appendice (Appendice 1970), dà l’impressione di un flusso confessionale continuo con registro diaristico e bohème[20], asistematico e antinarrativo. Restituisce un io parlante attraverso i suoi «dati documentari di situazione»[21], come in un monologo perpetuato nell’«iperinteriorizzazione del discorso»[22]. Tra gli esempi di autorappresentazione esibita del , già frequenti nella silloge giovanile La vita idiota apparsa su «Nuovi Argomenti» nel 1968 (es. «La gente non capirà, dirà la solita / mania di esibire il proprio spampanato self / di giovinetto in progress», A un poeta, vv. 5-7)[23], si leggono in Invettive e licenze versi come questi:

 

[…]

l’analisi, l’inturpita analisi del tuo io
pimpantissimo (fregato, ferito, raffinato)
porta alla conclusione che il mutamento,
schiamazzo dell’anima, ti divora

[…]

(vv. 12-15, p. 18)[24]

 

*

 

[…]

Sciagurato solo di me so parlare.
Senza simboli da visceralmente
squadernare,
senza che la calma necessaria o lo
svanito spavento mi raggiunga
a turbarmi.

 

E il piangermi addosso cos’è,
l’analisi fischiante della mia
ferita in versi

[…]

(vv. 4-12, p. 91)

 

*

 

Qual è la verità? M’interrogo,
io, io, colmo di pietà per me stesso!

[…]

Non dirlo soltanto, Dario,
narciso senza narcisismo, mondo
senza pianeti o satelliti, solo

come un cane

[…]

(vv. 1-2 e 10-12, p. 127)

 

*

 

[…]

Dio! non attendo che la morte.
Ignoro il corso della Storia. So solo
la bestia che è in me e latra.

[…]

(A Pier Paolo Pasolini, vv. 8-10)

 

Il mare di soggettività… condensa uno stato di confessione e di esibizione al negativo, ripetuto costantemente. Attorno all’abbassamento esistenziale e funzionale del poeta maledetto, avvinto dalla sensazione del «nulla» che gli «si aggrappa addosso» (p. 19), si forma un circuito tematico saldo, dato anche da parole chiave come «maledizione», «squallore», «malinconia», «solitudine», «sgomento», «tristezza», «sconfitta», «infelicità», «angoscia» disseminate in tutto Invettive e licenze.

Questo flusso tematico è innestato su procedimenti che dissolvono le maniere di tradizione alta in una colloquialità estetizzante e informale, presente anche in diversi autori affini a Bellezza. Elio Pecora, per esempio, mostra una dizione simile già nella raccolta La chiave di vetro (1970)[25], dove si leggono testi come quello che segue:

 

Lo chiamo me stesso
questo uguale di tutti
che ha i respiri corti
e sovente s’ammala
di troppe intenzioni                   5
né cessa di sperare,
questo che vola in sogno
e si veste leggero
e si chiama allo specchio,
che attende emissari                 10
da regioni di luce,
questo coi piedi lenti…
Di lui potrei raccontare
storie anche gentili,
ma è certo sua la colpa             15
della mia diffidenza.

 

dario_bellezzaPecora costruisce un «autobiografismo lirico che si racconta in trame forse tutte inventate dall’autore e che hanno un massimo di credibilità», scrive Bellezza recensendo il libro nel 1971. L’autobiografismo estetizzante e informale è molto vicino a quello di Invettive e licenze, ma si differenzia essenzialmente per la peculiarità di saper raccontare «un personaggio, quello che dice ‘io, che ha una simpatia per se stesso inconfondibile in un panorama letterario dove, per lo più, l’autobiografismo in genere è una specie di esorcismo autodistruttivo e punitivo dello scrittore nei confronti si se stesso»[26]. Bellezza traccia una sorta di autoritratto di segno opposto. Ma l’autobiografismo, che sia esplicitato in un’accezione positiva o in un’accezione maudit, appare in ogni caso un punto di riferimento per la nuova poesia al passaggio degli anni Settanta e lo stile confessionale una risposta espressiva sempre più diffusa nei confronti della scrittura materialista, politicizzata e sostanzialmente anti-lirica in voga con il Sessantotto.

*

L’autobiografismo maudit di Invettive e licenze costruisce uno stile confessionale in cui colpiscono, prima di tutto, i contrasti tra i termini astratti e concreti, che frequentemente si esplicano in coppie antinomiche tra un polo positivo e un polo negativo, in bilico tra il sacro e il profano, l’innocenza e la corruzione. Il mare di soggettività…, ad esempio, è ricco di lessico astratto («soggettività», «oralità», «invettiva», «infedeltà», «petulanza», «quotidianità», «retorica», «suggestioni», «maledizioni») che produce un effetto ironico, e ossimorico, per l’accostamento ad aggettivi o a sostantivi semanticamente stridenti («mare-pensione» entrambi in posizione chiave, all’inizio nei rispettivi versi; «codarda petulanza»;  «retorica-normali giorni-normali persone»; «civili suggestioni»; «pensione-poeta maledetto»), effetto di cui la raccolta è disseminata («vani sogni-zuppa di latte-casi disperati», p. 13; «dare a rate l’odore della memoria», p. 14; «fregato-ferito-raffinato», p. 18; «spirito-tenerezza-borotalco», p. 30; «Vittima e carnefice / del mio senso di colpa, la giovinezza / sprecata del serpente che non morde  / che la sua coda e schiatta,  il rimorso / è il mio Vangelo, il passaporto / verso la gloria», vv. 10-15, p. 32;  «Bruciavi d’amore e voluttà / sul tram», vv. 1-2, p. 37).

Questo tipo di contrasti sono spesso ricchi di annominatio («Se dare gratis quel che gratis / abbiamo ricevuto è solo dare / a rate l’odore della memoria / a comodo comodamente rivisitata», vv. 24-27, p. 14; «Io baciato dalla fortuna dentro il solito / snack a pugnare con gli anonimi sguardi / col mio sguardo ubriaco», vv. 7-9, p. 28; «Aspetta lì in spirito teneramente / circuendoti di tenerezza; non cambiare pelle, / profuma ancora di borotalco!», vv. 5-7, Preghiera; «la giovinezza / sprecata del serpente che non morde / che la sua coda e schiatta,  il  rimorso / è il mio Vangelo», vv. 11-14, p. 32) e si possono prolungare da testo a testo.

I contrasti tra il piano dell’astratto e quello del concreto si riscontrano anche a livello verbale. Esempio su tutti, la distonia presente in Il mare di soggettività… in cui, dopo gerundio iniziale «sto perlustrando» che sembra preludere ad un’affascinante ricerca, si trova un brusco arresto della visione con l’indicativo «non so dare», portando la tonalità ad una concretezza travagliata, ripresa con accezione ancor più fisica dagli infiniti «soffrire» e «patire».

Tra le altre formule stranianti rispetto alla tradizione, vi sono inoltre le trafile prive di segni interpuntivi («oralità invettiva infedeltà»; «la retorica di tutti i normali giorni delle / normali persone» con espressivo enjambement in chiusura), i complementi di specificazione che uniscono termini astratti e concreti o impersonali e personali, dando origine a luoghi metaforici (esempio emblematico: «il mare della soggettività»), i processi antifrastici e soprattutto l’anteposizione dell’aggettivo al sostantivo, di cui Invettive e licenze è ricchissima. Abbiamo già visto gli esempi di Il mare di soggettività…, come «codarda petulanza» e «civili suggestioni». Ma in tutto Invettive e licenze si notino anche «fracassato cuore», «flessuose canne», «inturpita analisi» (p. 18), «mia incerta biografia», «contorta psicologia» (p. 22); in particolare, «profonda notte», «luttuosa nudità», «soffici / tuoi capelli», «piccolo / corpo», «giovane seme», «tenera mia bugia», «maschili corpi» (p. 21) che evocano quella grazia elegiaca, già di Sandro Penna, che sa fondere il sentimento elegante con il quotidiano più semplice e che si riverbera in tutta un’area di poesia «romana»[27], da Penna a Bertolucci a Pasolini. Bellezza, introdotto all’ambiente letterario romano da Elsa Morante, carica lo spirito locale di un colore irrequieto, fatto di un incontro tra «mestizia e allegria»[28], sotto il segno di un maledettismo provocatorio e insofferente, poi ridimensionato in un’accezione più sentimentale, elegiaca e intellettuale da autori come Beppe Salvia – che proprio Bellezza fa entrare nei circoli romani – con lavori quali Estate di Sansovino (1985)[29] o Cuore (1988)[30].

ATELIER_77Infine, a livello metrico, la licenza arriva a riformulare soprattutto le cadenze dell’endecasillabo, filtrato attraverso l’uso pasoliniano delle Ceneri di Gramsci, dove già la forma pura del metro era turbata per un sottilissimo «desiderio di violazione»[31]. L’endecasillabo di Invettive e licenze è completamente sfibrato in modulazioni che uniscono il brivido cantabile di Penna a una leggerezza sciorinata, dissacrante, impudica, ottenuta anche con  un riuso libero, totalmente asistematico di distici e di terzine, con la presenza di frequenti enjambement anomali (a capo dopo articoli, preposizioni articolate) e di rime baciate facili che sorprendono per il tocco di ingenuità declamatoria: esterne, come nella chiusa del Mare di soggettività… («suggestioni»:«maledizioni»), e interne (es. in Invettive e licenze: «addosso»:«posso», p. 28; «ieri»:«c’eri», p. 13).

 

La licenza e l’iperinteriorizzazione espressivistica

 

La licenza porta a un uso dissacrante degli stilemi classici, che sarà esteso anche alla narrativa. Nel Carnefice, ad esempio, è aggredita la tradizione epistolare romantica – da Foscolo a Goethe – e i suoi «paludamenti sentimentali»[32]. Ma la licenza di Bellezza costruisce soprattutto una particolare retorica attorno all’esasperazione soggettivistica: una dizione paradossale perché, da un lato, libera completamente l’io nell’espressione autobiografica e confessionale e, dall’altro lato, dà vita a una pronuncia manieristica e teatrale. Si ha, infatti, un massiccio uso di stilemi come l’ossimoro e l’annominatio, che contribuiscono a realizzare quell’impalcatura esibizionistica dell’io prossima alle forme dell’inquietudine intima del manierismo di tradizione[33] e, al tempo stesso, un flusso diaristico e dispersivo di testi come macro-struttura della raccolta.

Sull’«io sbudellato» è così esercitata una pressione centrifuga da parte di questo flusso e una pressione centripeta da parte delle figure retoriche. La poesia di Bellezza «coltivata e celebrata all’insegna della ‘sincerità’, della disperazione esistenziale» si mostra, dunque, «una poesia letteraria fino alla disperazione, all’orrore, e proprio in questo vanno riconosciute le sue singolarità e la sua forza. […] Di suo (di nuovo, di ‘attuale’) [Bellezza] ci mette un sapientissimo senso della stonatura»[34].

Ed è proprio nel circuito manierista di sagaci e sotterranee rispondenze con alcuni modelli della tradizione che crescono le contraddizioni espressivistiche di Bellezza: dal ribaltamento in chiave attuale del poeta maledetto di tradizione romantica a quelle forme contemporanee che si muovono in una direzione separata rispetto al realismo, alla sperimentazione d’avanguardia, alla poesia inclusiva di marca montaliana o a quella discendente dall’ermetismo storico.

Invettive e licenze, ad esempio, si lega al tono confessionale di Amelia Rosselli[35] calato in una esposizione teatralizzante dell’io dove rifluisce certa visionarietà di Rimbaud filtrata attraverso quella di Dylan Thomas. Se poniamo a confronto alcuni versi della Rosselli con altri di Thomas si potranno notare una tonalità e una rete di stilemi che, nella scrittura di Bellezza, sono come centrifugati nell’iperinteriorizzazione espressivistica del discorso:

 

Che il tempo miserabile consumi me e tutte le mie tristezze
che la tristezza sia il panforte delle giornate, che la
noia cada nel vuoto tutto questo non è che un grattacielo

(Amelia Rosselli, Che il tempo miserabile consumi me e tutte le mie tristezze…: da Variazioni belliche, 1964)[36]

 

*

 

Oh, fatemi una maschera e un muro per nascondere alle spie
Dei vostri occhi aguzzi e laccati ed artigli occhialuti
Lo stupro e la rivolta degli asili infantili del mio volto
Mordacchia d’albero ammutito a bloccare contro i nemici scoperti

[…]

 

O make me a mask and a wall to shut from your spies
Of the sharp, enameled eyes and the spectacled claws
Rape and rebellion in the nurseries of my face,
Gang of a dumbstruck tree to block from bare enemies

[…]

 

(Dylan Thomas, O make me a mask, vv. 1-4: da The Map of Love, 1939 e Collected Poems, 1953 – Oh, fatemi una maschera, trad. it. di Ariodante Marianni)[37]

 

La poesia della Rosselli offre, nella brevità del testo, un esempio condensato delle forme retoriche di cui sono ricchi sia Variazioni belliche sia Invettive e licenze: l’anafora (con l’iterazione del «che» esortativo, affiancato in Variazioni belliche dalla frequente iterazione del «se» ipotetico o del verbo essere alla terza persona singolare «è»), l’annominatio («tristezza»-«tristezze», «tutte»-«tutto»), il complemento di specificazione che crea luoghi metaforici («il panforte delle giornate»). Il tono esortativo malinconico mette in scena l’io come dramatis persona e genera un humus confacente allo slancio maudit di Bellezza. La tonalità è simile a quella del testo di Thomas: viene usata l’esortazione, che è enfatizzata dall’invocazione iniziale e si riverbera nei richiami anaforici di tutta la poesia; e anche qui si nota l’impiego metaforico del complemento di specificazione («negli asili infantili del mio volto»). Il tono, tuttavia, è più carnale, come traspare anche dalla ricca aggettivazione.

Il esibito ed esortante di Thomas e della Rosselli diventa espettorato in Bellezza. La costruzione psichica di Amelia e la carnalità spaziale di Thomas vengono trasposti in una fisicità narcisista e provocatoria, la scrittura è fondata sull’esposizione dominante di un’autonomia espressiva liberatoria. L’effetto è quello di una combinazione tra la facilità dissacrante nell’andatura retorica e il manierismo che producono l’impressione generale di un incerto magma tra intimismo e protesta, creando una comunicazione nuova improntata sull’esibizione del vissuto, mostrato in una forma apparente di piena accessibilità.

 

DARIO BELLEZZALetteratura del vissuto e «intensità» postmoderna
(Foto di Rino Bianchi)

 

Con Bellezza la lirica inizia a porsi come «linguaggio diretto del vissuto»[38]. La sua spontaneità è data in un assetto provvisorio ed effimero, staccato da ogni fiducia in impostazioni letterarie. La poesia diventa terra di conquista del vissuto contro il letterario, in accordo con il bisogno di autenticità espressiva che si ribella agli schemi sia tematici sia teorici tradizionali[39].

Il mare di soggettività… è il modello metapoetico di un’interessante contraddizione, che traduce stilisticamente l’impostazione seduttiva dello stile confessionale. Nell’Introduzione a Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, Tomaso Kemeny osserva che «mentre la scrittura si arricchisce di figure retoriche, di ritmi variati, la sintassi si inspessisce, i testi si rivelano relativamente meno “opachi”, quasi come se i poeti volessero “sedurre” il lettore più che “traumatizzarlo”»[40]. Con il neo-individualismo e il nuovo irrazionalismo, l’autobiografia e la confessione impongono una letteratura del vissuto che mira all’espressione dell’io come sua realizzazione e che in Bellezza viene manifestata nella forma di un’«episteme screpolata […] della propria anima» e di «un corpo gettato nell’accadere»[41].

Dalla «poetica del ‘rifiuto’» del Sessantotto si passa a una «poetica della ‘seduzione’» in cui l’elemento più importante diviene l’«intensità»[42]. Infatti, per la realizzazione espressiva del soggetto non è più importante ricorrere a temi e forme che vogliano costruire un senso intellegibile e storico attraverso il testo. I temi e lo stile vengono orchestrati prevalentemente in funzione dell’espressione del , devono dare un effetto di intensità espressiva che trasmetta gli stati d’animo soggettivi: un’intensità che non è in dialogo critico con il mondo, ma in dialogo con le varie forme del e che impone «il mito dell’esperienza consumata nell’immediato»[43].

Quella intensità di cui Friedrich Jameson parla per descrivere la tonalità emotiva del postmodernismo[44] (fatta di un’accelerazione di informazioni e di immagini, di una riproduzione multicentrica di spettacoli da parte dei massmedia per captare e sedurre gli spettatori) potrebbe essere, in una forma intimista e personale, la stessa intensità prodotta dal maledettismo dissacratorio di Bellezza, nella pluralità dispersiva e rizomatica dell’esistenza che il suo io incarna, nella non-struttura della raccolta data da un accumulo di testi diaristico e confessionale che si svolge in un’immanenza apparentemente priva di profondità storica, nella teatralità lirica e ossessiva – tra denudazione, simulazione e manipolazione – che rimodella forme manieristiche.

«Il mare di soggettività» è un sintagma-metafora sia dello stile confessionale sia dell’intensità postmoderna. In esso i contenuti e lo stile possono essere potenziati con licenza in funzione dello stato soggettivo, per un’«esaltazione del se stesso come progetto totale»[45], ribaltando completamente la riduzione dell’io del Gruppo 63 e il materialismo intellettuale del Sessantotto. Non stupisce allora un commento di Sanguineti di qualche anno successivo:

 

E’ cambiato in modo assolutamente eterogeneo il modo di far versi, in maniera antitetica con la neoavanguardia. Una poesia tutta effusiva, estremamente poco realistica, anche poco razionale, assai poco pensata, assai poco dotata di controllo teorico, assai abbandonata nel complesso. […] C’è questa poesia del riflusso, quella dei pentiti della politica che tornano con animo tranquillo alla poesia, anzi si sentono molto poeti. Una figura come Bellezza mi pare assolutamente sintomatica. […] Non sento quella di oggi come una situazione di postavanguardia, quanto come una situazione d’attesa. Deve succedere qualcosa. Non è possibile che il realismo sia del tutto perduto (1984).[46]

  

A oltre un decennio di distanza dalla rivoluzione culturale del Sessantotto, Sanguineti prende definitivamente atto dell’esaurimento creativo della Neoavanguardia. Tuttavia è bene soffermarsi la critica che muove contro l’abbandono del realismo.

La letteratura del vissuto e lo stile confessionale sembrano svilupparsi dall’esigenza di restituire all’uomo una immediatezza nell’esprimere il rapporto con il reale, di manifestare quell’autenticità espressiva che la letterarietà tradizionale aveva limitato. Se il Sessantotto era stato sostenuto dalle istanze materialiste e ideologiche di un realismo politico, come quello di Sanguineti, negli anni Settanta il realismo si sviluppa in direzione di una resa autentica e totalmente anti-ideologica dell’esperienza.

Un realismo rifunzionalizzato, esistenzialista e personale, che trova uno dei suoi modelli nel ‘realismo psichico’ di Amelia Rosselli[47]. In esso la presa di parola, così come indicava Michel De Certau[48], da diritto politico dell’individuo si estende a diritto esistenziale dell’io. Il confronto tra il ‘realismo materialista’ di Sanguineti e quello ‘esistenzialista’ della generazione di Bellezza diviene allora paradossale e decisivo: nelle forme del secondo si assiste al mutamento della struttura lirica, facendo passare il centro della rappresentazione dai contenuti esterni all’io alla concentrazione sull’espressività dello stato individuale, sul vissuto dell’io come campo emotivo, psichico e fisico iperinteriorizzato, per esaltare il «sapere immediato» contro il «sapere riflesso» e «dare dignità culturale all’improvvisazione, al bruto, al “vero”»[49].

In questa prospettiva Il mare di soggettività… mostra anche una metapoetica del modo in cui, con Invettive e licenze, si esplichi la prima forte rottura delle forme poetiche tradizionali in stretto contatto con la controcultura anti-ideologica del Sessantotto. La poesia di Bellezza, infatti, pur restando a lato della crisi della ragione ispirata da figure come Marcuse o Ginsberg, pone il maledettismo su un piano parallelo, sebbene il tono narcisista della sua poetica apra una dimensione psichica più monotematica e chiusa rispetto all’internazionalismo beat-hippy della controcultura: una dimensione in cui spicca l’intensità concentrata sulle manifestazioni del soggetto-autore. Si noti, con il seguente esempio, uno dei modi in cui Bellezza accenna al clima della crisi della ragione in Invettive e licenze, alle sue derive irrazionaliste e misticheggianti alimentate dal costume delle droghe:

 

Che io legga la Terapia del Feticismo di Stekel
e la notte vari fino al giorno dell’insonnia
la mia impasticcata notte fino all’avventura

del sonno viaggiatore che coltiva fra l’odore
dell’inconscio il suo ballo disperato.

[…]

(vv. 1-5, p. 78)

 

Gli aspetti di apertura a spazi visionari e all’inconscio, il potenziamento della sensibilità irrazionalistica divengono funzionali ad esprimere lo stato maudit dell’io, traslando il maledettismo romantico in un contesto contemporaneo. Bellezza parla di se stesso come parte di una generazione di giovani che vuole slacciarsi dai limiti della logica e raggiungere l’Assoluto, uno stato che non è visto più come il trascendentale romantico, ma come una impetuosa apertura immaginifica che illumina la banalità razionale del quotidiano e che è dominata da una tensione negativa.

Tuttavia, si nota immediatamente che nel realismo autobiografico, esistenzialista e personale di Bellezza il bisogno di autenticità espressiva (proveniente dallo stesso retroterra neo-individualistico e neo-irrazionalista della controcultura) è manifestato attraverso una patina manierista, come abbiamo già osservato nell’analisi stilistica del Mare di soggettività…. Ed è questo manierismo a mettere in scena il carattere specifico della poesia di Bellezza nei confronti del clima culturale post-Sessantotto. Invettive e licenze, infatti, matura nello stesso contesto anti-ideologico e anti-storicista, ma rappresenta l’individualismo in una posizione appartata, distanziante, ironica e al negativo. E’ un manierismo legato a una particolare rappresentazione della psiche individuale che costruisce un linguaggio dell’io come teatro autobiografico. La sua esibizione produce manifestazioni assillanti e depressive del soggetto, che forse sono in accordo più con la retorica postmoderna che con la poetica irrazionalista beat-hippy della controcultura.

 


[1] Principali edizioni in volume: 1971: Dario Bellezza, Invettive e licenze, Milano, Garzanti; 1975: in Il pubblico della poesia, a cura di Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, Cosenza, Lerici (Roma, Castelvecchi, 2004); 2002: Dario Bellezza, Poesie 1971-1996, Introduzione di Elio Pecora, Milano, Mondadori; 2015: Dario Bellezza, Tutte le poesie, a cura di Roberto Deidier, Milano, Mondadori.

[2] Alfonso Berardinelli, Effetti di deriva, in Il pubblico della poesia, cit., p. 23.

[3] Cesare Viviani, Una generazione di anarchici e di autolesionisti, in Id., La voce inimitabile. Poesia e poetica del secondo Novecento, Genova, Il melangolo, 2004, p. 57.

[4] Pier Paolo Pasolini, I giovani che scrivono, in Id., Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Torino, Einaudi, 1979, pp. 241-245.

[5] Cfr. Italo Calvino, Calvino: io, io, io e gli altri (Intervista con lo scrittore sul «neo-individualismo»), di Lietta Tornabuoni, «La Stampa», 12 gennaio 1980, ora in Id., Sono nato in America… Interviste 1951-1985, cit., pp. 346-351.

[6] Cfr. Christopher Lasch, La cultura del narcisimo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive, trad. it. di Marina Bocconcelli, Milano, Bompiani, 1981.

[7] Roberto Deidier, Introduzione a Dario Bellezza, Tutte le poesie, cit., p. V.

[8] Cfr. Dario Bellezza, Proclama sul fascismo, Milano, Mondadori, 1996.

[9] Ivi, pp. VI-VIII.

[10] Valerio Magrelli, Per Dario Bellezza in L’arcano fascino dell’amore tradito. Tributo a Dario Bellezza, a cura di Fabrizio Cavallaro, Roma, Giulio Perrone Editore, 2006, p. 61.

[11] Cfr. Francesco Scarabicchi, Straniera valle, intervento parte del programma Straniera valle, otto letture leopardiane, Biblioteca Civica “Benincasa”, Ancona, 25 febbraio 1988, ora in L’arcano fascino dell’amore tradito. Tributo a Dario Bellezza, cit., p. 97.

[12] Dario Bellezza, Il carnefice, Garzanti, 1973, p. 154 (grassetto apposto da me).

[13] Ibidem. Le notazioni sono tratte dalla quarta di copertina del Carnefice scritta da Dario Bellezza. Si veda anche Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza, “Il carnefice”, in Id., Descrizioni di descrizioni, cit., pp. 110-114.

[14] Franco Cordelli, Schedario (Dario Bellezza), in Il pubblico della poesia, cit., p. 298.

[15] Id., Morte segreta, Milano, Garzanti, 1976.

[16] Id., Io 1975-1982, Milano, Mondadori, 1983.

[17] Enzo Siciliano, Raboni e Bellezza. Amor di poeti. Casti affetti e pene di un “maudit” (recensione a Invettive e licenze), «La Stampa», 2 luglio 1971.

[18] Alfonso Bererdinelli, Effetti di deriva, Prefazione a Il pubblico della poesia, cit., p. 30.

[19] Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, cit., p. 33.

[20] Cfr. Franco Cordelli, Schedario (Dario Bellezza), in Il pubblico della poesia, cit., p. 298; Gualtiero De Santi, All’origine della poesia di Bellezza in L’arcano fascino dell’amore tradito. Tributo a Dario Bellezza, cit., p. 22.

[21] Alfonso Berardinelli, Effetti di deriva, Prefazione a Il pubblico della poesia, cit., p. 32.

[22] Marco Marchi, Il mare della soggettività. Significato di due figure retoriche manieriste e altre ipotesi sulla poesia di Bellezza, «Paragone», 322, dicembre 1976, p. 143.

[23] La silloge – uscita su «Nuovi Argomenti», 12, 1968 – è stata ripubblicata nel 2004: Dario Bellezza, La vita idiota, a cura di Frabrizio Cavallaro, Massimo Raffaeli e Francesco Scarabicchi, con uno scritto di Enzo Siciliano, Como, LietoColle, 2004.

[24] Per i riferimenti ai testi privi di titolo si indicheranno i numeri di pagina della prima edizione di Invettive e licenze (Milano, Garzanti, 1971).

[25] Cfr. Elio Pecora, La chiave di vetro, Bologna, Cappelli, 1970.

[26] Dario Bellezza, Il messaggio di due giovani poeti, «Paese Sera», 31 dicembre 1971.

[27] Cfr. Giovanni Raboni, Poesia 1963-poesia 1978, in Pubblico 1978. Rassegna annuale di fatti letterari, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, Il Saggiatore, 1979, p. 27 e sgg.

[28] Dario Bellezza in Contro Roma (Bellezza, Bigiaretti, I. Buttitta, P. A. Buttitta, Dessì, Ferrucci, Fratini, La Capria, Maraini, Montale, Moravia, Parise, M. A. Pasinetti, Piovene, Russo, Siciliano, Soldati), Milano, Bompiani, 1975, p. 183.

[29] Cfr. Beppe Salvia, Estate di Sansovino, «Quaderni di Prato Pagano», Roma, Il Melograno-Abete Edizioni, 1985.

[30] Cfr. Id., Cuore, Roma, Rotundo, 1988.

[31] Walter Siti, Saggio sull’endecasillabo di Pasolini, «Paragone», 270, agosto 1972, p. 39.

[32] Sono parole di Dario Bellezza nella quarta di copertina del Carnefice, cit.

[33] Cfr. Marco Marchi, Il mare della soggettività. Significato di due figure retoriche manieriste e altre ipotesi sulla poesia di Bellezza, cit., p. 143 e sgg.

[34] Giovanni Raboni, Quattro libri di poesie. Bellezza, «Paragone», XXIII, 226, aprile 1972, p. 149.

[35] Cfr. Biancamaria Frabotta, A Dario Bellezza, tentato di risorgere, in L’arcano fascino dell’amore tradito. Tributo a Dario Bellezza, cit., pp. 49-50.

[36] Cfr. Amelia Rosselli, L’opera poetica, cit., p. 90.

[37] Cfr. Dylan Thomas, Poesie, a cura di Renzo S. Crivelli, traduzione e note di Ariodante Marianni, Torino, Einaudi, 2002, pp. 82-83.

[38] Giulio Ferroni, Il fantasma e la maschera, in Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, cit., p. 184.

[39] Lo avrebbe notato, ad esempio, Costanzo Di Girolamo in Critica della letterarietà, Milano, Il Saggiatore, 1978.

[40] Tomaso Kemeny, Introduzione a Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, cit., p. 6.

[41] Gualtiero De Santi, All’origine della poesia di Bellezza, cit., p. 23.

[42] Tomaso Kemeny, Dalla poetica del ‘rifiuto’ alla poetica della ‘seduzione’, in Il movimento della poesia negli anni Settanta, cit., p. 25.

[43] Niva Lorenzini, Dopo la lirica, in Ead., La poesia italiana del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 160.

[44] Cfr. Friedrich Jameson, La logica culturale del tardo capitalismo, in Id., Postmodernismo ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, cit., p. 24

[45] Giulio Ferroni, Il fantasma e la maschera, in Il movimento della poesia italiana negli anni Settanta, cit., p. 186.

[46] Scrittura poetica e comunicazione in versi. Conversazione con Edoardo Sanguineti, Genova, aprile 1984, in Non ci sono sedie per tutti. Una ricerca sulla poesia italiana degli anni Settanta, a cura di Marco Calabria, Rocco Carbone, Daniela De Sanctis, Monica D’Onofrio, Rosamaria Facciolo, Tommaso Giartosio, Antimo Palumbo, Emanuele Trevi, Ricerche finanziate dall’Università “La Sapienza” di Roma, Roma, Valore d’Uso Edizioni, 1985, p. 124.

[47] Cfr. Emmanuela Tandello, La poesia e la purezza: Amelia Rosselli, in Amelia Rosselli, L’opera poetica, cit., pp. XXXIII-XL.

[48] La presa della parola (La Prise de parole), scritto tra il maggio e il settembre 1968, si legge in traduzione italiana in Michel De Certau, La presa della parola e altri scritti politici, cit., pp. 37-51.

[49] Mario Lunetta, Poesia italiana oggi, Roma, Newton Compton, 1981, p. 8.

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Il Saggio di Maria Borio su Dario Bellezza è uscito su “Atelier”, IL PENSIERO FONDANTE, la Rivista di poesia, critica e letteratura diretta da Giuliano Ladolfi, numero 78 – anno XX – Giugno 2015 – Edizioni Atelier

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